-8: Un Incubo Ogni Giorno.-

30 0 0
                                    

Mai come quel giorno ai ragazzi le tre ore che mancavano alla fine della scuola erano sembrate eterne. Si sentivano tremendamente nervosi per quello che era accaduto al professor Michele, anche se la loro tensione non sembrava aver fatto presa sul resto della classe.
Carlotta non perse occasione per infastidire Micaela: "Che c'è, tesoro? Oggi la tua guardia del corpo non c'è e sei rimasta in classe? E come mai Luca non è venuto a prenderti, stavolta? Magari si è svegliato e ha capito che è una perdita di tempo andar dietro a una come te! E neanche la piccola Lucia ha vicino il suo straniero? Forse quello ha ritrovato quel poco di cervello che aveva!"
Micaela non la degnò di una risposta. Non si scompose nemmeno. Carlotta la guardava, per capire se stesse piangendo o stringendo i denti, ma sembrava che quella sfilza di commenti su di lei non sortisse l'effetto previsto, tanto che, alla fine, la ragazza dovette lasciar perdere... anche se a Micaela non fu chiaro se la cosa dipendesse dal fatto che aveva capito che era inutile stuzzicarla o dall'improvviso ingresso dell'insegnante dell'ora successiva.
In ogni caso, si stupiva ogni volta di più di come l'intera classe, esclusa Lucia, ridesse a mezza voce di quelle frecciatine. Forse era in classe con un mucchio di robot collegati tra loro tramite Bluetooth, che Carlotta poteva controllare in qualche modo. Le venne da sorridere a pensarci, e quell'idea assurda le permise di sopportare l'ansia che la mangiava viva dall'interno mentre le ore scorrevano, più lente del solito, se possibile.
Lucia non fu altrettanto brava a controllarsi. Quei commenti le facevano un male tremendo e, ovviamente, le creavano un mucchio di complessi di proporzioni cosmiche. Stavolta nemmeno lei aveva reagito nel solito modo, ma la sua espressione parlava per lei... in ogni caso, appena entravano i professori, il "pagliaccio" smetteva di parlare.
Quando finalmente giunse l'ora di uscire, la professoressa di filosofia non perse tempo a fermare Micaela.
"Aspetta!" disse in tono secco. "Non puoi uscire da sola, lo sai."
"Ma..." balbettò incerta Micaela.
"Micaela, lo sai che non te ne puoi andare in giro da sola... è una nostra responsabilità."
Ah, ma davvero... col cavolo: diventa così solo quando vi fa comodo, pensava la ragazza, mordendosi la lingua per non dirlo ad alta voce. Possibile che non capissero?
"Un momento, Barbara!" disse una voce familiare, mentre la persona in questione si avvicinava. Micaela percepì un contatto fresco sulla mano sinistra. "Le ragazze vorrebbero vedere come sta il professor Michele e io sto andando da lui... lascia che le accompagni lì... ci saranno anche Luca e Kaleb... e se, come dici tu, succede qualcosa a Micaela, sarà colpa mia... io sono pur sempre della scuola, no?"
L'insegnante di sostegno e la professoressa d'arte si scambiarono occhiate che, per ovvi motivi, Micaela non poteva vedere, mentre la docente di filosofia faceva uscire tutti gli altri dalla classe.
"E va bene. Mi raccomando: falle portare il bastone e dille di..."
"Oh, andiamo! Non è una bambina, e comunque il bastone non si usa a mo' di stampella... se deve utilizzarlo, nessuno deve tenerla per mano, altrimenti è perfettamente inutile."
Micaela si alzò dalla sedia, con il viso illuminato da un sorriso pieno di gratitudine. Erano pochissimi, quelli che avevano l'abitudine di rapportarsi alla ragazza di Blindworld, come diceva lei, per capire come faceva le cose, facendole domande... ed erano anche di meno quelli che, dopo averle chiesto le cose, ascoltavano anche la risposta.
Tra gli adulti della scuola ne aveva contati solo tre.
La professoressa Angelica, che quando era in gita con lei le camminava accanto, ma senza tenerle la mano da un lato e farle portare Toto con l'altra come se fosse una stampella.
Il professor Michele, che aveva voluto addirittura bendarsi e farsi guidare da lei per la classe, giusto per farsi un'idea di cosa potesse servirle a livello d'indicazioni, aveva deciso d'imparare il Braille, aveva chiesto a lei in che modo si orientava, (perché ognuno vive l'esperienza in modo diverso), e soprattutto al cinema faceva di tutto per evitarle le descrizioni, notando che la infastidivano molto.
E naturalmente, come poteva non pensare a Gabriele?
Era stato così buono con lei, fin dall'inizio... e soprattutto: prima di fare una cosa qualunque, aveva l'abitudine di chiedere direttamente a lei. Le chiedeva se le serviva aiuto a fare qualcosa, in che modo voleva che le spiegasse i percorsi, (perché l'aveva capito benissimo che lei non voleva essere marcata stretta), e, naturalmente, quando gli capitava di leggere di qualche "oggetto per quelli come lei", come dicevano i professori, prima di spedire pratiche di qualunque tipo su ordine della scuola per ottenerlo, aveva la delicatezza di parlarne con lei o, al massimo, di fare in modo che la ragazza lo provasse soltanto, senza essere in seguito costretta ad usarlo.
