-12: La Cura, O: "Sei Un Essere Speciale Ed È Speciale Stare Insieme"-

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"Mica... tesoro, non vuoi uscire dalla classe, oggi?"
Gabriele la guardò con apprensione. Da quando la conosceva non ricordava di averla mai vista in quelle condizioni. Aveva capito che la ragazza si vergognava di farsi vedere fragile, per questo aveva chiuso la porta della classe.
"No... perdonami, è che oggi non riesco a fare niente" rispose lei, con una vocina flebile che a Gabriele faceva male al cuore.
"Tesoro, lo so che sei triste... ma non hai niente di cui vergognarti. Non hai fatto niente di male."
"Lo so... ma credimi: oggi proprio non ce la faccio a... a..." E si alzò di scatto, voltandosi di spalle per evitare che lui la vedesse piangere per l'ennesima volta, quel giorno.
Gabriele, però, non ebbe bisogno di vederla. Le si avvicinò e la strinse in un abbraccio.
"Dovresti sapere meglio di me che non serve per forza guardare una persona per capire come sta." le disse, stringendosela al petto.
La ragazza rimase immobile, con gli occhi pieni di lacrime e il petto che si alzava e si abbassava velocemente. Lui la guardava con tenerezza: sapeva che la sua ragazzina era troppo buona, troppo sensibile, e che quello che le era piovuto addosso le faceva male il triplo di quanto potesse far male ad un'altra adolescente... non perché era cieca, ma proprio per quella sensibilità. Sapeva anche che lei si sentiva in colpa per come si stava mostrando, che non voleva farlo preoccupare, ma non poteva fare a meno di preoccuparsi per lei.
Qualcosa urtò contro la porta, facendoli sussultare. La porta cigolò lentamente, aprendosi, e Lucia fece il suo ingresso.
"Ho cercato di fare in modo che Luca scoprisse la verità" disse calma, "spero che sia servito..."
"Non ti preoccupare di questo, Lu... il fatto che tu ci abbia provato vale già moltissimo, credimi." disse Micaela, asciugandosi le lacrime con un colpo secco e rivolgendo un sorriso all'amica.
Nella classe accanto, nel frattempo, Luca era rimasto lì, in piedi, con le spalle premute contro la porta.
"Allora? Che fai piantato lì come una guardia svizzera?" gli domandò Kaleb.
Luca non rispose. Rimase lì a guardarlo, impalato.
"Me l'ha detto Andrea... me l'ha detto Gabriele... e me l'avete detto tu e Micaela... e io non vi ho creduto... non vi ho creduto!"
"Cominci a parlare a vanvera, adesso?"
Kaleb era freddo, sembrava indifferente... e Luca non poteva certo dargli torto!
"Mi dispiace" dise, così in fretta da non riuscire quasi a capirsi lui stesso.
"Che cos'hai detto?" chiese Kaleb.
"Ho detto che... che mi dispiace" ripeté l'altro, questa volta in modo chiarissimo.
"Oh, ma davvero! E quando ti è venuta, l'illuminazione? Cinque minuti fa?" chiese beffardo Kaleb.
"Credimi... io non immaginavo... non credevo che... che Carlotta potesse arrivare a..." balbettò Luca.
"Quella ragazza è cotta marcia di te e non è una che gioca pulito o si fa da parte quando capisce di non essere ricambiata, come, guardacaso, farebbe la ragazza che tu hai insultato fino alla nausea, stamattina. Tu non hai idea di come sta... perché quando pensi di aver ragione non te ne importa più di niente, maledizione! Come fai, in generale, ad essere così profondo e poi a mostrarti tanto superficiale quando è il momento di non fermarsi alle apparenze?"
Kaleb si alzò dal suo posto, raggiunse quello che fino al giorno prima era stato il suo migliore amico e spalancò la porta dell'aula, spingendolo in avanti. Luca si ritrovò fuori dall'aula e vide che la porta della classe adiacente era chiusa. Vi si avvicinò, premendovi contro l'orecchio, e poté sentire distintamente dei singhiozzi ed uno sfregare di mani contro il tessuto di una maglietta. Gli occhi presero a pizzicargli di nuovo e si allontanò di scatto dalla porta. Non voleva ascoltare nient'altro.
"Hai visto?" gli sbraitò contro Kaleb. "Hai visto? È ridotta così solo per colpa tua."
Luca non rispose. Non si sentiva in diritto di difendersi. Non si sentiva in diritto di dispensarsi dalle sue colpe. Tornò in classe a testa bassa, pallido come non mai, tutto tremante per la rabbia che, stavolta, provava verso se stesso, e maledettamente consapevole di essere lui l'unico responsabile dello stato in cui era in quel momento la povera Micaela.
Quella dolorosa consapevolezza gli rimase letteralmente appiccicata per tutta la giornata scolastica.
Quando giunse il momento di tornare a casa, Luca si confuse tra la folla, nel tentativo di stare alla larga da Kaleb, che non faceva altro che dargli il tormento. Poi la vide. Questa volta si era lasciata condurre fuori da Gabriele, perché aveva un gran bisogno di sentirsi sostenuta da qualcuno. Luca vide che Gabriele camminava poco più avanti rispetto a lei, per farle capire come si muoveva e in quale direzione. La stava guardando... era rimasto imbambolato, tanto che qualcuno gli diede una spinta per farlo camminare.
Una mano fresca gli si posò sul braccio destro, facendolo voltare di scatto.
"Luca" sussurrò la professoressa Angelica. "Vuoi venire un attimo con me?"
Il ragazzo non disse nulla, ma si lasciò condurre lontano dalla folla.
Tornarono in classe e si misero seduti l'uno di fronte all'altra.
"Che ti succede?" gli chiese la professoressa Angelica.
"Ho fatto una cosa orribile" rispose il ragazzo, abbassando la testa come per non incrociare lo sguardo della donna.
"Non devi vergognarti di nulla con me" gli disse amorevole la donna.
"Qualcuno ha messo in giro delle voci sul mio migliore amico e su una ragazza... una ragazza alla quale tengo moltissimo..."
"Kaleb e Micaela."
"Sì... e li ho trattati malissimo."
Gli occhi del povero Luca strariparono in quello stesso istante. La professoressa Angelica si alzò di scatto dalla sedia, girò attorno al banco e afferrò il ragazzo per le spalle.
"E hai provato a chiarire con loro?" gli chiese con calma.
"Volevo... ma non ne ho avuto il coraggio... cioè, questo con Micaela. Con Kaleb non c'è stato verso. Mi ha sbattuto la sua rabbia in faccia..."
Luca aveva le mani ancora strette in quelle della donna. Avrebbe voluto dirle di più, ma il pianto che gli serrava la gola era un bell'impedimento.
"Non c'è bisogno che tu mi dica nulla di più, tranquillo" lo rassicurò lei. "So che ti è difficile parlare... soprattutto ora..."
"Non so che fare, professoressa" riuscì infine a biascicare il ragazzo.
"Beh, tesoro... che cosa vorresti fare? A Kaleb devi dare del tempo, capisci? Il tempo in queste cose è risolutivo."
"E per Micaela? Con lei non ho neanche il coraggio di aprire bocca, dopo tutto quello che le ho detto... dopo che l'ho trattata così male."
"Per Micaela... fai l'unica cosa che ti permette davvero di esprimerti."
Luca rimase lì, in silenzio, immobile. Cos'era che lo rendeva veramente libero, che gli faceva sentire di non avere remore, di poter dire tutto senza preoccuparsi di nulla?
