"I tuoi genitori?" ripeté il professor Michele, guardandola preoccupato. "Lucia, sei sicura? È una cosa molto grave, quella che stai dicendo..."
"Non potrei non ricordare quella macchina" rispose la ragazza, pallida e tremante. "Mi porti carta e penna, la prego... le scrivo il numero di targa!"
"Va bene... ascolta una cosa, tesoro... scrivimi questo numero di targa. Io cercherò d'indagare, d'accordo? Non possiamo mandare in prigione due persone per la visione di un secondo."
"Ma lei mi crede, vero? Non crede che io stia delirando."
"Ma no, non credo che tu stia delirando, tesoro... ma, vedi, dopo quello che ti è successo con loro... chiunque potrebbe pensare che tu ti senta in pericolo... che tu li veda dappertutto, diciamo così... a partire dalla polizia, capisci? Potresti passare dalla parte del torto... per questo non posso partire a spron battuto e accusarli, capito? Ma ti credo, tesoro... ti giuro che ti credo."
E le credeva veramente. Sapeva che quella gente era capace di tutto, che sarebbe stato irrilevante per tipi del genere investire una ragazzina, che fosse di proposito o meno. Non si facevano scrupoli a demolire fisicamente e psicologicamente la figlia... cosa gliene sarebbe importato di fare del male ad una ragazza che tra l'altro disprezzavano per un motivo irrilevante?
"Perché non andiamo a casa, tesoro? Sarai molto stanca" le fece notare l'uomo, preoccupato.
"Non posso... non voglio lasciare da sola Micaela... è colpa mia se è qui."
"Perché dovrebbe essere colpa tua?" le chiese il professor Michele, accarezzandole teneramente i capelli per calmarla.
"Perché quell'auto era destinata a me!"
Se la prima rivelazione era grave e spaventosa, la seconda sfiorava l'assurdo. Come potevano, due genitori, voler addirittura mettere a rischio la vita della loro figlia? Ma forse era a lui, a Michele, che bruciava da matti, una cosa del genere.
Lui, che un figlio l'aveva perso, avrebbe fatto di tutto per riaverlo accanto... e quei due, che una figlia ce l'avevano, arrivavano a questo?
"Ti prometto che scopriremo cos'è successo e perché i tuoi genitori hanno fatto quello che hanno fatto... ma se non stacchi un po' finirai per ammalarti anche tu."
"Non voglio, professor Michele!"
"Non vuoi andartene da qui fino a quando non saprai qualcosa in più, non è vero?" le chiese lui, con gentilezza.
La ragazza poté soltanto annuire. La testa le faceva anche piuttosto male, ma in quel momento le importava poco o niente. Non pensava ad altri che alla sua amica, che in quel momento era distesa in un letto d'ospedale. Si sentiva maledettamente in colpa... pensava che se fossero tornati tutti a casa, se LEI fosse tornata con il professor Michele, la signora Giorgia e il signor Gabriele, Micaela non sarebbe stata in pericolo.
"Non lo devi neanche pensare!" le disse piano l'uomo.
"Pensare a cosa?" chiese debolmente la ragazza, abbassando lo sguardo.
"Non devi nemmeno pensare che sia colpa tua, se Micaela sta così." le rispose l'uomo. "Se non fosse uscita con te, a Micaela sarebbe successo qualcos'altro... queste cose non si possono prevedere... e te lo dice uno che ne sa qualcosa."
"Lei ne sa qualcosa?" ripeté Lucia. Lei non sapeva nulla di Alex. Non sapeva dell'inferno che il professore e sua moglie avevano vissuto. Non sapeva del senso di colpa che li perseguitava.
"Se vuoi ti racconto perché, ma non vorrei farlo qui" disse il professore. "Ti prometto che dopo ti riporterò dalla tua amica... ma è una cosa molto delicata, e se uscisse qualcuno che non conosco... beh, tu puoi capirmi, vero?"
Era l'unico modo che aveva per allontanarla per un po' da quel posto infernale. Gli sarebbe costato molto raccontarle di lui, ma non voleva che quel maledetto senso di colpa la tormentasse. Accettare che ad una persona buona accadesse qualcosa di brutto era impossibile... ma il senso di colpa a lungo termine ti può distruggere, e Lucia era già stata distrutta abbastanza dalla sua famiglia, per continuare a tormentarsi da sola.
