-1: Lei Non Sa.-

196 3 0
                                    

Per ogni ragazzo, il risveglio è diverso. C'è chi si sveglia poco prima che inizi la scuola ed è costretto a correre a rotta di collo per fare in tempo, chi si sveglia all'alba e non vede l'ora di cominciare una nuova giornata scolastica... chi si sveglia con un peso sul cuore, come Lucia, che per l'ennesima volta, si era svegliata dopo un incubo, con la fronte madida di sudore e il cuore che batteva a precipizio. La strada era ancora buia e il cielo minacciava tempesta.
Lucia scattò a sedere in mezzo al letto, portandosi le mani alla bocca per impedirsi di gridare. Sperava solo di non aver lanciato un urlo nel sonno, perché se i suoi genitori si fossero svegliati "a causa sua", gliel'avrebbero fatta pagare cara. Peccato che fossero proprio loro la causa dei suoi incubi. Ma del resto: a loro che importava? Non la potevano sopportare: la consideravano "inutile, ritardata, un brutto scherzo della natura", ed era esattamente così che le dicevano ogni santo giorno... a dirla tutta avrebbero voluto che lei non fosse mai esistita. Non c'era giorno in cui non glielo ricordassero, a volte con le parole, altre con le botte. Abituati a fare i loro comodi, senza pensare alle conseguenze, si erano trovati quella bambina tra capo e collo, e date le idee dei loro genitori, non avevano potuto né darla in adozione, né optare per l'aborto, con il risultato che tutto il loro malessere lo sfogavano su di lei, neanche fosse stata colpa sua... ma Lucia non aveva certo scelto di nascere, e per certi versi si era praticamente educata da sola.
A vederla c'era da chiedersi chi potesse mai avercela con uno scricciolo simile, come diceva un suo amico. Aveva i capelli lisci e biondi, due occhioni dolci color verde smeraldo, di giorno in giorno sempre più spenti... ma difficilmente si vedevano, perché la ragazzina guardava sempre a terra. Era minuta, magra da far pietà, e per lei i genitori riciclavano dei vecchi vestiti di almeno tre taglie più grandi. Parlava con una vocina così sottile che bisognava starle molto vicino per sentirla, ed era di poche parole. In questo, somigliava molto ad una sua amica... l'unica che le fosse sempre stata vicino: Micaela. Lucia si era sentita subito legata a quella ragazza introversa e solare al contempo.
A Micaela diceva praticamente tutto e lei sembrava essere l'unica in grado di calmarla quando le venivano gli attacchi di panico e di consolarla quando si sentiva inutile, e non solo le voleva bene come ad una sorella, ma i suoi genitori le volevano bene come ad una figlia. Le procuravano abiti decenti per andare a scuola, in modo che i bulli non la prendessero in giro, o almeno, non anche per quello... erano loro a darle qualcosa da mangiare, almeno fin quando lei stava con loro, e quando i suoi genitori la sbattevano per strada per motivi noti solo a loro, Lucia trovava posto a casa dell'amica. Da lei non si sentiva giudicata... forse per il fatto che non si era mai tirata indietro, quando c'era stato bisogno di lei... o magari perché quegli occhi non potevano guardarla in nessun modo: né con sufficienza, né con compassione.
"Stupida!" "Ritardata!" "Dovevamo liberarci di te, sgorbio!"
I pensieri sfrecciavano nella mente della ragazza, sovrapponendosi, scontrandosi fra loro e provocandole fitte lancinanti alla scatola cranica. Le parole che le dicevano sempre i suoi le rimbombavano in testa, insieme a quelle dei professori. "Ma come devo fare con te?" "È un due, Grimaldi!" "Scema!" "Scherzo della natura!" "Non sai far niente, Grimaldi! Dovresti darti all'ippica!" Il panico aumentava sempre di più e la ragazza sentiva un peso opprimente sul petto, la gola era stretta e lo stomaco chiuso... quanto ai polmoni, poi, sembravano sul punto di esplodere. Un fischio alle orecchie la stava facendo impazzire, quando la ragazza sentì vibrare il telefono che era accanto a lei. Riconobbe il nome sullo schermo e rispose.
"Ehi, Lu" disse una voce delicata.
"Mica..." sussurrò Lucia, che faceva fatica a parlare.
"Tesoro, ascolta" disse dolcemente la ragazza, capendo che l'amica era in preda all'ennesimo attacco di panico. "Io conto fino a tre... tu inspira ed espira, lentamente, d'accordo?"
Lucia gemette leggermente, per dare ad intendere all'amica che aveva capito. Micaela prese a contare fino a tre, a ripetizione, e Lucia, seguendo il suo ritmo, prese a respirare lentamente, fino a quando i battiti non si placarono.
"Va meglio?" sussurrò Micaela.
"Va meglio" rispose Lucia. "Mica... posso raggiungerti a casa, come al solito?" chiese poi, esitante.
"Ma certo! Ci vediamo più tardi" rispose Micaela, sottovoce, poi chiuse la comunicazione.
Detestava parlare al telefono, ma per la sua migliore amica avrebbe fatto questo e molto altro. Era come se, anche a distanza, potesse percepire la sua tensione.
Come l'amica, anche lei si era svegliata presto, in preda ad un'ansia da interrogazione... ma almeno non le toccavano due genitori che si comportavano da carogne. L'unica cosa che le veniva chiesta da loro era di dire tutto, nel bene e nel male, e infatti loro erano informati di quanto accadeva a scuola... la sua spina nel fianco, non tanto a livello didattico quanto a livello emotivo.
Micaela doveva combattere con dei compagni idioti, con dei professori che per essere politicamente corretti erano scorretti in tutto il resto... e soprattutto doveva abbracciare il buio, da ben diciotto anni... perché era cieca dalla nascita.
Quel piccolo dettaglio, però, era l'ultimo dei suoi problemi... anzi: non sarebbe stato affatto un problema, se le barriere non gliele avesse messe qualcun altro. Era abituata a prendere la vita con ironia, anche se ci aveva messo un bel po' ad intraprendere quella strada. Una volta iniziato, però, ci aveva preso gusto, e i suoi familiari e gli amici più stretti avevano imparato a non prenderla male, quando giocava con i suoi occhi. Fan sfegatata di Harry Potter, aveva scoperto con un certo rammarico che l'Oculus Reparo funzionava per gli occhiali, ma non per gli occhi. "Beh, pazienza" si diceva, "se neanche ad Hogwarts ci possono fare niente, vorrà dire che il folletto che mi ha fregato avrà i rimorsi di coscienza." Quella era una storiella che si era inventata: immaginandosi in attesa, in una fila di angioletti pronti ad andare sulla Terra in veste di neonati, la ragazza si era figurata un folletto proprio in stile Dobby... o forse, data la fregatura, più in stile Kreacher nel quinto libro... con le orecchie da pipistrello, una federa tutta rattoppata e una vocetta stridula... con qualche problemino di linguaggio, magari, che non consisteva nel parlare in terza persona. Il folletto le aveva promesso due occhi di "ultima generazione", di un colore da incantatrice e con una gradazione doppia rispetto alla norma... peccato che qualcun altro fosse passato avanti, lasciandole un solo occhio, tutto rovinato, e della stessa utilità di un cavo rotto per caricare un cellulare. Alla fine, figurarsi un piccolo Dobby o un Kreacher trattato bene dal suo "padrone" le faceva sciogliere così tanto il cuore che, per pasticcione che fosse, si diceva, e GLI diceva: "Dai, fa niente... tu hai le orecchie da pipistrello e io ne prendo l'udito." E in effetti, il senso che compensava la mancanza della vista era proprio l'udito. Se avesse raccontato a qualcuno che provava compassione per un personaggio che lei stessa aveva inventato, però, più che: "Sei troppo buona!", si sarebbe sicuramente sentita dire che era completamente matta.
Anche lei, come la sua migliore amica, aveva provato a ripassare, per la millesima volta, quello stramaledetto ritratto di Dorian Gray... ma stavolta non aveva avuto la forza di concludere l'ennesima lettura, e aveva richiuso il libro in Braille con uno scatto, dimenticando, però, di avere ancora la mano appoggiata sulle pagine. "Ah, maledetti Basilischi!" esclamò. "Sono proprio un pipistrello maldestro!"
Infilò il libro nello zaino e si diresse in cucina. Lì c'era sua madre, Sofia, che l'aspettava.
