Quando Serena aveva ricevuto la visita di Gabriele, aveva capito subito che qualcosa non andava. Si conoscevano da una vita e le era bastato vederlo per capire che l'amico era preoccupato.
"Dottoressa" aveva detto il portinaio, "il signor Gabriele Ferreri."
La donna l'aveva accolto con calore.
"Buonasera, Arcangelo custode!"
"A lei, raggio di sole!"
"Allora? Cosa ti porta qui, Gabriele?"
L'uomo si lasciò andare ad un lungo sospiro.
"Scusami... scusami tanto, però... ecco, vedi... si tratta di una ragazzina che mi sta molto a cuore."
"Perché non ti siedi un attimo, così mi spieghi di che si tratta?"
Gabriele si mise a sedere, appoggiando le mani sulla scrivania della dottoressa. Non sapeva da che parte iniziare a raccontare. Forse su una cosa suo fratello aveva ragione... forse l'anima dei bambini può rinascere nel corpo di qualcun altro. L'affetto che provava per Lucia era equiparabile a quello che aveva provato per Alex... com'era possibile?
"Vedi... il fatto è che i suoi genitori sono... sono un pericolo per lei..."
"Un pericolo?" chiese la donna.
"Sì. Un pericolo."
In qualche modo, Gabriele spiegò a Serena quello che riguardava Lucia.
"Tu avresti un modo per aiutarmi, non è vero?" le chiese.
La donna si prese la testa tra le mani per qualche istante per poi rispondere: "Certo che posso."
Aveva scritto tutto quello che l'amico le aveva rivelato a proposito della ragazzina e in quel momento le era venuta l'illuminazione.
"Forse ci hai già pensato tu stesso... ma te lo dico comunque. Da quello che ho capito, questo vicino di casa, il signor Fausto, ha sporto denuncia, ma l'hanno liquidato ritenendolo innaffidabile... perché i Grimaldi hanno manifestato preoccupazione a proposito di una sua presunta malattia."
"Hai fatto centro."
"Beh, io... potrei farmi passare per la badante!"
Gabriele s'illuminò: per la verità voleva chiedere aiuto al signor Fausto, ma non sapeva in che modo introdurre Serena nel condominio.
"Certo... credo che come copertura possa andar bene!"
Ovviamente tutto questo era accaduto prima che Gabriele si mettesse in contatto con il signor Fausto. Serena si era fatta dare il numero dell'uomo, che aveva deciso di farsi trovare di proposito su una panchina del parco, confuso e disorientato. L'uomo non aveva nessuno, a parte i suoi vicini di casa, i quali non tardarono a cercare una badante per lui.
Serena fece in modo di farsi trovare, di essere lei quella badante, per non destare sospetti. Fu costretta a cambiarsi il nome, perché non voleva che i vicini, soprattutto i Grimaldi, cercassero informazioni sul suo conto.
Quando si recò nel condominio, furono proprio loro ad accoglierla, e la donna notò subito che c'era qualcosa che strideva nel loro modo di fare.
"Salve... abita qui il signor Fausto Bellavista?" chiese la donna, simulando smarrimento.
"Sì, abita qui, al secondo piano... nella casa accanto alla nostra" rispose la signora Grimaldi.
Prese a squadrarla con sospetto, come per lasciarle intendere che sapeva chi era in realtà.
"Sono... ehm, Elvira Paradis: mi hanno chiamata come badante" spiegò Serena. "Se non le dispiace, potrebbe indicarmi la porta?"
Controvoglia la signora Grimaldi fece strada alla badante, mentre il signor Grimaldi, che era rimasto in disparte, la guardava sospettoso.
Quando furono arrivate, Serena salutò cortesemente la signora Grimaldi ed entrò in casa del signor Fausto.
Come concordato al telefono, poiché si erano sentiti poco prima che Serena arrivasse, lei si mostrò accomodante e comprensiva e cercò di spiegare con pazienza ad un uomo testardo che voleva solo aiutarlo, mentre lui si ostinava a dire di non aver bisogno di nessuno.
Nei tre giorni che seguirono, il signor Fausto e l'assistente sociale furono molto attenti a quello che accadeva in casa Grimaldi. Le pareti erano sottili e si sentiva tutto, quindi non parlarono mai di quello che stavano facendo. Lucia veniva bersagliata psicologicamente dai suoi genitori e, mentre il signor Fausto registrava, Serena prendeva appunti su un blocchetto e faceva rapporto al suo ufficio solo quando, con una scusa, riusciva ad uscire insieme al signor Fausto, accertandosi che i Grimaldi non fossero nei paraggi.
Al terzo giorno, però, fu molto difficile per entrambi trattenersi dall'irrompere in casa dei Grimaldi.
Lucia non era ancora in grado di camminare per lunghi tratti, ma i genitori continuavano a tartassarla.
La ragazza stava cercando di trascinarsi verso la camera dei suoi per prendere il suo cellulare. Voleva chiamare Micaela visto che la ragazza era stata costretta a rimanere a casa a causa della febbre, ma i suoi genitori le avevano sequestrato il telefono per evitare che la ragazza avesse contatti con la sua "amichetta invalida", come dicevano loro, né con nessun altro dei suoi amici.
Cercò di avvicinarsi al letto dei suoi e tese le braccia per arrampicarvisi. Era certa che il telefono si trovasse in una cassaforte appesa alla parete.
Quando riuscì ad appoggiare i gomiti sul letto e iniziò a trascinarvisi, però, un rumore di chiavi la fece bloccare. Il poco equilibrio che aveva acquisito si dissolse, e la ragazza ricadde pesantemente sul pavimento.
"Che diavolo stai facendo qui, tu?" le sbraitò contro suo padre, tirandola su di peso. La ragazza barcollò. Le gambe le tremavano e non sapeva per quanto ancora l'avrebbero retta. Rimase lì, in silenzio, a guardare suo padre negli occhi... ma non poté farlo a lungo, perché un pugno sulla testa la fece cadere a terra lateralmente. "Non ti azzardare a guardarmi mai più così, hai capito?" le disse in tono gelido. "Ora rispondimi! Che cosa stavi facendo?"
La ragazza cercò di rispondere, ma le venne fuori solo un biascicare senza capo né coda.
"Che stai dicendo?"
La signora Grimaldi, che era sopraggiunta, l'aveva letteralmente sollevata da terra e la stringeva forte, ma non in un abbraccio... quella era una morsa... letteralmente.
"Micaela. Volevo chiamare Micaela." disse coraggiosamente Lucia.
"Ripeti" disse sua madre, in un sussurro. Il suo respiro le scaldava l'orecchio sinistro.
"Volevo chiamare Micaela!" esclamò Lucia.
Sua madre mollò la presa, facendola cadere di nuovo, e suo padre l'afferrò per i capelli.
La ragazza gridava e si dimenava, ma inutilmente. I due l'avevano tirata su di peso e la stavano portando giù, nello scantinato. Le lacrime solcavano il viso della ragazza, che continuava a gridare con tutta la forza che aveva nei polmoni.
"Stai zitta!" le intimò suo padre, tappandole la bocca.
La ragazza, al contrario, gridò più forte... poi una mano si piantò sulla sua bocca. Era la mano di suo padre. La ragazza sentiva la nausea prendere il sopravvento, anche perché sua madre la teneva praticamente a testa in giù. Un dolore fortissimo alla spalla destra le annunciò che le era arrivato l'ennesimo ceffone, questa volta dietro il collo.
I signori Grimaldi lasciarono cadere a terra Lucia come un sacco di patate. La ragazza ne approfittò per lanciare un urlo. In quel momento era certa del fatto che i suoi genitori fossero un pericolo.
Suo padre le tappò prontamente la bocca mentre sua madre le conficcava le unghie nella pelle, con il puro intento di farle male.
"Non vogliamo sentirti." le soffiò sul viso il padre. "Non vogliamo sentire quella voce che ti ritrovi... e non vogliamo sentire i tuoi piagnistei."
Chiusero la porta e girarono la chiave.
Il signor Fausto, che non aveva visto come la strapazzavano perché la dottoressa, seppur sofferente a sua volta, l'aveva trattenuto, era fuori di sé dalla rabbia.
"Che razza di carogne!" esclamò, ma la donna finse che stesse vaneggiando. Non voleva che i Grimaldi li sentissero. L'uomo, però, vide l'ombra di una lacrima solcarle il profilo del volto. "Quanto ancora dovremo aspettare, dottoressa?" chiese, fermando la registrazione.
"Non lo so" rispose la donna, a bassa voce. "Intanto dobbiamo far avere queste registrazioni alla polizia... sperando che le prenda in considerazione."
"Ma intanto lei capisce che quella povera creatura è in pericolo, vero? Ha visto com'è denutrita. Se non la mandassero a scuola non avrebbe modo di mandare giù qualcosa... non ha più contatti con i suoi amici..."
"Chi è Micaela?" chiese la dottoressa, sempre parlando sottovoce.
"È la sua migliore amica" rispose il signor Fausto. "Pensi che quando Lucia è stata riportata qui, nonostante avesse la febbre alta Micaela è andata a scuola per starle vicino."
"Questa ragazza sa cosa succede alla sua amica?" domandò Serena.
"Sì, lo sa... e ha cercato di dirle che dovrebbe chiedere aiuto... ma giustamente quella ragazzina ha paura."
I due attesero per un po', in silenzio.
"Grazie al cielo... stanno uscendo!" le sussurrò il signor Fausto.
Attesero che i Grimaldi si allontanassero, poi il signor Fausto prese le chiavi dello scantinato e scese insieme alla dottoressa.
"Lucia" disse piano l'uomo.
La ragazza si rannicchiò in un angolo.
"Lucia, tesoro, è tutto a posto" disse Serena, chinandosi su di lei.
La ragazza non aveva neanche più la forza di piangere.
Il signor Fausto si lasciò scivolare giù, lentamente, con le spalle contro il muro, e Serena fece lo stesso.
"Signorina..." disse piano la ragazza. Aveva gli occhi appannati, non riusciva a metterli bene a fuoco, ma li riconobbe comunque.
"Stai tranquilla... ti assicuro che va tutto bene" disse la donna. Lucia la riconobbe: l'aveva vista uscire con il signor Fausto... e per la prima volta prese coraggio per raccontare ad una sconosciuta quello che le accadeva tra le mure domestiche.
"Il signor Fausto non è diventato matto... non ha bisogno di andare in nessuna casa di riposo, davvero! Ha detto... ha detto la verità... quando ha sporto denuncia ha detto la verità!"
"Lo so" disse piano la donna. "Io non sono davvero una badante." Si avvicinò all'orecchio di Lucia e sussurrò: "Mi chiamo Serena. Sono un'assistente sociale, piccola... voglio aiutarti..."
Lucia guardò la donna con apprensione. In qualche modo sentiva di potersi fidare di lei, ma non sapeva quanto sarebbe riuscita a raccontarle.
"Non ti agitare. A quello ci arriveremo con il tempo." la rassicurò la donna. "Ora dimmi: ti serve qualcosa? Vuoi che vada su a prepararti qualcosa, o una coperta... o anche una torcia?"
"Micaela" disse piano Lucia. "E Kaleb... e il professor Michele."
"Hai molti amici, tesoro" disse Serena. "Molti più di quanto credano i tuoi genitori... mi sembra sufficiente, come valore, per dire che non ti devi vergognare di niente."
Micaela fece un piccolo cenno d'assenso.
"Per Kaleb, non ci sarà bisogno di chiamarlo." disse il signor Fausto. "Si è fatto fare una copia della chiave di questo posto, sai? È per questo che di notte viene sempre qui e resta con te."
"Ma... può essere pericoloso!" biascicò Lucia, che aveva cercato per tre giorni di convincere Kaleb a tornare a casa, lottando contro se stessa poiché la sua presenza la tranquillizzava, ma senza risultato.
"Lo so... guarda che anch'io gliel'ho detto più volte" le disse il signor Fausto, "ma quel ragazzo è testardo."
"Sì, sono testardo" disse il ragazzo, facendo il suo ingresso. "Ma io da sola non la lascio. Non merita di essere tenuta qui sotto così, come un animale."
La ragazza cercò di tirarsi su, ma ricadde miseramente.
"Ehi, tranquilla... se vorrai provare a camminare, ci proveremo più tardi" la rassicurò Kaleb. "Ora pensiamo ad altro... vuoi parlare con Micaela e con il professore, giusto?"
"Sì..." biascicò la ragazza.
"Mi dispiace solo di non avere anche il contatto della professoressa Angelica... sai, anche lei è molto preoccupata per te."
Lucia accennò un sorriso, mentre Kaleb cercava il numero di Micaela.
"Ehi, ciao Kaleb."
Lucia si sentì stringere lo stomaco quando la voce dell'amica le giunse all'udito attraverso il dispositivo.
"Mica" disse piano, preoccupata. "Hai ancora la febbre?"
"No... la febbre oggi non l'ho avuta" biascicò Micaela, "domani torno a scuola... solo che sono senza voce... e tu come stai?"
Lucia rimase in silenzio.
"Lucia sta bene" intervenne il signor Fausto. "Ora abbiamo in mano degli elementi per mettere al loro posto quelle due carogne!"
"Non... ahi... non sa che sollievo, signor Fausto" disse la ragazza. "Ci... vediamo... domani."
"Oh, guarda un po' i casi della vita... quando hai detto "Vediamo" ti stavi strozzando!" disse il signor Fausto, ridendo.
Anche Micaela rideva, nonostante lo sforzo le facesse male alla gola. In quei tre giorni aveva parlato spesso con il signor Fausto, anche se tramite messaggio, e gli aveva fatto capire come la pensava sul "dettaglio' Nel frattempo, la teneva costantemente informata su Lucia.
Micaela sapeva bene che i genitori di Lucia le avevano tolto il cellulare e per questo non potevano avere contatti.
"Signor Fausto, io direi di lasciare i ragazzi da soli." disse sorridendo Serena.
Anche il signor Fausto rivolse un sorriso a lei, e con l'intenzione di filare a raccontare tutto alla polizia lasciò lo scantinato. Kaleb aveva una copia delle chiavi, che il signor Fausto si era preoccupato di fornirgli, e chiuse la porta da dentro.
"Come stai?" chiese Kaleb, quando fu certo che i due si fossero allontanati.
"Vorrei... vorrei riuscire almeno ad alzarmi da terra." disse piano Lucia.
"Beh... questo si può risolvere." le fece notare Kaleb.
"Davvero? E come?"
"Appoggiati a me" rispose sorridendo Kaleb.
"Ma... sei sicuro?"
"Sicurissimo!" le rispose il ragazzo.
Lucia strisciò verso una delle pareti e si tirò su, avendo cura di continuare a tenere le spalle premute contro di essa.
"Brava" disse Kal, posizionandosi di fronte a lei. "Metti le mani sulle mie spalle, da brava."
"Sì... e poi?"
"Poi dovrai spostarti da lì, non credi?"
"Ma... io ho paura. E se cadessi?"
"Lu... tesoro, è tutto nella tua testa."
"Va bene..."
Lucia si appoggiò a Kaleb. Tremava, aveva il terrore che le gambe le cedessero e di trascinarlo con sé.
"Brava... un piede davanti all'altro, come quando eri piccola" disse piano Kaleb.
Lucia non ricordava molto di quando aveva imparato a camminare, ma una cosa la sapeva con sicurezza: era sola.
Tutte le sue membra furono scosse da brividi. La ragazza si sbilanciò all'indietro, mentre la sua vista si appannava progressivamente. Il respiro le si strozzò in gola e il cuore prese a martellare.
"Shh, tranquilla... è tutto nella tua testa... tutto nella tua testa" continuò a ripeterle Kaleb.
La sua voce era lontana, ma era pur sempre un collegamento con la realtà. In qualche modo, non sapeva quale, la ragazza era ancora in piedi.
"Ehi! Resta con me... resta con me."
Quella voce gentile la riportò del tutto alla realtà... e d'improvviso si rese conto di una cosa.
"Non ti sto tenendo!" esclamò, muovendo qualche passo esitante.
Era vero. Kaleb non sentiva più le mani di Lucia sulle spalle, ma lei, pur non essendo appoggiata a nulla, non era crollata sul pavimento.
"V-vieni a-avanti."
La sua voce uscì più tremula di quanto lui volesse, ma la ragazza fu ben felice di sentirla.
Mosse qualche passo esitante in avanti, senza aiuto... non ci poteva credere... era lì, in piedi, senza che nessuno dovesse sorreggerla!
"Non voglio più fermarmi!" esclamò la ragazza, scoppiando a ridere e piangere contemporaneamente. "Ho paura che, se mi fermassi, non riuscirei più a reggermi in piedi."
"Certo che ci riuscirai." le disse Kaleb, elettrizzato. "Per il momento, però, ti porteremo ugualmente la sedia. Non ti devi sforzare troppo... ci vuole tempo perché torni a camminare normalmente... ti devi sbloccare psicologicamente, ma dopo quello che hai fatto oggi ci riuscirai di certo."
E la fermò, abbracciandola forte. Lucia all'inizio s'irrigidì: aveva sempre paura che il suo contatto risultasse fastidioso... ma questa volta Kaleb non le diede il tempo di pensarci e premette le labbra su quelle di lei.
Rimasero lì, respiro contro respiro. Lucia chiuse gli occhi: voleva godersi quel momento... era un bacio! Un bacio vero! E la persona che gliel'aveva dato era proprio... lui!
Kaleb, dal canto suo, non aveva potuto più resistere. Non si era aspettato niente del genere. Non avrebbe voluto darle quel bacio in modo così... impulsivo. Lei era delicata, non meritava che lui le estorcesse così una cosa importante come un bacio... ma, quasi l'avesse capito, si staccò lentamente dalle sue labbra per respirare e disse: "Va tutto bene. Lo desideravo anch'io, Kaleb."
I due furono riportati nel mondo reale quando il cellulare di Kaleb vibrò nella sua tasca.
"Controlla" disse a mezza voce Lucia, "magari è importante."
Non avrebbe voluto farlo, ma sapeva che dovevano fare molta attenzione.
Kaleb estrasse il telefono: era una notifica di Facebook del gruppo della scuola.
"Claudia... la ragazza che Micaela ha difeso... ha postato una foto" disse Kaleb, ma la voce gli si spezzò in gola quando vide di cosa si trattava.
"Kaleb... sei diventato pallido... di che si tratta?"
"Hanno fatto un montaggio... con me e Micaela che... che ci baciamo..."
Lucia si sporse in avanti per guardare.
"Ma com'è possibile?" chiese lei. "Come si può essere così..."
"Credimi, io non c'entro niente!"
"Kaleb..."
"Ero qui con te anche ieri, come avrei potuto..."
"Kaleb!"
"Ti giuro che..."
"Ti credo" disse la ragazza, con calma.
Kaleb rimase sorpreso.
"Davvero mi credi?"
"Ma certo che ti credo, Kaleb" rispose Lucia. "Tu sei sempre stato qui con me... e quanto a Micaela, è malata... non avrebbe potuto... e poi è innamorata persa di..." Ma questa volta fu il turno di Lucia d'impallidire. "Oh santo cielo, no!"
Kaleb la guardò, interdetto.
"Luca l'ha già vista, questa cosa?"
Kaleb controllò le visualizzazioni del post, ma non rispose. Lucia si allungò verso di lui per guardare e sgranò gli occhi.
"Ecco! Proprio quello che pensavo."
Luca aveva visto eccome il post, ma, al contrario di Lucia, aveva reagito molto male. Continuava a fissare quella foto, increnulo... era assurdo! Due tra le persone alle quali teneva di più l'avevano tradito! Erano lì, con le labbra premute le une contro le altre, come se il mondo intorno a loro non esistesse... come se lui, Luca, non esistesse. Kaleb gli aveva sempre fatto capire cheera innamorato di Lucia e che era preoccupato per lei, per quello che i suoi genitori avrebbero potuto farle... e Micaela, poi! Lei, che sembrava così timida e riservata, che al minimo complimento arrossiva... la ragazza alla quale avrebbe voluto dare il suo primo bacio, non si era fatta tanti scrupoli a gettarsi tra le braccia del suo migliore amico... o meglio: del suo ex migliore amico!
Indossò rapidamente un cappotto, ma dimenticò di prendere l'ombrello.
"Ma dove diavolo vai?" chiese suo fratello Mario, raggiungendolo.
Il ragazzo, però, parve non sentirlo. Aveva le orecchie tappate e la vista offuscata dalla rabbia. Voleva solo andare da lei e dirgliene quattro, sbatterle in faccia quello che pensava di lei... e magari anche andare a spaccare la faccia a Kaleb, se ne avesse avuto l'opportunità. Correva così veloce che fu un miracolo che un'auto non l'avesse investito.
Raggiunse il condominio, trovando il portone aperto, e salì di gran carriera le scale.
Andrea era insieme a Micaela quando una scampanellata insistente le riscosse.
"Tranquilla, vado a vedere io" disse Andrea.
Si alzò dal divano-letto sul quale erano sedute e raggiunse la porta.
"Ehm... Mica, c'è Luca... e ha una faccia che non mi piace" disse Andrea.
"Che vuol dire? Credi sia successo qualcosa?"
"No... sembra... sembra infuriato..."
Micaela si alzò e andò ad aprire. Aveva un orribile presentimento, che venne confermato quando se lo trovò davanti.
"Ah... ti nascondi come le talpe, Micaela?" chiese Luca. C'era qualcosa che non andava, nella sua voce. Non sembrava che stesse scherzando come era solito fare per stuzzicarla.
"Ma che stai dicendo?" chiese la ragazza, spostandosi di lato per lasciarlo entrare. Il cuore le batteva fortissimo e le tremavano le gambe.
"Lo sai che cosa ho visto oggi?" chiese Luca.
"Non ho la sfera di cristallo! Mi spieghi che ti prende?" chiese la ragazza, iniziando a sentirsi ribollire di rabbia.
"Ho visto te e Kaleb che vi baciavate... in una foto su Facebook." le spiegò Luca, stringendo i denti.
"Io e Kaleb? Ma se non lo vedo da tre giorni!" saltò su Micaela. "Luca, non ho idea di cosa tu stia parlando!"
"Ah, non ne hai idea? Beh, sai che c'è? Io non ti credo! Non ti credo, perché vi ho visti!" esclamò lui.
"Ha parlato San Tommaso al contrario: se non vedo non credo!" sbottò Mica. Le costò molto rispondergli così, ma non poteva farsi vedere debole... non dopo quello che lui le aveva sbattuto in faccia.
"Smettila con questo sarcasmo! Io non ti credo... e non credo a quell'idiota del tuo amico!"
Micaela sentì una morsa stringerle lo stomaco, così forte che le veniva la nausea. Il suo cuore, in quel momento, andò in mille pezzi.
"D'accordo... a me puoi non credere, mi conosci da poco, ci sta. Ma come puoi non credere a Kaleb se è il tuo migliore amico?"
"Era. Era il mio migliore amico, poi una serpe dal viso d'angelo gli ha mangiato la bocca senza complimenti!"
"Ma sei scemo o cosa?" intervenne Andrea. "Davvero credi più ad una foto sui social che ad una ragazza che stava per sentirsi male per i tuoi colpi di testa?"
"Tu non t'intromettere!"
Quello fu veramente troppo per Micaela.
"Sparisci!" disse, trovando il suo petto e spingendolo fuori.
Luca rimase lì, imbambolato e pallido.
"Che... che cosa...?"
"Fuori di qui o ti caccio a calci!" intimò lei. "Cosa credi, eh? Di poter venire qui a casa mia ad insultare me e la mia amica, che è anche amica tua, con cose che non stanno né in cielo né in terra, e di ricevere anche un applauso per questo? Mi dispiace, bello mio, ma non è così. Vattene... e se non mi credi, se non rispetti neanche le persone che ti vogliono bene, non ti disturbare a tornare, hai capito?"
Luca rimase lì, imbambolato. Era come se non sentisse. Micaela sentì le lacrime bruciarle le guance e lui se ne accorse, ma la ragazza se ne stava lì, a testa alta... e anche se i suoi occhi non avevano uno sguardo furono in grado di fulminarlo.
"V-vattene o ti sbatto la porta in faccia... vattene!"
La voce le venne fuori più stridula di quanto non credesse. Le faceva ancora male la gola, ma quella voce strana non dipendeva da quello, o almeno non solo... stava per piangere, ma davanti a lui no... non dopo quello che aveva detto.
"Non l'hai sentita? Vattene!" intervenne Andrea.
"Ehm... scusami, Andrea... io non ce l'avevo con..."
Ma la ragazza si mise in mezzo e lo spinse indietro per poi chiudere la porta.
"Mica! Ehi! Mica, ti prego, di' qualcosa!" le disse, andandole incontro.
"Non ho fatto quelle cose... non l'ho fatto, te lo giuro!" singhiozzò disperata, con quella voce più afona che mai. "Almeno tu devi credermi, ti prego!"
"Ma certo che ti credo, Mica" le disse pacata Andrea, stringendola a sé. "Non posso vederti così... guarda come ti ha ridotta quell'idiota!"
"Non è colpa sua" singhiozzò Micaela.
"Sì che è colpa sua! Poteva pensarci, prima di fare una sfuriata da Premio Oscar sulla porta di casa tua... per una foto sui social. A proposito: vediamo se la troviamo. La voglio proprio vedere."
"L'ho trattato malissimo, Andrea."
"Davvero? A me non sembra che lui ti abbia trattata con i guanti bianchi, aamica... ti sei solo difesa, non sentirti in colpa."
Ma non era solo quello... non era puro e semplice senso di colpa, ma Micaela se ne rendeva conto solo in quel momento... provava qualcosa per lui, qualcosa a cui non riusciva a dare un nome. Ma Andrea aveva ragione: se Luca credeva veramente a quelle dicerie, non meritava che lei facesse preoccupare i suoi cari versando lacrime per lui.
"Vado... vado a preparare del latte con il miele" disse, sciogliendo dolcemente l'abbraccio. "Se vuoi lo faccio anche a te... sai, io lo prendo per la voce."
"D'accordo... ma ti senti bene, Mica?"
"Sì, certo... e scusami se ti ho fatta preoccupare."
Andò in cucina, versò il latte con il miele in una tazza e dopo averlo girato un po' lo mise nel microonde.
"Mica... ehm, credo che il tuo telefono abbia voglia di parlare... e non dice cose carine" le fece notare Andrea.
Micaela prese il cellulare e la Barra Braille, disattivò l'Audio della voce e cliccò su una notifica.
"È questa" disse Andrea. "È questa la foto, e sembra che l'abbia postata... Claudia? Non è la ragazza che è venuta qui?"
Micaela lesse il post: "Guardate un po'! La nuova coppia del liceo paparazzata nel cortile!"
"Non è opera sua" disse Micaela. "Le hanno rubato il cellulare... questo non l'ha scritto lei."
Andrea la guardò: non sapeva su cosa si basasse Micaela per fare una supposizione del genere, ma una cosa la sapeva: non avrebbe commesso lo stesso errore di Luca.
"Lei scrive come me: sempre con i puntini di sospensione, con un: "Perdonami, forse ti disturbo." È molto timida, capisci? Questa roba non è da lei."
"Santo cielo... vi hanno riempiti d'insulti" sospirò Andrea. "Ma come si può essere così cattivi?"
"Non importa... lo sai: al liceo dove vado io non sono mai stata molto ben vista... e neanch'io ho mai ben visto loro... in tutti i sensi."
Andrea sorrise: era quella la sua Mica, la ragazza alla quale si era affezionata subito. Quella che aveva sempre la battuta pronta... ma solo su quello che la riguardava. Eppure nella sua voce qualcosa non andava.
"Con me non hai bisogno di far credere che va tutto bene" disse, tirando fuori la tazza dal microonde.
"No. Quella è tua. Io... io adesso me la preparo." disse Micaela, alzandosi.
Versò un po' di miele nella tazza e vi aggiunse il latte per poi girare freneticamente il cucchiaino.
"Mica... a quest'ora il miele si sarà sciolto. Aspetta, lo metto io a scaldare nel forno a microonde." disse dopo un po' Andrea, togliendole la tazza di mano.
"Scusa... è che..."
"È che stai pensando a quell'idiota che ti ha ridotta uno straccio! Ma ti giuro che appena lo pesco gli faccio inghiottire tutto il veleno che ti ha sputato addosso!"
"Sei un tesoro, ma non ti chiederei mai di fare una cosa del genere... e, in tutti i casi, non mi farebbe stare meglio. Io a lui ci tengo comunque, e poi non è cattivo... sono sicura che nn sia cattivo, altrimenti non mi spiego come... come ho fatto..."
"Ad innamorarti di lui" intervenne Andrea. "Me ne sono accorta da quando ti ho vista."
Micaela abbassò il viso, che le era diventato rosso.
"No... è vero: Luca non è cattivo" disse pacata l'amica. "Altrimenti nemmeno io gli sarei amica. Il suo problema è che è impulsivo... e per non fidarsi di te è un perfetto idiota."
Detto questo, estrasse la tazza dal forno a microonde.
"Dammi la mano." le disse con dolcezza, prendendo la mano di Micaela. "Ecco qui... questa ti farà bene, vedrai."
Micaela sorrise timidamente.
"Sei un angelo, davvero" disse. "Sono contenta di averti incontrata, sai?"
"Anch'io, Micaela" ricambiò l'altra. "E non solo come amica. In quello so che sei fantastica. Ma... anche come attrice. Io non so come fai, ma mi trasmetti sicurezza. È come se sapessi sempre cosa stai facendo... anche se non hai mai studiato queste cose prima."
"Ma... chi, io? È impossibile, dai!" le disse Micaela. "Sarebbe come dire che il bruco è... insomma, carino..."
"Tu non sei un bruco: sei una crisalide!" ribatté Andrea. "La crisalide è quello che viene prima di una farfalla... e tu sei una crisalide molto promettente."
Micaela si sentì scaldare il cuore. Lei, una crisalide!
"Oggi non abbiamo le prove, vero?" chiese Micaela, nel tentativo di rompere il silenzio.
"No... le abbiamo domani... e per allora vedrai che la tua voce sarà tornata normale."
"Sì, quella forse sì... ma la mia testa no. Sai, proprio ora sto cercando di ricordare... la parte, intendo... ma l'unica cosa che riesco a ricordare è la valanga d'insulti che Luca mi ha urlato contro, capisci? Ho paura di rovinarvi lo spettacolo."
"Tu non rovinerai niente, Micaela" la rassicurò Andrea. "Tutt'altro: sarai sicuramente il nostro portafortuna. Sai, qualcosa nelle prove deve andare storto... anche un piccolo vuoto di memoria va bene. Se va tutto liscio in prova porta male, malissimo!"
"Scherzi?"
"No. Tutt'altro... perché quando tutto va liscio, quando nessuno dice niente, si è così sicuri che ci si adagia. Se tu hai paura di dimenticare la parte, stai tranquilla che filerai dritta come un treno, come hai già fatto l'altra volta."
Micaela si alzò e strinse in un abbraccio l'amica. Andrea ricambiò l'abbraccio, sorridendo. Sentiva il cuore di Mica battere fortissimo e vedeva il suo viso pallido tingersi di rosso. Era contenta, perché vedeva che le tavole magiche avevano distratto per un po' Micaela dai pensieri che la tormentavano... stavolta per davvero. L'aveva osservata, senza farlo tanto da farla sentire controllata strettamente, e non le era sfuggito quanto all'amica facesse bene calcare le tavole del palco, quelle tavole incantate che avevano fatto tanto bene anche a lei. In quel momento lei era distratta davvero, non era una maschera che portava per non far preoccupare le persone che le volevano bene.
Si salutarono così, con quella leggerezza che dava loro la passione che le accomunava, unita all'amicizia che stava germogliando e che le avrebbe legate strettamente.
Anche Luca, dal canto suo, era scoppiato in lacrime per strada. La rabbia che aveva dentro l'aveva tirata fuori con Micaela, ma non con Kaleb... e non era servito a niente, perché stava persino peggio di prima.
Arrivò a casa quasi contemporaneamente ad Andrea, ma fu raggiunto da qualcun altro.
"Luca... Luca, fermati un attimo!" lo chiamò a gran voce Gabriele, ma senza risultato.
Lo rincorse e lo afferrò per una spalla.
"Ehi... che succede, ragazzo?" chiese preoccupato.
"Micaela... Kaleb..." sussurrò in risposta il ragazzo.
"Non mi spaventare, che è successo?" chiese Gabriele, ostentando un tono calmo.
"È successo che è un perfetto idiota!"
Andrea, che era letteralmente apparsa in quel momento, si avvicinò a Luca con uno sguardo di sfida.
"Tu parli così perché non hai visto quella foto!" sbottò Luca, riprendendosi. "E a me non piacciono le persone che fanno il doppio gioco!"
Detto questo se ne andò senza aggiungere altro. La rabbia era tornata prepotentemente a sbranarlo dall'interno e la pelle gli bruciava per quanto era furioso.
Ringraziò il cielo che a casa non ci fosse nessuno, si precipitò in camera sua e si gettò sul letto, a faccia in giù... poi le lacrime tornarono a spingere, più prepotenti che mai. Gli occhi gli facevano male per lo sforzo e sentiva le membra pesanti... il cuore, invece, sembrava sul punto di finire in pezzi, di esplodere. Come aveva potuto fidarsi di quella ragazza? Come aveva potuto aprirle il suo cuore e lasciare che lei lo riducesse in poltiglia? Non ci aveva pensato due volte a calpestarlo, come Carlotta aveva fatto con il suo... Toto, quel benedetto bastone bianco. Forse per questo gli aveva rivelato quel dettaglio? Per attirarlo in una trappola? O magari se l'era inventato?
Ma lui non era l'unico a provare rabbia. Andrea era talmente furiosa che la sua faccia era rossa e bollente per il sangue che le affluiva alle tempie.
"Allora? Mi spieghi che succede, Andrea?" le chiese Gabriele.
"Ha visto questa" rispose Andrea, che si era fatta mandare la foto su WhatsApp.
Gabriele la guardò per qualche istante, poi sospirò.
"Ma se Kaleb è con Lucia? È stato tutto il tempo insieme a lei... e Micaela, poi, è stata a casa. Quando avrebbe potuto trovarsi nel cortile della scuola a baciarlo?"
"Sapessi cosa dicevano di lei sotto quel maledetto post... ma si vede lontano un chilometro che è un fotomontaggio, no?"
"Che tre quarti della scuola di Micaela siano composti da bulletti insicuri non mi sorprende affatto... quello che mi suona stonato è che Luca possa credere a queste sciocchezze."
"Non puoi immaginare come l'ha trattata!" saltò su Andrea. "Ti giuro: l'avrei preso a pugni in faccia!"
"Come sta?" chiese d'improvviso Gabriele.
"Chi, Luca?" domandò Andrea.
"No... Micaela" le rispose Gabriele con fare paterno. Lui non aveva figli, ma i ragazzi ai quali era più legato li sentiva come tali... e Micaela era compresa tra quelli.
Gli veniva da sorridere se pensava a quando l'aveva incontrata il primo giorno o a quando, fuori dal teatro, lei aveva riconosciuto la sua voce in un marasma di altre voci.
"Lei... era a pezzi, poverina. Ti giuro: l'ha mandato via quando lui mi ha gridato contro, ma dopo è crollata."
"Povera piccola" sospirò Gabriele.
"Sai, era preoccupata per lo spettacolo... diceva di avere la testa altrove... e che non avrebbe mai voluto farci fare brutte figure."
In quel momento a Gabriele non importava di fare figuracce... ma se il teatro poteva farle bene, non voleva che se ne andasse... così come non voleva metterle pressione addosso.
"Tu che ne dici?" chiese.
"Io non voglio che Micaela se ne vada" rispose Andrea. "Quando proviamo... lei è diversa... si sente bene, libera... non si fa tutti quei problemi che si fa di solito, capisci? E poi è mia amica... e, sarò egoista, ma se c'è lei... io mi sento più sicura... sento che non mi può succedere niente, se c'è lei..."
"Le vuoi così bene, Andrea?" chiese Gabriele.
"Certo che le voglio bene! Siamo amiche... non da molto... mi conosci, non mi fido facilmente degli altri... ma con lei è stato impossibile non farlo... un po' come mi è successo con te... sarà che siete tutti e due dell'ariete!" concluse scherzando.
L'uomo le diede un colpetto affettuoso sotto il mento, sorridendo.
"Mi faresti un favore enorme, Gabriele?" chiese la ragazzina.
"Dimmi tutto" le rispose Gabriele.
"Potresti..."
"Occuparti di Micaela?" completò la frase l'uomo. "Ci avevo già pensato. La conosco e non dirà ai suoi genitori cosa le succede... spero che se la senta almeno di parlarne con me."
E il giorno seguente l'uomo ebbe la prova del fatto che Micaela avrebbe parlato con lui.
"Amore... hai una faccia pallida che fa spavento" disse sua madre, posandole una mano sulla fronte. "Non ti senti bene?"
"No, mamma... niente del genere." rispose la ragazza, avvicinandosi al lavandino per versarsi del caffè. Era pallidissima per davvero, perché non aveva chiuso occhio per tutta la notte. Era agitata, tormentata, e aveva le parole di Luca che le martellavano nel cervello, a ripetizione, come un disco rotto.
"Sei sicura di voler tornare a scuola in queste condizioni, tesoro?"
"Sì, mamma... starò bene, davvero" la rassicurò Micaela. "E poi, oggi pomeriggio mi ricaricherò. Abbiamo le prove!"
Quel pensiero parve addolcirle di molto la prospettiva della giornata che l'attendeva, fatta di sussurri, voci di corridoio e battute idiote... e soprattutto, di Luca che non si sarebbe limitato alla sfuriata del giorno prima.
Si diresse velocemente in bagno e andò a cambiarsi.
Quando fu pronta, sua madre la salutò, dandole un bacio sulla guancia e le disse: "Mi raccomando, per qualunque cosa chiamami."
"Va bene" rispose la ragazza. "Ti voglio bene, mamma."
"Anch'io, piccola."
La donna uscì e si chiuse la porta alle spalle. Micaela aspettò cinque minuti, poi prese il cappotto, lo zaino e il suo bastone, il suo fidato Toto, e si verso la porta. Una lacrima le solcò il profilo del volto, seguita da un'altra, un'altra e un'altra ancora... fino a giungere ad un vero e proprio pianto che andò avanti per tutta la strada. Lo sapeva: scoppiare a piangere in mezzo a una strada non era il massimo, ma preferiva farsi vedere così da mille estranei piuttosto che dai suoi genitori.
Quando iniziò a sentire le voci dei compagni si fermò un istante. Prese un respiro profondo e si spazzò via le lacrime dalle guance con un colpo secco.
"Micaela... di' un po': ti è piaciuta la foto? Oh, scusa: non l'hai vista!" esclamò Carlotta.
"Non ho avuto il piacere... ma il post e i commenti erano eloquenti" rispose Mica.
Carlotta dovette fermarsi un attimo a pensare ad una risposta, non conoscendo il significato della parola: "Eloquente".
"Ma guarda! La ragazzina con la faccia da santarellina alla fine si dimostra essere una..."
"Sì, sì, abbiamo capito!"
"Essere... ehm, così..." disse coprendole gli occhi con una mano, "ti rende più facile sedurre i ragazzi?" Micaela le spostò bruscamente la mano, infastidita.
"Oh, sì! È come chiedere l'elemosina: per i ciechi è più facile!"
"Di' un po': vuoi baciare qualcun altro, oggi?"
"Oh, sì, eccome! Volevo darlo a te, un bel bacetto... poi però ci ho pensato meglio e mi sono detta che per quanto veleno hai in corpo se lo facessi dopo dovrei farmi una lavanda gastrica, STREGA!"
"Davvero? E chi è il prossimo?" intervenne Luca, guardandola male.
"Non lo so! Ho intenzione di baciare mezzo liceo! Ragazzi e ragazze! Anzi: sai che faccio? Vado a fare due moine anche alla Distasio e a qualche altro professore, così mi alzeranno i voti: contento?" rispose secca Micaela. "Vi prego di andare al diavolo, vi ho pagato il biglietto e ho sprecato tutti i risparmi per voi due, IDIOTI!"
Ma se le parole di Carlotta non le avevano fatto chissà quale effetto, la stoccata di Luca era andata a segno.
"Te la sei meritata, Luca" gli disse una voce conosciuta. "E anche tu, Charlotte."
Era Gabriele! A Micaela venne da sorridere al pensiero che il suo amico "Hagrid" fosse intervenuto per difenderla.
"Perché? Non dovrei credere a quello che ho visto, per caso?" chiese Luca, colpito.
"Non c'è peggior cieco di chi non vuol vedere... e tu, oltre ad essere il peggior cieco, sei anche il peggior testardo." rispose Gabriele, colpito a sua volta.
Detto questo prese per mano Micaela e la condusse in classe. Nessuno dei ragazzi sarebbe entrato a breve.
"Come stai?" le chiese.
"Sono contenta di vederti... non sai quanto!" rispose Micaela.
Lui la guardò con tenerezza: questo lo sapeva... non per vanità, ma perché la ragazza glielo lasciava intendere cercando il suo contatto amichevole, non irrigidendosi quando dovevano camminare tenendosi per mano... o, più semplicemente, sorridendo.
"A questo potrei anche credere, tesoro... ma non sei contenta in generale." rispose. "È per quel bellimbusto con i paraocchi che stai così, vero?"
"Cosa? No... non ho niente, davvero."
"E questi occhi gonfi sono "niente"? La faccia che hai fatto quando lui ti ha parlato in quel modo non è niente?" chiese Gabriele. Non aveva assolutamente un tono di rimprovero, ma la ragazza provò comunque una fitta al cuore al pensiero che lui si fosse preoccupato per lei.
"Lo vedi? Non so fare altro che far preoccupare quelli a cui voglio bene o perderli in qualche modo" rispose in tono neutro.
"Micaela, tesoro... sei innamorata, vero?" le chiese lui posandole le mani sulle spalle.
"Sì... no... io... io non..." balbettò Mica. "Gli voglio molto bene e mi sento anche in colpa... non voglio che i miei si preoccupino, ma in un modo o nell'altro finisco sempre per dare loro delle ragioni per farlo."
"Tesoro, ma per quello non ti devi sentire in colpa. In teoria è quello che fanno tutti i genitori: preoccuparsi per i loro figli... poi ci sono quelli che diventano genitori a caso, tipo i Grimaldi, ma quello è un altro discorso che non c'entra con te."
"Sì, ma non posso farne a meno... e poi, io ci tengo a lui... e non pensavo che potesse fare così male... ma il peggio è che non riesco ad avercela con lui, anche se mi sta facendo a pezzi con quello che dice per colpa di quella stramaledetta foto. Lui è buono... so che è buono, che non farebbe del male ad una mosca, se non si sentisse tradito. Mi dico che uno che mi sbraita contro dopo che gli ho parlato di Toto, senza neanche darmi il diritto di replicare, non merita che io ci soffra, ma è del tutto inutile!"
"Però gli hai risposto a tono." le fece notare Gabriele.
"È solo una maschera... non è giusto: io... io vorrei essere arrabbiata, vorrei detestarlo... e invece niente! Niente di niente!"
"Non riesci a detestare Carlotta, come pretendi di riuscirci con lui?"
All'improvviso qualcuno fece irruzione nella classe. Era Claudia... ed era in lacrime.
"Non sono stata io! Non sono stata io, Micaela, te lo giuro!" fu in grado di dire, prima di crollare in ginocchio accanto al banco. Micaela si alzò, cercò a tentoni le sue spalle e le sfregò delicatamente con le dita.
"Ti credo" le disse semplicemente. "Va tutto bene, calma."
"Carlotta... mi ha rubato il cellulare. Io ho difficoltà a ricordare il codice di sblocco, e allora non l'ho messo... poi ho visto la foto dello sfondo di questo cellulare... era di Carlotta! Li ha scambiati e ha pubblicato quella foto al posto mio... io... io l'ho vista stamattina... credo li abbia scambiati di nuovo quando stavamo entrando, te lo giuro!"
"Calmati, Claudia" la rassicurò Mica, rivolgendole un sorriso. "Lo so che non è da te scrivere certe cose."
"Ho cancellato quel post... hanno scritto cose orribili su di te e su Kaleb."
"Lo so" rispose Micaela, "ma non me ne importa niente."
"Parlerò con Luca" aggiunse Claudia. "Gli dirò che..."
"No!" intervenne Gabriele. "Non devi farlo tu... hanno pubblicato il post a tuo nome: finirai per metterti nei guai."
E mentre l'uomo diceva questo, Lucia entrò in classe sorretta da Kaleb. Era ancora malferma sulle gambe.
In quel momento, Micaela scattò in piedi, riconoscendo la voce di Kaleb e presupponendo che ci fosse anche Lucia.
"Lu!" esclamò, raggiungendola e rischiando di cadere per abbracciarla. "Lu, tu mi credi? Dimmi che mi credi, per favore!"
Il cuore le batteva fortissimo, gli occhi avevano ripreso a pizzicare e le tremava la voce mentre parlava con l'amica e contemporaneamente cercava di ricordare come si facesse a respirare.
"Ehi! Calmati, Mica... certo che ti credo!" disse con dolcezza Lucia, trascinandosi verso la sedia che era già stata sistemata accanto al suo banco. "Così come non credo che sia stata Claudia a scrivere quelle cose assurde!"
"Kaleb... Luca è furioso." lo avvertì Micaela.
Kaleb guardò Micaela: aveva una faccia stravolta e gli occhi rossi e gonfi.
"Lo immagino... si vede dalla tua faccia... e allo stesso modo si vede che vuoi veramente bene a quello scemo che crede ad una stupida foto piuttosto che a noi. Mi dispiace tanto, credimi!"
E detto questo Kaleb si avviò verso la classe.
Non disse niente di Claudia, perché non sapeva se credere che lei avesse scritto quelle cose o meno.
Micaela si sentiva sollevata: la sua migliore amica, almeno, le credeva.
Gabriele e Claudia salutarono Micaela e Lucia e andarono via: lei in classe, lui a fare su e giù per la scuola, ascoltare lamentele, scrivere, controllare e distribuire documenti... e maledirsi, perché il suo "angioletto" era ridotto uno straccio e lui non sapeva come rimediare.
Le ore di lezione furono letteralmente una tortura per Micaela. Sussurri continui, frecciatine e battute idiote, e ovviamente anche le continue allusioni a Luca. Carlotta fu quella che infierì maggiormente, tanto che ormai la ragazza non aveva neanche più la forza di risponderle a tono.
Cercò di seguire, di prendere appunti, ma nonostante riuscisse in qualche modo a stare al passo la sua testa vagava lontano, e più vagava, più alla ragazza veniva da piangere.
Ma questa volta, durante le ore di lezione, non le venne fuori neanche una lacrima.
Nella classe accanto, invece, Luca aveva cambiato posto di proposito.
Non voleva stare vicino a quello che un tempo era il suo migliore amico: gli faceva rabbia... anzi: gli faceva male pensare che lui avesse potuto fargli un tiro mancino come quello.
Sapeva perfettamente che lui era innamorato di Micaela, eppure non aveva esitato a baciarla.
Quando finalmente giunse l'intervallo, Kaleb si alzò e andò a raggiungerlo.
"Mi vuoi spiegare che ti prende?" gli chiese, anche se in realtà lo sapeva.
"O me lo chiedi, anche! Tu lo sapevi che Micaela mi piaceva... che volevo andarci piano perché non si sentisse costretta a fare niente... ma a quanto pare, né tu né lei ne avete tenuto conto. Ecco che cosa mi prende!"
"Io sono sempre stato con Lucia: mi spieghi quando avrei potuto baciare Micaela?"
"Forse prima che Lucia venisse portata via... è stata in ospedale per una settimana."
"Ma davvero sei così contorto da pensare che io possa averti detto una cosa del tipo: "Esco un attimo", per andare in cortile e fare smancerie a Micaela? E davvero credi che, se l'avessi fatto, lei ci sarebbe stata?"
"E perché non avrebbe dovuto?" chiese Luca.
Una sedia che sbatteva contro la porta annunciò l'ingresso in aula di Lucia.
"Perché è cotta di te, testardo che non sei altro!"
Luca sgranò gli occhi. Lucia, che avrebbe dovuto essere furiosa almeno quanto lui, stava difendendo Micaela!
"Ma tu... tu l'hai vista la foto, sì o no?" chiese Luca. "O sei come lei?"
"Tu sei come lei! Anzi: se dovessi stabilire chi è il più cieco tra i due, quello saresti tu!"
Luca rimase sorpreso, perché lei non era mai stata così dura con qualcuno. Non le tremava la voce, non aveva il respiro agitato, non aveva dei tic... e tutto per difendere Micaela.
"Ma che stai dicendo?"
"Che Kaleb e Micaela non hanno fatto proprio niente e nemmeno Claudia ha scritto quella roba su Facebook... ma adesso te li apro io, gli occhi!"
Si avvicinò al banco, vi si aggrappò e fece per alzarsi, ma era ancora piuttosto debole. Tornò a sedersi e gli afferrò il braccio destro. Sapeva che Carlotta e le sue amiche, durante l'intervallo, andavano a spettegolare in bagno.
Era uscita dalla classe appena Gabriele le aveva raggiunte e gli aveva chiesto di stare lì con Micaela, perché non voleva che l'amica stesse da sola, però voleva fare qualcosa per lei... non la poteva vedere così spenta, così stravolta.
Luca non sapeva perché: non voleva seguirla, ma alla fine lo fece.
"Ma questo è il bagno delle ragazze!" disse Luca, ma Lucia gli fece cenno di abbassare la voce.
In quel momento la voce squillante di Carlotta giunse al loro udito.
"Ragazze... non sapete che scherzo ho combinato a quella banda di disadattati! Sono sicura che dopo questa si scontreranno come quelli delle Guerre Pudiche!"
Luca si tappò la bocca per non ribattere che si diceva "guerre puniche", e che "quelli" erano gli eserciti di Roma e Cartagine.
"Beh? Coraggio, parla!" la incalzò una ragazza che Luca non riconobbe.
"Ho preso il cellulare di quella botte... Claudia... e ho pubblicato una fotografia fatta molto bene... dello straniero e la talpa che si baciavano."
"Maledetta strega!"
Luca disse quelle parole stringendo i denti e spinse la porta, sperando che continuassero a parlarne e che la folla di studenti che si era riversata in corridoio sentisse... ma purtroppo Carlotta si era accorta di lui.
"No... Luca, aspetta... stavo solo raccontando quello che ha fatto Micaela, e..."
"Idiota io che ancora ti do retta!"
"No! Luca... ti prego, credimi... io stavo raccontando quello che mi ha detto Micaela, e..."
"Certo, come no" le disse il ragazzo in tono glaciale. "Lo sai benissimo che senza VoiceOver Micaela il telefono non lo può usare... e fare un montaggio alla cieca fatto così bene è semplicemente impossibile... e poi, secondo te Micaela potrebbe mai confidarsi con una vipera come te?"
E detto questo il ragazzo si allontanò correndo e tornò in classe... ma si fermò sulla porta. Come diavolo avrebbe fatto a chiedere scusa al suo migliore amico? Come avrebbe fatto a chiedere scusa a lei, a Micaela?
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Volontariamente disadattati
FanfictionDue professori dalla sensibilità straordinaria. Un custode che sarebbe un grande insegnante, ma se ne sta alla larga dalle cattedre e aiuta i ragazzi stando insieme a loro. Un gruppo di adolescenti diversi dagli altri, ognuno con la sua particolarit...