"Va bene." sussurrò Lucia, arrendendosi.
Il professor Michele chiamò un taxi per non costringere il fratello a fare avanti e indietro, e lui e Lucia arrivarono a quella che da pochi giorni era casa di entrambi.
"Vieni, Lu... siediti" disse piano l'uomo, mentre la guidava verso una sedia.
Lucia, tutta tremante, si lasciò cadere su una sedia.
"Professore, io non voglio obbligarla a parlare, se questa cosa la fa soffrire" balbettò Lucia, preoccupata all'idea di far soffrire un uomo che le stava facendo praticamente da padre.
"Non mi stai obbligando a fare nulla, Lu... sono io che ho deciso di aprirmi con te... perché tu ci hai dato un motivo per stare meglio" la tranquillizzò lui.
Prese un lungo respiro e, per la prima volta dopo anni, raccontò di nuovo quella storia.
"Vedi, io... io avevo un figlio. Si chiamava... Alessandro... ma io lo chiamavo Alex."
"Professore!" esclamò Lucia, vedendo gli occhi dell'uomo inumidirsi e sbattere più volte.
"Lui amava correre" riprese l'uomo, afferrando le mani di Lucia per prendere coraggio. "Qualche gara l'ha vinta, qualche altra l'ha persa... ma una volta ha perso la gara più importante di tutte. Eravamo in macchina... lui mi aveva chiesto di cambiare la stazione radio... voleva ascoltare le sigle di alcuni cartoni animati... io volevo inserire il suo CD, ma ho sbagliato tasto... e c'è stata la voce di qualcuno che leggeva: "A Silvia" di Leopardi. Ma non ho fatto in tempo a fare nient'altro, perché un'auto è venuta dall'altra parte della strada."
"Professore, per l'amor del cielo..."
"Per evitarla io... ho virato a sinistra... ma ci siamo schiantati..."
"NO!" gridò Lucia, scattando in piedi e abbracciando l'uomo.
Lui era in lacrime, avvertiva dolore in tutto il corpo, non faceva che singhiozzare come un disperato... Lucia non oteva vederlo in quello stato, per questo si era alzata dalla sedia, gli era corsa incontro e l'aveva abbracciato forte.
"Non ti posso vedere così, papà!" esclamò senza pensarci. Quante volte l'aveva chiamato in quel modo, nonostante lui non fosse il suo papà biologico? Eppure, non le era mai venuto così naturale pronunciare quella parola. "Se il tuo bambino non ce l'ha fatta non è stata colpa tua!"
L'uomo continuava a piangere tra le braccia di quella ragazzina fragile e forte al tempo stesso, che ne aveva passate tante... troppe, in soli diciassette anni. Poi un calore piacevole avvolse entrambi. Fu come se qualcuno di invisibile li stesse accarezzando, per incoraggiarli. Per Michele, quel qualcuno era il suo Alex... per la piccola Lucia, invece, era la sua Micaela: l'amica di tutta una vita, quella che l'aveva protetta fino all'ultimo... anche rischiando la vita. E s'immaginavano le loro voci... o forse le sentivano davvero. "Mi hai ritrovato, papà... non ci separeremo di nuovo!" "Hai trovato una famiglia, Lu... qui c'è la tua vera famiglia!"
"Posso restare con te? Non voglio andare in un'altra famiglia!" mormorò Lucia, alzando lentamente la testa.
Michele non ebbe bisogno di farselo ripetere. La prese in braccio e, come faceva con il suo Alex, le diede un bacio sulla testa.
"Ma certo... certo che puoi restare con me, angelo mio!" le disse con dolcezza.
Giorgia entrò in quel momento. Era andata via prima dall'ospedale, perché voleva stare un po' con loro, con suo marito e con quella ragazzina che avrebbe tanto voluto come figlia. Trovò Michele e Lucia abbracciati, in lacrime... e capì che lui aveva raccontato tutto alla piccola... era il pass per il suo cuore, quella storia infernale. Senza dire nulla andò loro incontro e si aggregò all'abbraccio, sorridendo. Loro erano distrutti... per questo voleva essere lei a sorreggerli.
In ospedale, intanto, Luca si era finalmente alzato dal letto. Era ancora pallido, ma si reggeva senza troppa fatica sulle gambe.
"Luca! Come ti senti, tesoro?" chiese la signora Ferrante, andandogli incontro.
"Io... m-meglio, grazie... e lei come sta?" chiese il ragazzo, prendendo la mano della donna.
"Vedrai, starò meglio" rispose Sofia. "Ci vuole tempo... ma la mia piccola è forte."
Luca sorrise amaramente: anche Micaela cercava di non far preoccupare le persone alle quali voleva bene. Mentre ci pensava, il suo sguardo si posò su qualcosa che giaceva abbandonato contro il muro.
"Toto..." disse con un filo di voce. Lo afferrò saldamente, portandoselo vicino al petto, e prese ad accarezzarlo come lì dentro ci fosse stata una parte di lei. "Posso... posso tenerlo io? Solo finché non si sveglia... per favore..." disse con un filo di voce.
"Ma certo... certo che puoi tenerlo!" rispose Sofia. Sapeva che Luca voleva molto bene a sua figlia... e poteva dargli uno degli oggetti più cari che aveva. Alla ragazza avrebbe fatto piacere che fosse lui a restituirglielo, appena si fosse risvegliata... se si fosse risvegliata... accidenti, quanto faceva male!
"Quando potrai andare a vederla... portaglielo vicino al letto..." mormorò Gabriele. "Quella ragazza non ama dipendere dagli altri... e sarà contenta di sapere che sei tu ad avere il suo Toto... sei tu il custode, ora."
"Però ora dovreste rientrare" disse con dolcezza Sofia, "è molto tardi... hanno dovuto portare via anche Lucia... povera piccola, era così spaventata..."
"Grazie!" disse Gabriele. "Glielo dico a nome di mio fratello... lei e suo marito... voglio dire... è vostra figlia che sta male, ma... ma a nessuno di voi due è venuto in mente di sfogarsi su di lei... Lucia si sente così in colpa, e... se al vostro posto ci fossero stati i suoi genitori.. l'avrebbero riempita d'insulti... Michele le vuole bene come ad una figlia... e ci sono voluti anni per..."
Sofia non sapeva perché Gabriele le stava dicendo quelle cose, ma Anna, Luca, Miriam e Andrea, che invece conoscevano tutta la storia, si scambiavano occhiate incerte.
"La colpa è di quel pirata della strada che l'ha investita e lasciata lì... che ha lasciato due ragazzine in mezzo alla strada, una svenuta e l'altra terrorizzata" ripeté Sofia, e più ci pensava, più se ne convinceva. "Signor Gabriele... domani chieda a suo fratello di non portarla a scuola... mi dia il suo indirizzo, se lui non può lasciare il lavoro e la signora Giorgia deve tornare qui mi occuperò io di lei."
"È sicura?" chiese Gabriele.
"Ma certo!" rispose semplicemente Sofia.
"Luca... amore, non credi che dovremmo tornare a casa?" chiese titubante Anna.
"Scusami, mamma, ma io... ecco... non me la sento di andare... non ancora" balbettò il ragazzo in risposta.
"Vai con tua madre, Luca... sei stato poco bene, non vorrei che ti strapazzassi troppo" gli suggerì Sofia.
Il ragazzo, però, non si mosse. Gabriele gli appoggiò una mano calda sulla spalla.
"Anna, se vuoi lo accompagno io più tardi... starà bene, te lo prometto. Ma fidati: è inutile insistere... il ragazzo è testardo!"
Anna lo guardò, interrogativa... poi Davide, il padre di Andrea, si offrì di riportarla a casa. Andrea e Miriam non se la sentivano ancora di andarsene, per cui Gabriele si offrì di riaccompagnare anche loro.
"Per qualsiasi cosa chiamateci" disse Davide. Guardò Sofia, che se ne stava seduta su quella sedia d'ospedale a fissare il nulla, e le appoggiò una mano sulla spalla. Anche sua figlia, quando era molto piccola, era finita in ospedale a causa di una febbre che non ne voleva sapere di andare via... lui e Miriam, così come la signora Marzano, potevano capirla.
Prima di andare via, Davide passò a salutare anche il signor Ferrante, e sia lui che la signora Marzano si offrirono di aiutarlo in tutto e per tutto.
"Mi scusi, signora Sofia... io vado a vedere come sta suo marito... non credo se la senta di stare qui dentro, mi dispiacerebbe lasciarlo da solo." disse Gabriele, alzandosi dalla sedia per raggiungere il cortile dell'ospedale.
"Le va un caffè, signora Sofia?" chiese Andrea, premurosa.
"Sì... forse è meglio..." rispose Sofia. Era preoccupata, ma non sapeva quanto a lungo l'adrenalina l'avrebbe sostenuta.
Non voleva rischiare di addormentarsi per sfinimento. Voleva prima vedere sua figlia.
"Aspetta un secondo, Andrea..."
Ma la ragazza aveva già capito che la donna voleva darle i soldi e si era diretta rapidamente al bar. Prese cinque caffè, di cui ne consumò uno per ricaricarsi, poi andò fuori, a portarli a Gabriele e al padre di Micaela, e infine tornò da Luca e Sofia, per portarlo anche a loro. Dovette scappare da tutti, perché tutti volevano sapere quanto avesse pagato per i caffè. Si sedette su quella sedia di plastica che cigolava ad ogni minimo movimento, emettendo un rumore a dir poco sinistro.
"Luca..." disse piano, guardandolo preoccupata. Il ragazzo era pallido, continuava a fissare il pavimento e si stringeva al bastone di Micaela come fosse stato un'ancora di salvezza. "Luca, guardami, ti prego!"
"Non... non ci posso credere..." balbettò il ragazzo, rivolgendo gli occhi rossi in direzione dell'amica. Si sfilò lo zaino, ne estrasse il suo quaderno e fece leggere ad Andrea una pagina in particolare.
"Say Something?" chiese Andrea, fissando la pagina.
"Sì... ho scritto una cosa... quando non avevo il coraggio di parlare con lei... perché non le ho chiesto scusa prima? Perché sono stato così..."
"Umano" disse Andrea, accarezzandogli una guancia. "Sei stato umano, Luca."
"L'ho trattata malissimo... e ora che avevamo chiarito è successo questo!"
"Non potevate saperlo! Né tu, né lei!" ribatté Andrea. "Ma dimmi: una parte di quel testo l'hai scritta quando hai saputo quella cosa, vero?"
"Sì..." rispose lui con un filo di voce. "Una parte in quel momento... e una parte dopo aver saputo che lei non c'entrava niente con quella storia!"
"Perché non torni a casa, Luca? Domani ti porti dietro Selene... o il pianoforte... e gliela canti sotto la finestra! Vedrai che le farà bene sentire la tua voce. Magari non te lo ricordi... io non so come funziona... ma secondo me potevi sentire i tuoi cari, quando ti parlavano o ti stringevano la mano... perché per Micaela dovrebbe essere diverso?"
Micaela... sentir fronunciare il suo nome, in quel momento, fu una coltellata per Luca... gli venne in mente che, solo il giorno prima, lei gli aveva fatto fare un gioco.
"Ti va di diventare socio onorario di Blindworld?" chiese la ragazza, ridendo.
"Che vuol dire? Mi cucirai dei bottoni sugli occhi stile Coraline?" chiese lui, sorpreso.
"Cosa? No, per chi mi hai preso?" gli chiese la ragazza, senza smettere di ridere. "Non ci sarà bisogno di arrivare a tanto..."
"Come si fa?" chiese Luca.
"Devi solo chiudere gli occhi e fidarti di me!" rispose Micaela, euforica.
"Ah, se è solo quello non ci vuole niente... io mi fido ciecamente di te!" esclamò Luca, facendola ridere. Micaela era contenta che fosse stato lui a dirlo, invece di aspettare che glielo chiedesse lei. E, dopo quello che era successo, Luca sapeva di potersi fidare di lei in tutto e per tutto.
Chiuse gli occhi, e per farle capire che non stava imbrogliando, si avvolse una sciarpa intorno alla testa.
"Fatto!" esclamò.
Micaela lo raggiunse e lo prese sottobraccio.
"Che bello essere in un parco!" esclamò Micaela, sorridendo. "Qui non ci sono pericoli... e c'è il Sole!"
Luca alzò istintivamente il viso. Un calore piacevole gli accarezzava la pelle che la sciarpa non copriva. Micaela, che aveva sentito il ragazzo respirare profondamente, sorrise.
"Ti piace?" chiese Mica, sorridendo.
"Sì... molto." le rispose il ragazzo.
Micaela continuava a tenerlo sottobraccio. Luca la sentiva tesa, ma non era agitata... era in ascolto. Il vento fece muovere qualcosa e la ragazza vi si diresse, camminando piano per non farlo sentire in pericolo.
Tese la mano sinistra in avanti e raggiunse qualcosa di morbido e delicato... dei fiori. Prese ad accarezzarli delicatamente, come per far loro le coccole.
"Aspetta, ti aiuto" disse. Gli prese la mano che poco prima il ragazzo aveva appoggiato sul suo braccio per farsi guidare e la posò delicatamente tra i petali dei fiori.
"Quando la maggior parte della gente si trova davanti ad un cumulo di fiori, in genere li associa ad un altro tipo di sensazione" disse, continuando a far scorrere delicatamente le dita sui petali, come se stesse coccolando la testa di qualcuno. "Io sarò strana... ma li associo al tatto."
"Davvero? Perché?"
Luca, esitante, le andò più vicino, facendo sfiorare i loro corpi.
"Perché anche i fiori sono esseri viventi, no? Ti piacerebbe se qualcuno ti spiaccicasse addosso la faccia ogni cinque secondi? Baci sulle guance e sulla fronte esclusi... quelli sono molto belli. Voglio dire: io mi sentirei a disagio."
"Beh, messa così... non hai tutti i torti!" rispose lui.
"Invece quando fai questo... stabilisci un contatto... e se la sensazione ti piace, puoi prolungarla... se non ti piace, invece... beh, puoi lasciar perdere o fare più attenzione. Con le rose, per esempio, devi stare attento."
"Ti piacciono le rose?" le chiese il ragazzo.
"Diciamo che le capisco. Le rose sono come le persone speciali... quelle come te, ad esempio. Le spine rappresentano le barriere che si costruiscono intorno perché nessuno possa far loro del male... ma se impari a conoscerle, a toccarle con delicatezza... ecco, scoprirai che quelle mura non sono così invalicabili e che dietro c'è qualcosa di magico."
"Io non saprei che fiore associare a te..." disse Luca, sorridendo. "Sei molto dolce... timida... a volte diffidente... non lo so, sono in difficoltà."
"Mi accontenterò di un colore, allora!"
"Sei mai stata sulla neve?"
"Sì... ma non mi ricordo molto... ero piccola, quando ci sono andata."
"Beh... immagino ti abbiano detto che la neveè bianca, no?"
"Sì, me l'hanno detto..."
"Ed è morbida... tu per me sei il bianco: un colore delicato... che rappresenta l'innocenza, ecco... sì, il tuo colore è proprio il bianco!"
"Io invece penso che tu sia un arcobaleno... quando ero piccola, mia madre me lo descriveva come un ponte magico di sette colori. Secondo una leggenda, i colori stavano litigando di brutto... poi si è messo a piovere... e loro si sono spaventati tanto che si sono abbracciati e hanno dimenticato perché litigavano."
"Ma dimmi una cosa: perché per te sono un arcobaleno?"
"Perché hai moltissime sfumature... sei dolce, sensibile, istintivo, testardo, e... sei tante cose!"
Si erano abbracciati. Luca aveva sentito la sciarpa scivolargli via dalla testa e le dita delicate di Micaela sfiorargli il viso mentre districava il nodo, ma non aveva voluto ancora aprire gli occhi. Voleva capire come fosse abbracciare qualcuno senza guardarlo... e, con le mani nel vuoto, aveva preso a cercarla... lei aveva fatto un passo avanti e i due si erano abbracciati forte, finendo per cadere in mezzo ai fiori. Erano rimasti così per un po', stretti l'uno all'altra... e in quel momento Luca aveva avuto l'assoluta certezza che lei, Micaela, non avrebbe mai fatto nulla per fargli del male... non di proposito, almeno.
Una volta riaperti gli occhi, l'aiutò a tirarsi su e la fece girare di spalle, per poi affondare le dita tra i suoi riccioli.
"Ti stanno benissimo, i petali tra i capelli... ma visto che non mi crederai, è meglio che te li tolga, non credi?" le disse con un sorriso, togliendole i petali dai capelli, uno per uno, con delicatezza.
Gli venne un nodo alla gola mentre ci ripensava.
"Ieri era così contenta, mentre mi spiegava che le piaceva toccare i fiori... mentre mi diceva che le sembrava che chiunque potesse considerarlo strano, ma lei li associava al tatto... quando mi ha chiesto di chiudere gli occhi."
Andrea si alzò dal suo posto e lo abbracciò... e in quel momento li raggiunsero anche i genitori di Micaela e il signor Gabriele e si unirono tutti in un abbraccio.
"Scusate..." s'intromise gentilmente la dottoressa che aveva seguito il caso di Micaela, "potete vedere la ragazza, se volete... ma per favore, non più di uno o due alla volta, d'accordo?"
"Andate... a-andate prima voi..." balbettò Gabriele. "Siete i suoi genitori... a-avete il... il diritto di stare un po' con lei per... per primi... d-davvero."
Luca lo guardò: non ricordava di averlo mai visto così.
I due si avviarono lungo il corridoio e la dottoressa li precedette.
Quando si avvicinarono e videro la ragazza distesa sul lettino, coperta di tubi e flebo, con una manina che spuntava per caso in mezzo al groviglio di fili, i due scoppiarono di nuovo a piangere. Se prima si erano trattenuti o avevano pianto in silenzio, quell'immagine fu veramente troppo da sopportare per loro.
"Ciao, amore" disse piano Sofia. "Non so se... se puoi sentirmi... però ci provo lostesso. Qui fuori ci sono Gabriele, Andrea e Luca... c'era anche Lucia... ma stai tranquilla: il professor Michele e sua moglie l'hanno portata a casa con loro... sai, per darle il tempo di riprendersi un po' e tornare a trovarti. Era un po' triste, sai? Ma... vedrai: domani starà meglio e tornerà a farti visita... però devi svegliarti il prima possibile, tesoro... lo sai che Lucia è testarda, se non glielo spieghi tu che non è colpa sua non ci crederà mai."
Marco, il padre di Micaela, non aveva proprio la forza di parlare con sua figlia, immobilizzata in quel letto... non riusciva a pensare che lei fosse in grado di sentirlo... se ne stava lì, con la sua croce stretta tra le mani, e pregava senza far rumore.
"Micaela... non sai quanto manchi a tutti... ci mancano le tue guance rosse, il tuo modo di ridere... le tue risposte ad effetto, la tua gentilezza."
Luca, che non aveva resistito e si era appostato fuori dalla porta, rimase ad ascoltare... le guance rosse, quella risata cristallina, le risposte ad effetto che solo lei sapeva dare... la sua gentilezza! Lui non credeva che potesse esistere una ragazza gentile come Micaela! Poteva difendersi, ma non attaccava mai per prima... ed era in grado di sentirsi in colpa per aver detto una parola cattiva anche alle persone che le facevano del male.
"Lo so che lei è un angelo... ma qualche angelo serve anche qui sulla Terra" disse piano, accarezzando il suo braccialetto. "Non prendertela... non portarla via, ti prego!" Si lasciò scivolare per terra, con le spalle che strisciavano contro il muro.
Intanto nella stanza d'ospedale la signora Ferrante continuava, imperterrita, a parlare alla figlia.
"Luca, Andrea e Gabriele sono ancora qui, piccola. Non hanno voluto lasciarci da soli!"
Prese un lungo respiro, guardandola e stringendo la sua mano fredda, ma non le venne in mente altro da dire. Non sapendo cos'altro fare, si mise a giocherellare con le dita della ragazza.
"Sofia... scusa, ma io... io non ce la faccio... non la posso vedere così." sussurrò Marco, spostandosi dal letto e uscendo lentamente dalla stanza.
Luca si alzò di scatto, ma non lo fermò. Sapeva che l'uomo aveva bisogno di stare tranquillo, che l'ospedale non faceva assolutamente per lui. Lo lasciò andare, guardandolo da lontano... anche se gli dispiaceva tanto per la signora Ferrante.
Entrò lentamente nella stanza e si diresse verso il letto. Raggiunse la donna e, senza sapere neanche perché, l'abbracciò.
"Luca..." disse lei con un filo di voce, voltandosi nella direzione del ragazzo. Si sentì sollevata da quella stretta forte e delicata al contempo... forse perché anche la sua bambina l'aveva abbracciato ed era come se lui, in un certo senso, stesse facendo da tramite.
"Mi dispiace tanto" sussurrò il ragazzo, trattenendo a stento le lacrime.
"Va tutto bene, caro" lo rassicurò lei, rivolgendogli un sorriso. "Hai visto chi c'è, amore mio? Il tuo amico Luca è venuto a vedere come stai..."
Luca sciolse delicatamente la presa dal corpo di Sofia.
"Sai cosa facciamo? Ora vi lascio un po' soli... magari Luca si vergogna di parlare davanti a me... ma io sono qui fuori... non me ne vado, piccola mia."
E detto questo si alzò dal pavimento e raggiunse la porta.
Luca si avvicinò di più al letto, prese la mano di Micaela e se la portò sul viso.
"Lo so... ti sentiresti a disagio se sapessi che ti ho spiaccicato la faccia addosso... ma mi piace quando mi tocchi il viso, lo sai? E poi... ti capita mai di dare un bacio sulla guancia a qualcuno e pensare che vorresti dargliene un altro, un altro e un altro ancora? Ti capita mai di accarezzare il viso di una persona, o abbracciarla, o, che ne so, tenerle semplicemente la mano, e pensare che non vorresti più lasciarla andare? A me succede spesso."
Premette dolcemente le labbra sulla mano gelida di Micaela... era così morbida... e così maledettamente fredda...
"Accidenti! Sei gelida, Mica... di solito sei la prima alla quale vengono le mani fredde, specie in inverno... ma questo è troppo, anche per te... non lo so... forse è per il famoso proverbio: "Mani fredde, cuore caldo" o qualcosa del genere. Anche se in realtà il tuo cuore è sempre caldo, a prescindere dalle mani." Stava parlando a vanvera, ma non sapeva cos'altro dire. Le lasciò andare dolcemente la mano, ma quella ricadde inerte sul letto. "E pensare che non ti piace essere costretta a dipendere da qualcun altro!" esclamò, vedendo che la sua mano ricadeva pesantemente sul letto. "E guardati ora, piccola... ti hanno impedito anche di muovere le mani! Ma io ti giuro che farò di tutto per guidarti all'uscita. Ci sono stato anch'io lì, dove sei tu, lo sai? Non mi ricordo granché, ma ho visto due angeli... due angeli che se ne sono andati troppo presto. E... e poi, la mia mamma ha incontrato una donna... una che le ha detto che mi sarei svegliato... e ora sono qui, a parlare con la mia Mica... con il mio piccolo Cupido. Lo sai che nei quadri Cupido è rappresentato con gli occhi bendati? Forse è vero che l'amore è cieco. D'accordo, non tutti i ciechi sono l'amore, ma tu sì... tu sei l'amore, come dice Gabriele. Sei l'amore perché sei dolce... sai fare tante cose... e perché sei bella... sì, così come sei!"
In quel momento Luca avrebbe accettato qualunque risposta, anche il solito: "Lo dici perché mi vuoi bene" e simili... ma quel silenzio fu un pugno allo stomaco per lui.
"Ascolta... ti andrebbe se ti cantassi qualcosa? Magari ti svegli perché ti viene voglia di cantare con me... o giusto per farmi smettere."
Non ci fu alcuna reazione. Luca si mise a cantare la sua versione di: "Say Something", tenendo sempre la mano di Micaela e gli occhi chiusi. Non era sicuro che Micaela lo stesse ascoltando, ma ci sperava con tutto il cuore.
"Non te la sei presa, vero? L'insegna con scritto: "Pericolo" era perché... perché c'era stata quell'incomprensione tra di noi... non penso che tu sia un pericolo... al contrario! Però che sono stato tremendo con te è vero... io sono fragile, lo sai. Sono stato un disastro con te, piccola... ma mi mancano così tanto i tuoi abbracci... mi manca incontrarti a ricreazione, fuori dalla scuola e... e, cavolo, mi manca la tua voce... mi manca quel senso di pace che provo solo quando mi metti una mano sul braccio e mi dici: "Non ne vale la pena, Luca, lasciali perdere"!"
Prese ad accarezzarle il dorso della mano, dolcemente, e rimase lì, in silenzio, per qualche secondo.
"Allora? Non mi dici niente, Mica?"
Rimase in silenzio, ad ascoltare qualunque rumore ci fosse nella stanza, ma l'unico suono che gli giunse alle orecchie fu il continuo trillo dei macchinari che monitoravano Mica. Il suo respiro non lo sentiva. Sapeva che lei era viva, ma i suoni di quegli apparecchi erano così forti che anche volendo non sarebbe riuscito a distinguere il suono che sperava di sentire.
"Ti prego, dimmi qualcosa... anche se devi dirmi che sono stato un disastro!"
Niente da fare: la ragazza non reagiva.
"Guarda che ti ho portato!" esclamò il ragazzo, senza perdersi d'animo. Le prese la mano e l'appoggiò sull'impugnatura del bastone. "C'è il tuo Toto... ho chiesto di... di tenerlo io... perché quando lo tengo tra le mani mi sembra di poter avere una parte di te... sono strano anch'io, sai? Tu che associ i fiori al tatto... io che associo una ragazza meravigliosa all'oggetto che usa più spesso... forse è per questo che siamo amici... è per questo che ti sei aperta con me, non è vero?"
Allungò la mano che non stringeva la sua verso la testata del letto e prese ad accarezzarle i capelli... erano più scompigliati che mai, ma così morbidi che il ragazzo, nel toccarli, sentì che i suoi muscoli si rilassavano poco a poco. Continuò a coccolarle la testa, anche se forse lei non sentiva niente, ma... assolutamente no: lui non credeva che lei non sentisse niente. Lui aveva pianto, quando suo fratello Domenico gli aveva messo le cuffie e gli aveva fatto ascoltare alcune sue canzoni. Se lui aveva pianto per quello, anche se non lo ricordava, perché lei non avrebbe dovuto sentire quello che i suoi cari dicevano?
"Se ti ho amata lo rifarò..." disse con dolcezza. "Non sono mai riuscito ad odiarti... neanche quando credevo che mi avessi fatto una cosa brutta... io non lo so che mi succede quando sono qui con te, Mica... anzi: quando sono con te in generale."
No, non lo sapeva davvero cosa gli succedeva, ma sapeva di non aver mai provato niente di simile, prima.
"Posso darti un bacio?" le chiese. "Stringimi la mano una volta se posso e se lo preferisci sulla fronte, due volte sulla guancia e... e..." Ma si bloccò. "No, non posso... non posso farlo, se itai così. Fronte o guancia."
Poi si ricordò di aver dimenticato un particolare.
"E se non vuoi che ti dia un bacio, non ti muovere." concluse. Non sapeva perché lo stava facendo, ma in quel momento sentiva la necessità che lei gli dicesse qualcosa... qualsiasi cosa. "Di' qualcosa!" Così diceva la canzone: "Say something!" E lui aveva un disperato bisogno che lei gli dicesse qualcosa... in qualunque modo...
E lei qualcosa gliela disse. Prese a stringergli la mano, ad intermittenza. Una stretta. Pausa. Due strette. Pausa. Tre strette. A Luca sembrò addirittura che seguisse il ritmo della canzone che lui le aveva cantato poco prima. "Dimmi qualcosa" le avrebbe voluto dire lui... ma fu un sollievo sapere che lei qualcosa aveva detto. Le si avvicinò cautamente, senza lasciarle la mano, e premette con delicatezza le sue labbra sulla fronte della ragazza... era scosso dai brividi, stando lì, a contatto con lei... ma non voleva staccarsi... non voleva allontanarsi.
Scese giù, lasciandole una scia di baci su tutto il contorno del viso, e si fermò a poca distanza dalle sue labbra... ma rimase lì, con il viso premuto contro la guancia di lei... come se stesse cercando di passarle linfa vitale attraverso le labbra, sperando che attraversasse i pori della sua pelle e la riscuotesse... continuava a tenere le labbra premute contro la guancia della ragazza, come se anche per respirare avesse avuto bisogno di lei.
"Dimmi qualcosa..."
Mormorò quella frase senza staccarsi da lei, con le labbra che gli tremavano. Non sapeva neanche perché gliel'avesse detto, ma sperava che servisse a qualcosa... sperava che lei, poco a poco, tornasse a parlare con lui.
Non sapeva perché, ma non aveva intenzione di andarsene. Appoggiò la testa sul letto, accanto a quella di Mica, e chiuse gli occhi. In quel modo, nonostante non si udisse altro suono oltre a quello delle macchine, il ragazzo poté finalmente sentire il respiro della sua Micaela... era leggero e fresco, come sempre, e quel soffio delicato gli accarezzò la pelle del viso fino a farlo addormentare...
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Volontariamente disadattati
FanfictionDue professori dalla sensibilità straordinaria. Un custode che sarebbe un grande insegnante, ma se ne sta alla larga dalle cattedre e aiuta i ragazzi stando insieme a loro. Un gruppo di adolescenti diversi dagli altri, ognuno con la sua particolarit...