"Buongiorno, amore." le disse la donna, sorridendo. La macchinetta del caffè aveva preso a borbottare, segno che quella bevanda ristoratrice, che ti ricarica di energie, era quasi pronta. "Sei preoccupata per inglese, vero?"
"Ciao, mamma... sì, ci hai preso!" rispose la ragazza, in tono mesto. "Ma non tanto per me... ormai non m'importa più niente di quello che pensa di me quella donna... è per Lucia che sono preoccupata."
Quello che aveva detto era vero, ma solo per metà. Purtroppo le importava eccome quello che i professori pensavano di lei. Le dava fastidio il fatto che considerassero il suo "piccolo dettaglio" solo quando faceva comodo a loro. Proprio la Distasio, la sua insegnante d'inglese, in gita se ne ricordava, ma per farle una testa di descrizioni, che la ragazza già di suo mal sopportava, e delle quali, anche volendo, non sarebbe riuscita a ricordare neanche la metà.
"Quelli come te non devono essere privati dell'arte e dei panorami, Micaela" le diceva, neanche si trattasse di una specie di razza. E a sentire quella frase, la ragazza si prendeva le labbra a morsi per non ribattere: "Non siamo tutti fatti con lo stampino!", o: "Non sono mica una marziana!"
Durante le lezioni, i compiti in classe e le esercitazioni, invece, miracolosamente, il "piccolo dettaglio" sembrava sparire, sostituito da un'ipotetica sordità, (questo perché la donna le ripeteva le cose almeno due volte, ovviamente dopo aver parlato al resto della classe come se lei non ne facesse parte). Durante i compiti in classe le andava vicino senza dire una parola e rimaneva lì a fissare lei o quel che scriveva. La ragazza aveva iniziato a ricorrere al dizionario che aveva scaricato, quando accadeva questo. Cercava tutte le parole che le venivano in mente, anche quelle che non le occorrevano per quel che doveva scrivere o delle quali conosceva il significato, fino a quando la donna non si allontanava da lei e andava a trafiggere con lo sguardo qualcuno che potesse ricambiare.
In aggiunta a questo, durante i compiti in classe aveva la pessima abitudine di avvicinarsi ai banchi e rivolgersi a tutti ad alta voce tranne che alla stessa Micaela, per far notare la sua presenza... ma quella sensazione di gelo che la ragazza provava quando quello sguardo l'attraversava era inconfondibile, tanto che lei diceva sempre: "Non so se ricorderò Dickens, Hardy o le sorelle Brontê, tra vent'anni... ma so per certo che ricorderò gli occhi della mia insegnante... e il bello è che non li ho mai visti!"
Ma il peggio accadde alle esercitazioni per le maledette invalsi, che per la ragazza erano comunque una cosa decisamente stupida. Il giorno prima aveva cercato di completare un test scritto a risposta multipla, ma ogni volta che riusciva a dare una risposta, per fare la successiva, la precedente si cancellava da sola, senza contare il fatto che alcuni quesiti comprendevano immagini che la ragazza doveva salvare, far esaminare da un'App e ricordare, per tentare di dare una risposta... sperando che il dispositivo le avesse detto correttamente cosa c'era nelle foto. Con le prove di ascolto degli Audio in inglese fu anche peggio: era inutile cliccarci sopra, perché gli Audio non volevano proprio saperne di aprirsi.
Quell'ora era scoperta dal sostegno e la Distasio, avvicinandosi, non si era minimamente curata del fatto che Micaela fosse in crisi e le aveva detto: "Micaela, se non ci riesci, vuol dire che non ci hai neanche provato..."
Quella sentenza sparata letteralmente sulla Crocerossa, quella voce glaciale alla Voldemort, quella saccenza in stile Alessandra Celentano, irritarono a tal punto Micaela che dovette contare fino a quanto ricordava fosse possibile per non gridarle contro.
"Laida, malvagia, vecchia gargoyle!" pensò, dato che alle parole "forti" preferiva il gergo di Hermione Granger, ma non osò dirlo. "Scusi se la contraddico, prof" disse invece in tono gelido, "ma ho passato quattro ore sul sito per fare l'altro test. Se vuole controlli la simulazione, è la numero 4... legga le domande e mi chieda quale alternativa ho scelto. Ormai le risposte le conosco a memoria."
La donna, a quel punto, chiamò il custode della scuola: il signor Gabriele, e con un tono del tutto diverso gli spiegò quello che era successo... ma quell'uomo conosceva Micaela molto meglio di tutto il corpo docente messo insieme. Era forse l'uomo più buono che Micaela avesse mai conosciuto. Gli voleva molto bene, anche se non sapeva se fosse riuscita a dimostrarglielo: era così timida che gli dava ancora del lei e, nonostante riuscissero anche un po' a scherzare, gli parlava sempre con una vocina sottile e tremante, stile Beth di Piccole Donne.
"Lo vede anche lei che il sito non va... mi sembra inutile continuare a tenere sotto pressione Micaela."
"Che significa? Crede che io le stia facendo pressione?"
Micaela si stava tormentando le dita, nascondendo le mani sotto il tavolo della sala informatica per non farsi vedere, ma sapeva che Gabriele aveva notato il suo nervosismo.
"Non lei" disse il custode per non mettere nei guai la sua "amichetta", "ma io la conosco bene, questa ragazza... quando non riesce a fare qualcosa si agita, e non mi sembra il caso d'insistere ulteriormente... le dispiace se l'accompagno in classe un po' prima?"
La prof, incassato il colpo, lo lasciò fare. Micaela fece per cercare Toto, il suo bastone bianco, ma il custode le strinse leggermente un braccio. "Non c'è bisogno, tranquilla" le disse gentilmente.
Arrivarono in classe e il signor Gabriele tolse lo zaino alla ragazza, lo attaccò alla sedia e la fece sedere, mettendosi poi di fronte a lei, in modo da poterla guardare in faccia.
"Vieni, mettiti qui, angioletto." le disse. La ragazza esitò, ma alla fine, anche se si sentiva estremamente nervosa, si mise seduta. Il custode, dal canto suo, le prese le mani e le tenne strette tra le sue. "La conosco, quella faccia contratta... che ti ha detto, la prof?"
"Ha detto che se non riuscivo a far partire quella registrazione, era perché non ci avevo neanche provato."
Lui le sorrise gentilmente, le mise un dito sotto il mento per farle alzare la testa e le lasciò un bacio sulla fronte.
"Non te la prendere, Mica... a fine giornata lei torna a casa e non pensa a quello che ha detto al singolo alunno, perché ne ha tanti. Tu invece continuerai a pensare a questa storia, e se ti conosco abbastanza, so già che queste parole ti rimbomberanno in testa stile martello pneumatico. È un cruccio che resta a te, non a lei... non ne vale la pena..."
"Lei ha ragione, però... mi fa una rabbia... anzi, no! Magari mi facesse solo rabbia... mi fa male pensare che ho sprecato quattro ore della mia vita a fare una cosa che non voglio e sentirmi anche dire che non mi sono impegnata. Possibile che quella strega si ricordi che sono cieca solo quando le conviene?" si lasciò sfuggire la ragazza.
"Anche a me capita di dimenticarlo, a volte." le disse il custode. "Sei brava a distrarre le persone che ti circondano da quella caratteristica."
"Sì, ma lei non mette in dubbio l'impegno degli studenti..."
La ragazza sbatté gli occhi. Sentiva le lacrime spingere per venir fuori, ma non voleva piangere... non davanti a qualcun altro. Di solito alle persone che la circondavano consigliava di sfogarsi, se c'era bisogno, ma per se stessa faceva sempre il contrario... era troppo orgogliosa.
"Tu vuoi bene a questa persona?" chiese pacato il signor Gabriele.
"Non la posso sopportare!" rispose lei.
"E allora lasciale credere quello che vuole... pensa che non t'impegni? Fatti suoi! Basta che lo sappiano le persone a cui tieni, non credi? I tuoi genitori, ad esempio..."
A quell'uscita, senza pensarci Micaela chiese: "Lei mi crede?"
Era così che gli aveva lasciato intendere che gli voleva bene e al suo parere ci teneva moltissimo.
"Certo che ti credo! Però la devi smettere di colpevolizzarti per tutto, angioletto."
Istintivamente, la ragazza si alzò, lo raggiunse e gli gettò le braccia al collo. Dopo qualche secondo, però, si staccarono delicatamente.
"Oddio, mi scusi..." balbettò, incerta.