Era capitato, per esempio, che avessero voluto prenderle un computer praticamente "alla cieca", più di lei, senza averglielo mai fatto sperimentare.
La ragazza non era d'accordo: con il cellulare e il tablet se la cavava benissimo, ma aveva sempre detestato il computer, tanto più che quello che volevano prenderle aveva una voce decisamente fastidiosa e non c'era possibilità di modificarla... lei avrebbe preferito di gran lunga il frastuono della Dattilobraille a quella voce, che, tra l'altro, con tutta probabilità avrebbe dovuto ascoltare in cuffia per tutto il tempo. Aveva esposto i suoi dubbi a Gabriele quando lui l'aveva presa da una parte e gliene aveva parlato, e lui le aveva detto: "Senti, non hai qualcuno con un computer come quello, per caso?"
La ragazza ci rimuginò sopra, ma, nonostante conoscesse qualcuno, provava molta vergogna a chiedere.
"Non sono così in confidenza" ammise, "e le poche persone con cui ho stretto vivono lontano... dovrei provarlo più volte... ma perché mi devono complicare la vita? Perché non mi possono ascoltare, invece di fare come gli pare, perché?"
"Oh, andiamo, piccola... lo so che non è molto cortese che qualcuno faccia le cose che ti riguardano senza consultarti, ma non è detto che la cosa ti complichi la vita. Facciamo una cosa: quando verrà qui il tecnico mi farò spiegare come funziona lo... screen reader, si chiama, giusto?"
"Sì" rispose lei. "Però "lettore di schermo" sarebbe meglio... abbiamo una lingua così bella: perché dobbiamo sempre parlare in inglese?"
Il custode non poté non sorridere, a quell'uscita. "Sono d'accordo, ma per questa protesta ci sarà tempo... comunque: farò mettere il lettore su questo" disse pacato, facendole posare una mano sul portatile che aveva davanti. "Ovviamente non potrò impedire alla prof di sostegno di stare con te nell'ora di educazione fisica... quella che ti hanno sospeso perché ti sentiresti in difficoltà, ricordi? So che vogliono sfruttare quell'ora, per farti imparare a usare il PC... se vuoi, potrai venire qui... così mi aiuti a scrivere e intanto fai pratica, d'accordo?"
"Mi piacerebbe... a dire la verità, stando con lei potrei... sopportare meglio questa cosa. Non è che mi vada granché di sentire quella voce metallica per tutto il tempo."
"Beh, proviamo a metterla così... se proprio non riesci a sopportare questa storia, toglieremo tutto di mezzo e amici come prima..."
Micaela, assorta nei suoi pensieri, s'incamminò verso il portone della scuola, con i ragazzi e la professoressa Angelica che le camminavano accanto.
Ora che il sollievo per avere più persone sensibili intorno aveva smesso di sortire il suo effetto, le era tornato in mente quello che in parte le aveva detto Luca e in parte aveva capito autonomamente.
"Che cos'hai, Micaela? Perché hai quel faccino triste?" chiese la professoressa Angelica, mentre spingeva la sedia di Lucia verso le scale.
"Pensavo... a Gabriele... alla signora Giorgia e al... al professor Michele." rispose la ragazza.
Luca la guardò e avvertì subito un vuoto allo stomaco. Lei era una ragazza sensibile, ma non assomigliava affatto a quelle delle telenovelas... non cercava né di mascherarlo, né di ostentarlo. Non faceva altro che maledire se stesso per averle detto chi era Alex: avrebbe dovuto immaginare che la ragazza avrebbe reagito così.
"Sono sicura che staranno bene... tutti e tre" disse la professoressa Angelica, mentre, aiutata da Kaleb, tirava su la sedia a rotelle di Lucia.
Nel cortile della scuola, Luca vide una ragazzina dal volto familiare che sgomitava tra la folla di ragazzi per farsi strada e raggiungere il gruppo.
"Andrea!" esclamò Micaela.
"Ehi, Mica!" ricambiò l'altra, sorridendo.
Luca fu sorpreso... si chiedeva come avesse fatto la ragazza a riconoscere la sua voce tra le tante.
Andrea riuscì finalmente a raggiungere i ragazzi e la professoressa d'arte, e salutò tutti, uno per uno.
"Accidenti!" esclamò. "In questa scuola parecchi ragazzi sono peggio di un branco di elefanti!"
"Sai com'è? In questa scuola noi quattro siamo dei casi a parte." disse Luca, mentre prendeva la mano di Micaela e l'aiutava a salire a bordo dell'auto della professoressa Angelica.
"Voi avete avuto notizie?" chiese Andrea, mentre si metteva a sedere accanto a Mica, sulle ginocchia di Luca.
"Niente" rispose Kaleb, sistemandosi vicino a Luca.
La professoressa Angelica, intanto, prese in braccio Lucia e l'adagiò sul sedile anteriore per poi caricare la sedia a rotelle nel portabagagli. Lucia si agganciò la cintura di sicurezza e lo stesso fecero la professoressa Angelica e i ragazzi.
Il tragitto in auto fu decisamente silenzioso. Erano tutti in tensione. Il professor Michele si faceva voler bene... erano in pochi, rispetto a quanti ne meritasse, ma era entrato nei loro cuori come se niente fosse, con una facilità impressionante. Andrea conosceva sia lui che Gabriele da quando era piccola e aveva in parte vissuto con loro i momenti di crisi in cui i ricordi del piccolo Alex riaffioravano.