"Tra un mese esatto Micaela, Gabriele e l'altra ragazza, Andrea, faranno uno spettacolo... è il momento perfetto per farsi perdonare..."
E in effetti, sarebbe stato proprio lo spettacolo a migliorare le cose.
Il giorno del "litigio", però, le prove a teatro non iniziarono molto bene. Micaela ebbe un blocco: un vuoto di memoria assoluto, e dovette fermarsi.
"Scusate... scusate tanto, davvero... sono un completo disastro!" sospirò, cercando il corrimano del palco con le mani sospese a mezz'aria.
"Calmati, Micaela" la rassicurò Gabriele, cingendole le spalle con un braccio. "È tutto a posto... hai avuto una giornata particolare e comunque siamo tutti un po' provati... che ne dite se ci fermiamo cinque minuti?"
Tutti assentirono, scesero dal palco e si diressero verso l'uscita. Tutti, tranne Micaela, che si limitò a fermarsi sotto la scala.
"Scusami... mi dispiace tanto, dico davvero... mi hai dato fiducia e io... io non ti ho ripagato, perché ho la testa altrove..."
"Non puoi essere sempre al massimo... anche a me succede, a volte. Non siamo macchine, Micaela" la rassicurò l'uomo.
"Manca un mese, magari... magari la trovo, un'attrice... una vera, che non metta i suoi problemi prima dello spettacolo..."
"Perché devi essere sempre così cattiva con te stessa?"
"Ma... ma io..."
"Prima di essere un'attrice o qualsiasi altra cosa tu voglia fare, sei umana... una giornata storta capita a chiunque... e comunque, tu non sei una marionetta."
"In che senso?"
"Hai detto: "Ti cerco un'attrice vera", ma un'attrice finta per me è una marionetta... e tu non hai fili da nessuna parte. Ma dimmi: a parte adesso, che è un giorno difficile ed è comprensibile che tu stia male, che cosa provi quando sei lì sopra?"
"Io... non te lo so spiegare, davvero."
"Bene... allora torniamo su insieme, vuoi?"
"Perché? Questo ti aiuterà a capire?"
"Forse sì... o forse aiuterà te a spiegarmelo, Mica."
Le prese la mano e tornarono insieme sul palco.
"Prova a camminare" le disse. "Tranquilla, non ti succederà niente... ci sono io con te."
Micaela mosse qualche passo su quella superficie che sembrava così solida... solida come dovrebbe esserlo una certezza... quello che a Mica mancava.
"Ci crederesti se ti dicessi che mi sento più sicura qui che stando giù?"
"Sì... anche per me è lo stesso. e lo sai perché?"
"Non ne ho idea..."
"Perché qui non ci sono differenze. Quello che sento io lo senti anche tu e quell'ansia che ti mangia viva quando sbagli... la provo anch'io, tutte le volte. E poi... a cosa associ il rumore dei passi sul palco?"
"Non mi prendere in giro su questo, per favore!"
"Se me lo chiedi in questo modo, tesoro mio, prometto che non ti prenderò in giro."
"Mi sembra... il battito di un cuore. Ecco, l'ho detto."
"Dovrei prendere in giro anche me stesso, se deridessi te per questo motivo... perché anche per me è lo stesso."
"Davvero?"
"Certo. E, se non ricordo proprio male, la prima volta hai chiesto ad Andrea come ci si sente ad essere liberi. Se recitare ti piace tanto come credo... aspetta il giorno dello spettacolo. Non il tempo che lo precede, perché sarai così agitata che ti dovrai legare ad una sedia per riuscire a stare ferma... ma durante e dopo ti sentirai come se non avessi peso... come se potessi volare da un momento all'altro."
In quel momento rientrò anche il resto del gruppo. Andrea fu la prima, perché si era fermata lì fuori per ascoltarli. La seconda parte delle prove, dopo quella chiacchierata, andò decisamente meglio.
Durante tutto il mese successivo, la vita dei ragazzi andò avanti come sempre. Micaela era divisa tra la scuola, Lucia, le prove e la tristezza notturna per quello che era successo con Luca. Quest'ultimo, dal canto suo, cercava di parlarle, ma ogni volta che la vedeva veniva preso da un tale imbarazzo da non riuscire a spiccicare una parola. Con Kaleb praticamente non aveva più rapporti da quel giorno. Lui si preoccupava soltanto di Lucia, in quel periodo, e per fortuna sembrava che le cose fossero arrivate ad un punto di svolta... a quanto pareva, proprio il giorno dello spettacolo Lucia avrebbe saputo cosa ne sarebbe stato di lei. Con l'aiuto di coloro che le volevano bene era riuscita finalmente a rimettersi in piedi: la carrozzina non le serviva più ed era stata restituita all'ospedale. Dopo il loro primo bacio, lei e Kaleb non avevano più parlato di cosa fosse accaduto tra di loro... forse perché erano ancora in tensione.
Quella mattina di metà dicembre, come al solito Lucia era uscita dallo scantinato a testa bassa. Ora che poteva camminare i suoi genitori l'"accompagnavano" a scuola, per accertarsi che non avesse contatti con i suoi amici... questo finché non entrava, perché ovviamente non potevano andare con lei in classe. Durante il tragitto non le rivolgevano mai la parola, ma ad ogni "errore" la guardavano di traverso, come per dire: "Appena torni a casa facciamo i conti." E questo accadeva praticamente sempre.
Quel giorno, però, i Grimaldi furono fermati fuori dal loro condominio.
"Lucia sta con noi" disse senza giri di parole una voce familiare.
I Grimaldi si fermarono. Lucia rimase lì, imbambolata, a fissare il punto dal quale proveniva quella voce.
"Davvero? Hai deciso di finire in galera, caro il mio professore rammollito?" lo derise deliberatamente suo padre.
"Oh, no, al contrario... rischiate di finirci voi due, in galera, se non permetterete a vostra figlia di venire con noi."
Noi, aveva detto?
Poi Lucia sentì una portiera sbattere e vide una figura dirigersi velocemente verso di lei.
"Tesoro mio, stai bene?" le chiese la donna che le era corsa incontro, abbracciandola.
"Signora Giorgia!"
"Vieni, piccola. È tutto finito." le disse la donna, prendendola per mano.
"No! Torna subito qui! Se non ti fermi subito, le prendi!" esclamò la signora Grimaldi.
Un'altra portiera fu chiusa con uno scatto e un uomo, che non era il professor Michele ma suo fratello Gabriele, scese dall'auto e si fermò di fronte a loro.
"Lei non prenderà proprio niente... e non provate ad avvicinarvi di nuovo a quella creatura!"
Indicò un'auto della polizia che li affiancava.
"Questi agenti sono venuti per impedire a voi due di alzare un'altra volta le mani su vostra figlia o su qualunque altra persona... se ci volete finire voi, in prigione. prendetevela con me!"
Ma i signori Grimaldi rimasero immobili, impietriti. Gabriele, dal canto suo, tornò indietro e si mise a sedere al posto di guida per poi partire.
Quando furono più lontani, senza tanti giri di parole, Lucia esclamò: "Sono contenta di poter tornare a casa!" E questo, per i tre adulti che erano con lei, fu più che sufficiente.
Quando Micaela arrivò a scuola non poteva credere alla scena che le si presentò davanti: la sua amica Lucia rideva come non faceva da diversi giorni, parlando tranquillamente con la signora Giorgia!