Lui, semplicemente, le sorrise. Teneva molto a quella ragazzina alla quale certe cose bisognava tirarle fuori con le tenaglie, ma che sapeva esprimere, a modo suo, quanto teneva a qualcuno. Lui la osservava proteggere Lucia, confortarla, darle una mano con i compiti... e sapeva che il "piccolo ciclope", come la chiamava lui, s'irrigidiva sotto un tocco non gradito e cercava il contatto con quelli a cui teneva. Quell'abbraccio era stato la prova di quanto fossero amici.
"Tieni, tesoro" disse Sofia, passando alla figlia una tazza bollente e riscuotendola dai ricordi.
La ragazza se la portò alle labbra e buttò giù il caffè, abbastanza velocemente.
"Ah, non imparerò mai!" disse tra sé, essendosi scottata la lingua.
"Ehi, piano!" la rimproverò la madre.
La ragazza infilò la tazza nella lavastoviglie, per poi versarsi del latte.
"Oggi ci vogliono energie" le disse sua madre, passandole un cornetto alla crema.
"Mamma... non posso..." balbettò, incerta.
"Lo so, ma se conosco abbastanza mia figlia, oggi perderà almeno tre chili, tra la sua insegnante e dei compagni sciocchi... esclusa Lucia."
E mentre Micaela era insieme a sua madre, la piccola Lucia stava indossando i suoi abiti troppo larghi e rattoppati. Prese l'unica cartella che aveva: un vecchio zaino ancora integro per scommessa. Cercò d'infilarvi i libri, ma la stoffa era talmente rovinata che dopo il terzo libro si lacerò del tutto e lo zaino si divise in due. Libri, quaderni e penne caddero a terra, provocando una gran confusione.
"Ma che diavolo...?" disse una voce proveniente dalla stanza accanto. La piccola Lucia si lasciò cadere per terra, pallida come un cencio, e si rannicchiò contro i suoi libri, sperando che la inghiottissero.
"Ah, certo! Non potevi che essere tu" disse suo padre, avvicinandosi a lei a grandi falcate. La sua figura troneggiava su di lei, e la ragazza, se possibile, si fece ancora più piccola. Questo, però, servì a poco.
"Piccolo sgorbio!" esclamò sua madre. "Neanche uno zaino, riesci a portare, ritardata? Ma che ti ci mandiamo a fare, a scuola?"
In quel momento la ragazza avrebbe voluto sparire, ma non ebbe il tempo di pensarci. La madre le si avvicinò e, senza tanti complimenti, la strattonò per un braccio e  le assestò uno schiaffo sul polso. La piccola era talmente debilitata che quel manrovescio le provocò un dolore tremendo, oltre a lasciarle un livido che si affrettò a coprire con quella maglia che le stava troppo grande. I suoi non la colpivano mai sul viso, per non lasciare il segno in un punto evidente.
Dopo averla schiaffeggiata, la signora Grimaldi afferrò le due metà dello zaino e le fece in mille pezzi.
Lucia rimase lì impalata, a guardare sua madre che le distruggeva l'unico zaino di cui disponeva... si raggelò, sentendosi impotente. Ma quella donna non provò alcuna pietà per quella ragazzina dallo sguardo spento e spaventato.
"Ora i libri te li dovrai portare in braccio, come l'asina che sei!" le disse malignamente.
E, ridendole letteralmente in faccia, i suoi "genitori" la lasciarono lì, in mezzo a quel disastro.
Con gli occhi che le bruciavano per le lacrime, tutta tremante e con un dolore tremendo al polso, Lucia raccolse i libri uno alla volta, insieme a quaderni e penne, e spinse tutto fuori dalla porta per poi chiuderla delicatamente.
Era metà novembre, faceva un freddo tremendo e la ragazza non aveva neanche un cappotto.
Infilò i libri in ascensore, poi ci s'infilò a sua volta e raggiunse il piano terra. Per sua fortuna un vicino stava uscendo, quindi non dovette aprire il portone del condominio. Ma non fu altrettanto fortunata nel passare inosservata.
"Ehi, tesoro!" la salutò l'uomo, reggendosi al suo bastone da passeggio.
"Buongiorno, signor Fausto" ricambiò la ragazzina, cercando di non far cadere quello che aveva in mano.
"Piccola, ma... tutti quei libri? Come farai a portarli in braccio? E poi... ti ammalerai se esci di casa vestita così."
"Non... non si preoccupi, signore."
"Ma come? I tuoi non dicono niente?"
Dicevano eccome! Dicevano che un po' di freddo e di ginnastica non avrebbero fatto male, a quello spaventapasseri.
"No... no, è che... vede, si è rotto lo zaino e... e io non volevo fare tardi a scuola... e ho dimenticato il cappotto... mi scusi."
"Tesoro, non ti devi preoccupare" la rassicurò l'uomo, sorridendole. "Se vuoi posso andare a recuperartelo io, il cappotto, o almeno uno zaino."
"No... no, per favore!" supplicò la ragazzina, e facendo per incamminarsi fece cadere tutti i libri. Guardò tutto quello che aveva trasportato con tanta fatica per un piccolo tratto e, d'istinto, si lasciò cadere a terra e scoppiò a piangere.
"Ehi, ehi... che ti succede, tesorino?"
L'uomo le si avvicinò, preoccupato, e cercò di confortarla accarezzandole i capelli scomposti, ma la ragazzina sembrava inconsolabile.
"Kaleb!" esclamò l'uomo, rivolgendosi ad un ragazzo poco distante. Lucia lo riconobbe subito: era un ragazzo della classe adiacente alla sua, di origini arabe. Era bellissimo e aveva un'espressione così dolce e rassicurante che Lucia avrebbe voluto parlare con lui, ma, naturalmente, provava troppa vergogna anche solo per rivolgergli la parola.
"Sì, signor Fausto... oh, ciao, Lucia!" salutò il ragazzo, sorridendo.
La ragazza si asciugò rapidamente le lacrime.
"Ti serve una mano?" chiese lui.
Prima che Lucia potesse rispondere, aveva già iniziato a raccogliere i libri da terra.
"Bravo, ragazzo" lo approvò il signor Fausto. "Fammi un favore, accompagnala per un pezzo, okay?"
"Certo, signor Fausto" rispose con calma il ragazzo. "So dove deve andare."
"Molto bene! Poi magari vieni a prendermi, d'accordo?"
"Certo, non si deve preoccupare" rispose Kaleb.
Aiutò Lucia a portare quell'arsenale per i due isolati che li separavano dalla casa di Micaela. Per fortuna, in quel paesino era tutto concentrato.
"Kaleb, ti ringrazio tanto per l'aiuto" sussurrò la ragazza. "Puoi ridarmi i libri? Io sono arrivata."
"Ma non ce la farai mai a portarli tutti" le disse lui.
"Tranquillo" lo rassicurò lei. "Non vorrei farti fare le scale su e giù... e poi, il signor Fausto ti starà aspettando."
"D'accordo" sospirò Kaleb. "Allora... ci vediamo più tardi, a scuola."
"Va bene" sussurrò, con le guance rosse per l'imbarazzo, la piccola Lucia. "A dopo... grazie ancora..."
Il ragazzo sorrise.
"Non c'è niente di male nell'essere un po' imbranati." le disse. "Anch'io lo sono, sai? A volte cado stando fermo."
E detto questo si allontanò, riluttante. Lucia, rincuorata da quell'incontro e con il cuore che le batteva fortissimo, stavolta per l'emozione, iniziò a tirare su i libri. Se li caricò di nuovo sulle braccia e attese che qualcuno le aprisse.
Si vergognava troppo per suonare il citofono.
Fortuna volle che Sofia, la madre di Mica, si fosse affacciata in quel momento, quindi Lu non dovette attendere a lungo.
"Tesoro" disse infatti Sofia, "c'è la tua amica Lucia qui fuori... ha libri, penne e quaderni sulle braccia."
"Accidenti, ci risiamo!" esclamò Micaela. Lei era l'unica che sapeva tutto di quello che i genitori di Lucia le facevano patire.
Sua madre conosceva solo una parte della storia. Non sapeva che i suoi le usassero anche violenza.
"Mamma... non è che avresti un mio vecchio zaino?" chiese a bassa voce la ragazza.
Sofia si diresse velocemente verso il ripostiglio e portò lo zaino a Micaela. La ragazza s'infilò rapidamente il cappotto, afferrò il suo Toto, il bastone bianco, e corse giù per le quattro rampe di scale. Arrivò all'ingresso, scese altri otto gradini e afferrò saldamente la maniglia del portone. Scesi gli ultimi due gradini e fu subito investita dal freddo di novembre. Il cuore le batteva forte al pensiero della sua amica... se lei batteva i denti e doveva portare solo uno zaino vuoto, non osò immaginare in che stato versasse l'amica, carica di libri, con quegli stracci addosso che non riscaldavano nulla, e, soprattutto, senza neanche un cappotto.
"Lu! Ehi, Lu, dove sei?" chiamò ad alta voce, sforzandosi di mettere da parte la sua proverbiale timidezza.
"Qui, Mica! Vieni avanti dritta!" chiamò la ragazza, sollevata.
Micaela si avvicinò al bordo del marciapiede, con cautela, concentrandosi sul suono della rotellina del suo Toto che strisciava da una parte all'altra della strada. Quel suono riusciva a calmarla, perché le dava un senso di libertà, d'indipendenza.
Con un dito urtò leggermente un libro. Aprì completamente lo zaino e iniziò ad infilarvi libri, quaderni e penne.
"Stai meglio?" chiese mentre si caricava lo zaino sulle spalle. Lucia si sentì scaldare il cuore: Mica era una delle poche persone a cui importasse qualcosa di lei.
"Sto bene" rispose timidamente. Non voleva farla preoccupare. "Puoi darlo a me, lo zaino" aggiunse poi, ma Micaela scosse la testa.
"Dai, è una sciocchezza. Il mio, con i libri in Braille e tutto, è pesante almeno il doppio di così."
Lucia cercò di protestare, ma quando fece per prendere lo zaino, Micaela la bloccò istintivamente e la ragazza gemette.
"Scusa, non volevo... ti sei fatta male, Lu?" chiese, prendendo tra le sue la mano dell'amica... ma si raggelò quando vide che le si era formato un livido sul polso. "Di nuovo? È successo di nuovo, vero?" chiese con dolcezza.
La piccola Lucia sentì il groppo che aveva alla gola sciogliersi e scoppiò in lacrime, tra le braccia dell'amica, per l'ennesima volta. Ma perché doveva essere così fragile?
"Va tutto bene, tesoro" le disse gentilmente Mica. "Dai, vieni... andiamo su, così ci metti un po' d'acqua e ti cambi... se resti con questa roba addosso ti verrà un raffreddore da manuale. Facciamo così: se tu mi guidi un attimo, io cerco di scaldarti un po', d'accordo?"
E detto questo, prese l'amica sottobraccio e rifecero il percorso al contrario fino a casa di Micaela.
Arrivate all'appartamento, Micaela e Lucia raggiunsero la cucina. Mica dovette forzare un po' la mano per convincere l'amica a mandar giù qualcosa, ma alla fine la ragazza accettò un bicchiere di latte caldo e un cornetto.
"Io... io volevo chiederle..." sussurrò Lucia, rivolta alla madre di Mica. "Cioè, volevo chiedervi... ad entrambe, intendo... potrei usare la vostra doccia?"
"Sentiti pure a casa, tesoro!" disse Sofia. "Abbiamo degli abiti di ricambio per te."
Lucia, esitante, raggiunse il bagno. Gli abiti erano stati già piegati e sistemati accuratamente. La ragazza s'infilò sotto la doccia e prese a sfregarsi dolcemente la pelle.
I lividi che aveva sul corpo, specie quelli freschi, le facevano un male tremendo, ma l'acqua calda che le scorreva addosso la fece sentire meglio.
Nel frattempo, Micaela stava finendo di sistemare i libri nel suo zaino.
"Tesoro, stai bene?" le chiese la madre.
"Sì... sì, tutto bene" rispose la ragazza. Sapeva che sua madre non le avrebbe creduto, non con quel tono, almeno, ma Sofia non fece domande. Sapeva che quando sua figlia decideva di mantenere un segreto, neanche le tenaglie bastavano a farglielo rivelare.
La verità era che Micaela non stava bene per niente. Non faceva che pensare alla sua amica, a quegli idioti che la prendevano in giro per la sua fobia sociale, ai professori che non la capivano e ai genitori... che neanche meritavano di essere chiamati così, per come la trattavano.
Mica e Lucia non erano sempre state in classe insieme, ma si conoscevano fin da bambine.
Quando erano all'asilo, a volte, la classe di Micaela e quella di Lucia si univano per un'ora o due, per quella che i professori chiamavano "accoglienza". Si erano conosciute così: a Micaela era stato affibbiato un disegno di un paio di guanti, contornati con la pistola a colla. Lei, però, si chiedeva a cosa servisse colorare l'interno di un paio di guanti.
D'improvviso, si sentì sfilare dalle mani il pastello, che giaceva inerte. La bambina che gliel'aveva preso aveva una mano piccolissima, sottile e delicata, anche se un po' fredda.
"Grazie" disse Micaela.
"A me piace colorare" disse in risposta Lucia.
"A me no..." rispose Micaela. "A me piace cantare."
"Io mi vergogno di farlo" disse Lucia.
"Io sono Micaela."
"Io sono Lucia."
Per una cosa semplice come un pastello a cera, le due ragazze si erano affezionate l'una all'altra, ed erano state felici di finire in classe insieme. Micaela non si sentiva a disagio per il fatto che tutti la trattassero come un'impedita totale e Lucia si sentiva sicura, sapeva che la sua amica non l'avrebbe giudicata con cattiveria.
Quando Lucia fu pronta, vide che Micaela si era caricata entrambi gli zaini sulle braccia.
"No, dai... non li puoi portare entrambi!" disse, più decisa di quanto non fosse abituata a fare, e prima che Micaela potesse reagire, lo zaino le scivolò via dal braccio.
Salutarono entrambe Sofia e si diressero insieme verso la scuola. Non era molto lontana, anche se ad entrambe sarebbe piaciuto che lo fosse. In pochi minuti erano di fronte all'edificio.
"Lasciate ogni speranza, o voi ch'entrate..." disse a denti stretti Micaela, quando una folla di ragazzi che cercava di allontanarsi dalla scuola li travolse.
"Allora, giovani! Che si fa? La giornata non è neanche iniziata e già ve la volete squagliare?" chiese una voce gioviale... e decisamente familiare. Lucia si rilassò leggermente e il viso di Micaela si aprì ad un sorriso. Era sempre contenta di vedere il signor Gabriele... si sentiva più vicina a lui di quanto non lo fosse ai suoi compagni di classe.
Tra le voci concitate, Micaela ne riconobbe una in particolare: quella di Luca Marzano, il ragazzo della classe adiacente. Era un ragazzo che amava molto la musica. Spesso, a ricreazione, si esercitava con la sua chitarra, in classe. Forse era un ragazzo solitario, perché Micaela sentiva spesso le ragazze della scuola parlare di lui con entusiasmo ed ammirazione, ma lui stava molto sulle sue. Anche a Micaela quel ragazzo piaceva: ogni volta che lo incrociava le sue guance si tingevano di un bel rosso acceso e il cuore le batteva forte... ma, a differenza delle altre, non osava andargli vicino per dargli il tormento. A lei Luca non piaceva per il suo baspetto: le piaceva la sua voce, leggermente graffiata, e le piaceva il suo modo di fare. Le piaceva il modo in cui si comportava con gli "ultimi", della sua classe o di altre. L'aveva conosciuto durante un incontro sul bullismo e lui stesso aveva raccontato di esserne stato vittima. Non era sceso nei particolari, cosa che le aveva fatto capire due cose: non solo i ricordi gli facevano ancora male, ma era estremamente riservato, come lei.
Quella era stata l'unica volta in cui avevano interagito.
Per il resto, troppo introversa per rivolgergli la parola, Mica si accontentava di ascoltare quella voce, acuta, ma non stridula, calda e leggermente graffiata.
"Ah, eccole qua, le due anime innocenti! La bionda e la bruna! La liscia e la riccia!" esclamò il signor Gabriele, raggiungendo le due ragazze. A Lucia diede un leggero bacio sulla guancia, e quanto a Micaela, le prese una ciocca di capelli e se la fece scorrere tra le dita. Entrambe lo lasciarono fare: Lucia era contenta di ricevere un gesto d'affetto, e a Micaela piaceva che le toccassero i riccioli, a patto che fosse una persona di cui si fidava e ovviamente che non venissero tirati troppo forte.
"Buongiorno" esclamò quest'ultima, sorridendogli. "Sono contenta di vederla!"
"Anch'io, piccolo ciclope" le disse lui, sorridendo a sua volta. "Però mi sembri un po' turbata per un'altra cosa... o sbaglio?"