Anche Luca era stato cresciuto da qualcuno della famiglia, (nel suo caso da Gabriele), e non aveva incontrato spesso il professore, prima che diventasse tale... ma aveva assistito ad eventi simili a quello, e conosceva la storia perché, in un momento di crollo, il povero Gabriele gliene aveva parlato.
Kaleb non aveva incontrato prima né l'uno né l'altro, ma il professor Michele l'aveva accolto subito quando era venuto a studiare in quella scuola. A parte Luca, l'intera classe non faceva che deriderlo, e quanto ai professori, a parte Michele e Angelica, nessuno si era preoccupato del fatto che lui avesse difficoltà a stare al passo, non conoscendo molto bene la lingua. Il professor Michele, anche in orario extrascolastico, era rimasto con lui e, ricorrendo all'inglese per comunicare  l'aveva aiutato ad imparare l'italiano. Non si era arreso fino a quando il ragazzo non era riuscito ad ottenere la sufficienza in tutte le materie. Non a caso, lo chiamavano: "Il Robin Hood della scuola." Si occupava di tutti, ma specialmente degli emarginati, di quelli dai voti bassi e di quelli che facevano finta di essere imbattibili, tronfi, indipendenti... perché erano quelli che avevano più bisogno di qualcuno.
Micaela gli era riconoscente perché, invece di cercare di fare il saccente, di pensare che per lei fosse giusto solo quello che lui credeva, si era messo in gioco, rivolgendosi a lei, e l'aveva aiutata a sopportare la maggior parte dei suoi colleghi facendo in modo che non le stessero addosso. Quando in gita con lei c'era stato lui, (a Napoli Sotterranea, ad esempio), consapevole del fatto che la ragazza non voleva descrizioni per non perdersi cose decisamente più importanti, aveva fatto in modo che lei stesse con l'insegnante di sostegno solo nel momento in cui dovevano attraversare uno stretto cunicolo, al buio... perché lì nessuno di loro vedeva e, come volevasi dimostrare, era stata Micaela a trascinare l'insegnante per quel tratto. Sì, trascinare: esattamente come la donna faceva con lei né più, né meno. Oltre a tutto questo, notando il suo interesse per la lettura, il professore le aveva consigliato dei libri da leggere: non per la scuola, ma per semplice intrattenimento... aveva fatto in modo che i libri la distraessero da quel senso di malessere che provava ogni volta che varcava la soglia dell'edificio scolastico. La vedeva spegnersi emotivamente, a poco a poco, e cercava di rallentare il processo in tutti i modi che conosceva. E ora, sapere che era finito in ospedale per un motivo che le era chiaro in parte, le faceva davvero male.
Ma quella che stava peggio di tutti era Lucia. Quell'uomo per lei era un padre migliore di quello biologico. Si comportava con affetto con lei, l'accompagnava per mano, consapevole del fatto che lei la tappa dell'infanzia, quella in cui i genitori ti accompagnano e ti sostengono in maniera più evidente, l'aveva direttamente saltata. Lui si comportava con lei in quel modo, come con una bambina, non perché la considerava immatura, ma semplicemente perché voleva che lei si sentisse sicura di mostrarsi fragile... ne aveva tutto il diritto,. Alle interrogazioni le dava le cosiddette "imbeccate", proprio come a teatro, guidandola verso la risposta corretta, ma senza pressarla. Solo lui e la professoressa Angelica dicevano cose buone di lei. Le venivano gli occhi a forma di cuore quando aveva a che fare con lui. Lucia sapeva che, quando aveva dato un tema sui genitori, l'aveva fatto per lei... ovviamente la piccola non gli aveva rivelato quello che le facevano i suoi: loro non volevano e lei se ne vergognava troppo per rivelarlo a qualcuno che non fosse Micaela, ma lui l'aveva capito lo stesso. C'era stato, però, un giorno in cui lui ne aveva avuto la prova... ma, per non farla agitare non le aveva detto nulla.
Era accaduto quando la ragazza era stata convocata per un'assemblea con la famiglia. I genitori non facevano che guardarla in tralice e darle ad intendere che una volta tornati a casa avrebbero fatto i conti. Il professor Michele li aveva osservati. Aveva visto le loro facce contratte, aveva notato il modo in cui accoglievano ogni notizia che riguardava la figlia: quasi con disgusto, come se fosse tutta colpa sua... e soprattutto: aveva notato lei, che si era irrigidita sulla sedia. Le era seduto accanto e, istintivamente, le aveva preso la mano.
Dopo l'intervento con la Distasio, però, Lucia aveva raggiunto il culmine della sopportazione. Era spaventava, coperta di sudore freddo, e aveva lo stomaco sottosopra. Si alzò dalla sedia e fece qualche passo verso l'uscita.
"Dove vai, Grimaldi?" sbottò la Distasio.
Il professor Michele, per contro, si alzò di scatto e afferrò un cestino.
"Siediti" disse con dolcezza. Spinse la sedia verso di lei e la ragazza vi si lasciò cadere, aprì la bocca e finì per rigettare anche l'anima. Tenendole su i capelli che prima le coprivano il viso, il professore notò qualcosa che non doveva assolutamente essere lì. Poco sotto l'occhio, infatti, Lucia aveva un livido violaceo che tutto sembrava tranne che uno scontro frontale con una porta. Era il segno di una mano. La piccola, notando che lui stava guardando quel punto, che la stava vedendo in un momento veramente umiliante, era scoppiata a piangere.
"Mi scusi" singhiozzò disperata. "Mi vergogno così tanto, mi scusi, davvero."
"No, Lucia... non è successo niente... non c'è niente di cui vergognarsi, non preoccuparti." E, quando la ragazza ebbe finito, il professore spostò il secchio. L'aiutò ad alzarsi di nuovo e, contro il parere di tre quarti dei presenti, la portò in un bagno a caso e le sciacquò il viso. Tenendola per le spalle, aveva notato con orrore che ad ogni contatto la ragazza sussultava. Doveva essere stata punita molto di recente. "Ecco qua" disse in tono gentile. "Tieni, bevi un po' d'acqua... sei già così piccolina che non oso immaginare come tu sia riuscita a... voglio dire... beh, dai, non importa, piccola..."
Passandole una mano sul braccio l'uomo la sentì sussultare ancora una volta ed ebbe la conferma della presenza di lividi sulle sue braccia.
"Lu! Ehi!" disse Kaleb, riscuotendosi dai suoi pensieri e facendo altrettanto con lei. "Lu, vedrai che non gli succederà niente..."
In quel momento raggiunsero il parcheggio dell'ospedale.
La professoressa Angelica si avvicinò al banco informazioni e chiese dove si trovasse la camera del professor Michele.
Fecero due turni per prendere l'ascensore: Micaela, Andrea e Luca nel primo turno e Kaleb, Lucia e la professoressa Angelica nel secondo.
Una volta raggiunto il terzo piano, Andrea riconobbe subito due persone sedute l'una accanto all'altra. Erano un uomo e una donna, silenziosi, con gli occhi rivolti al pavimento, troppo agitati per potersi dire qualunque cosa.
"Gabriele! Giorgia!" esclamò, prendendo per mano Micaela e conducendola verso di loro. La professoressa Angelica spinse la sedia di Lucia e Luca e Kaleb si avvicinarono per ultimi.
"Che bello vedervi" sussurrò Gabriele.
Micaela si rese subito conto del suo tono. Era insolito sentirlo parlare in quel modo: con quella voce arrochita da un pianto trattenuto, spenta e stanc.
Gabriele le prese il viso tra le mani e le lasciò un leggero bacio sulla testa. In quel momento la ragazza ebbe la sensazione che stesse tremando.
"Come stai?" chiese prendendogli le mani. Conosceva già la risposta, ma nel sentire quella voce così insolita per lui, il cuore le era sprofondato nel petto, letteralmente.
"Non lo so spiegare" rispose il custode, afferrando la mano della ragazza e portandosela sul viso. Le dita fredde di Micaela si scontrarono con una superficie leggermente irruvidita dalla barba, ma morbida e bollente... anche a causa delle lacrime.
"Mi dispiace tanto" disse, stringendogli le mani. "Ma... ma è importante che siate venuti qui... voglio dire: ora lui è con qualcuno che può aiutarlo a rimettersi in sesto, e..." Ma si bloccò sul posto, raggelata da una dolorosa consapevolezza. Per il male del cuore non c'era molto che i medici potessero fare. "Perdonami... ho detto una cosa stupida, perdonami."
Ma in quel momento sia Gabriele che Giorgia sorrisero.
"Sei un angelo, piccola... non devi scusarti, davvero." Le prese il viso tra le mani, sfregandole le guance. "Guarda che faccia che hai!" I suoi occhi si soffermarono su quel viso da angioletto, come diceva lui... sapeva bene che la ragazza viveva il dolore degli altri come se fosse suo. Gli faceva tenerezza... una grande tenerezza. Vide che lei strizzava gli occhi e iniziò a maledepsi in tutte le lingue, persino quelle sconosciute, per averle fatto capire come stava. Avrebbe dovuto immaginare che Mica avrebbe reagito in quel modo.
"Non è niente... davvero" disse lei, cercando di mostrarsi tranquilla.
"È molto bello che tutti voi siate così legati a Michele."
Detto questo la signora Giorgia si alzò dalla sedia e si avvicinò alla carrozzina di Lucia. Aveva gli occhi lucidi di lacrime, ma si sforzò di sorridere.
"Quando ci permetteranno di vederlo, è giusto che ci siate anche voi" disse. "Se non fosse per voi, lui non sarebbe arrivato qui... grazie, davvero."
"Ma noi non abbiamo fatto niente, signora Giorgia!" disse in un soffio Kaleb.
"Avete fatto molto, invece... me l'ha raccontato Gabriele" ribatté Giorgia. "Tu, Micaela, hai avuto la prontezza di chiamare aiuto e hai fatto in modo che avesse qualcosa di morbido a cui appoggiarsi... tu, Lucia, le hai passato quel qualcosa e sei stata accanto a lui fino a quando Mica, Luca e Kaleb non sono venuti a prenderlo... so che l'avete portato via in tre... e sono certa che Lucia si sia preoccupata moltissimo per lui."
"Mi scusi, signora Giorgia" sussurrò Lucia, stringendosi le mani tra loro. "Lui non si è sentito male per colpa mia, vero?"
"Ma come potrebbe essere colpa tua?" le chiese Giorgia.
"Io... io l'ho chiamato papà... non so se voi avete figli... però, io... io non volevo che si sentisse male..."
Alla parola "figlio" Micaela s'irrigidì, Luca e Kaleb si scambiarono uno sguardo e Giorgia, con le mani che tremavano, strinse quelle di Lucia... Gabriele, intanto, aveva afferrato il medaglione e lo stringeva forte tra le dita, come per sfogare il senso di malessere che provava.
"Sì... avevamo un figlio" rispose Giorgia, con voce esile.
"Avevate?" ripeté Lucia. "Oddio, mi dispiace... non volevo, non volevo!"
"Ma no, tesoro, non preoccuparti" disse gentilmente la donna. "E comunque, te lo dico perché l'hai fatto anche con me: la cosa più bella che ci sia mai capitata dopo... dopo quello che è successo a nostro figlio, è stata sentirci chiamare "mamma e papà" da te."
In quel momento un dottore uscì dalla camera del professore e Lucia, d'istinto, sciolse la presa dalle mani di Giorgia, lo raggiunse e si aggrappò all'orlo del suo camice. "Dottore, come sta? Si è risvegliato?"
"Chi, Michele Ferreri?" chiese il medico, un po' spiazzato dalla reazione della ragazza alla sua uscita.
"Sì" intervenne Giorgia. "Si riferiva a lui... a mio marito."
"Non si è svegliato, ma è più stabile e la temperatura è tornata normale" rispose il dottore. "Se volete, potete andare a trovarlo."
Giorgia afferrò rapidamente la carrozzina di Lucia e la spinse verso l'interno della camera. La ragazza ne fu decisamente sollevata: aveva paura che non le sarebbe stato permesso vederlo. Andrea prese per mano Micaela: non perché non fosse in grado di arrivare da sola alla stanza, ma perché, pur conoscendola così poco, sapeva che la ragazza era decisamente scossa da quello che aveva vissuto quel giorno.
Angelica aveva preso per mano Kaleb, ma non sapeva se lo faceva più per se stessa o per sostenere lui... e, a chiudere il piccolo corteo, c'erano Luca e Gabriele, che sembravano sostenersi a vicenda.
Raggiunsero tutti insieme la stanza del professore, ma si disposero contro il muro, abbastanza distanti dal letto, per evitare di togliergli l'aria. Solo Lucia fu spinta più vicina al letto. Volevano che avesse la possibilità di tenerlo per mano.
"Credete che ci senta?" chiese Kaleb, sottovoce.
"Io credo di sì" rispose la professoressa Angelica.
"In tutti i casi lo scopriremo a breve" li avvisò Micaela.
"Ma cosa...?" chiese Luca, ma la professoressa Angelica indicò il professor Michele. Il suo petto si alzava e si abbassava più velocemente e tutti videro che stava sbattendo le palpebre.
"Michele... ehi!" sussurrò Giorgia, avvicinandosi a sua volta... ma per farlo girò attorno al letto, trovandosi dall'altra parte, in modo che Lucia non fosse costretta a lasciargli la mano.
"Dove sono? Cos'è successo?" chiese il professor Michele.
"Sei in una bella Spa, servito e riverito. Ti hanno riservato un trattamento speciale." rispose Gabriele, ironico.
Michele si guardò intorno, smarrito, e il fratello si rese conto del fatto che qualcosa non andava.
"Che ti prende, Michele?" chiese, guardandolo con apprensione.
Michele gli fece un cenno.
"È meglio che li lasciamo soli" disse d'istinto Micaela.
"Come hai fatto a..." chiese Luca, ma non fece in tempo a finire la frase, perché la ragazza si era voltata verso la porta, facendo saettare il suo Toto da una parte all'altra, e si era fermata in mezzo al corridoio. Andrea la raggiunse e le prese la mano, sorpresa anche lei.
"Come hai fatto a saperlo? Non puoi aver visto cos'ha fatto il professore, no? Scusami se te lo chiedo, però..."
"Era teso" rispose Micaela. "Quei due sono fratelli, si capiscono al volo... per questo ho pensato che fosse meglio lasciarli da soli... tutto qui, davvero."
Luca, però, continuava a guardarla, sorpreso.
Come diavolo faceva quella ragazza a capire quando restare e quando andarsene, quando parlare e quando restare in silenzio?
Forse, in fondo, quelli che le davano dell'extraterrestre non avevano proprio tutti i torti... ma non era una cosa brutta: lei aveva letteralmente le antenne, per capire quando qualcosa non andava, quando doveva intervenire o stare in disparte. Lui in quello i, ma in genere non si basava sul tono della voce, sui silenzi o sui sospiri delle persone. Era distratto, perché perlopiù si basava sugli occhi. Lei non poteva... e allora in qualche modo doveva pur fare, no?
"La smetti di fissarla in quel modo?" disse Andrea, vedendo che Micaela cercava di abbassarsi dietro Toto visto che le guance le stavano diventando rosse. "Se continui così finirai per consumarla, Luca."
"Scusa" sussurrò il ragazzo, distogliendo rapidamente lo sguardo.
"No... non importa, davvero" rispose la ragazza, timidamente.
"Chissà cosa si staranno dicendo?" intervenne Lucia, che per tutto il tempo era rimasta lì, a fissare la porta della camera in cui si trovavano il professor Michele e il signor Gabriele.
Era un po' lontana, quindi non sapeva di essere proprio lei l'oggetto della conversazione... e non si era accorta del fatto che Giorgia, richiamata dal marito, fosse rientrata nella stanza.
Lei e Gabriele si erano seduti vicino al letto, su richiesta di Michele, che si era lentamente tirato su a sedere a sua volta e faceva saettare lo sguardo dall'uno all'altra, come per capire da che parte cominciare.
"Dobbiamo proteggere quella ragazzina" disse d'un tratto, in un soffio.
"Quale ragazzina? Di chi stai parlando?" chiese Gabriele.
"Lucia" rispose il fratello, portandosi una mano sul cuore.
"Ma questo è ovvio" intervenne Giorgia, confusa. "L'avevamo già deciso, di proteggerla e tenerla con noi, fino a quando..."
"No!" proruppe Michele, con una tale enfasi che i suoi due interlocutori si gelarono sul posto. "Chiediamole se vuole stare con noi, Giorgia... se tu sei d'accordo, vorrei... adottarla. Vorrei che diventasse nostra figlia anche sulla carta... mi capite?"
Giorgia e Gabriele si scambiarono uno sguardo confuso.
"A te non piacerebbe, Giorgia?" le chiese Michele, agitato. "Non ti piacerebbe che Lucia restasse con noi come... come nostra figlia?"
Giorgia rimase in silenzio. Il cuore le batteva così forte che sembrava volerle schizzare via dal petto. Rimase lì, incerta su cosa dire o fare, quindi il marito decise di far crollare anche le sue ultime difese.
"Quando sono svenuto" disse, con esitazione. "Non ci potevo credere... ho visto Alex."
Gabriele mollò di colpo la presa sul medaglione che fino a quel momento aveva stretto tra le dita come un'ancora di salvezza.
"Alex?" chiese, con la voce che gli si spezzava per la commozione.
"Sì... Alex. L'ho visto... ha detto che dovevamo salvarlo... e continuava ad indicare una persona con le mani legate. Era... era Lucia, capite? Lui vive dentro di lei, o forse era un segnale che non possiamo restare fermi a guardare mentre quei due mostri continuano a farle del male. Vi prego: dovete aiutarmi..."
Ma si fermò di colpo. Aveva visto suo fratello abbassare lo sguardo sul ciondolo che portava sempre appeso al collo e la sua Giorgia, la compagna di una vita, la donna che si era resa forte per sostenerlo, lasciarsi finalmente andare alle lacrime. La vedeva raramente piangere, di nascosto, in bagno... e sapeva quanto le costasse tenere quel dolore tutto per sé... ma lo faceva per lui... aveva promesso al suo bambino che avrebbe protetto suo padre, prima di lasciarlo andare per sempre.
"Giorgia" sussurrò, vedendo che cercava nervosamente di coprirsi la faccia. "Perdonami, io..."
"Va bene" gli disse lei con la voce rotta dai singhiozzi. "Lo sai? Lei mi ha chiamata "mamma" tante volte. Non puoi immaginare quanto mi abbia resa felice, ogni volta che l'ha fatto! Forse... forse è come dici tu. In fondo anche tu hai provato lo stesso. Mi ha detto di averti chiamato "papà" ieri. Pensa: aveva paura che ti fossi sentito male per quello... si sentiva in colpa..."
"Dovreste dirglielo" intervenne Gabriele continuando a giocherellare con il suo medaglione. "Quella povera creatura merita due genitori decenti..."
Nel frattempo Lucia aveva trascinato la sua sedia verso Micaela e le aveva preso le mani. Sentiva il bisogno di parlare con la sua migliore amica, di dirle quello che provava.
"Mica... possiamo andare un attimo in cortile?" le chiese.
"Ma certo." rispose Micaela. "Indicami l'ascensore, così ci andiamo, va bene?"
Lucia si limitò ad annuire. "Oh, scusa" disse poi, "volevo dire... sì."
Micaela sorrise e attese che Lucia spostasse la carrozzina, girando le ruote esterne con le mani.
"Professoressa, nel caso potrebbe dire lei agli altri che siamo in cortile?" chiese prima di allontanarsi.
"Certo" rispose con calma l'insegnante.
Micaela raggiunse Lucia, seguendo il rumore delle ruote che sfrecciavano sul pavimento, e insieme raggiunsero l'ascensore.
Arrivate al pianterreno, le ragazze raggiunsero le porte scorrevoli dell'ospedale e andarono in cortile.
Faceva decisamente freddo, lì fuori. Micaela, per scaldarsi, iniziò a camminare avanti e indietro, senza però spostarsi del tutto dalla traiettoria della carrozzina di Lucia.
"Che succede, Lu?"
"Ecco... ti è mai capitato di provare un grande, grandissimo affetto, per persone che non sono i tuoi genitori... ma che tu senti cometali?" chiese Lucia, tutto d'un fiato, prima di potersi pentire.
"Beh... proprio come i miei genitori no" rispose lei, "ma come se fossero comunque... anzi: come se FOSSE una persona di famiglia. Mi è successo solo con una persona..."
"Ah..." sussurrò Lucia, imbarazzata.
"Perdonami se te lo dico, ma... oh, non mi sorprende che tu abbia cercato delle figure genitoriali in persone diverse dai tuoi genitori... non dopo quello che ti hanno fatto passare, perlomeno."
"D'accordo, ma... vedi, io... io li ho chiamati mamma e papà... tante volte" le rispose Lucia.
"Il professor Michele e sua moglie, non è vero?"
"Sì" rispose l'altra, senza esitare. "Non mi sono mai sentita così compresa, così al sicuro, come mi è successo con loro."
"Ma questo è bellissimo!" ribatté Micaela. "Non ti rendi conto di quanto è importante che tu ora sappia che ci sono persone che ti vogliono bene davvero, che vorrebbero... che tu fossi loro figlia?"
"Ma... ma tu credi davvero che loro mi vorrebbero come figlia?" chiese Lucia, in un tono che a Micaela sembrava speranzoso.
"Ma certo che lo..." disse la ragazza, ma d'improvviso s'irrigidì. Una risata glaciale la fece girare di scatto.
"Ma figurati se qualcuno ti può volere come figlia!"
Era la signora Grimaldi. Se ne stava lì, in piedi, e parlava con quella voce gelida e odiosa che fece accapponare la pelle ad entrambe le ragazze.
"Lei e il suo caro marito siete gli unici che non la vogliono come figlia, ma non perché lei sia sbagliata!" esclamò Micaela. "Che aspetta? Mi dia un altro ceffone, adesso, come ha fatto suo marito l'ultima volta che ci siamo visti."
"Ma cosa vuoi vedere, tu, ragazzina?" sbottò la signora Grimaldi, continuando a ridere.
"Solo perché sono cieca?" chiese Micaela, posizionandosi davanti a Lucia, come per farle da scudo. Rimase immobile per un po', poi afferrò la donna per una spalla e la tenne stretta, fino a raggiungerle il polso. "E intanto è la cieca che si è messa in mezzo e non le permetterà di fare un'altra carognata a sua figlia, cara signora Grimaldi."
"Ma come ti permetti, ragazzina?" saltò su la donna, facendo l'atto di colpirla con la mano libera. Ma stavolta Micaela si portò il manico del suo bastone, del suo Toto, all'altezza della guancia, in maniera così repentina che la donna rimase con il braccio a mezz'aria.
"Va' dentro." disse in un soffio all'amica. Lucia girò rapidamente la sedia e, con la massima velocità consentitale dalle ruote, se ne andò, diretta all'interno dell'ospedale. Micaela, intanto, continuava a trattenere la donna.
"E lasciami, ragazzina!" esclamò quest'ultima, cercando di liberarsi dalla stretta, ma Micaela aumentò la pressione sul suo polso. "Guarda che se a mia figlia succederà qualcosa sarà solo colpa tua, hai capito?"
"Ma che sta dicendo?" chiese Micaela, senza allentare la presa.
"Quel professore da strapazzo e sua moglie hanno rapito mia figlia, e tu non mi stai lasciando andare a prenderla."
"Non è vero!" esclamò Micaela. "È lei che dovrebbe stare alla larga da Lucia, non il professor Michele e la signora Giorgia! Loro le vogliono bene... lei non ha fatto altro che farle del male!"
La donna scattò in avanti, facendo l'atto di darle uno schiaffo, ma qualcuno la spinse indietro con forza.
"E questa ne è la prova" disse una voce familiare. "Lei ha cercato di alzare le mani su una ragazza che se non la stesse trattenendo avrebbe difficoltà a difendersi... è una vera strega!"
"Luca..." sussurrò Micaela, voltandosi di scatto verso di lui.
"Vieni" disse semplicemente il ragazzo, prendendola sottobraccio e correndo insieme a lei verso l'interno dell'edificio. La signora Grimaldi cercò di tener loro dietro, ma prima che potesse raggiungerli, Luca aprì una porta a caso e spinse Micaela all'interno.
"Stai bene?" le chiese con dolcezza.
La ragazza rimase immobile, in silenzio. Non stava bene. Non stava bene per niente.
Non riusciva a togliersi dalla testa il fatto che ci fossero persone che avrebbero tanto desiderato un figlio e non lo avevano, o peggio: l'avevano perso... e per contro, persone come i Grimaldi che non solo avevano avuto la fortuna di avere figli, ma ne avevano di meravigliosi, come la sua amica, li trattavano male.
"Mica! Micaela, ti prego, dimmi qualcosa!" la riscosse il ragazzo.
"Non... non è giusto" balbettò lei, coprendosi il viso con le mani.
"Cosa non è giusto?" chiese lui.
"Non... non è giusto che... che quei due abbiano una figlia così buona e che... che il professor Michele e la signora Giorgia abbiano perso il... il loro bambino..."
Micaela si morse il labbro inferiore così forte da farlo sanguinare. Non voleva piangere davanti a Luca... non due volte nello stesso giorno, almeno.
"Sei triste?" le chiese il ragazzo, stringendole forte le mani come per rassicurarla.
"Sono triste, sì... ma sono anche furiosa." rispose la ragazza, prendendo un respiro profondo.
"È perché sei molto sensibile" cercò di rassicurarla Luca.
"E questa è una fregatura bella e buona, puoi credermi se te lo dico!" gli fece notare Micaela.
"No che non lo è" la rimbeccò lui.
Erano vicini... molto vicini. Lui le teneva le mani così strette da rischiare di farle male, ma a lei non importava. Non provava dolore, né il minimo desiderio che lui la lasciasse andare. Sperava con tutto il cuore che anche per lui fosse lo stesso, e in effetti era così.
Il ragazzo continuava a tenerle strette le mani, come per paura che potesse scivolare via da un momento all'altro. La guardò intensamente: era pallida, ad eccezione degli occhi, gonfi e rossi per le lacrime che aveva già versato, e delle occhiaie piuttosto marcate le solcavano il profilo del volto... eppure era bella nel suo essere semplice, nel suo non voler nascondere i difetti attraverso il trucco. Gli venne voglia di sfiorarle il viso, ma allo stesso tempo non voleva lasciarle le mani. Sentiva che entrambi avevano bisogno di mantenere il contatto, di sorreggersi l'un l'altro. Per questo si avvicinò al suo viso angelico. La ragazza poteva sentire il suo respiro caldo accarezzarle la pelle, e quel calore non la infastidiva.
Rimasero immobili, in reciproca attesa di un movimemento dell'uno o dell'altra. Volevano annullare quel minimo di distanza che li separava. Lo volevano entrambi, ma nessuno dei due se la sentiva di fare il primo passo.
"Luca! Micaela!" La voce della professoressa Angelica riscosse i due ragazzi. Era la seconda volta che qualcuno li fermava prima che... no, non sarebbe successo niente del genere. "State bene, ragazzi?"
"Sì... sì, tutto bene" rispose Luca.
"Potreste uscire da lì, per favore? Vi abbiamo cercato per tutto l'ospedale." disse sorridendo la donna. Non aveva un tono di rimprovero.
"Ci scusi, davvero" disse timidamente Micaela.
"Ma no... tutto bene! Ci siamo spaventati perché... la signora Grimaldi è entrata come una furia e..."
La voce della donna parve incrinarsi.
"Cos'è successo, professoressa?" chiese Micaela.
Il suo cuore accelerò i battiti e la ragazza sentì le membra scuotersi a causa dei brividi.
"Ha detto che avrebbe denunciato Giorgia e Michele, se non le avessero lasciato portare via sua figlia" rispose la professoressa.
"Cosa? Ma il suo vicino aveva sporto denuncia! Mi ha preparata ad essere un'eventuale testimone... non può dire sul serio!" esclamò Micaela, scossa da un misto di rabbia e terrore.
"Io... io non so come abbiano fatto a cavarsela, ma... ma non ci sono prove a carico dei signori Grimaldi... il signor Fausto è stato considerato... ecco, poco attendibile... e..."
"Sporche carogne!" gridò Luca. "Ma come hanno potuto fare una cosa del genere?"
"No... non è possibile... non ce l'ho fatta... volevo proteggerla, ma non ci sono riuscita... non ce l'ho fatta!"
Micaela sciolse la presa dalle mani di Luca. Il suo Toto cadde a terra, ma la ragazza lo recuperò subito, raggiunse la porta e corse fuori. Non ricordava dove si trovasse il cortile: erano entrati così in fretta in quello che doveva essere un ripostiglio che non aveva avuto modo di orientarsi, ma prese a camminare a passo svelto, in una direzione completamente casuale.
Poi, come una manna dal cielo, sentì delle voci, una porta che si apriva e il vento che le schiaffeggiava letteralmente il viso. Era passato poco tempo: Lucia non poteva essere andata troppo lontano.
Sentì che qualcosa veniva scaraventato lontano. "Questa non ti serve!" disse una voce glaciale. Era il signor Grimaldi! "Ti alzerai in piedi quanto prima, e dovrai camminare, che ti piaccia o no. Già avere una figlia idiota è terribile... figurati una disabile come la tua amichetta... a proposito: con lei a scuola non ci andrai più, capito?"
Micaela riuscì a sentire i singhiozzi dell'amica. Era già a bordo dell'auto: probabilmente era crollata a terra appena le avevano tolto la carrozzina.
Quando anche l'uomo fu salito a bordo, il motore si accese.
Micaela, d'istinto, prese a correre dietro l'auto.
"Maledizione!" esclamò il signor Grimaldi.
"Micaela..." sussurrò Lucia. "Kaleb..."
Anche il ragazzo, infatti, si era messo a rincorrere l'auto. Non si rese neanche conto di Micaela che arrancava poco distante da lui, con il suo Toto che schizzava da un lato all'altro della strada.
"LUCIA! LUCIA, ASPETTA!" gridò Kaleb. Micaela non ne ebbe la forza: voleva solo raggiungerla.
D'improvviso il signor Grimaldi ingranò la marcia e puntò dritto contro di lei.
"MICA, NO!" gridò una voce. Luca afferrò al volo la ragazza e la trascinò indietro... ma l'auto, in quei pochi secondi, si era allontanata velocemente.
Anche Kaleb si fermò, sconvolto.
"Quello è completamente fuori, dannazione!" esclamò, vedendo che la ragazza stava ancora tremando tra le braccia del suo amico. "B'avrebbe messa sotto con la macchina se non ci fossi stato tu, ti rendi conto?"
Micaela era smarrita e quando parlò sembrava un fantasma.
"Non posso crederci... l'hanno portata via" disse con un filo di voce.
Il cuore le batteva a precipizio, la temperatura era salita vertiginosamente e il corpo della ragazza si stava coprendo di macchie.
"Mica, ti prego, ti scongiuro, calmati" disse gentilmente Luca, stringendo la ragazza al suo petto e sfiorandole la fronte. "Accidenti, ci risiamo!"
"È colpa mia... non sono riuscita a fermarla..."
Detto questo, la ragazza si lasciò scivolare da un lato e cadde a terra, con il suo Toto premuto contro il petto.

Volontariamente disadattatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora