-4: Ad Un'Amica Triste.-

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Lucia sentì sbattere la porta e, istintivamente, si rannicchiò in un angolo della sua camera. Ammassò i libri in una torre, nel tentativo di nascondervisi dietro per sfuggire alla probabile ira dei suoi, e si avvolse su se stessa, trattenendo persino il respiro per evitare di farsi sentire.
"Quando la smetterà, quella scema, di procurarci rotture come questa?" proruppe sua madre. "LUCIA! DOVE DIAVOLO TI SEI NASCOSTA, STUPIDA RITARDATA?"
La ragazza tremava, stringendosi contro la torre di libri di scuola.
"SE NON ESCI IMMEDIATAMENTE, TI GIURO CHE LE PRENDI, ASINA IDIOTA!" gridò suo padre.
Le avrebbe prese ugualmente. E quella frase, poi... faceva parte di un film che la sua amica le aveva fatto vedere: "Stelle sulla Terra". La sola differenza era che la madre del protagonista non gli avrebbe mai alzato le mani, mentre il padre l'aveva fatto credendo di fare il suo bene, nonostante fosse vero il contrario... i genitori di Lucia, invece, non solo erano entrambi maneschi, ma sembrava che ci provassero gusto a farle del male.
La ragazzina, sentendo i passi pesanti dei coniugi Grimaldi avvicinarsi alla sua camera, strisciò con cautela fuori da quel riparo improvvisato, andando a guardare in faccia il dolore.
Anzi: non solo il dolore, ma anche il pericolo.
"Ah, allora c'eri!"
Detto questo, sua madre le si piazzò di fronte, spingendola contro il muro. Le bastò una mano per bloccarle i polsi, mentre con l'altra le afferrava una consistente ciocca di capelli, tirandola con forza.
La ragazza non si arrischiò nemmeno ad urlare. Quel dolore era diventato quasi un'abitudine.
"Quanto hai preso all'ultima interrogazione?"
Lucia ebbe un sussulto quando le fu posta quella domanda. Chiuse gli occhi, in attesa di uno scatto di sua madre. I suoi polsi furono stretti con  una tale forza che la ragazza ebbe quasi la sensazione che le si stessero per spezzare le ossa.
"Quanto accidenti hai preso all'ultima interrogazione, stupida ragazzina incapace?" ripeté la donna, a denti stretti.
Lucia aveva la gola secca, il cuore che spingeva contro lo sterno, come per schizzare fuori, e ancora una volta non ricordava come si facesse a respirare.
"Te lo dico io, visto che probabilmente neanche sai contare" disse infine sua madre. "Un due!" E mollò la presa sui suoi polsi, per poi tirarle uno schiaffo in pieno viso che la mandò a cadere di lato, sul pavimento gelido. Lucia si coprì il viso con le braccia. Non era abituata ai colpi in piena faccia: i suoi non la schiaffeggiavano spesso lì, perché era un punto ben visibile... e quando lo facevano, di solito, lo schiaffo era il preludio di una punizione ben peggiore, di quelle che si davano nell'Ottocento.
"Quando la smetterai di darci questi problemi, ragazzina?" chiese suo padre, con una voce fredda e tagliente. Le tirò su la maglietta, e Lucia seppe che quella volta avrebbe avuto "la punizione di fratello John", come la chiamava lei, perché l'aveva vista eseguire nel film: "Angeli ribelli": una pellicola del cineforum scolastico decisamente estrema da vedere... e infatti, quando aveva visto quella scena, lei, che aveva il compito di fare a Micaela descrizioni dettagliate su quello che accadeva, si tappò la bocca con le mani.
"Lucia! Devi spiegare alla tua compagna cosa succede" disse la docente di sostegno, con la sua voce acuta e stridula.
"Lo so, cosa sta succedendo!" sibilò con rabia Micaela, e senza attendere una risposta della prof si alzò, afferrò il suo bastone e portò l'amica all'esterno.
"Micaela! Non puoi uscire da sola!" le gridava dietro la docente, ma Micaela stava scendendo rapidamente le scale, trascinando con sé l'amica, che la seguiva come in trance.
Raggiunsero il bar del cinema e Micaela chiese al barista di portare un po' d'acqua per l'amica. La spinse a sedersi sulle scale, delicatamente, e le s'inginocchiò vicino.
"È tutto finito" le disse. Anche lei era sensibile a quelle scene, ma il suo caso era diverso: lei era fortemente empatica.
Senza dire una parola, Lucia aveva sollevato la maglia di pochi centimetri e aveva portato una mano dell'amica dietro la sua schiena.
Micaela, sentendo delle sottili strisce, ormai quasi invisibili, probabilmente, sulla pelle dell'amica, era scoppiata a piangere. Avrebbe voluto evitarlo, essere abbastanza forte da consolarla, da dirle che non avrebbe permesso che i suoi le facessero del male un'altra volta, ma non ne era stata in grado.
"Quando?" aveva chiesto semplicemente.
"Quando... quando ero piccola... è successo solo due volte."
"E la seconda volta sarà l'ultima" le aveva sussurrato la ragazzina, con gli occhi pieni di lacrime. "Te lo giuro, Lu... non permetterò che lo rifacciano."
Lucia sapeva che Micaela faceva sul serio, ma sapeva anche che non era in suo potere impedire che i suoi genitori la punissero.
"NO!" Micaela si riscosse, rischiando di cadere dalla sedia.
"Ehi... calmati, tesoro mio, va tutto bene." le disse una voce familiare.
"Mamma..." sussurrò la ragazza, alzandosi a fatica. Possibile che si fosse addormentata su quella sedia d'ospedale? Ma, soprattutto... "Come hai fatto a saperlo? Come mai sei qui?" erano le domande che avrebbe voluto farle, e che le giunsero alle labbra.
"Mi ha avvertita il tuo insegnante d'italiano. È qui anche lui, cara" rispose la madre, spostandole una ciocca di capelli dalla fronte coperta di sudore freddo.
"E Gabriele? Voglio dire: il signor Gabriele?" chiese istintivamente la ragazza.
"Sono qui, piccola" la rassicurò l'uomo, prendendole delicatamente le mani. "Tieni... questo dovrebbe rimetterti in sesto." E le mise tra le mani un bicchiere di carta bollente, di quelli da caffè che ti danno all'ospedale.
"Grazie... oddio: sono crollata qui, in mezzo al corridoio... che figura!" esclamò la ragazza, anche se in quel momento non le importava niente di quel dettaglio. "Ma quanto...? E il professor Michele, da quanto tempo è qui?"
"È arrivato un quarto d'ora fa, più o meno" le spiegò il custode, "Giorgia l'ha avvertito e ora c'è lui, con la tua amica... è normale che tu sia crollata: è notte fonda e non hai fatto altro che tormentarti, da quando siamo arrivati qui. Bevi quel caffè, così riuscirai a tornare a casa."
La ragazza mandò giù quel liquido, ma non per "essere abbastanza forte da rientrare a casa".
"Non posso" disse, alzandosi dalla sedia e misurando a passi piccoli e rapidi la sala d'attesa, con il suo Toto stretto in man. Anche le dita le si erano addormentate, perché non l'aveva mollato un secondo. "Le avevo promesso che non sarebbe mai più successo, e invece è finita in ospedale! Non posso lasciarla da sola, adesso... non posso. È colpa mia..."
"Tesoro, quello che è successo alla tua amica non è colpa tua" le disse sua madre, fermandole il braccio per impedirle di continuare a camminare nervosamente.
Micaela era stordita: le faceva male la schiena per essere rimasta tanto tempo su quella sedia... e le doleva anche il collo, che aveva allungato per cercare di capire cosa dicevano i dottori... loro, ovviamente, erano restii a dare informazioni a persone che non appartenessero alla famiglia, ma Gabriele, con un tono che non sembrava suo per come Micaela lo conosceva, aveva esclamato: "Per i familiari, quella povera creatura è più un peso che altro. Quella ragazza che sta lì", (e probabilmente aveva indicato proprio la stessa Micaela), "ha molto più diritto di sapere qualcosa di tutti e due i genitori di Lucia messi insieme."
Naturalmente aveva cercato di sviare le domande in merito alle ferite di Lucia, se non altro per evitare che la ragazzina venisse messa sotto torchio appena si fosse ripresa, ma aveva lasciato intendere al dottore che i familiari della ragazza erano tutto, tranne che degni di esserle familiari.
Alla fine il medico di turno aveva ceduto, spiegando loro che in effetti le ferite erano infette, ma per fortuna avevano potuto agire in tempo, grazie al tempestivo intervento di chi l'aveva portata in ospedale, e la febbre stava lentamente calando.
Il professor Michele aveva ricevuto una chiamata dalla moglie poco dopo. Aveva vissuto momenti di panico e incertezza, ma sapendo che anche Micaela era in ospedale con Lucia, aveva ritenuto opportuno avvertire sua madre. Avevano deciso di recarsi insieme sul posto, ma a causa del traffico post-pioggia Sofia aveva avuto difficoltà a raggiungere il luogo dell'incontro. Il professor Michele non guidava più da vent'anni.
Avevano incontrato Gabriele al bar, e l'uomo aveva detto di voler prendere qualcosa per Mica, che non aveva voluto nemmeno un po' d'acqua, da quando erano arrivati, per quanto era nervosa.
Un'agitatissima Giorgia, invece, aveva chiesto a Michele di seguirla in fretta e furia, mentre Sofia e Gabriele facevano la fila per un caffè. Sofia aveva visto che anche il custode aveva una faccia stravolta, ma si mostrava sempre gentile e sorridente per rassicurar chi gli stava intorno. Sua figlia aveva ragione a chiamarlo "angelo custode" e "gigante buono".
Quando erano riusciti a prendere quello che volevano, erano tornati indietro e avevano trovato la ragazza con la testa chinata sul petto... ma la sua espressione non era affatto serena.
E in quel momento, tenendo la mano della ragazza che tremava tutta a causa di sentimenti che si scontravano fra loro, Sofia si sentiva orgogliosa e intimorita al tempo stesso. Orgogliosa, perché aveva una figlia buona e sensibile, forse anche troppo... spaventata, per lo stato in cui quella sensibilità l'aveva ridotta.
Gabriele, dall'altra parte, avrebbe voluto prendere a schiaffi il signor Grimaldi, perché aveva ridotto malissimo due ragazze che non gli avevano fatto niente di male.
"È colpa mia, mamma... perché non l'ho convinta a denunciare quei mostri!" sussurrò Micaela, trattenendo le lacrime. Sentiva di non avere il diritto di piangere.
"Amore, non è così" le disse la madre, ma sarebbe servito a poco: lo sapeva.
"Lucia sa che hai fatto di tutto per lei" le disse con dolcezza il custode, cingendole le spalle con un braccio. "Ma non ti devi stressare oltre il limite. Non puoi prenderti colpe di cose che non potresti controllare neanche se lo volessi... e poi, se vuoi stare accanto alla tua amica, devi rimetterti in sesto. Vai con la mamma e non preoccuparti... hai sentito il dottore: Lucia si riprenderà... abbiamo fatto in tempo a portarla qui, e se non fosse stato per te io non credo che avrei saputo convincerla."
Micaela non era del tutto d'accordo su quell'affermazione, perché Gabriele era stato in grado di convincere lei a seguire sua madre, lontano dall'ospedale... ma in quel momento non aveva la forza di dire nulla.
Fece un piccolo cenno con la testa, continuando a stringere tra le mani il suo Toto.
"Ah, signora Sofia... domani potrebbe non mandarla a scuola?" chiese il custode. "Non ci sarà neanche Lucia e non voglio che Micaela debba difendersi da cose che non esistono, dopo quello che è successo all'unica amica che ha in clase."
Micaela, confusa e svuotata, non riuscì a capire a cosa si stesse riferendo il custode, ma Sofia lo comprese al volo.
La Distasio, infatti, l'aveva chiamata quando, dopo aver accompagnato Micaela, Andrea e Luca al teatro, era rientrata a casa. Aveva detto che lei e suo marito sarebbero stati convocati a breve per parlare di qualcosa che riguardava Micaela.
La donna avrebbe tanto voluto capirci qualcosa in più, ma poiché Micaela si sarebbe attardata, non le andava di parlarne al telefono.
Poi aveva ricevuto quella telefonata secondo la quale la ragazza era in ospedale, insieme al custode, perché aveva incontrato un'amica che non stava bene, e quella chiacchierata con la professoressa era stata momentaneamente archiviata.
Quando arrivarono all'uscita, a Micaela parve che il vento freddo che le batteva sul viso le avesse restituito un po' di lucidità.
Raggiunsero la macchina e, prima di lasciarle andare, Gabriele salutò entrambe con gentilezza: strinse la mano a Sofia e scompigliò i riccioli ribelli di Micaela.
"Ti prometto che appena ci saranno cambiamenti sarai la prima a saperlo" le disse con affetto.
"Grazie di tutto" disse con dolcezza la ragazza.
Entrambe salutarono il custode e salirono a bordo dell'auto.
Rimasero in silenzio per un bel po'... poi, d'istinto, Micaela chiese: "Mamma... che intendeva dire?"
"Chi, il signor Gabriele?" chiese la donna.
"Sì... cosa intendeva dire con: "Non voglio che Micaela debba difendersi per cose che non esistono."?"
"Credo che si riferisse alla chiamata che ho ricevuto oggi dalla professoressa Distasio."
Micaela s'irrigidì.
"Calmati un attimo, Micaela." le disse sua madre. "Io non so cos'è successo e vorrei che me lo raccontassi tu."
Micaela prese un respiro profondo. Raccontò tutto: di Carlotta, dell'aggressione, di Toto... raccontò anche dello schiaffo involontario che le aveva tirato.
"Scommetto che Carlotta avrà raccontato che mi è venuto un raptus o qualcosa del genere" disse infine, con una calma forzata. "Ti diranno quello che ha detto lei, ne sono certa. Comunque... ormai è fatta... prima o poi me le dovrò subire lo stesso, le umiliazioni a scuola."
Sofia sospirò: sapeva di non poter partire subito con una difesa a spada tratta della figlia, perché sarebbe passata per una madre iperprotettiva, che vede la figlia come un angioletto, quando in realtà non lo è affatto... ma sapeva anche che Micaela non avrebbe mai fatto del male ad una compagna di proposito, per quanto potesse esserle antipatica.
"Lui è stato davvero gentile con me" disse Micaela dopo qualche istante di silenzio. "Gabriele, voglio dire."
"Lo so" rispose sua madre, sorridendo. "E credo che seguirò il suo consiglio... se vuoi stare accanto a Lucia, hai bisogno di rimetterti in forze anche tu."
Intanto, in ospedale, anche Lucia si era svegliata di soprassalto da un incubo. Era presa dal delirio: nella sua testa riecheggiavano i colpi che i genitori le avevano tirato, insieme ai loro insulti... il dolore alla schiena era lancinante e la ragazza era scossa dai brividi.
"Ehi, ehi, ehi, non c'è niente di cui aver paura, piccola" la rassicurò una voce calda e profonda.
"Papà..." sussurrò Lucia, puntando gli occhi nella direzione dalla quale proveniva quella voce gentile.
Il professor Michele, che era l'uomo che le aveva parlato, trasalì nel sentirsi chiamare in quel modo. Le si avvicinò e le sfiorò la fronte: la ragazza aveva ancora la febbre alta e la sua fronte era coperta di sudore. I medici le avevano tagliato la maglietta e il suo torace era ricoperto di bende. Il professore non osò immaginare cosa celassero, tutte quelle fasciature.
"Vorrei essere veramente il tuo papà... se lo fossi, non permetterei che tu finissi in ospedale per colpa mia."
"Papà... papà, non andare via... non lasciarmi sola..." continuava a ripetere la ragazza.
Il professor Michele le prese una mano e vi lasciò un bacio, come per farle una promessa.
"Non vado da nessuna parte, te lo prometto." le dise.
Giorgia, seduta dall'altra parte del letto, piangeva in silenzio. Lucia guardò dalla sua parte e chiese: "Sei triste per colpa mia, mamma? Lo so, non sono una figlia modello, ma ti giuro che ho fatto del mio meglio."
A quelle parole, Giorgia si asciugò immediatamente le lacrime, rivolgendo uno sguardo a suo marito, che continuava a tenere stretta la mano della ragazzina.
"Oh, no, tesoro" le disse, nel tentativo di rassicurarla. "Tu sei una figlia fantastica... e anche se a volte le cose vanno male, è importante che tu ci provi, che t'impegni... non preoccuparti di essere una figlia modello... nessuno è perfetto, credimi."
Lucia, sentendosi rassicurata dal delirio e da quei genitori immaginari che la coccolavano e la comprendevano, finalmente si lasciò cadere in un sonno profondo.
Michele e Giorgia si scambiarono sguardi confusi, pieni d'amarezza.
"Povera piccola" sospirò Giorgia. "Lei pagherebbe perché i suoi le volessero un po' di bene... e noi, poi... questo mondo va proprio al contrario."
Ma Michele era assorto da altri pensieri... più guardava quella ragazza, più nei suoi occhi spenti ne vedeva riflessi degli altri ch:, pur volendo, non sarebbe mai riuscito a dimenticare.
Rimase lì, con la mano stretta in quella di Lucia, che sembrava non volerlo mollare... e Giorgia, dall'altro lato, le accarezzava teneramente i capelli. Almeno per il tempo in cui la piccola sarebbe rimasta lì, volevano che si sentisse al sicuro... poi avrebbero trovato un modo per tirarla fuori da quella casa che per lei era una prigione vera e propria...
Il mattino seguente Lucia si svegliò di soprassalto, con il panico che la permeava completamente.
"Ehi, tranquilla" le disse il professor Michele.
"Oh mio Dio... professore... lei... qui?" chiese Lucia con un leggero tremito nella voce.
"Non potevo non venire a controllare come sta la mia alunna preferita" le rispose il professore. "Vediamo..." E le passò una mano sul viso. "Sembra che la febbre sia scesa del tutto. Sono proprio contento."
Lucia alzò lentamente la testa, si girò a destra e a sinistra e si guardò intorno. Era in una stanza bianca, su un lettino ricoperto di carta sterile e con addosso una coperta sottile, che riscaldava ben poco.
Dal lato opposto del letto, di fronte al professor Michele, c'era una donna senuta su una scomoda sedia di plastica, che la guardava con un'espressione di pura tenerezza... era così che lei s'immaginava una madre: con due occhi grandi e dolci, nei quali potersi immergere e, magari, persino nascondere.
"Dove sono?" chiese la ragazza.
"In ospedale" rispose il professor Michele.
"Perché?" chiese Lucia. Non era scattata a sedere solo perché i sedativi la rallentavano.
"Sei stata poco bene" rispose evasivo l'uomo.
Lucia alzò la coperta e si passò una mano sul torace: era tutto ricoperto di bende. A quel punto, il terrore la invase del tutto.
"Non sanno come ti sei fatta male, non devi preoccuparti." la tranquillizzò il professor Michele.
"E... i miei genitori... non sanno che sono qui?"
"Non credo che lo sappiano... Micaela e Gabriele ti hanno portata direttamente qui. A me l'ha detto mia moglie Giorgia, che è seduta lì." E il professore indicò la donna dall'espressione materna che Lucia guardava quasi con desiderio... un desiderio dolce, tipico di una figlia verso la sua mamma.
"Mica è qui?" chiese Lucia.
"No... è rimasta fino a tardi, poi la mamma l'ha portata a casa... era molto preoccupata ed è stato difficile convincerla, ma per fortuna anche mio fratello è parecchio testardo."
"Sta bene, vero?"
"Chi, Micaela? Sì, sta bene... e starà ancora meglio quando ti rimetterai in salute."
Il professor Michele evitò di raccontare in che stato era Micaela, secondo i racconti di suo fratello, da quando erano arrivati in ospedale. Lucia era già abbastanza in bilico, emotivamente, per andare nel panico anche per la sua migliore amica.
"Non è stata colpa sua" disse Lucia. "Anche volendo, lei non può starmi accanto ventiquattr'ore al giorno... non può proteggermi sempre e forse le sto chiedendo troppo. Glielo direbbe da parte mia, quando la vedrà? Per favore, professor Michele! È importante."
"Potrai dirglielo tu stessa, se ti va. Più tardi passerà a trovarti e vedrai che capirà."
"Lo so. Lei capisce sempre tutto, ma è molto severa con se stessa e molto buona con me."
E mentre diceva questo, in casa Ferrante si erano già svegliati tutti.
"Mamma... ospedale... Lucia!"
"Calmati, amore" le disse Sofia, sedendosi sul letto, accanto a lei. "È presto... l'ora delle visite è a mezzogiorno. Sono appena le otto e un quarto... mettiti giù, riposati ancora un po', da brava."
"Ti hanno detto qualcosa? Il... il telefono! Devo prenderlo... magari Gabriele..."
"Gabriele ha già parlato con me, Mica" disse con calma Sofia. "Lucia sta meglio e con lei ci sono il professor Michele e sua moglie. Sai... credo che non permetteranno che le succeda qualcosa... un'altra volta..."
"Ma... ma tu non vai al lavoro?" chiese Micaela.
"Vedi, mi hanno convocata per oggi."
"Da scuola, vero?" chiese Mica, agitata come non mai.
"Sì... da scuola... la professoressa Distasio voleva vedere anche te, ma le ho spiegato che non stavi bene..."
"E ti ha detto che bisogna affrontare le conseguenze dei propri errori, non è così?" chiese Mica, prendendo un lungo respiro e sfregandosi le mani sulle guance accaldate.
Sofia non rispose. L'insegnante le aveva detto proprio quelle parole, e Micaela prese quel silenzio per quello che in effetti era: una risposta affermativa.
"Non mi deve importare. Io non le voglio bene... non mi deve importare di quelo che dice quella donna." continuava a ripetersi Micaela.
"Chi te l'ha detta, questa frase?" le chiese sua madre.
"Gabriele." rispose semplicemente la ragazza, spostandosi una ciocca di capelli dalla fronte.
"È una specie di psicologo, Gabriele, a quanto pare." constatò la madre, sorridendo.
"Lui è tante cose."
"Davvero? E, raccontami un po': com'è che siete così amici?"
"Quando mi sono persa nel corridoio della scuola, ti ricordi? È stato lui a recuperarmi... e poi, vedi, in questi anni l'hanno messo a farmi da balia, ma... lui mi ha accompagnata senza starmi addosso, un po' come sai fare tu, mamma. E quando ero triste lui c'è sempre stato... e, sai? È un attore e mi ha consigliato di provare a..."
Micaela si tappò la bocca. Non aveva mai detto a sua madre che le sarebbe piaciuto fare l'attrice. Non pensava che la madre l'avrebbe ostacolata. Al contrario: dalla grande guerriera che era, Sofia l'avrebbe esortata a tentare di seguire il suo sogno, ma senza perdere il contatto con la realtà... l'avrebbe esortata a lanciarsi in quell'avventura.
Era lei stessa, Micaela, a non volerci provare... non si sentiva in grado, non pensava di farcela: era troppo timida, troppo insicura, troppo... Micaela.
Ma ormai era fatta.
"Mi ha consigliato di provare a fare teatro" disse d'un fiato. "Sai... mi piacerebbe tanto recitare... e anche cantare, magari..."
"Che bello, tesoro" le disse Sofia, sorridendo.
"Sì, però..." iniziò Micaela.
Doveva dirle che un'insegnante "supplementare" di educazione fisica, che più che sostenere lei avrebbe dovuto cercare un sostegno per se stessa, le aveva chiesto cosa le sarebbe piaciuto fare per poi ribattere, dopo la sua risposta: "Come cosa accessibile, voglio dire. Tu sei cieca, come potresti recitare?" Doveva rivelare a sua madre il fatto che la Distasio non mancasse mai di ricordarle che doveva impegnarsi in qualcosa "per quelli come lei", nel miglior stile di Thomas Gradgrind Senior in: "Tempi difficili" di Dickens? Doveva dirle che nell'ultima, dannatissima alternanza, la sua classe aveva rinunciato ad un'ipotetica esperienza laboratoriale in un teatro "perché Micaela, poverina, non avrebbe potuto fare niente"? Certo, come se ripetere a pappagallo l'alfabeto a dei bambini in un'altra lingua fosse un "fare qualcosa"! Sì, perché andavano a dare lezioni in altre lingue a dei bambini delle elementari... e l'unica cosa bella in assoluto di quell'esperienza erano stati esattamente quei bambini... ma l'esperienza le aveva fatto diminuire ancora di più la voglia di fare l'insegnante anche solo a livello ipotetico. Era piacevole stare con loro, e il problema di Mica non era la pazienza... era il ruolo. Avrebbe voluto fare qualsiasi altra cosa: mompreso far giocare quei bambini in qualche modo, ma indottrinarli era fuori discussione. Per fortuna l'esperienza era terminata, (l'avevano iniziata a settembre per finire ad inizio novembre). Le lezioni con la Signorina Spina nel Fianco, (Spina era il suo cognome, mentre Nel Fianco l'aveva aggiunto Micaela), sarebbero durate fino alla fine dell'anno scolastico.
Insomma: doveva dire che quella scuola era uno strazio? Doveva dire che alcuni di loro lavoravano in buona fede, ma altri erano totalmente incapaci e anche presuntuosi, e che soltanto due su duecento, come diceva Gabriele, sapevano cosa diavolo stavano facendo?
"Però...?" la incoraggiò Sofia.
"Facciamo una cosa: ne parliamo quando torni dall'assemblea... va bene? Vedi, non vorrei farti arrabbiare prima del tempo" disse Mica.
Sofia sospirò. Da quella frase aveva capito che c'entrava la scuola, nella sua esitazione ad iscriversi ad un corso di teatro.
Salutò la figlia e uscì di casa, lasciandola sola.
Micaela, ancora distesa sul letto, tese la mano per afferrare il telefono e la macchina da scrivere per controllare se qualcuno le avesse scritto qualcosa in merito alla salute della sua migliore amica... ma rimase sorpresa quando lesse un messaggio in particolare.
Aka7Even: "Ciao, Mica! Sono io: Luca... te lo dico perché, con tutto quello che è successo ieri, forse hai dimenticato di salvare il numero... non vorrei che mi prendessi per uno psicopatico o qualcosa del genere. Gabriele mi ha detto che oggi non verrai e volevo sapere come stavi... se ti serve qualcosa, se ti posso essere utile."
Micaela sentì il suo cuore fare una vera e propria impennata. Respirò a fondo, sentendosi commossa ed elettrizzata al tempo stesso. Si toccò le guance: erano letteralmente in fiamme. Il ragazzo che le piaceva, quello al quale aveva pensato senza osare rivelarlo a nessuno, eccetto la sua migliore amica, era forse uno dei pochi, se non proprio l'unico, tra i ragazzi dell'intera scuola, a preoccuparsi per lei. I suoi compagni di classe, che la conoscevano da più tempo, non si erano mai presi la briga di chiederle se stesse bene, quando si era ammalata... l'avevano tartassata per le interrogazioni, ma i contatti finivano lì. Quel ragazzo, che tecnicamente la conosceva da appena ventiquattr'ore, non solo le aveva chiesto se stesse bene, ma aveva voluto persino sapere se potesse fare qualcosa per lei.
Con le dita che le tremavano, Micaela scrisse una risposta: "Ciao, Luca. Carino, il nome del tuo contatto: sembra quello di un cantante! Comunque, non preoccuparti: sto bene... il fatto è che Lucia non sta bene e sono stata da lei in ospedale per una parte della notte... poi da quello che ho capito Carlotta ha raccontato delle cose su di me, e Gabriele ha consigliato a mia madre di non mandarmi a scuola, almeno per oggi... sai, non avrei avuto nemmeno la forza di rispondere a delle frecciatine, oggi. Sei stato gentilissimo a preoccuparti per me, davvero. Spero che non ti strapazzino troppo, oggi."
Quando il cellulare vibrò sul suo banco e Luca lesse quel messaggio, avvertì un vuoto allo stomaco. Lui aveva sentito il racconto di Carlotta, ma aveva completamente dimenticato di avvertire Micaela. Iniziò a maledirsi in tutte le lingue che conosceva. Chissà se la Distasio aveva già chiamato la signora Ferrante? E lei, come l'avrebbe presa? Per com'era Micaela, sempre disponibile ed educata, immaginò che anche i suoi genitori avessero dei valori molto solidi, che non contemplavano assolutamente la violenza... quindi, se avessero creduto a quelle assurdità, o, ancor meglio: a quelle carognate, ci sarebbero rimasti parecchio male tutti e due.
Per fortuna quel giorno non c'era chimica. Anche se Luca aveva studiato fino a tardi, per come stava in quel momento non avrebbe saputo rispondere neanche alla domanda più semplice del mondo, del tipo: "Come ti chiami?"
Purtroppo, però, chi venne a sostituire il professor Lucano fu la professoressa Distasio.
"Buongiorno" salutò la donna, evitando, stavolta, di parlare in inglese. I ragazzi risposero all'unisono. Kaleb, chino sul suo banco, mosse a malapena le labbra. Luca, solidale, gli batté una mano sulla spalla destra.
"Già che mi trovo, ragazzi... vorrei parlarvi di una cosa che si è verificata nella classe accanto" disse la Distasio.
Luca trattenne il respiro: aveva davvero intenzione di umiliare Micaela anche in sua assenza?
"Una vostra compagna ieri è stata letteralmente aggredita e minacciata da un'altra ragazza" iniziò la Distasio.
Luca congiunse le mani sotto il banco, pregando con tutte le sue forze che per una volta nella sua vita la Distasio avesse sbrogliato la matassa, credendo alla persona giusta.
Anche in quel caso, però, le preghiere risultarono praticamente inutili, se non addirittura controproducenti.
"Oggi la ragazza che ha effettuato l'aggressione non si è presentata a scuola" disse la Distasio, e Luca comprese che stava alludendo a Micaela, per cui, sentendo montare la rabbia, decise di provocarla.
"Ah, davvero? Carlotta è assente?" chiese tutto d'un fiato.
"Carlotta è la ragazza aggredita" disse la Distasio.
"E meno male che la cieca è Micaela, l'altra ragazza della classe qui accanto!" disse Luca. Kaleb gli assestò una gomitata nelle costole, nel tentativo di fermarlo, ma neanche il dolore sembrava sortire effetto: Luca era infuriato.
"Che storia è questa, Marzano?" chiese la Distasio.
"Glielo spiego subito!" rispose il ragazzo, scattando in piedi. "Ieri ho visto Carlotta che strattonava Micaela per le braccia, dopo aver fatto a pezzi il suo bastone bianco... quello per i CIECHI." E marcò sull'ultima parola, ricordando il fastidio che aveva provato nel sentir dire da Carlotta: "Quello che usano i non vedenti."
"Carlotta aveva dei segni in faccia. Micaela ha lanciato il suo bastone contro di lei: è così che si è rotto, e poi l'ha picchiata."
"Micaela non sa nemmeno come si fa a picchiare qualcuno" sbottò Luca, ripetendo le parole di Gabriele.
"Davvero? E allora cos'è successo a Carlotta?"
"Si è truccata la faccia, quella maledetta strega, per far credere di..."
"Smettila subito, Marzano!" esclamò la Distasio, stringendo i denti con tanta forza da farli letteralmente stridere tra loro.
"No che non la smetto! In questo squallido liceo non siete altro che una massa di deficienti, ottusi e..."
"Fuori" sussurrò la donna.
Luca rimase immobile: era sempre stato un ragazzo educato, anche se glaciale con le persone che non gli andavano a genio... non si era mai espresso in quel modo con una persona adulta: meno che mai con un'insegnante, ma quella donna era capace di farlo uscire dai gangheri.
Di solito resisteva alle sue provocazioni, anche se con molta fatica, ma stavolta la donna aveva toccato un nervo scoperto: Micaela Ferrante! Lui l'aveva vista trattenere le lacrime, aveva ascoltato un suo sfogo, aveva visto i segni rossi sulle sue braccia e le aveva involontariamente fatto male alla spalla... aveva visto Carlotta scriverle un messaggio in cui le dava della disabile, l'aveva vista mentre la strattonava.
"FUORI!" gridò la Distasio, nel miglior stile professoressa Umbridge di Harry Potter.
"Oh, non si preoccupi, professoressa" disse Luca, decisamente seccato. "Ma sappia che la ragazza che lei difende a spada tratta, ha dato a Micaela della "piccola disabile"!"
E detto questo lasciò precipitosamente la classe, sbattendo la porta così forte da far sussultare tutti al suo interno.
Cominciò a correre, fregandosene altamente del divieto di correre per i corridoi.
"Luca! Luca, per l'amor del cielo, fermati!" si sentì chiamare, ma non riconobbe la voce e la persona che l'aveva chiamato fu costretta a bloccarlo prendendolo per una spalla.
"Professoressa Angelica..." sussurrò il ragazzo.
"Cos'è successo? Non dovresti essere in classe?" chiese la donna, con calma.
"La Distasio mi ha buttato fuori."
Dopo averlo detto, Luca guardò il viso della docente: non le era spuntato nessun tipo di smorfia di disapprovazione.
"Per la storia di Carlotta e Micaela in classe?" chiese.
Il ragazzo si limitò ad annuire.
"Ha ascoltato l'altra campana?" gli chiese la donna.
"Macché! Micaela ieri è andata in ospedale... Lucia è malata e l'hanno portata lì, poverina. Rimultato? Quella stre..."
"No, Luca.. questo no" disse la professoressa Angelica. "Potrebbero sentirti: siamo in mezzo al corridoio."
"Non può immaginare quanto sono furioso con quella donna e con quell'altra..."
"Allora sei proprio testardo!" sbottò qualcun altro.
"Gabriele!" esclamò Luca, voltandosi di scatto.
"Sì! Gabriele! E tu ti sei messo in un bel guaio, figlio mio bello... anche se non ti nego che ti ho stimato, quando ho saputo in che modo ti eri guadagnato la punizione." L'ultima parte gliela disse a bassa voce, per evitare che qualcuno di passaggio lo sentisse. "Però, credimi: se Micaela venisse a sapere cos'è successo, temo che si sentirebbe parecchio in colpa."
"Ma non è stata colpa sua." protestò Luca, stringendo i pugni così forte da farsi sbiancare le nocche delle dita.
"Lo so che non è colpa sua... ma convincere lei è un altro paio di maniche" disse con tono rammaricato il custode. "Si preoccupa sempre per tutto, poverina..."
"Davvero hai difeso Micaela?" chiese un'altra persona.
Dovevano smetterla di apparire tutti a caso! Era già la terza volta in meno di cinque minuti... ma quando Luca si voltò per vedere chi avesse parlato, l'espressione tirata scomparve dal suo viso.
"Era giusto così" rispose calmo. "Io ho visto come stava. Carlotta ha fatto a pezzi il suo bastone, e oltre al fatto che le serviva, Micaela ci si era anche affezionata. L'ha riparato Gabriele."
"Lo so, Micaela me l'ha raccontato..."
"E Carlotta ha raccontato un mucchio di cretinate assurde... Micaela non l'ha picchiata: l'ha urtata con la mano sulla spalla, perché Carlotta le stava per spezzare le braccia a furia di strattonarla..."
"Mi ha detto che tu le hai praticamente salvato la vita..."
"In che senso?"
"È un modo per dire che l'hai sollevata dalla tristezza, ieri pomeriggio... e che le ha fatto piacere sapere che ti sei preoccupato per lei. Tu non ci guadagni niente a starle dietro, come dice lei... quelli della sua classe sì, invece... per questo ti credo, non solo perché conosco bene mia figlia..."
Luca sorrise. Era vero: non ci guadagnava niente a stare accanto a Micaela... anzi: si era già fatto delle nemiche. Aveva sentito Carlotta parlare con le sue amiche: diceva che dopotutto il ragazzo della classe adiacente non era poi così interessante. Insomma: si era messo a fare da guardia del corpo ad una ragazzina insulsa che non sapeva neanche come approcciare un ragazzo. Era vero: Micaela era inesperta... e del resto, lo era anche lui. Ma insulsa no.
Insulsa lo era quella nanetta bionda e frivola di Carlotta, che, come le protagoniste delle telenovelas, non aveva di meglio da fare che deridere una persona, darle addosso e diffamarla fino alla nausea. Era semplicemente disgustoso vedere cosa riusciva a combinare pur di farsi compatire... e Micaela, che la compassione non la voleva affatto, se ne trovava sommersa... non per se stessa, ma per i suoi occhi tarocchi.
"Beh... io devo andare... credo che i professori mi daranno per dispersa se non mi sbrigo" sospirò Sofia. "Ah, e... grazie... a tutti e tre."
Luca la guardò allontanarsi: la donna gli sorrideva, ma avrebbe giurato che fosse turbata... e non senza motivo.
Esattamente come sua figlia, però, cercava di non mostrarlo a nessuno.
"Sei davvero un bravo ragazzo..." disse il suo amico Gabriele, dandogli una vigorosa pacca sulla spalla. "Non sei fatto per questo posto... il diploma te lo potresti prendere, ed anche con ottimi voti, ma non in questa scuola."
"Come Micaela" disse Luca. "Anche lei potrebbe essere libera... ma non in questa prigione..."
Ed era vero. Sofia tornò esattamente cinque minuti dopo.
"Annullata" disse, decisamente esasperata, "mi hanno fatto perdere un giorno di lavoro, mia figlia è in ansia... e hanno annullato l'assemblea!" Stavolta non si preoccupò di nascondere l'ira.
"E perché?" chiese Luca, furioso almeno quanto lei.
"Indovina un po', tesoro..." sospirò amaramente Sofia. "Vogliono che ci sia anche Micaela."
"E Micaela sarà pronta" disse Gabriele, sorridendo. "La conosco... ed è molto coraggiosa. Molto più di quello che sembra."
Sofia sorrise. Lo sapeva bene anche lei, che sua figlia era forte, che aveva coraggio, più di quanto non desse a vedere, timida com'era.
Quando la donna tornò a casa, in largo anticipo rispetto all'ora stabilita, Micaela non rimase sorpresa.
"Mi vuole guardare in faccia" disse senza esitazione. "Lei può farlo, quella vecchia strega! Lei mi può incenerire con lo sguardo, se vuole... non la sopporto..."
Sofia sospirò, capendo che la ragazza era triste e preoccupata... ma Mica si riprese immediatamente.
"Sto bene, davvero" disse. "Andrà tutto bene... tutto si sistema, in qualche modo... no?"
Sofia sorrise. "Sei davvero più forte di quello che sembri" disse dandole un bacio sulla spalla destra.
Micaela, sentendosi rincuorata, rivolse un sorriso a sua madre. Glielo dicevano sempre, le persone a cui teneva, che era più coraggiosa di quanto non credesse lei stessa... ma lei non credeva che fosse così. Era semplicemente più pratica nel nascondere la paura, almeno per quello che riguardava la scuola, la Distasio e quelli come lei. Non era altrettanto brava a mostrarsi impassibile quando a fare le spese di un ego smisurato di qualche insegnante erano altre persone.
Ad esempio, non riusciva a guardare Amici senza provare rabbia verso alcuni dei professori, che spremevano lo studente fino a prosciugarlo di tutte le energie che aveva... a vuoto, tra l'altro.
Cercando di concentrarsi su altro, andò a cambiarsi e attese che si facesse l'ora di andare a far visita alla sua amica del cuore.
Quando giunse il momento di uscire di casa, Micaela si preparò a mostrarsi serena per l'ennesima volta. Non voleva che la sua amica sapesse che si sentiva in colpa per quello che le era successo.
Micaela e Sofia uscirono di casa, ognuna immersa nei suoi pensieri, e raggiunsero l'auto. La ragazza salì a bordo, tirò a sé il suo Toto e chiuse la portiera. Allacciò la cintura, con le dita che le tremavano, e mentre la madre accendeva il motore cercò d'immaginare in che stato avrebbe trovato la sua amica. Il giorno prima le era sembrata così spaventata e sofferente... e aveva le sue ragioni per stare così.
Per fortuna raggiunsero l'ospedale abbastanza in fretta e all'entrata incontrarono Giorgia, la donna che aveva fatto entrare Micaela, Gabriele e Lucia la sera precedente.
"Ciao" disse, prendendo la mano di Micaela. "Lei è sua madre, giusto?"
"Sì... salve" rispose Sofia.
"Mi creda: ha fatto un ottimo lavoro" disse Giorgia, sorridendo. "Lucia sta molto meglio: le farà piacere vedervi."
Giorgia non rivelò a Micaela e Sofia che la sera prima la piccola Lucia aveva chiamato lei e Michele: "Mamma" e "Papà". Non ne ebbe la forza, perché avrebbe tanto voluto essere veramente sua madre.
Quando entrarono, Sofia non volle descrivere a Micaela in che condizioni era Lucia, ma la ragazza comprese che doveva avere addosso diversi macchinari, dati i martellanti beep che le rimbombavano nel cervello.
"Ciao, Lu" disse a bassa voce, avvicinandosi al letto con il suo bastone tenuto davanti a sé, sempre stretto nel pugno.
Lucia istintivamente si tirò su a sedere e tese una mano verso Micaela. Fortunatamente, lei stava facendo la stessa cosa, e per questo fu in grado d'intercettare la mano dell'amica e stringerla nella sua.
"Ciao..." sussurrò in risposta Lucia. "Buongiorno, signora Sofia."
"Niente signora, tesoro... solo Sofia."
"Va bene... Sofia. Sofia... e basta."
"Come ti senti, Lu?" chiese Micaela, premurosa.
"Meglio" rispose la ragazza, a bassa voce. "Mi hanno detto che la febbre è scesa, ma vogliono tenermi ancora per un po' sotto controllo, ecco..."
"Sono contenta che tu ti senta meglio."
"Tu... non sei andata a... a scuola, vero?" le chiese l'amica.
"No... ma domani ci torno" rispose Micaela.
"È stata colpa mia, vero?" chiese Lucia.
"Non è una colpa, finire in ospedale."
"È per me, giusto?"
"Sì, ma non è una colpa... e non è solo per te. Mi è stato consigliato di non andare a scuola per oggi... per non dovermi sorbire prediche senza senso dai professori." E detto questo, prese ad imitarli uno a uno, per farla ridere.
"Che vuol dire?" le chiese Lucia, ricominciando ad agitarsi. "Perché dovrebbero farti delle prediche?"
"Oh, ma niente!" improvvisò lei. "Magari non andrò a qualche interrogazione, gli teranno qualcosa e i professori diranno che sono cattiva..."
"Ma non è vero! Possono chiedere a me, tu non sei cattiva, non è vero" prese a balbettare la povera Lucia.
Micaela si morse le labbra con forza.
"Lu... scusami, ti prego" disse con tenerezza. "Ascoltami: perché dovrebbe importarmi qualcosa di quello che dicono i professori o i nostri compagni di classe? Io non voglio bene a loro e loro non vogliono bene a me. Le persone a cui tengo mi vogliono bene, lo so, e questo per me è sufficiente. Credimi, sto bene."
Lucia, sentendo il tono rilassato di Micaela, che aveva preso ad accarezzarle il dorso della mano, finì per calmarsi.
"Sai cosa? Sono fortunata ad avere un'amica come te..."
Lucia guardò Micaela: non capiva perché la ragazza le avesse detto quella frase, quindi preferì evitare di darle una risposta.
"Sei una ragazza dolcissima, ti preoccupi per me e mi stai vicina... e, tra parentesi, i professori nel tuo caso non notano questo dettaglio e non ti favoriscono."
"E quindi?"
"E quindi, tu mi rimani vicino ugualmente... anche se posso solo immaginare quali voci girino su di me a scuola, adesso... e questo ti rende speciale... per me."
Lucia sorrise. Speciale? Lei?
Era la prima volta in assoluto che qualcuno le diceva che era una ragazza speciale... e le bastò quel poco, quella dimostrazione d'affetto così semplice, per ritrovare il coraggio di andare avanti.
"Lo sai, Mica? Anch'io sono fortunata ad avere un'amica come te..."
Micaela le strinse la mano, rimanendo in silenzio. Le bastava questo per decidere di tornare a scuola, il giorno dopo, a testa alta, e al diavolo tutto il resto! Al diavolo l'assemblea, al diavolo i professori che le avrebbero tirato addosso stupide frecciatine, facendola sentire in colpa per qualcosa che non aveva fatto.
Al diavolo i compagni, che sicuramente l'avrebbero vista solo come la "perfida", oltre che come la "cieca", anzi: come dicevano loro, la "non vedente". Al diavolo la scuola, al diavolo quella strega di Carlotta!
Micaela avrebbe voluto trattenersi, ma Sofia doveva andare a riprendere suo padre dal lavoro. Le due stavano per andarsene, quando il professor Michele intervenne: "Non si preoccupi, signora Ferrante. Alla fine del turno verrà qui anche mio fratello con altri tre ragazzi che vorrebbero vedere Lucia... Micaela può tornare a casa con loro più tardi."
"Ma... ma io... e se fosse un problema per lui... voglio dire..." prese a farneticare Micaela, che detestava fortemente chiedere aiuto. Era forse l'unica cosa che la infastidiva: dover chiedere aiuto a qualcuno per andare da un posto all'altro. Ora doveva bloccare sua madre, o, in alternativa, il signor Gabriele e altre tre persone... si morse la lingua, per evitare di dire ad alta voce quello che stava pensando.
"Lo sapremo subito" rispose il professor Michele, estraendo il telefono dalla tasca e cominciando a fare dei movimenti rapidi con le dita sullo schermo. Pochi secondi dopo, Micaela poté riconoscere ben quattro voci: Gabriele stesso, Luca, Kaleb e Andrea.
"Ciao Michele" salutò il fratello. "Va tutto bene? È successo qualcosa a Lucia?"
"No, Lucia sta benissimo... è la sua amica che è preoccupata" rispose il professor Michele. "Sua madre deve andare via, se lei volesse restare qui le servirebbe un passaggio e..."
"E si vergogna di chiederlo" lo interruppe il custode. "Uno strappo a casa è il minimo, per il mio piccolo ciclope."
Gli altri tre, a quanto pareva, concordavano con lui.
"Allora appena finito raggiungeteci. Anche Lucia ne sarà felice" disse il professor Michele, per poi chiudere la comunicazione.
"Fai fatica ad esprimerti, ma a quanto pare ti fai conoscere come un libro aperto." disse Sofia, sorridendo.
"Allora, signora Ferrante? Ce la lascia per un po', la signorina qui presente?" chiese il professor Michele, con fare cerimonioso.
"Va bene" rispose Sofia, "ma, tesoro, scrivimi appena sarai di ritorno, va bene? E per qualsiasi cosa chiamami."
"Va bene, mamma" le rispose la ragazza.
Sofia lasciò l'ospedale. Non le capitava spesso di non andare a riprendere Micaela, e, per la verità, sapere che sarebbe stata la seconda volta in due giorni, (perché se non avessero incontrato Lucia per strada, con la schiena ferita, Gabriele avrebbe riportato Mica a casa), le sembrava strano... ma in fondo la ragazza stava crescendo, era più che normale che si distaccasse da lei. Per certi versi le faceva piacere sapere che, nel suo essere così semplice, Micaela si facesse voler bene... i suoi amici erano pochi, ma decisamente buoni... e, cosa più importante, non la facevano sentire sola in un ambiente che le era ostile, come lo era il liceo nel quale studiava.
Quando il dottore che teneva sotto controllo Lucia andò a visitarla, Micaela fece per raggiungere la porta e uscire, ma il medico la bloccò.
"Tu sei la signorina che l'ha portata in ospedale, vero?" chiese con gentilezza.
"Io... non l'ho esattamente portata io, però... ero qui, ieri... sì." rispose Micaela, imbarazzata.
"Rimani qui, se vuoi... alla tua amica farà piacere."
Micaela si fermò, tenendo stretto il suo Toto. Era nervosa, forse più dell'amica stessa.
Sentì la ragazza girarsi a pancia in giù, (prima, nonostante il dolore, era sdraiata sulla schiena), e il dottore iniziò a toglierle bende e cerotti. Micaela rabbrividì al suono dei cerotti che venivano strappati. Lucia emise un debole gemito e Micaela si legò ad un braccio Toto e tese la mano verso l'amica.
"Stringi forte, se senti dolore" disse, cercando di non mostrare l'effetto che quel controllo le faceva.
Il dottore stappò un flaconcino e iniziò a sfregare le mani sulla schiena di Lucia. Micaela pensò ad una crema o qualcosa del genere. Le ferite erano state disinfettate e probabilmente la crema avrebbe dovuto darle un po' di ristoro... poi vennero applicati dei nuovi cerotti alle ferite e, dal rumore di stoffa strappata da qualcosa, Micaela immaginò che Lucia fosse stata di nuovo fasciata con delle bende.
"Brava, Lucia!" le disse il dottore. "Resta così per un po'... il tempo di far aderire bene i cerotti e le bende."
Poi si avvicinò a Micaela, che, pur mostrandosi tranquilla, era molto scossa.
"Lo so che ti ha fatto un certo effetto, quello che... insomma..."
"Quello che ho visto" sussurrò lei, per fargli capire che non c'era bisogno di evitare la parola "vedere".
"Sì, quello che hai visto... ma ti ho chiesto di restare qui perché sei l'unica che riesce a rassicurarla... quando l'abbiamo medicata mentre non c'eri, è stato difficile... aveva paura che fossimo... beh, ecco..."
Che fossero i suoi genitori... Micaela fece un cenno d'assenso con la testa: con l'amica a poca distanza non era conveniente trattare l'argomento delicato.
"Sei una brava ragazza" disse sorridendo. "Resta qui con lei, per favore... verrò a cambiarle le bende nel pomeriggio, d'accordo?"
"Va bene... grazie" rispose la ragazza.
Il professor Michele, finito il cambio delle bende, disse a Lucia, Giorgia e Micaela che sarebbe andato a prendere qualcosa, sia per sé che per loro, visto che sarebbero rimasti lì per tutto il giorno.
Erano passati appena cinque minuti quando qualcuno fece irruzione nella stanza.
"Tu, piccolo sgorbio!" esclamò una voce che le due ragazze conoscevano.
"Signora Grimaldi" sussurrò Micaela. "Lucia non sta bene... la prego..."
Ma d'improvviso la ragazza avvertì un dolore tremendo alla guancia sinistra.
"I tuoi genitori non ti hanno insegnato a stare al tuo posto, stupida handicappata?" le disse una voce maschile.
La ragazza, pur dolorante, non si mosse.
"E a te, Grimaldi, nessuno ha insegnato a tenere le mani e la lingua a posto?" chiese una terza voce. Gabriele era entrato proprio in quel momento e aveva afferrato l'uomo per un braccio, strattonandolo forte con lo scopo di fargli provare il dolore che sia Micaela che Lucia avevano provato.
"Gabriele..." sussurrò Micaela. "Va tutto bene, davvero..."
"Vattene, e portati dietro la tua signora, hai capito?" disse a denti stretti l'uomo.
Lucia, intanto, si era coperta fin sopra la testa con il lenzuolo, e non aveva mai pianto così forte come in quel momento. La sua amica era stata picchiata perché l'aveva difesa... e anche con gentilezza.
"Non so chi sei, ma non mi puoi dire come educare mia figlia!" esclamò l'uomo.
"Educare o massacrare?" chiese il custode. "In secondo luogo: se la pensi così, chi cavolo ti ha dato il permesso di mettere le mani addosso ad una che non solo non ha fatto niente di male, ma non è neanche figlia tua, eh? E vale anche per te!" Puntò il dito verso la donna, che cercava ancora di avvicinarsi alla figlia... ma se da un lato aveva Micaela, che si era arrampicata sul letto e aveva coperto l'amica con il suo corpo, dall'altro aveva Giorgia, che l'aveva bloccata.
"Tu non ti muovi di qui, strega!" esclamò con rabbia. "Anzi: sì... ma per levarti di torno!"
"Ti prego, mamma..." sussurrò Lucia... ma nel dire questo non guardava la sua madre biologica: guardava la donna che la stava trattenendo.
"Piccola ingrata!" urlò la donna, e Giorgia, presa da un attacco d'ira, le tirò uno schiaffo su un braccio.
"Tu non l'hai mai voluta! Dovresti essere contenta, che lei chiami "mamma" un'altra donna!"
"Non sono affari vostri... quella scema ci ha dato solo problemi... ora ce la troviamo qui, a piagnucolare per saltare qualche giorno di scuola, con la complicità di quell'altra..."
A quel punto Luca scattò in avanti, con l'intento di aggredirlo. Era già stato troppo per lui assistere al ceffone che aveva tirato a Micaela: ora gl'insulti che venivano rivolti ad entrambe le ragazze erano davvero troppo.
"Fermo!" esclamò Gabriele, spingendolo indietro mentre Kaleb lo tratteneva e cercava di frenare anche se stesso. "E voi, uscite immediatamente!" Teneno stretto Grimaldi per un braccio, lo trascinò di forza verso il letto. "Micaela, tesoro... alza il lenzuolo, per favore!"
Micaela dovette forzare la mano per togliere il lenzuolo a Lucia.
"Guarda! Non ti permettere di chiudere gli occhi o girarti dall'altra parte! Guarda che le avete fatto, tu e quell'altra!"
In quel momento, il Gabriele affettuoso e gentile era scomparso... non permetteva a nessuno di toccare i suoi cari, uomini o donne che fossero, e quella gente aveva decisamente esagerato. Non aspettò che uno dei due reagisse. Afferrò l'allarme, chiamò la sorveglianza e i genitori di Lucia furono allontanati dall'edificio.
Quandotutto fu finito, il custode coprì delicatamente Lucia con il lenzuolo, per non sottoporla alla vergogna di essere vista così ancora a lungo e prese tra le braccia Micaela.
"Mi dispiace, piccola" le disse, dandole un bacio sulla guancia .
"Non è niente..." disse piano Micaela, cercando di rassicurare i presenti... compreso Luca, che stringeva ancora i pugni, trattenuto da Kaleb per evitare che andasse a dare il fatto suo al signor Grimaldi.
"Non ci devi nemmeno pensare, d'accordo?" le disse Gabriele.
"Non è la prima volta che qualcuno mi chiama così... ti assicuro che sto bene... quello che mi dispiace è che la mia amica sia capitata in una famiglia... ma che dico? Quella non è una famiglia: è un nido di vipere!"
E la rabbia le bruciava più della guancia, sulla quale si era formato un brutto segno.
"Guarda che ti ha fatto, quell'animale!" esclamò il custode. "E come ha ridotto questa povera creatura!" Si avvicinò a Lucia e le sfiorò il viso.
"È colpa mia" sussurrò la povera Lucia, sconvolta. "Ti hanno fatto del male per colpa mia. Non dovresti essere mia amica..."
"Non dovresti essere figlia di quella gente!" la rimbeccò Micaela, ma il suo tono di rimprovero non era per lei... erano quei genitori, che lei redarguiva.
"Ha ragione" aggiunse Gabriele. "Tu non meriti dei genitori del genere. Anzi: loro non meritano te... non meritano una figlia così... speciale..."
Ma Lucia non stava bene... non riusciva a togliersi dalla testa l'immagine di suo padre che tirava uno schiaffo in pieno viso alla sua migliore amica.
"Lu... ehi..." Kaleb le si avvicinò, ma la ragazza lo respinse.
"Vattene!" esclamò, in un modo che non le era naturale.
"Lucia... che ti prende?" chiese il ragazzo, incerto.
"Devi andartene! Io non devo avere amici! Sono un pericolo per loro!" continuò la ragazza, cercando di spingerlo via.
"Ma..." continuò il ragazzo, cercando di calmarla, ma lei, pur essendo coperta di fasce e cerotti, scattò di lato, cadendo dal letto. Si rialzò subito e, non badando a com'era conciata, al fatto che fosse a letto da quasi un giorno e alle vertigini, corse fuori, varcando la porta.
Kaleb fece per rincorrerla, ma Micaela lo trattenne.
"Kal, no... lasciala andare" gli disse gentilmente.
"Cosa? Dovrei lasciarla andare? Così come si è ridotta? Ma che razza di amica sei?"
"Quella che si è beccata una tranvata in faccia per difenderla! Quella che le è stata accanto quando l'intera scuola non se la filava di striscio o la prendeva in giro!" sbottò Luca.
"Kal, adesso ascolta... non possiamo fare niente per lei. Dobbiamo lasciare che si sfoghi, capisci? Tutte le parole del mondo non le servirebbero, ora."
Kaleb rimase spiazzato. Micaela aveva gli occhi lucidi e le tremavano le mani... tanto che il fazzoletto umido stava per caderle di mano. Luca le si avvicinò prontamente e le premette l'oggetto sul viso.
Kaleb sembrò calmarsi. Non poteva essere così ingiusto... in fondo quella che più di tutti conosceva Lucia era Micaela.
Infatti la ragazza non era arrivata molto lontano. Le vertigini l'avevano colta nel corridoio, appena fuori dalla porta, e, per evitare di cadere di colpo sul pavimento, si era lasciata scivolare lentamente con le spalle contro il muro. Le gambe avevano fatto una fatica immane a reggere il suo esiguo peso.
Si prese la testa tra le mani: le tempie le pulsavano e il cuore le batteva più forte del dovuto. Le cattiverie dei suoi genitori le sfrecciavano davanti agli occhi, in un orribile flashback. Poi, però, le venne in mente una cosa: aveva chiamato "mamma" e "papà" due persone che la conoscevano pochissimo, anzi: quasi per niente... eppure loro non ne erano stati infastiditi. Aveva ricordi confusi del suo delirio, ma quel dettaglio lo ricordava benissimo.
I genitori di Micaela, poi, le volevano un bene dell'anima... un po' come se fosse stata figlia loro anche lei. Il signor Gabriele, uno dei pochi che la conoscevano di più, l'aveva difesa mettendo alla porta i suoi genitori biologici... Micaela le aveva fatto da scudo... e Luca e Kaleb, poi, avevano cercato di difendere entrambe.
Era assorta nei suoi pensieri quando udì una voce familiare e, stavolta, amichevole.
"Lucia... cara, come stai?"
Il signor Fausto, il suo vicino di casa, le si stava avvicinando, appoggiato al suo bastone da passeggio.
"Signor Fausto..."
"Tesoro mio, ma tu non stai bene... che fai nel corridoio?"
Lucia rimase in silenzio. Raccontargli quella storia era l'ultima cosa che voleva... ma l'uomo la stupì.
"Ho sentito dei colpi... mi dispiace di non essere intervenuto, Lucia. Ma non avrei potuto fare nulla... con i tuoi genitori lì... ho fatto una segnalazione alla polizia quando ti ho vista dalla finestra... è da vigliacchi agire nell'ombra, lo so... ma non vedevo altro modo."
Lui la guardò tristemente, poi, d'istinto, la tirò su e l'abbracciò. "Guarda che ti hanno fatto!" esclamò, sconvolto. Lucia avvertiva un dolore tremendo alla schiena, ma non disse nulla... il dolore di un abbraccio era la cosa migliore che si potesse sopportare.
Lui, poi, la stava praticamente tenendo in piedi, perché le gambe non rispondevano ai comandi.
"Ti prometto che presto sarà tutto finito" le disse con dolcezza, continuando a tenerla stretta a sé.
Nel frattempo il professor Michele era tornato nella stanza d'ospedale e gli era stato raccontato l'accaduto. Andrea, seduta accanto a Micaela, le cingeva le spalle con un braccio. La ragazza non aveva pianto, ma era più che evidente il peso che le premeva sul petto.
"Sei stata molto coraggiosa" le disse Andrea. "Lucia ti vuole bene... anzi: vuole bene a tutti noi... persino a me, anche se quasi non mi conosce... vedrete che cambierà idea... e magari riusciremo ad aiutarla."
E mentre la ragazza diceva quelle parole, la porta della camera ospedaliera cigolò e Lucia fece il suo ingresso, sorretta da un uomo che con la mano libera reggeva un bastone da passeggio. L'uomo non fece alcuno sforzo per trasportarla, nonostante avesse anche il suo, di sostegno.
"Lucia... tesoro, va tutto bene?" le chiese il professor Michele, aiutandola a raggiungere il letto. Micaela si alzò e Kaleb, senza sforzo, prese in braccio la ragazza e la distese sul letto. La ragazzina si limitò ad annuire. "Lei chi è, signore?" chiese il professore, rivolto all'uomo che aveva accompagnato Lucia.
"Io sono Fausto, il vicino di casa di Lucia" rispose quest'ultimo. "Sono venuto per sapere come stava... mi scusi: vorrei parlare un secondo con la ragazza... quella che prima era seduta sul letto."
"Chi, io?" chiese Andrea, confusa.
"No... la tua amica con il bastone" rispose l'uomo.
"Ah... sì, certo." rispose Micaela, dirigendosi verso la porta. Luca la raggiunse: la ragazza, pur mostrandosi serena, era ancora scossa e lui non voleva lasciarla da sola con quell'uomo, che forse doveva farle delle domande piuttosto delicate. Non era riuscito a difenderla, quindi voleva almeno starle accanto.
Micaela camminò accanto all'uomo, stringendosi forte a Toto, come per cercare protezione. Respirava lentamente, nel tentativo di calmarsi, e si chiedeva cosa volesse quell'uomo. Aveva paura delle domande che le sarebbero state poste, ma se quelle potevano portare al bene di Lucia, tanto di guadagnato.
Arrivarono in giardino e si misero a sedere su di una panchina, l'uno accanto all'altra. Luca, pur tenendosi a distanza per non disturbarli, sperò che Micaela si accorgesse di lui... sapeva che era terribilmente tesa.
"Ho sporto denuncia" le disse l'uomo. "Ieri sera ho sentito delle grida e dei colpi... e quando ho visto uscire Lucia, piegata in due dal dolore e tutta sporca di sangue, ho deciso che non potevo più aspettare... uno di questi giorni ce l'ammazzano, se non facciamo qualcosa."
Micaela si raggelò: per quanto crude, quelle parole erano vere. Lucia era in pericolo, in quella casa. Stavolta se l'era cavata, ma... la volta successiva?
"Tu conosci Lucia meglio di me... le cose andranno per le lunghe, in questa storia... se dovesse esserci un processo, tu saresti disposta a testimoniare?" Tese la mano, delicatamente, e le accarezzò la guancia gonfia e dolorante.
Micaela non rispose a parole. Si portò una mano al petto e fece un cenno affermativo con la testa. Aveva paura, naturalmente: quella storia era diventata più grande di lei... ma la consapevolezza di non essere più sola, in un certo senso, la tranquillizzava.
"Nel frattempo, cercate di organizzarvi perché, uscita dall'ospedale, Lucia abbia un posto dove stare. In quella casa non ci deve tornare più, capisci? E io, poi, non la posso tenere con me... i suoi genitori potrebbero venire a cercarla e portarla via..."
"A loro non importa nulla di lei... sono le voci che circolerebbero in paese, a spaventarli" disse con rabbia Micaela.
"Bene... allora mi raccomando, signorina: di' a quelle persone di fare qualcosa... vedi se la puoi ospitare anche tu... oh, scusami tanto."
Micaela ritenne decisamente superfluo spiegargli che poteva dire tranquillamente la parola "vedere". In quel momento c'era poco da fare i pignoli.
"Ora devo andare... anch'io ho un controllo." le disse il signor Fausto. "Ciao, signorina."
"Arrivederci, signor Fausto."
Si alzarono entrambi. Micaela, tutta tremante all'idea di un processo, della sua amica sballottata qua e là come un pacco, di quegli idioti dei suoi genitori che l'avrebbero cercata, si alzò dalla panchina. Guidata da un rumore d'acqua, raggiunse una piccola fontana, v'immerse una mano e si bagnò il viso con acqua fredda... poi, però, sentì due mani calde cingerle la vita e si voltò.
"Sono io" disse una voce roca e familiare.
"Luca..." sussurrò lei, gettandogli le braccia al collo.
"Restiamo un po' qui, Micaela... che ne dici?" propose il ragazzo, abbracciandola a sua volta.
"Ma... tutti gli altri?" chiese lei.
"Non devi preoccuparti. Giusto il tempo di sfogarti un pochino, poi rientreremo..."
"Sfogarmi?" ripeté Micaela, incerta. Aveva fatto tanto per non mostrare a Luca le sue lacrime, ma sembrava che a lui non desse fastidio, l'idea di vederla piangere, se la cosa la faceva sentire meglio... e anche se non voleva farlo, alla fine, Micaela si lasciò andare contro il petto del ragazzo. Lui non disse nulla: si limitò ad abbracciarla forte e a darle dei piccoli baci sulla testa. Era tutto: quella ragazza. Allegra, sensibile, forte, fragile, diffidente, tenera. A contatto con lei, Luca sentiva una sorta di elettricità invadergli il corpo.
Lei, dal canto suo, si sentiva cullata da quell'abbraccio. Le piaceva il calore di quel ragazzo, le piaceva ascoltare i suoi battiti, le piaceva il fatto che lui le passasse le dita tra i capelli, instancabilmente.
"Grazie" disse appena si fu calmata a sufficienza. "Ti voglio bene." Le venne fuori così, d'istinto. Era un: "Ti voglio bene" che in realtà stava ad indicare qualcosa di diverso dal bene che si vuole ad un amico... un bene che non aveva mai provato per nessuno.
Eppure gli aveva detto così: "Ti voglio bene!" Forse perché le piacevano i vecchi film della sua città, quelli in cui i ragazzi, per dirsi: "Ti amo", preferivano dire: "Ti voglio bene." Forse perché già quella era una frase che diceva a pochi, ritenendola troppo preziosa per gettarla via a caso.
In ogni caso, Luca parve comprendere. Sapeva, nel suo cuore, che quel: "Ti voglio bene" voleva dire altro.
"Anch'io" le disse.
Voleva avvicinarsi alle sue labbra... voleva sentirle scontrarsi tra loro, quelle labbra... voleva che fosse lei ad avere una piccola parte di lui che non aveva ancora concesso a nessun'altra.
Si spostarono entrambi leggermente all'indietro e lei, cercando di raggiungerlo, provò a sollevarsi sulle punte come se fosse stata una ballerina.
Il cuore di entrambi batteva fortissimo, i loro respiri si fondevano... e Luca volle chiudere gli occhi, per sentirla come doveva fare lei per motivi che non dipendevano dalla sua volontà.
L'attirò a sé, per sorreggerla, e lo spazio tra le loro labra iniziò a diminuire, molto lentamente, quando, all'improvviso...

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