"Lu!" esclamò correndo incontro al'amica, mentre Toto a momenti le sfuggiva dalle mani.
"Ciao, Mica! Non puoi immaginare quanto sono felice!"
Lucia le andò incontro, gettandosi su di lei con tale forza da farle volare via Toto dalle mani. Fu Gabriele a raccoglierlo e restituirglielo.
"Piano, Lucia! Se la tua amica resta senza la sua guida a scuola mi faranno diventare James Bond partenopeo per starle dietro!"
Micaela scoppiò a ridere. "Allora? Che è successo, Lu? Raccontami..."
E Lucia le raccontò tutto, senza smettere di sorridere neanche per un secondo.
"Sei libera!" esclamò Micaela, elettrizzata. "Non ci credo, sei veramente libera!"
"Sì... e sai come voglio festeggiare?"
La ragazza scosse la testa.
"Voglio venire a vedere te, il signor Gabriele e Andrea allo spettacolo" le svelò Lucia.
A quell'uscita, la ragazza istintivamente girò la testa verso il custode.
"Come hai passato la notte, signorina Ferrante?" le chiese l'uomo.
"Ho sognato di arrivare in ritardo rispetto alla convocazione, che lo spettacolo era già iniziato e quando sono riuscita ad entrare non mi ricordavo più nulla" rispose la ragazza.
"Allora andrai benissimo!" la rassicurò il custode. "Quando si ha un incubo del genere si drizzano le antenne per evitare che accadano quelle cose. Quando non sognerai più cose strane, dovrai avere paura."
"Ma tu come fai ad essere così tranquillo?" chiese Micaela, sorpresa.
"Adesso sono tranquillo. Quando saremo dietro le quinte non mi ricorderò nemmeno come ti chiami o come mi chiamo io stesso, fidati!"
Micaela si sentì rassicurata: lui sapeva bene di cosa stava parlando, e se anche a lui saliva l'ansia prima del grande momento, voleva dire che non avrebbe dovuto preoccuparsi.
"Tu sei fatta per quello." disse Lucia, stringendola più forte. "Quando mi raccontavi una storia, da piccola, ci mettevi tutta te stessa... e riuscivi sempre a tirarmi su il morale."
Luca, poco lontano, stava guardando la scena. Avrebbe voluto avvicinarsi, dire che Lucia aveva ragione, ma sapeva che, dopo le cose che le aveva detto, giustamente Micaela si sarebbe mostrata diffidente.
Allora rimase lì, accontentandosi di guardarla da lontano.
Attese che la folla si disperdesse un po', poi si mise a sedere sui gradini che davano accesso alla scuola e prese il suo quaderno per gli appunti musicali e una penna... poi prese le cuffie ed il cellulare e fece partire un brano a caso. Questa volta tirò fuori anche una sigaretta, l'accese e aspirò avidamente. Rimase in attesa, e quando partì il primo brano quasi gli andò la saliva di traverso. "La cura" di Battiato.
"Ti proteggerò
dalle paure delle ipocondrie,
dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via.
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo...
dai fallimenti che per tua natura
normalmente attirerai..."
Come diavolo era possibile che una canzone scritta diversi anni prima calzasse a pennello a Micaela e a quello che lui avrebbe voluto fare per lei, se non fosse stato così precipitoso nel giudicarla? Iniziò a maledirsi, mentre la penna scorreva velocissima sulla pagina, che gradualmente smetteva di essere bianca. Bianco: il suo colore preferito. Il colore dal quale si poteva partire per creare qualcosa, il colore dell'innocenza... un colore pulito, come l'anima di quella ragazza alla quale aveva detto tante cattiverie.
Dopo il primo giorno, non l'aveva più sentita piangere per lui, ma sapeva che qualcosa la faceva star male... vedeva sempre i suoi occhi gonfi e rossi e ogni volta che lei riconosceva la sua voce tra la folla si addossava alla parete, come se provasse vergogna... come se volesse solo dissolversi.
"Ti solleverò dai dolori, dai tuoi sbalzi d'umore,
dalle ossessioni delle tue manie...
supererò le correnti gravitazionali,
lo spazio e la luce per non farti invecchiare...
e guarirai da tutte le malattie,
perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te."
Poi iniziò a scrivere parole che non avevano niente a che fare con la canzone... ma che in quel momento riguardavano lei... quella ragazza che gli aveva letteralmente sconvolto la vita.
Mentre scriveva, per l'ennesima volta calde lacrime gli rotolarono giù per le guance. Staccò le cuffie con forza, spense la sigaretta e la gettò via. Il fatto di starsene lì fermo lo turbava.
Corse su per le scale, ma per farlo lasciò cadere per terra il suo quaderno.
Micaela non era ancora entrata a scuola, e udì distintamente qualcosa che cadeva.
Raggiunse le scale, si chinò in avanti, senza toccare del tutto i gradini, e trovò un quaderno.
"E questo?" chiese, raccogliendolo.
"Cosa, Micaela?" le chiese Gabriele.
"È un quaderno. Qualcuno l'ha perso." rispose lei.
"Fa' un po' vedere, così lo restituiamo al proprietario" le propose il custode.
Micaela gli tese il quaderno... e il custode sentì il cuore perdere un colpo.
"Accidenti! Questo è il quaderno degli scritti di Luca... insomma: testi, accordi, cose così."
Micaela allungò le mani. Gabriele le rese il quaderno e la ragazza lo sfiorò delicatamente. La copertina era un po' consumata, ma integra. Sfiorando quell'oggetto, Micaela ebbe quasi la sensazione che le mani di Luca stringessero le sue.
"Beh, ognuno ha un modo diverso di approcciarsi agli oggetti di una persona a cui tiene" le disse Gabriele, sorridendo. "Che succede, Micaela? Perché fai quella faccia?"
"È che... mi è sembrato che lui mi stringesse le mani."
"Perché non provi a chiarire le cose con lui, se ci devi stare così male?" le chiese il custode.
"Hai ragione... ma, vedi... mi vergogno così tanto... e poi lui non mi rivolge la parola... forse crede ancora a quella storia... non sopporterei che ricominciasse ad insultarmi come ha fatto per due giorni."
"Lui a me non ha detto niente, questa volta... ma ho la sensazione che abbia il tuo stesso problema. Non sembra arrabbiato... non con te, almeno. Sembra piuttosto arrabbiato con se stesso..."
"Non lo so... n-non lo capisco, credimi! Però, se ti sbagliassi... non sopporterei di essere insultata di nuovo... è come se lui equivalesse a cento Charlotte tutte in una volta!"
"Cento Charlotte?"
"Dai... ti faccio tanto ridere? Sono ridicola, vero?"
"Mi fai ridere, ma non nel senso che sei ridicola... guarda che c'è chi lo fa per mestiere!"
"Sì, lo so... e non sai quanto stimo chi sceglie quella strada!"
"E io stimo te... e non solo per questi modi di dire che sono solo tuoi!"
"Oh, accidenti, la campanella... devo andare in classe..."
"Vieni" le disse semplicemente lui. "Andremo velocemente."
"Ma... io con il bastone... ho un po' di difficoltà a correre."
Gabriele si avvicinò all'orecchio di Micaela e le disse a bassa voce: "Toto avrà bisogno di un po' di riposo... ci penso io a te, Hermione Granger."
Detto questo afferrò la mano di Micaela e si mise a correre, portandola con sé. Come era prevedibile, i professori lo guardavano malissimo perché, "oddio, stava facendo correre una...", ma il custode non parve farci caso e Micaela apprezzò il gesto. Raggiunsero rapidamente la porta della classe, e solo allora Gabriele lasciò la mano della ragazza.
"Vada dentro, cara signorina!" le disse posandole una mano sulla spalla. "E si tenga pronta per stasera, d'accordo?"
"Agli ordini!" gli fece eco la ragazza.
La mattinata scolastica parve letteralmente sfuggire dalle mani di Mica e Lucia. Micaela, che aspettava con ansia la sera e al contempo desiderava che quel momento non venisse mai, non si rese quasi conto di quanto velocemente passasse il tempo... quanto a Lucia, era così contenta di essere di nuovo con la signora Giorgia e il professor Michele che quella giornata scolastica non le fece alcun tipo di effetto.
All'intervallo Micaela si ricordò del quaderno di Luca, che era ancora tra le sue mani.
"Di' un po', angioletto... di chi è quel quaderno tutto consumato che stringi tra le mani? Perché non lo butti via?" chiese Carlotta, quando giunse il momento dell'intervallo.
"Beh, vediamo... è del signor Tuoi..."
"Il signor Tuoi?"
"Sì... Non Sono Affari Tuoi!"
"Ma come ti permetti? Eccolo... vediamo un po' chi scrive..."
Carlotta fece l'atto di afferrare il quaderno, ma Micaela si alzò di scatto, dandole le spalle. Non ebbe il tempo di cercare Toto: raggiunse la porta, sperando di non inciampare, e corse nella classe adiacente, sperando di trovarvi Luca... ma lui non c'era... c'era solo Kaleb: quello che un tempo era stato il suo migliore amico.
"Luca? Luca, sei qui?" chiamò, per accertarsene.
"No... non c'è, fortunatamente. Ci sono solo io." disse Kaleb.
"Ah..." mormorò Mica. Quel gelo nella voce di Kaleb l'aveva intimidita.
"Perché lo cerchi?"
"Vedi... gli è caduto questo." spiegò Micaela, mostrando il quaderno. "Volevo solo restituirglielo prima che Carlotta ci mettesse le mani sopra... sono cose sue, capisci? Non mi piace che qualcuno possa... spiarlo, ecco."
"Sul serio? Dopo quello che ti ha fatto, non ti piace che qualcuno possa spiarlo?"
"No... senti, lo so che sei arrabbiato, ma... indicami solo dov'è il suo zaino. Quello vero... lo metto lì e me ne vado... per favore."
Kaleb rimase lì impalato. Micaela era praticamente unica: tirava fuori gli artigli solo per difendersi, ma non avrebbe mai fatto del male a qualcuno, se avesse potuto evitarlo.
"Dietro... nell'ultima fila, al lato destro." disse timidamente.
Micaela si diresse in fondo all'aula, raggiunse il banco e tastò lo zaino. Lo riconobbe subito: era proprio lo zaino del suo ragazzo speciale. V'infilò il quaderno, chiuse lo zaino e si voltò.
"Tu sei troppo buona, Micaela." le disse Kaleb. "Lui ti ha trattata malissimo, e tu gli restituisci quel dannato diario e..."
"Gli voglio bene" rispose semplicemente Micaela. "Lui è buono... sono sicura che non mi farebbe mai del male di proposito, davvero!"
In quel momento entrò anche Luca.
"Che... che ci fai qui, Micaela?" balbettò.
"Hai perso il quaderno" rispose Micaela. "L'ho mostrato solo a Gabriele... per capire di chi era."
Detto questo, fece per dirigersi verso la porta, ma finì per inciampare in uno zaino abbandonato lì per terra. Due mani calde le circondarono la vita e in quel momento il cuore della ragazza saltò letteralmente un battito.
"Stai... bene?"
Micaela era scossa dai brividi, nonostante le mani di Luca fossero decisamente calde. Il respiro del ragazzo le batteva sul viso, e quella voce le faceva venire la pelle d'oca. Non riusciva a trovare la voce per rispondergli.
"Ti senti bene, Micaela?" ripeté il ragazzo.
"S-sto... bene..." balbettò la ragazza.
Fece un passo indietro, nel tentativo d'interrompere quel contatto che le risultava a dir poco imbarazzante.
"Bene..." disse. "Ci sono... altre cose sul pavimento?"
Luca le afferrò istintivamente la mano e la condusse alla porta.
"Ecco... sei arrivata!" le disse.
Micaela non sapeva se pensare che lui voleva metterla alla porta o desiderava prenderla per mano.
"Grazie... allora io... io torno in... in classe" balbettò agitata, cercando di lasciarlo andare.
"No!" esclamò Luca. "Ti ci accompagno io... sei tesa... potresti farti male, se ti distraessi."
"Non c'è bisogno, davvero" disse lei. Quella situazione stava diventando una vera tortura.
Ma lui non le diede retta. La portò in classe, senza mollarle la mano neanche per un secondo. Lì di fronte c'era il custode, come al solito... non era contento di starle alle costole, specialmente dopo averla vista mano nella mano con il ragazzo che le piaceva, nonostante lei non lo ammettese neanche a se stessa, ma in quella scuola la parola "privacy" era un concetto estraneo.
Poi, però, vide la faccia di Micaela: era talmente rossa che sembrava febbricitante.
"Grazie, Luca. Da qui in poi la signorina non ha bisogno di un cavaliere" gli disse sorridendo, per smorzare un po' la tensione.
"Va bene... allora io... io me ne vado in classe" disse il ragazzo, lasciando a malincuore quella mano morbida e tremante. "Ehm... ciao, Micaela... e, a proposito, per stasera..." Le si avvicinò all'orecchio e le sussurrò l'augurio teatrale, lasciandola di stucco.
"Come fa a saperlo? Io non gli ho detto niente." disse Micaela, esitante.
"Lui a volte partecipa a quello che facciamo. È per questo che sa tutto della compagnia." le spiegò Gabriele.
La ragazza sorrise, diventando ancora più rossa.
"Tranquilla, Mica... non ti farà un'improvvisata durante lo spettacolo..."
Avrebbe voluto dire: "Al massimo dopo", ma lo tenne per sé.
Le parole che aveva letto sulla pagina leggermente stropicciata l'avevano colpito nel profondo. Voleva aiutare Luca, e sapeva che c'era solo un modo per permettergli di chiarire con Mica: la musica.
"Ti va di andare in cortile, tesoro? Magari alla fontana... sei così rossa che... come dice Ron? "Ti si potrebbe friggere un uovo sulle guance"! Magari così ti rinfreschi un po'." disse premuroso Gabriele.
"Wow!" esclamò Micaela. "Allora ti sta piacendo! Ti ho dato un buon consiglio!"
"Eccome! Magari se lo trovo, lo proporrò anche io a te, un bel libro!"
Micaela sorrise. Non disse nulla, ma a Gabriele quel sorriso bastò.
Mentre raggiungevano il cortile, Luca rientrò in classe.
"Come mai Micaela era qui?" chiese, sedendosi a quello che era diventato il suo posto.
"Te l'ha già detto lei... per restituirti il quaderno degli appunti di musica... quello che hai perso stamattina." rispose secco Kaleb.
Luca scavò nello zaino e afferrò il quaderno.
"Non posso crederci... l'ha trovato lei!"
Luca afferrò il quaderno e se lo strinse al petto. Non sapeva perché, ma pensare che anche lei l'aveva toccato gli faceva passare per il corpo una specie di elettricità... ma non quella vera, che se ti colpisce ad un'intensità eccessiva di volt finisce per ucciderti... era qualcosa di diverso.
"Sì... l'ha trovato lei!" rispose Kaleb. "E, sai, io ero tentato d'indicarle lo zaino sbagliato, di farlo leggere a qualcun altro... ma lei l'ha capito subito e mi ha convinto a non farlo! Te lo ripeto: sei un perfetto idiota per esserti fatto scappare una ragazza così buona... una che ti grida contro solo se tu l'hai fatto per primo, ma non ti farebbe mai del male di proposito."
"Ma non l'ha letto, vero? Con qualche App per la scansione dei... dei fogli scrittio roba simile?"
"No. Non ha letto niente e non se l'è neanche fatto leggere da qualcuno, e sai perché? Perché dice che è una cosa tua e che non s'intrometterebbe mai nelle tue cose."
Luca rimase lì, impalato... non era più sufficiente maledirsi in ostrogoto per le cattiverie che aveva detto a quella ragazza... chiunque avrebbe potuto leggere quel quaderno, a cominciare da quella strega di Carlotta che non faceva che mettere in giro voci ridicole... ma lei, Micaela, aveva protetto quell'oggetto come se lui non le avesse mai fatto del male.
Ripensò al contatto che avevano avuto poco prima. Lui le teneva le mani sui fianchi... solo per impedirle di cadere, ma la sua vicinanza lo destabilizzava. Poteva sentire il suo cuore, che aveva accelerato i battiti e il suo respiro irregolare... la ragazza stava tremando, in quel momento... era malferma sulle gambe e se lui non l'avesse tenuta per la vita, probabilmente le avrebbero ceduto le ginocchia. Aveva le guance così rosse che avrebbero potuto usarle come camini.
E lui? Anche lui era agitato: guardava intensamente il suo viso, soffermandosi sulle labbra secche, tremanti... respirava affannosamente, e al contempo cercava di prendere più aria possibile, perché sembrava che fosse a corto di ossigeno. Avrebbe voluto avvicinarsi, darle almeno un bacio sulla guancia... gli piaceva tanto stare vicino a lei... gli piacevano i suoi abbracci, morbidi e accoglienti, che ti facevano dimenticare tutto il mondo... gli piaceva quella vocina delicata, leggermente tremante e dolcissima, sia quando parlava che quando, sotto pressione, cantava. Gli piaceva la sua pelle morbida, quasi sempre accaldata, a parte le mani, che diventavano gelide quando era nervosa per qualcosa... e gli piacevano anche i suoi occhi: quegli occhi inerti, ma così espressivi, così dolci, che non importava quanto fossero spenti. Gli mancava troppo quel contatto ravvicinato... avrebbe tanto voluto fermare il tempo, ma purtroppo non era possibile.
Alla fine dell'orario scolastico, tutti uscirono in corridoio per fuggire dall'inferno dantesco che era la scuola. Tutti sgomitavano per uscire, spingendosi, mentre Micaela se ne stava in classe, sorvegliata a vista dalla docente di sostegno come una prigioniera.
"Se vuoi oggi puoi uscire con me." le disse la donna. "Se non altro, per non aspettare qui..."
"Mi scusi, professoressa, ma di Micaela mi occupo io!" intervenne Gabriele, entrando in classe. "Coraggio, vieni... attrice in erba..."
Quest'ultima cosa la disse ad alta voce. Voleva che la docente, che era stata tra quelli che credevano che Micaela non fosse in grado di fare determinate cose sapesse quanto si sbagliava.
"Attrice? Lei? Mi scusi, signor Gabriele... ma Micaela non può..."
"Vede... una volta le donne non potevano calcare le scene... e non per qualcosa che effettivamente fosse un problema, ma solo per un pregiudizio. Le parti femminili le facevano gli uomini. Ma... mi dica: non è meglio che l'arte adesso sia accessibile agli uomini come alle donne? Perché per Micaela dovrebbe essere diverso?"
"Ma... mi scusi: Micaela è..."
La donna si bloccò, non riuscendo a dire quella parola.
"Oh, per l'amor del cielo! È così difficile dire "cieca"?" intervenne Micaela. "Lo dica: non mi offendo mica per questo..."
"Che c'entra il fatto che sia cieca? La testolina le funziona benissimo."
"Sì, ma... i movimenti... e le espressioni..."
"Per le espressioni, a nessuno vengono a comando... nessuno di noi è Al Pacino. Per i movimenti... vorrei che venisse con noi, professoressa... ma non dovrà prendere sottobraccio Micaela per nessun motivo."
"Ma..."
"Coraggio, si fidi. Andrà tutto bene."
Uscirono dalla classe. Micaela si fermò un attimo, in ascolto... poi si diresse verso la folla che andava verso l'uscita. Seguendo quel flusso di persone, trovare l'uscita fu un gioco da ragazzi.
"Devo andare da lei... è pericoloso!" disse la professoressa.
"Assolutamente no!"
Gabriele la trattenne: sapeva che, se Micaela avesse avuto bisogno di aiuto, avrebbe alzato la mano.
La ragazza, senza troppi problemi, svoltò a sinistra e raggiunse le scale.
"Ma... non può camminare da sola!"
"Il bastone serve a camminare da sola!"
"Ma... per le scale può essere pericoloso!"
"Per tutti è pericoloso salire e scendere le scale... ma non per questo tutta la scolaresca aspetta qualcuno che l'accompagni fuori. Micaela non è di vetro... e ha vissuto cose che le hanno fatto molto più male di una semplice caduta..."
"Lei... mi sta dicendo che non l'accompagna?"
"Sì, lo faccio, ma alla distanza che stabiliamo io e lei. Se lei ha bisogno di aiuto, essendo troppo timida per dirmelo, mi fa un segno... io la raggiungo e l'aiuto. Altre volte è lei ad aiutare me... non siamo nel Medioevo. Ovviamente sul palco non può sempre portare con sé il suo bastone, ma quando non può farlo, i movimenti li concordiamo insieme."
"E come fate?"
"Lei mi dice come si gestisce, io le dico come la penso e troviamo una via di mezzo... in genere, se posso evitare di farlo, non le faccio contare i passi, perché lei non lo ritiene un metodo efficace... ma per girarsi, le dico le posizioni dell'orologio o di voltarsi di un quarto, due quarti e così via... a volte cammina tenendo la mano di qualcuno del gruppo, ma questo non dipende solo dai suoi occhi... le vogliamo tutti bene, ci fa piacere darle la mano, mi creda."
"Ma perché mi ha fatto fare questo?"
"Se una ragazza può uscire in autonomia da un edificio, perché non potrebbe salire su un palco?"
E detto questo, l'uomo le lasciò il braccio. Sapeva che la donna non era il tipo da dimenticare certe cose, ma sapeva anche che Micaela si vergognava troppo per insistere nel farle fare un'esperienza del genere.
"Non mi fraintenda: per me è un piacere passare del tempo con ragazze come Micaela... ma non come guardia del corpo... come amico. E le dirò un'altra cosa: l'unica parte che non fa il suo lavoro sono gli occhi... lei è molto intelligente... e ho voluto io che facesse parte della squadra, quando una ragazza ci ha letteralmente piantati in asso..."
"Non capisco... perché proprio lei?"
"Perché era giusto" si limitò a rispondere l'uomo.
Raggiunse Micaela, posandole una mano sulla spalla.
"Forse da oggi sarai più libera" le disse a bassa voce.
"Ma... tu mi hai scelta davvero perché..."
"Ma certo! Però tu non mi crederai mai finché non finiremo il tuo primo spettacolo... solo degli estranei possono darti le conferme delle quali hai tanto bisogno."
"Sai... prima, quando Luca mi ha accompagnata in classe... è successo che... che mi ha fatto... ehm, l'augurio teatrale."
Gabriele sorrise: "È molto orgoglioso e fa fatica a scusarsi..."
Micaela scosse lentamente la testa.
"No, non credo... e poi... magari sarà anche arrabbiato per il fatto che avevo quel quaderno..."
"Com'è possibile che tu riesca a farti complessi anche quando è palese che non ce n'è bisogno?" la stuzzicò il custode.
"Hai ragione... hai ragione da vendere" gli fece eco lei. "Ma... vedi: è più forte di me."
"Non c'è nessuna fretta... ma sono certo che riuscirai a... non dico "superare" questa cosa... non ci sono riuscito io in tutta la mia vita... non mi stupirebbe se anche tu ci dovessi mettere del tempo... ma quantomeno riuscirai ad arginarla."
Micaela si passò una mano sul viso.
"Se penso che stasera sarà il momento... accidenti, sono talmente nervosa..."
Lui non le disse nulla. Era più che ovvio che la ragazza fosse agitata, e sapeva di non poter fare nulla, se non starle accanto.
Quando Micaela rientrò a casa, praticamente non riuscì a toccare cibo. Era talmente nervosa che anche volendo non ne sarebbe stata capace. Non faceva che tormentarsi: era logorata dal dubbio di non riuscire a fare al meglio quello che aveva imparato nel poco tempo che aveva trascorso lì.
Anche Luca era molto nervoso. Avrebbe voluto essere lì con lei, darle coraggio, dirle che era brava, ma lei non gli avrebbe di certo creduto... e forse vederlo lì l'avrebbe resa ancora più nervosa.
"Luca! Ehi!" Andrea lo raggiunse, mettendogli una mano sulla spalla.
"Ciao..." disse piano il ragazzo.
"Che succede? Perché quella voce, Luca?" gli domandò la ragazzina, prendendogli tutt'e due le mani e stringendogliele forte.
"È che sono un vero idiota!" rispose il ragazzo.
"No... sei un quarto di idiota: ti sei reso conto quasi subito di aver preso un granchio."
"Sì... ma non ho il coraggio di dirglielo, Andrea!"
La ragazzina non aveva potuto non perdonarlo subito dopo aver saputo che lui aveva scoperto tutto e stava male. L'aveva visto scoppiare in lacrime, nascondersi dai suoi genitori e da suo fratello Mario: l'unico che ancora abitava lì con loro... l'aveva visto bagnare di lacrime Selene, la sua chitarra magica.
"Lo sai... io... io non... non sono così... non potrei mai trattare tanto male una persona, se..." disse, continuando a rigirarsi il braccialetto che portava sempre al polso.
"Se non provassi un dolore tremendo per quello che ha fatto quella persona" gli venne in soccorso Andrea. "Lo so che non lo faresti mai, Luca... uno che ha vissuto... voglio dire... quello che hai vissuto tu fino ad oggi, non fa le cose a cuor leggero. Anzi... scusami se ti ho chiamato idiota... è che mi ha fatto male sentirti dire quelle cose su Micaela... lo sai: nemmeno io mi fido facilmente delle persone... ma lei..."
"Lei è un angelo" la interruppe Luca.
"Sì... ma questo di solito lo dice Gabriele!"
"Lo so... e ha perfettamente ragione. Sai, oggi mi è caduto il mio quaderno... quello in cui scrivo le mie composizioni. Sai, non mi piace che qualcuno lo legga... lei non l'ha scannerizzato, non se l'è fatto leggere... ha chiesto solo a Gabriele di controllare di chi fosse, ma non si è fatta dire niente... non sa nemmeno che l'ultima pagina l'ho scritta pensando a lei, capisci? Me l'ha restituito e basta... dopo tutto quello che ci siamo detti... capisci?"
"Lei è come te. È testarda, orgogliosa come poche... ma è anche molto gentile. Anche lei ha il suo bel carico da sopportare. Vedrai, un modo per dirle che ti dispiace lo troverai di sicuro."
"Perché invece di dirlo non glielo canti, angelo mio?"
Anna, sua madre, lo raggiunse e gli prese una mano. "Oh, ciao, Andrea" aggiunse, notando la ragazzina che era accanto al figlio.
"Oh... ciao, Anna" la ricambiò Andrea. Si conoscevano da tanto tempo, ormai... per questo lei dava del tu ai genitori del suo migliore amico. "Sai... ero qui con Luca, e stavamo... ecco... stavamo..."
"Parlando di quella ragazza: Micaela!"
"Sì... mamma, io... io le ho fatto del male, e..."
"E le vuoi bene. E sai cosa? Io l'ho vista... anche lei vuole bene a te, non immagini quanto. È solo troppo timida per fare il primo passo... forse ha paura di farti arrabbiare di nuovo. Per questo ti dico... cantaglielo, quello che provi... vedrai che ti verrà molto più facile."
"Ma come faccio? Magari lei non mi vuole vedere..."
"Ricordati che tutti voi siete miei amici... tu fai anche parte della compagnia! Siete tutti invitati, ovviamente... come sempre... si è occupata tua mamma di prendere i posti, sai?"
"Ma... come faccio? Vado lì, prendo e canto?"
"Il pianoforte del teatro" intervenne un'altra voce. "È sempre lì, chiuso in un armadio... farò in modo di fartelo trovare... alla fine dello spettacolo ti farò un segno... e tu dovrai tirar fuori quella bella voce che ti ritrovi, anche perché poi vi voglio ascoltare insieme!"
Naturalmente, quando fu il momento di andare, Gabriele non rivelò a nessuno cosa voleva fare, ma chiese a Riccardo e Dario, un altro membro della compagnia, di dargli una mano a sistemare il pianoforte su un carrellino.
Nel camerino delle donne c'era fermento: alcune andavano avanti e indietro, altre ridevano per non pensare.
"Mica... vuoi venire con me sul palco, prima che venga la gente? Cinque minuti e poi ci cambiamo, okay?"
"D'accordo... ma perché? Cos'è, un rituale?" chiese Mica.
"Sì... il mio rituale. Poi, ovviamente, ognuno ha il suo... per esempio, tutti insieme ci mettiamo a cantare una canzone in particolare... ovviamente sottovoce... poi c'è l'augurio teatrale, e poi... beh, c'è chi ha dei talismani... o roba del genere."
"Chissà quale sarà il mio, di rituale?"
"Beh, lo scoprirai oggi. Dai, vieni!"
Salirono insieme sul palco e si sedettero per terra.
Le strinse la mano, sorridendo, e si sincronizzarono quasi subito nella respirazione. Dopo qualche secondo si alzarono e fecero un giro per il palco. Erano cariche. Terrorizzate, certo... ma cariche.
Era strano come si comprendessero, come fossero vicine... erano amiche... e lo erano diventate talmente in fretta da non essersene quasi rese conto. Si erano trovate subito, letteralmente... come due koala, si erano volute bene e basta.
Tornarono in camerino e Andrea diede una mano a Micaela a cambiarsi.
"Scusami... mi sento un fardello per te e mi dispiace tanto" mormorò Micaela.
"Ringrazia il cielo che è del tutto impossibile arrabbiarsi con te!"
"Ma... ma io..."
"Lo so. Non ti va di chiedere aiuto... ti vergogni. Ma non c'è niente di grave... e poi ti ho già detto che non sei un fardello: ti rendi molto utile... ci fai da suggeritore, cerchi di calmarci anche se sei terrorizzata e poi... quella cosa che hai trascritto tutto il copione per me non è assolutamente essere un fardello..."
Quando tutti furono pronti, Micaela si chiuse in un mutismo che era troppo persino per lei.
"Ehi... che ti prende, piccola?" le chiese Gabriele.
"No... no, niente... sto bene."
E invece era tutto: Micaela era letteralmente terrorizzata! Ci sarebbero stati i suoi genitori, che volevano assistere allo spettacolo, che l'avevano sostenuta per tutto il tempo, c'era Gabriele che aveva creduto in lei e le aveva affidato quel ruolo, c'era Andrea, quella ragazzina che le aveva dato tanta fiducia... e tutta la compagnia, che l'aveva accolta, le aveva insegnato i movimenti, le aveva fatto capire che non era impossibile far parte di uno spettacolo ad occhi chiusi. Cosa sarebbe successo se avesse sbagliato, se avesse rovinato tutto? Come avrebbe potuto scusarsi con tutti loro? Certo, deludere se stessa era facile, era abituata, ma deludere loro no... non voleva che accadesse, non poteva permetterlo!
"Ehi! Pensa che sia un gioco... "Facciamo che io ero"! Ci hai mai giocato, da piccola, Micaela?" le chiese Gabriele.
"Sì... quando ero molto piccola ci giocavo" rispose lei.
"Ecco. Qui è la stessa cosa... devi solo divertirti, goderti il momento."
"Ho paura di combinare un disastro."
Questo fu tutto, ma a Gabriele bastò.
"Tieni... questa ti farà bene" le disse, passandole una bottiglietta d'acqua. "Ah, no, aspetta... forse la preferisci in un bicchiere!"
"No, no... va bene, grazie" gli disse lei, stringendo tra le mani la bottiglia e portandosela alle labbra, che aveva consumato a forza di morderle per il nervosismo.
"Non succederà niente del genere... sei molto brava, piccola... certo, c'è sempre da migliorare, ma non devi partire pensando di essere un completo impiastro! E ti ho già detto che non ti devi sentire in colpa, né con me, né con gli altri. Noi ti abbiamo accolta perché ti vogliamo bene e te lo meriti."
La ragazza si alzò di scatto: non riusciva più a stare seduta. Tese le mani verso di lui, che le afferrò prontamente, dandole una bella stretta, vigorosa e rassicurante.
"Ora dimmi una cosa: sei tu che stai caricando me o il contrario?" le chiese il custode.
"Credo... tutt'e due le cose!" rispose lei.
Lui le sfregò le mani sulle guance e, come al solito, le stampò un bacio leggero sulla fronte.
"Grazie."
A lui non era ben chiaro per cosa Micaela lo stesse ringraziando, ma gli venne da sorridere.
Lei, intanto, aveva scoperto il suo rituale. Quando Andrea la raggiunse, la prima cosa che le venne da fare fu stringerle forte le mani. La ragazza non si ritrasse. Al contrario: prese ad accarezzarle i dorsi delle mani.
"Sai... si dice che questo gesto carichi di energia."
"L'ho sentito dire anch'io, Mica."
Una porta laterale si spalancò di colpo, e una voce esclamò: "Mezz'ora!"
"Grazie" disse Gabriele. "Sei gentile a ricordarcelo!"
Quest'ultima parte, ovviamente, la disse a bassa voce: quello era uno degli ingrati compiti di un direttore di scena... fare il conto alla rovescia.
Anche in quel momento, Micaela aveva letteralmente le antenne: aveva capito che al direttore di scena è giusto dire: "Grazie", quando ti avverte dello scorrere del tempo, anche se l'ansia ti sta mangiando viva.
Un quarto d'ora... dieci minuti... Micaela e Andrea non sapevano assolutamente se sperare che il tempo andasse più veloce o che il momento del "Chi è di scena" non arrivasse mai... per la nuova arrivata, però, era molto più evidente, tanto che Gabriele cercò di stuzzicarla un po', per distrarla da quella sensazione di panico che la divorava da dentro.
"Allora, signorina? Sono venuti, i tuoi?"
"Sì... sì, ieri..."
"Ieri? Quando eravamo in prova?"
"Oh, scusa, scusami tanto... è che sone nervosa e... io..."
"Ehi, calma! Stavo scherzando... era per farti sciogliere un po', piccola" la rassicurò Gabriele.
"Perdonami... non ti ho offeso, vero?"
"No... certo che no... ma credo che ci sia ben poco da fare, per smorzare la tensione che hai addosso..." disse il suo amico, comprensivo. Infilò una mano sotto la maglietta e tirò fuori il suo medaglione. Prese le mani della ragazza e glielo fece sfiorare. "Tieni, mettiti questo..."
"Ma... non posso: è il tuo medaglione!"
"È il mio medaglione, e lo sto dando al mio angioletto che ne ha più bisogno di me."
Le si avvicinò, la fece girare di spalle e le fece scorrere il laccio del medaglione intorno al collo.
"Però... però sarà in prestito" disse Micaela. "È l'oggetto più caro che hai... non potrei mai portartelo via... dopo lo spettacolo giuro che te lo restituisco... te lo giuro!"
Gabriele era stupito: c'erano poche persone, pochissime, buone come quella ragazza.
Allo scatto dei cinque minuti, tutti si riunirono sotto il palco e misero insieme un coretto improvvisato, sussurrato, per non farsi sentire dalla gente... ma Micaela era convinta che sarebbe risultato piacevole alla platea, da ascoltare... da una parte, perché aveva ridotto al minimo la sua voce, dall'altra perché erano un gruppo unito, che s'intendeva alla perfezione... che aveva il suo rituale: un rituale del quale, quella sera, anche lei aveva il piacere... anzi: dal suo punto di vista persino l'onore, di far parte. Subito dopo il "coro portafortuna", tutti sovrapposero le mani, formando una specie di torre, il "capobanda" contò fino a tre e l'intero gruppo lanciò l'urlo liberatorio, gridando la "parola magica del teatro", quella che, all'epoca delle carrozze e dei cavalli, indicava che c'era molta gente.
Poi la parola fatidica: il "Chi è di scena."
Fino ad un istante esatto prima di salire sul palco, Micaela avvertì un costante vuoto allo stomaco e la sgradevole sensazione di non ricordare nulla... poi venne il momento di entrare, e fu in quell'istante che la ragazza dimenticò la paura, i crampi allo stomaco, il corpo scosso dai brividi... dimenticò gli occhi che forse la stavano guardando. Non era più "Micaela la cieca, la timida, l'imbranata", come si vedeva lei... era una specie di Cenerentola la sera del ballo: irriconoscibile persino a se stessa.
Fino ad un momento prima di entrare in scena, strinse forte il medaglione che Gabriele le aveva prestato, dicendo sottovoce al piccolo Alex di aiutarla, di starle vicino, perché era letteralmente terrorizzata. Forse fu quello a darle la carica, o forse, quando entrò in scena, l'ansia si trasformò automaticamente in adrenalina: quell'adrenalina che ti fa dare il meglio di te, che ti aiuta a non sentirti fuori posto e a filare dritta come un treno, a far bene le cose, anche se ti si stanno torcendo le budella.
Non le sembrava vero che gli applausi della platea fossero per lei, e non per qualcun altro che in quel momento calcava le tavole incantate... anzi: non poteva proprio credere di esserci, su quelle tavole!
Finito il suo momento... il primo momento, fu accolta da Gabriele, che le prese il viso tra le mani e le disse: "Hai visto?" Niente di più e niente di meno, e naturalmente le parlò con la voce al minimo, per non farsi sentire dalla gente... ma a Micaela quelle due parole risultarono più che sufficienti.
In sala, intanto, Sofia guardava commossa quello che accadeva in scena... le veniva da ridere quando era il momento, e anche di cuore... ma la commozione era dovuta al fatto che non aveva mai visto sua figlia così. Su quelle tavole incantate non era più timida, impaurita, esitante: era diversa... e le sembrava stupenda! Anna, la madre di Luca, le era seduta accanto. Quando ci fu l'intervallo le due donne si scambiarono un'occhiata e parvero capirsi al volo. Tutt'e due si preoccupavano molto per i loro angeli.
Lucia, per la prima volta seduta tra due persone che non la guardavano mai di traverso, poté godersi appieno lo spettacolo. Era felice, perché la sua migliore amica era lì... era riuscita ad abbracciare la sua timidezza, accoglierla come caratteristica e al contempo metterla da parte per il tempo dello spettacolo... e per un attimo le venne da pensare che anche lei, Lucia, avrebbe potuto fare qualcosa del genere.
Anche Luca se ne stava lì, a guardare... era totalmente preso, e solo in quel momento si rendeva conto di quanto lui e Mica si somigliassero. Anche lei, come lui, era molto schiva, si vergognava di tutto, e poi... amava un'arte che comprendeva tutto, musica compresa: il teatro. Quella sera infatti aveva sia cantato che recitato, senza farsi troppi problemi. Avrebbe tanto voluto salire su quel palco e abbracciarla... lei era tra le poche persone con le quali avesse legato subito... e non voleva assolutamente perderla! Per un attimo pensò di andare dietro le quinte durante lo spacco, ma non voleva destabilizzarla, per cui rimase lì, per tutto il tempo, lasciandosi prendere da quella storia.
Quando venne il momento dei ringraziamenti, Gabriele trovò il modo di commuovere Micaela, che riuscì a stento a reprimere le lacrime che spingevano per venir fuori.
"Vi hanno mai detto: "Non puoi fare quello che ti piace perché sei così"? A lei è capitato molto spesso. Perdonami il termine, Micaela: "Non puoi fare teatro perché sei cieca"! Ma a lei piaceva tanto... pensate che i primi tempi si metteva lì", (e indicò con il dito l'ultima sedia a sinistra), "in fondo alla sala. Poi... una ragazza è venuta meno... e questo piccolo angelo mi ha detto di aver trascritto l'intero copione con il telefono e una tastiera Braille mentre ci guardava... voleva farlo avere a qualcun altro, ed era terrorizzata all'idea di farci sfigurare... ma ha fatto l'esatto contrario, visto che siete ancora tutti qui, non è vero?" E fece un cenno a Luca. "Fatti vedere... Micaela Ferrante!" E prima di lasciarla andare le spostò una ciocca di capelli dal viso. Poi tornò indietro, mentre la ragazza era ancora scossa da quello che le era stato detto, e aiutò Mirko a portare il pianoforte. Micaela tese le mani, alla ricerca di un appoggio per scendere dal palco, ma si sentì afferrare la mano sinistra da una presa calda e fin troppo familiare.
"A proposito di lei io... io dovrei fare una cosa... un fuori programma... due minuti e sparisco, lo giuro!"
Si girò verso il pianoforte, lasciando lentamente la mano della ragazza, e chiuse gli occhi. Conosceva molto bene quello strumento: non aveva certo bisogno di vedere i tasti per sapere cosa fare.
Due minuti e sparisco, aveva detto... ma Micaela non voleva, non voleva che lui sparisse, né dopo un minuto, né dopo cent'anni... non voleva che se ne andasse... ma non ebbe il tempo di pensarci, perché le dolci note del pianoforte la portarono lontano... non la ricatapultarono nella realtà, ma molto più lontano... e poi...
"Ti proteggerò
dalle paure delle ipocondrie,
dai turbamenti che da oggi
incontrerai per la tua via.
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo,
dai fallimenti che per tua natura
normalmente attirerai...
Ti solleverò dai dolori e dagli sbalzi d'umore...
dalle ossessioni delle tue manie...
supererò le correnti gravitazionali,
lo spazio e la luce per non farti invecchiare...
e guarirai da tutte le malattie,
perché sei un essere speciale
ed io avrò cura di te."
Micaela sentì il cuore battere a precipizio, mentre il ragazzo cantava... ricordò che lui le aveva detto che sua madre lo chiamava "angelo" e quella definizione non le parve assolutamente esagerata. Sembrava che Luca fosse altrove... e che potesse portarla con sé... che potesse farle... vedere... poi, alle parole di Battiato si sostituirono quelle del ragazzo.
"Avrò cura di te
anche quando non ne avrai bisogno,
avrò cura di te per tutto il giorno.
Quando piangerai e non me lo vorrai spiegare
e quando permostrarmelo, poi, inizierai a ballare.
Avrò cura di te, perché mi fai stare bene!
Sei un essere speciale ed è speciale stare insieme!
Ti porto nel silenzio, perché parlerai con gli occhi,
sei un essere speciale anche quando mi tocchi..."
L'ultimo verso lo cantarono insieme: lui con un soffio di voce... lei in lacrime.
"Perché sei un essere speciale... ed io avrò cura di te."
Ci fu una vera e propria esplosione di applausi. Micaela era semplicemente commossa, asfaltata dalle troppe emozioni. Cercò le mani del ragazzo, a mezz'aria... e quando si sentì afferrare da una mano calda e familiare, istintivamente, senza pensarci, se la portò al petto, esattamente al centro... nella zona del cuore.
Bum-bum-bum. Era una batteria completa, il cuore che batteva sotto le dita del ragazzo... e il suo, poi, ne valeva almeno due, di batterie. Senza pensarci un attimo, l'attirò a sé e la portò via, dietro le quinte.
"Perdonami" disse semplicemente, "ti giuro che farò di tutto per riparare."
Micaela faceva fatica a parlare, per il groppo che le premeva sulla gola, ma in qualche modo riuscì a trovare la voce per rispondere: "Ti sei già fatto perdonare... e tu, invece, mi perdoni?"
Il ragazzo rimase in silenzio. Non capiva: cosa avrebbe dovuto perdonarle?
"Ti ho detto... delle cose orribili, Luca. Mi dispiace tanto... davvero."
Luca tremava, stretto in quell'abbraccio così morbido, caldo e accogliente... poi quell'aura angelica che aveva solo lei, la sua Micaela, parve tranquillizzarlo.
"Ti sei solo difesa... va tutto bene!" la rassicurò.
E in quel momento, pur senza dirselo, si scambiarono una promessa: ognuno dei due avrebbe avuto cura dell'altro... tutti i giorni, anche quando non ce ne sarebbe stato bisogno... e, anche se fossero rimasti solo amici, sarebbe andata bene così.

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