"I-inglese" balbettò Lucia, stringendo forte la mano dell'amica. "Cioè, credo... ecco... che sia questo per entrambe."
"Ci ha preso" intervenne Micaela, "siamo entrambe preoccupate. E le giuro che se quella strega inizia a fare una delle sue prediche, oggi esploderò come un rospo! Devo iniziare a vedere qualcosa in questo momento se non è vero!" La parte del rospo, per evitare rischi, la disse con un soffio di voce, avvicinandosi il più possibile al signor Gabriele perché solo lui potesse sentire cosa diceva.
"Però la voglia di fare dello spirito non l'hai persa, vero?" le disse il custode, posandole una mano sulla spalla.
"È un male?" chiese la ragazza.
"No, Mica... al contrario: è una cosa buona, il fatto che tu riesca a scherzare... ma devi cercare di stare calma, altrimenti..." E, afferrandole la mano sinistra, gliela fece muovere avanti e indietro.
"Altrimenti sono dolori, lo so" rispose lei. Gli aveva chiesto d'insegnarle un po' di linguaggio gestuale, perché sperava di essere un po' più comunicativa con i suoi compagni di classe... ovviamente non aveva funzionato neanche quello, ma in compenso il custode si era affezionato ulteriormente alla sua dolce "amichetta".
"Nessuna di voi due deve preoccuparsi. Avete studiato tanto, e se alla prof non basta, non dev'essere un vostro problema. Nel peggiore dei casi, dovrete accontentarvi un po' agli esami di maturità, ma l'importante è farli." La piccola Lucia, spaventata all'idea di come avrebbero reagito, davanti all'ennesimo brutto voto, i suoi genitori, fu scossa da un brivido e strinse il braccio a Micaela, gesto che al signor Gabriele non passò inosservato. "In ogni caso me la lavorerò un po' anch'io... per voi lo faccio con piacere!" disse infatti, sorridendo.
A quelle parole, la povera Lucia si rilassò leggermente.
"Che ne dite di entrare?" chiese il custode, visto che si stava facendo ora e i ragazzi sgomitavano. Non gli andava giù che le sue ragazze venissero travolte da quella folla un po' distratta.
Le ragazze accettarono e il signor Gabriele raggiunse rapidamente Lucia e, arrivandole alle spalle, le sfilò lo zainetto, a sorpresa.
"M-ma..." balbettò la piccola, imbarazzata.
"Non vorrai mica spaccarti la schiena per uno zaino?" le fece notare lui.
"Come ha fatto? Ho provato a portarlo io, il suo zaino, ma Lu non ha voluto saperne."
"Perché tu hai già il tuo carico da portare... e io con te ci ho rinunciato, perché sei un angioletto testardo" ribatté l'uomo. "Dai, metti a riposo il tuo Toto. Ti guido io."
Micaela mise il bastone nella mano libera e il signor Gabriele, che ora si trovava alla sua destra, la prese sottobraccio.
Lui e Lucia erano gli unici a sapere che il bastone bianco di Micaela avesse un nome. Lucia lo sapeva perché lei stessa l'aveva aiutata a sceglierlo, mentre al signor  Gabriele, per un motivo che non le era chiaro, Micaela l'aveva rivelato spontaneamente, poco dopo averlo scelto.
Toto non aveva sempre avuto un nome, ma l'idea era venuta a Micaela un paio d'anni prima, quando sua madre aveva iniziato a dare un nome al bastone da passeggio di sua nonna materna: quel bastone era stato chiamato Gigi. Toto era venuto fuori dalla commedia musicale preferita di Micaela: "Aggiungi un posto a tavola", perché era il nome di un personaggio dapprima innocente, poi un po' troppo "monello", se così si poteva dire, dopo una trasformazione.
Dopo aver visto quella commedia, la ragazza avrebbe tanto voluto interpretare il ruolo di Clementina, ma si era convinta che quel sogno arebbe rimassto tale, per cui aveva scelto di dare ad uno degli oggetti più cari che aveva il nome di un personaggio di quella bella storia.
"Ehi, riccia... passa il tuo Toto nell'altra mano" disse sottovoce il custode. Micaela non comprese subito perché, ma gli diede ascolto. Il custode fece saettare la mano della ragazza da un lato all'altro, per spingere i ragazzi a sbrigarsi, ma ovviamente senza colpire nessuno.
"Oh, andiamo, non ti spaventare... nessuno si è fatto niente" la rassicurò, vedendola esitante.
Micaela sorrise ripensando a come e quando aveva rivelato al custode il suo piccolo segreto.
"Di' un po', piccolo ciclope: per caso sei l'erede di Mosè?" le aveva chiesto una volta l'uomo, mentre gli studenti, all'uscita, si spostavano di lato.
"Non credo, però ho anch'io un bastone, come lui" rispose la ragazza, scendendo rapidamente i sette scalini. Per farlo, però, rischiò di cadere a faccia in avanti. "Ehi, attenta... guarda che io ti voglio portare nel cuore, non sulla coscienza" la rimproverò lui, scherzosamente, dandole un pizzicotto sul viso, mentre la sosteneva con l'altro braccio.
"Grazie" sussurrò la ragazza.
"Ce l'hai la patente per guidare quel bastone?" chiese il custode, sempre sorridendo.
"Il mio bastone è l'unico "veicolo" che posso guidare... ce l'ho eccome la patente, e poi gli ho dato un nome." si lasciò sfuggire Micaela, pentendosi tre secondi dopo. Di solito, quando lo diceva, la prima cosa che le chiedevano era: "E perché non prendi un cane(" Lei, però, non voleva saperne.
Aveva una cinofobia patologica e niente di quello che altre persone dicessero o facessero poteva convincerla ad affidarsi ad un cane, che inoltre, ovviamente, aveva un gran bisogno di cure... Micaela pensava di non sapersi prendere cura neanche di se stessa: figurarsi di qualcun altro!
Il custode, però, la sorprese per l'ennesima volta.
"E come si chiama?"
La ragazza abbassò il viso.
Probabilmente le erano venute due guance rosse da manuale.
"Chi?" chiese, colta di sorpresa.
"Il tuo bastone bianco, voglio dire. Come si chiama?"
"Ah, certo! Beh... si chiama Toto." rispose con voce tremante. "Forse le sembrerò matta o magari starà pensando di dirmi che è meglio prendere un cane, però..." Ma mentre parlava a raffica, Micaela si sentì premere una mano sulla spalla.
"Sì e no." rispose lui. "Diciamo che più che matta penso che tu sia particolare... stravagante, ma non c'è nulla di male in questo. Anch'io lo sono... e poi essere... normali... è troppo noioso per i miei gusti. Quanto alla storia dei cani, poi, ho visto come hai reagito quando te ne sei trovato uno di fronte, e se mi devi sbiancare o tremare in quel modo, è meglio che sia Toto a condurti. Non sei costretta a farti guidare, e il modo in cui ti muovi deve stare bene a te. Ah, a proposito" aggiunse, appoggiando una mano sull'impugnatura del bastone, esattamente sopra quella di Micaela, in modo che la ragazza sapesse cosa stava facendo, "anche a te mi devo presentare così, no? Piacere, Toto: io sono Gabriele."
E mentre Micaela ci pensava, raggiunsero la classe. Le due ragazze si avvicinarono ai rispettivi banchi e, senza che potessero fare nulla per trattenerlo, il custode si occupò di sistemare i loro zaini.
"Ehi, piccola..." disse gentilmente, rivolto alla povera Lucia, che si era messa a sedere con le gambe che le tremavano. "Lo so che non ti piace Dorian Gray, e per la verità neanche a me è molto simpatico, ma ... ecco, vedila così: raccontando la sua storia potrai riabilitare le sue vittime... anche tu sei come loro."
E sia Lucia che Micaela avrebbero tanto desiderato che fosse proprio lui, il loro insegnante.
"E tu, signorina" continuò il custode, rivolgendosi stavolta a Micaela, "ridi, che quando lo fai sei più carina... e poi ne guadagni in salute."
L'ultima cosa gliela disse a bassa voce, come se fosse stato un segreto.
I tre si salutarono e mentre il custode tornava in portineria, le due ragazze si sistemarono. La povera Lucia continuava a tormentare le pagine del libro, e per evitare che le strappasse, anche se istintivamente l'avrebbe aiutata a farlo, le prese una mano tra le sue.
"Ehi!" le disse con calma. "Se parti con l'idea di non farcela, è ovvio che ti blocchi... sei brava. Devi solo ricordartene..."
Lucia era sicura del fatto che l'amica credesse in quel che diceva, ma era lei stessa a non crederci. Non sapeva perché, ma il modo di fare di Micaela riusciva sempre a calmarla... anche se forse l'amica era persino più paranoica di lei. Lucia non capiva come, ma Micaela riusciva a mettere da parte i suoi timori quando si trattava dell'amica... la piccola Lucia non riusciva a fare lo stesso, ma era l'unica a starle accanto, sempre e comunque, senza ignorarla o deriderla.
La classe era silenziosa, senza i loro compagni, ma alle due ragazze non dispiaceva granché.
Anzi: per la verità erano convinte che la scuola sarebbe stata un posto migliore, se tre quarti dei suoi frequentatori non si fossero trovati lì.
Immerse nei loro pensieri, quasi non sentirono la campanella che annunciava l'inizio delle lezioni. Una piccola folla di ragazzi si riversò nell'aula e un: "Good morning!", le fece sussultare. Micaela fece un piccolo cenno di saluto, ma non si alzò in piedi. Non tutti i docenti lo meritavano. Lo faceva solo per tre persone: il professor Michele, la professoressa Angelica ed il signor Gabriele. Lucia, dal canto suo, vedendo che nessuno si muoveva e non avendo il coraggio di parlare, muoveva solo le labbra, lasciando che la sua voce fosse sovrastata da un coro di saluti.
La professoressa Distasio, docente d'inglese, entrò in aula facendo svolazzare la sua gonna e pestando i tacchi sul pavimento. Sedette alla cattedra e accese il computer per poi iniziare a fare l'appello.
"Ah, peccato che ora ci sia il registro elettronico." sospirò, in maniera fin troppo marcata per sembrare vera. "Ora non posso più parlare male di Micaela Ferrante."
"Strega, carogna, avvoltoio, serpe!" pensò quest'ultima: il suo viso era così contratto da risultare quasi irriconoscibile.
Poi, però, nel tentativo di calmarsi, iniziò a ripetersi mentalmente: "Ridi, che ne guadagni in salute, ridi, che ne guadagni in salute, ridi, che ne guadagni in salute."
Molto probabilmente quella frase sarebe diventata il suo mantra... infatti, ripetendosi mentalmente quelle parole, riuscì a tranquillizzarsi tanto da non rispondere in modo sgarbato alla professoressa Distasio.
Lucia guardò l'amica e comprese al volo che la ragazza stava trattenendo la rabbia... la cosa la spaventò non poco, ma fu sollevata quando vide l'espressione della ragazza tornare serena.
"Bene... vediamo chi vuole venire a fare una chiacchierata..." sussurrò la prof, con la sua voce glaciale, facendo scorrere su e giù le frecce del computer. Lucia sentiva il cuore battere furiosamente e non faceva che torturarsi le maniche del maglione che Micaela le aveva regalato. Per quanto riguardava Mica, si stava rivolgendo ai fantasmi di tutti gli scrittori possibili, compreso lo stesso Wilde, perché la donna ci desse un taglio con quel silenzio insopportabile.
"Lucia Grimaldi... are you ready to be tested?" chiese finalmente la prof, in tono beffardo.
"Complimenti, genio!" pensò Mica.
Infatti, la povera Lucia, presa dal terrore, biascicò un semplice: "Yes..."
"Come here and tell me about Oscar Wilde" disse seccamente la prof.
Cercando di respirare, Lucia si alzò lentamente e raggiunse la cattedra per poi girarsi verso la classe.
"O-Oscar Wilde... wrote a... novel... the portrait of Dorian Gray."
Tutti trattennero il respiro. Lucia si rese conto di aver usato la parola sbagliata e le sue ginocchia presero a tremare. Micaela si morse le labbra così forte da farle sanguinare e pensò: "Maledizione, non fermarla per mezza parola che ha detto, ti prego, per favore..."
Ma niente...
"Picture! Si dice "picture"! Quante volte devo dirtelo?"
Quel filo di sicurezza al quale la povera Lucia si era aggrappata si dissolse nel nulla. Le sue gambe tremavano, le braccia le pendevano inerti lungo i fianchi e sembrava che la ragazza non ricordasse come si faceva a respirare.
"Well... tell me about the plot." continuò la professoressa, senza curarsi del fatto che la ragazza fosse ancora lì in piedi per pura coincidenza.
Il plot? Cos'era il plot? Lucia cercò di fare mente locale, ma ormai non sapeva se fosse meglio preoccuparsi del fatto che la prof le aveva chiesto una cosa di cui non ricordava il significato o del fatto che era in apnea.
"Neanche oggi hai studiato, vero?" le chiese secca la Distasio, come se non avesse visto la sua faccia diventare pallida. "Non imparerai mai. Un due per lo sforzo." Poi si rivolse all'intera classe. "Siete tutti uguali! Ma come devo fare con voi? Siete degli sciocchi, irresponsabili e super..."
Ma Lucia non la sentiva più. Le fischiavano così forte le orecchie che nessun altro suono riusciva a lacerare quella sorta di patina.
La testa le girava vorticosamente, tanto che la ragazza crollò a terra... poi, finalmente, una voce sfondò quel muro.
"PER FAVORE, LA SMETTA!"
Micaela, lanciato quell'urlo con una voce che non era la sua per quanto era stridula, e che non sapeva da dove le fosse venuta fuori, scattò in piedi, rischiando d'inciampare nel piede del suo banco.
"Micaela Ferrante, torna al tuo posto" disse la professoressa Distasio, ma Mica s'inginocchiò accanto all'amica e, cercando a tentoni, le prese il viso tra le mani. Aveva la faccia ricoperta di sudore freddo, tremava tutta e il suo respiro era ridotto ad una specie di rantolo.
"Lu! Ehi! Ti prego, di' qualcosa" sussurrò Micaela, afferrando le mani ghiacciate di Lucia nel tentativo di calmarla. "Va tutto bene... tutto bene, amica... ehi..."
In quel momento qualcuno bussò alla porta e il professor Michele fece il suo ingresso in aula.
"Che succede qui?" chiese, avvicinandosi a grandi falcate alle due ragazze, accovacciate vicino alla cattedra.
"Le solite sceneggiate dei ragazzini" rispose la Distasio con una certa indifferenza.
"Professore, la prego..." disse Micaela, cercando di mostrarsi calma.
"Vai, cara" le disse gentilmente il professor Michele.
Micaela esitò, ma il professore le posò una mano calda sulla spalla e le sussurrò: "Non succederà niente, te lo prometto."
Micaela si alzò da terra e si allontanò lentamente.
"Giuro che non volevo. Mi sono impegnata tanto. Non mi fate del male... non volevo."
"E smettila, Grimaldi!" sbottò la donna, ma il professor Michele non le diede retta.
"Nessuno ti farà del male, tesoro" le disse gentilmente. "Ascolta: vuoi che andiamo in infermeria? Hai bisogno di distenderti, e anche di un po' di zuccheri."
La ragazza tremava così tanto che il professore dovette prenderla in braccio per portarla via.
"Professore" sussurrò Micaela.
Il professore si girò verso di lei e la ragazza disse con voce tremante: "Grazie."
I due uscirono dalla classe e si diressero verso l'infermeria.
Arrivati a destinazione, la giovane dottoressa, Marcella, andò loro incontro.
"Professore, che è successo?" chiese premurosa.
"Ha avuto un attacco di panico" rispose calmo l'uomo.
Per la prima volta, Lucia si sentì sollevata, come se un medico avesse scoperto una malattia che l'affliggeva da tempo e che tutti gli altri scambiavano per finzione o esagerazione.
Il professor Michele adagiò la ragazza sul lettino, le sedette accanto e le prese la mano.
La dottoressa, intanto, le avvolse delicatamente la manica del maglione, facendo attenzione a non premere sui lividi che la ragazza aveva sulle braccia, e le mise un laccio emostatico intorno al braccio.
"No!" esclamò Lucia, spaventata. I lividi sul suo braccio erano sotto gli occhi di due persone che le avrebbero fatto domande e lei non voleva parlare di quello che accadeva tra le mura di casa sua. Si vergognava, si sentiva sporca e non voleva parlarne con nessuno, esclusa la sua migliore amica che sapeva tutto.  Ma, con sua grande sorpresa, la ragazza vide che il professore e la dottoressa si scambiavano dei segni, ma non le chiedevano niente.
"È solo per la flebo, cara." la rassicurò l'uomo, tracciandole dei cerchietti sul dorso della mano. "Serve per calmare i nervi... non ti succederà niente..."
Infatti, dopo che le fu somministrato il calmante, la ragazza finalmente si rilassò un po' e si distese comoda sul lettino.
"Se avete bisogno, io sono nella stanza qui accanto." disse tranquilla la dottoressa. Aveva sempre parecchio da fare, tra alunni in crisi, cali di zuccheri e cose del genere.
Lucia rimase da sola con il professor Michele.
"Mi scusi" disse in un soffio la ragazza.
"Per cosa?" chiese il professor Michele, in tono pacato.
"L'ho fatta andare via dalla sua classe... la professoressa Distasio si arrabbierà anche con lei... e poi se la prenderà con Micaela perché si è preoccupata per me, professore... mi dispiace tanto."
"Ma non è colpa tua se una persona alza la voce con un'altra. Non è colpa tua se le cose non vanno bene. Piuttosto... ora che ti sei calmata un pochino, mi vuoi raccontare cos'è successo?"
La ragazza prese un respiro profondo e vedendola agitarsi, il signor Michele le strinse la mano.
"Sai, una persona che conosci anche tu mi ha fatto capire che questo gesto è molto utile per rassicurare qualcuno."
Lucia sorrise debolmente. Si chiedeva chi fosse quella persona: la sua migliore amica o il custode? O magari la professoressa Angelica?
"È successo che sono stupida... che non dovevo esistere" sussurrò Lucia, riprendendo ad agitarsi e respingendo a fatica le lacrime per l'ennesima volta in quella mattinata.
"Shhh... non dire così, piccola... certo che meriti di esistere! Tutti meritano di esistere, di vivere, di essere felici... anche tu lo meriti" disse il custode, accarezzandole il viso per calmarla. "Ti prometto che non ti sgriderò, ma raccontami... perché ti sei sentita male? Cosa ti ha spaventata?"
"Io avevo studiato" sussurrò Lucia. "Glielo giuro!"
"Lo so" disse il professore. "Lo so che avevi studiato."
"È andata male, professore... sono andata all'interrogazione e non sono riuscita a dire nulla... ho sbagliato una parola e la prof mi ha fermata... sono andata nel panico e ho dimenticato tutto il resto... ma ho studiato, glielo giuro! Ho studiato anche di notte!"
"Non devi giustificarti, stai tranquilla. E poi, te l'ho già detto: lo so che t'impegni... è solo che bisogna prenderti per il verso giusto" le disse il professore.
"Per il verso giusto?" ripeté lei, sorpresa. Nessuno, a parte forse la sua amica, aveva mai ipotizzato una cosa del genere.
"Certo. Guarda che non è facile combattere con la timidezza, e la tua compagna di banco te lo può dire. È un blocco costante, sai? Per esempio lei fa molta fatica a dire quello che pensa, positivo o negativo che sia, perché prova una vergogna assurda, ma se la prendi per il verso giusto, ci guadagni una bellissima amicizia. Tu hai il terrore di sbagliare e se la persona che ti esamina ti parla con durezza ti chiudi a riccio, vai nel panico, senti i polmoni così gonfi che ti potrebbero scoppiare e dimentichi tutto, persino come si respira... non è vero?"
"Lei come fa a sapere che..." chiese, sconcertata, la ragazza.
"In teoria un insegnante certe cose le dovrebbe sapere. Non è un merito" rispose tranquillo l'uomo. Sembrava un po' l'insegnante d'arte di un film che la sua amica le aveva fatto vedere. Difficilmente alzava la voce e sapeva rapportarsi a tutti... quelli che sapevano farlo si potevano contare sulle dita di una sola mano.
"Non è solo per i professori... è anche per i miei compagni. Io ho paura di quello che potrebbero dirmi. È una cosa stupida, lo so, ma..."
"Non è vero, tesoro" le disse lui con fare paterno. "Non esiste nessuno che non abbia paura del giudizio altrui... ma piano piano s'impara a conviverci. Sai, c'è una frase che vorrei che ti ripetessi... non è un compito, ma può servirti. "Non sei in anticipo, né in ritardo. Sei semplicemente nel tuo orologio"!"
Lucia sorrise timidamente.
"Me ne ricorderò." promise, più a se stessa che all'uomo.
"Ascolta, facciamo una cosa. Per le interrogazioni, almeno le mie, se vuoi ci metteremo in un'altra classe, e avrai vicino soltanto Micaela... sai, serve un testimone, per queste cose... ma tu con lei sei tranquilla, vero?"
La ragazza fece un cenno d'assenso.
"Professore, mi scusi..." disse piano, cercando di vincere la vergogna, "potrei chiederle un grande favore?"
"Ma certo... di che si tratta?"
"Lei... lei mi potrebbe aiutare? Io... io le giuro che..."
"Certo che ti aiuterò, piccola" la rassicurò lui. "E te lo ripeto: non hai bisogno di giurarmi niente."
Qualcuno batté delicatamente alla porta. Il professor Michele si alzò e, aperta la porta, si trovò davanti suo fratello: il custode.
"Scusate, non volevo interrompervi... sono venuto  qui per darti il cambio, Michele... è quasi ora e non c'è nessuno che possa coprirti" disse Gabriele. "Se lo scricciolo permette" aggiunse, rivolto a Lucia.
"Sono felice di vederla." disse lei.
"Allora, ti lascio in ottime mani, Lucia... a dopo" le disse il professor Michele, sorridendo. "Io intanto vado a dire a Micaela che stai meglio, d'accordo? Si è presa un bello spavento, poverina. Però non devi pensare che sia colpa tua, va bene?"
"Grazie, professore!" esclamò Lucia, chiedendosi come diavolo avesse fatto, il professor Michele, a sapere cosa stava pensando.
Il professor Michele lasciò l'infermeria e Lucia rimase sola con il signor Gabriele.
"Che mi combini, piccolina?" le disse con tenerezza quest'ultimo. "Che è successo? Ti sei spaventata?"
"Sì..." sussurrò la ragazza, arrossendo violentemente.
"Ti svelo un segreto" le disse il custode, avvicinandosi a lei.
La ragazza gli si avvicinò e lui le disse: "Neanche a me è particolarmente simpatica, la tua insegnante... ma credimi: non è cattiva... è solo che è molto diffidente con gli studenti. Quelli che approfittano del buon cuore degli insegnanti più clementi esistono, lo sai anche tu... e quelli come te, purtroppo, ci vanno di mezzo."
"Mi vergogno... quando devo essere sotto esame ho una paura tremenda."
"Anch'io ne avevo, specialmente all'università... ma piano piano imparerai a gestirla... io ci sto andando molto piano... sto ancora imparando. Ma tu sei molto coraggiosa e scommetto che farai prima di me... allora? Va meglio?"
"Sì, però... se le confido una cosa, mi promette che non mi prenderà in giro("
"Amore mio, non mi permetterei mai di fare una cosa del genere. So che ti mette a disagio, l'idea di essere presa in giro."
"Vede... il fatto è che... a volte ho paura che anche la mia amica possa stancarsi della mia debolezza e andare via... e avrebe ragione a farlo..."
"Ma chi? Micaela?"
"Sì..."
"Allora puoi stare tranquilla. A parte il fatto che Micaela apprezza molto di più le persone sensibili... quelle come te, che sembrano deboli, ma hanno una forza sconosciuta anche a loro. E poi guarda che anche lei è fatta così... e ti sembrerà strano, ma è solo a se stessa che critica queste fragilità, se vuoi chiamarle così... ma soprattutto: anche se non le tiri fuori una parola di bocca neanche con le tenaglie, credimi se te lo dico: quella ragazza ti vuole un bene dell'anima... più di quanto non te ne voglia tu stesa, probabilmente."
Non ci voleva molto, perché qualcuno le volesse più bene di quanto se ne volesse lei, ma Lucia si pose, e GLI pose, un'altra domanda.
"E lei come fa a sapere tutte queste cose?"
"Prima di tutto è sempre felice di stare con te. Poi posso dirti che si è spaventata parecchio quando sei quasi svenuta... tu non ci fai caso, ma la prima persona di cui chiede sei proprio tu... e poi, quando vuole bene a qualcuno, non la infastidisce il contatto fisico. È così che ho capito che è anche mia amica, la piccola monella... lei è come te, si vergogna quando deve parlare, ma se tiene a qualcuno non devi toccarglielo."
E se Lucia avesse visto Micaela, avrebbe scoperto che quello tra gli adulti che la conosceva meglio era proprio il custode.
La ragazza, infatti, tornò al suo posto, ancora scossa per quello che era accaduto a Lucia. Non pensava ad altri che a lei, in quel momento... chissà se il professor Michele era riuscito a calmarla un pochino?
"No, aspetta, Micaela" disse la Distasio, facendola bloccare sul posto.
"Mi dica, professoressa" disse la ragazza, ricomponendosi appena in tempo per ricordare che si trovava ancora in classe... in quella classe nella quale si sentiva sempre un pesce fuor d'acqua.
"Puoi deliziarci tu, con la storia di Dorian Gray?"
La voce della prof era gelida e strascicata, mentre diceva quelle parole, un po' come quella di Draco Malfoy, secondo la descrizione di J'K. Rowling, almeno nei primi libri di Harry Potter.
"Allora, vieni o no, Micaela? Ti stiamo aspettando." proruppe la prof, risvegliandola da quella specie di trance.
Micaela tornò indietro, raggiunse l'angolo della cattedra e si girò per trovarsi di fronte alla classe. Dovette fare un respiro profondo per calmarsi: in quel momento le importava ben poco della classe, dell'insegnante e di quel maledetto Dorian Gray... ma sapeva di essere già in difetto per aver aiutato una compagna, sapeva che non era il caso di aggiungere altre cose da raccontare ai suoi genitori, al ritorno da scuola. La Distasio, per fare in modo che tutti vedessero bene il viso di Micaela, le si avvicinò e le spostò una ciocca di capelli dalla fronte. La ragazza strinse il pugno che aveva lasciato ricadere lungo il fianco destro, colta alla sprovvista... quando una persona non le trasmetteva fiducia, non le piaceva essere toccata. Era come se una sorta di gelo le passasse attraverso. Strinse i denti, cercando di mostrarsi calma e composta, ed iniziò a parlare a raffica, sperando che la tortura non durasse troppo a lungo. Sapeva perfettamente che a nessuno dei suoi compagni importava della sua interrogazione o del romanzo di Oscar Wilde, così come non importava a lei, ma sapeva anche che la classe la guardava intensamente, sperando che tenesse impegnata la prof per tutto il tempo.
Tirò fuori, in un inglese storpiato da un'ansia che valeva per due persone, tutto quello che sapeva sulla storia di Dorian Gray: quell'idiota che si era fatto plagiare da un altro imbecille: Lord Henry, che l'aveva trasformato in un involucro bellissimo, ma completamente vuoto.
Raccontò di Basil Hallward e Sybil Vane, le due persone che avevano amato di più Dorian Gray... anzi: forse le uniche persone che lo amavano davvero, e che per colpa sua ci avevano lasciato le penne. Parlò di come, alla fine, Gray si fosse fregato da solo, trafiggendo il suo stesso ritratto orribilmente sfigurato dagli errori commessi dal suo proprietario. Il quadro era tornato incantevole com'era stato dipinto, rendendo felice la buon'anima del povero Basil, mentre il volto del vero Gray, passato a miglior, vita, era stato orribilmente sfigurato. "La prova del fatto che l'arte è eterna!" Così diceva la Distasio... per Micaela, invece, la spiegazione era semplicemente il karma: il male che fai agli altri, prima o poi ti torna indietro e ti colpisce in faccia.
Naturalmente la ragazza preferì esimersi dal dire tutto quel che pensava veramente di Gray, e per far contenta la professoressa lo ricoprì dei fronzoli dei quali lei stessa lo aveva ricoperto. Dentro di sé, però, si sentiva terribilmente vicina a Basil Hallward e Sybil Vane, con la sola differenza che non si sarebbe denaturata o fatta del male perché quasi tutti i suoi compagni e quella strega che aveva per insegnante non la consideravano o la umiliavano di continuo.
"Bene, Micaela. Sei e mezzo. Tu non ti sprechi mai."
Ecco, come volevasi dimostrare.
Micaela si diresse verso il suo banco, sfinita, esasperata, preoccupata e maledettamente infuriata. In quel momento, se avesse potuto, avrebbe preso a schiaffi quella donna, e non solo lei, ma anche i suoi compagni menefreghisti... ma le era stato insegnato a non fare niente del genere e da brava figlia modello si sarebbe sentita in colpa, se la rabbia l'avesse spinta a quel punto.
Poi ricordò quello che lei e il signor Gabriele si erano detti durante il suo crollo emotivo post-invalsi. A lei non doveva importare granché, né della prof, né di quei ragazzi... dopotutto, per come si ponevano, erano poco più che estranei, per lei... non li odiava, perché sarebbe stato eccessivo, ma non erano persone alle quali voleva bene... che pensassero quel che volevano. A lei non interessava.
Proprio in quel momento, qualcuno bussò alla porta, riscuotendo la ragazza dai suoi pensieri.
"Avanti!" esclamò la professoressa.
La porta cigolò lentamente e fece il suo ingresso un ragazzo. Micaela ebbe un sussulto nell'udire la sua voce.
"Salve, professoressa" disse il nuovo arrivato. Era proprio lui: Luca Marzano, il ragazzo della classe accanto, il chitarrista-cantante schivo e sognatore che però sapeva anche tenere i piedi a terra, con un passato difficile alle spalle... il ragazzo che a Micaela faceva battere il cuore così velocemente da farlo sembrare un'auto in gara alla Formula Uno. "Mi scusi... la professoressa Angelica mi ha mandato a chiamare una ragazza di questa classe... Micaela... ehm..."
Micaela! Aveva detto proprio Micaela! Lei era l'unica della classe a chiamarsi così. E, maledizione, pronunciato da lui il suo nome suonava maledettamente bene!
"Ferrante. Micaela Ferrante" disse, con la voce che le tremava leggermente.
"Sì... sì, esatto."
"Sì... certo, puoi andare, Micaela, tanto nell'ora successiva ci sarà il professor Michele e a lui non importa che gli alunni stiano fuori tutto il tempo."
Quel ragazzo era veramente arrivato come una benedizione: ancora un minuto con quella donna e a Mica non sarebbe bastata la pazienza... e lei era nota soprattutto per essere una ragazza estremamente paziente... infatti vederla arrabbiata per qualcosa era una sorpresa, una sorta di prodigio, per chiunque la conoscesse abbastanza. La Distasio, però, era stata in grado di farle raggiungere il limite di sopportazione nel giro di pochi minuti ed era stato difficile per lei continuare a comportarsi con educazione. Persino i consigli dei suoi genitori e del custode avevano sortito a stento il loro effetto calmante, quella mattina.
Sentendosi decisamente sollevata all'idea di lasciare per un po' l'atmosfera soffocante di quella classe, la ragazza si mise a scavare nel suo zaino, alla ricerca del suo Toto, il quale, però, neanche avesse avuto una mente in grado di pensare da sola, sembrava non voler esere trovato.
"Cosa cerchi? Posso darti una mano?" chiese Luca.
Aveva una mano appoggiata su quella della ragazza. Lei sentiva le guance diventare sempre più calde e, di conseguenza, probabilmente rosse.
La mano del ragazzo era calda e morbida, anche se ferita da qualche segno dovuto alla pressione fatta sulle corde della chitarra. Le sue dita erano lunghe e affusolate, un po' come quelle di un pianista... chissà se sapeva suonare anche il pianoforte?
"Ehi! Ti serve una mano, Micaela?" le chiese di nuovo il ragazzo, e Micaela, imbarazzata al massimo, si rese conto del fatto che era ancora lì, con la mano libera dalla sua stretta ancora infilata nello zaino, alla ricerca del suo Toto.
"Cercavo To... oh, scusa... il bastone bianco... grazie... ma... ma non ti devi preoccupare, faccio da sola."
"No, aspetta, non c'è bisogno" rispose Luca. "Posso accompagnarti io. Se ti fa piacere, è chiaro."
Anche a lui tremava leggermente la voce e questo sollevò di molto Micaela dall'imbarazzo. Forse anche lui era timido quanto lei.
"Marzano, vedi di non stare fuori troppo a lungo! L'ora dopo nella tua classe ce l'ho io, e a me non piacciono gli alunni perditempo!" disse, in tono glaciale, la docente d'inglese.
"No, professoressa, non si preoccupi." la rassicurò il ragazzo, stringendo forte i denti. Evidentemente neanche a lui la Distasio andava particolarmente a genio... e, del resto, come biasimarlo?
Micaela chiuse lo zaino e Luca le si avvicinò e la prese per mano. Sì... le faceva piacere che lui lo facesse... e non accadeva spesso.

Volontariamente disadattatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora