-7: Kiri Vola-

5 0 0
                                    

"Allora? Mi vuoi raccontare cos'è successo, Micaela?"
La ragazza era talmente su di giri da sembrare irriconoscibile!
"Scusami, hai ragione... è che non ci credo ancora..."
"Va bene, ho capito, ma ora vuoi dirmi di che si tratta? Non sembri tu, piccola... e poi sono curiosa!"
"Va bene... ecco... forse non dovrei essere felice, perché per questa cosa ci sono stati dei... dei problemi, ecco... però..."
"Oh, insomma, amore mio... non mi stai facendo capire niente! Mi spieghi dove vuoi arrivare?"
"Ecco... una ragazza ha abbandonato lo spettacolo... quello della compagnia del teatro in cui ci sono Andrea e Gabriele... io li ho sentiti parlare di questo... volevo propormi di cercare qualcuno che potese prendere il suo posto, e... e avevo trascritto tutto il copione, mentre loro erano in prova... mi sono offerta di farlo avere a chi fosse disposto, ma... ma loro hanno voluto che facessi io stessa parte del gruppo, ti rendi conto? Io: la più improbabile!"
"Oh, non essere sciocca... tu sei sempre stata brava a raccontare storie!"
"Sì, ma... qui non devo solo raccontare. Devo anche muovermi... devo essere qualcun altro... non Micaela la cieca."
"E... hai mai pensato che potresti essere Micaela la cieca ad una festa di Carnevale?"
Micaela si prese la testa tra le mani. Ad una festa di Carnevale... certo, forse poteva farlo!
"C'è dell'altro..."
"Davvero? Cosa?"
"Sì" rispose lei, recuperando le chiavi. "Qui vicino c'è la chiave del teatro... il custode me ne ha fatto una copia... l'ha convinto Gabriele."
"Perché ti ha fatto fare una copia delle chiavi?" chiese Sofia, sorridendo.
"Perché... perché così posso andarci anche in anticipo, quando non c'è nessuno, mi capisci? Posso imparare com'è fatto il posto, com'è il palco... starò sempre con Toto, te lo prometto! Però, voglio dire, se vado lì in anticipo potrò fare bene le cose... e io voglio farlo, voglio impegnarmi davvero!"
"Starò sempre con Toto, hai detto?" le chiese Sofia. "Finalmente ti sei liberata davanti a me... non ti sei trattenuta dal dire "Toto"! Ti ha fatto veramente bene questa novità teatrale... domani ricordami di venire a prenderti a scuola, che devo ringraziarlo di persona, il tuo amico!"
"Va bene, te lo ricorderò."
"Ah, a proposito... mi ha chiamata il professor Michele."
"Il professor Michele? Perché, è successo qualcosa a Lucia?"
"Più o meno sì, ma prima che ti agiti devo dirti che non è niente di grave" la rassicurò subito Sofia. "Ascolta... Lucia ha deciso di rientrare a scuola, domani... per ora rientrerà in carrozzina, però non vuole che tu sia costretta a fare ancora la spola tra lei e la scuola... tu sei l'unica che lo fa, e sei una delle poche a credere in lei... mi ha raccontato una cosa bellissima."
Ed era accaduta veramente, una cosa bellissima.
Lucia se ne stava lì, seduta sul letto con le esili mani sulle ginocchia... il professor Michele le sedeva vicino e la stava aiutando a studiare.
"Oh, professore, mi scusi" sussurrò Lucia, guardandolo con due occhioni lucidi da cucciolo spaurito da far pietà.
"Non succede niente, cara. Riproviamo, coraggio... piano piano. Tu le sai, le cose... devi solo riuscire a dirle... riproviamo con Dickens, che è il più simpatico: vuoi?"
Lucia riprovò a parlare di Charles Dickens, Oliver Twist, Hard Times... del circolo Pickwick... arrancava ancora, naturalmente, ma stavolta riuscì ad arrivare alla fine della spiegazione.
"Brava! Hai visto che le cose le sai?"
"Lei... lei mi crede?"
"Ma certo! Il libro l'ho messo sotto i tuoi occhi, ma tu hai guardato a terra per tutto il tempo... a terra, non sul libro. Sai perché non riesci a rispondere, quando sei ad un'interrogazione?"
La piccola scosse lentamente la testa.
"Perché hai paura."
"Sì... ho paura di sbagliare... ho paura che, se sbaglio, qualcuno mi farà del male."
"Lo capisco" le disse semplicemente il professore.
"Sa... prima di lei solo due persone, a scuola, mi credevano... anzi: tre, contando la professoressa Angelica... Micaela e il signor Gabriele."
"Sì... mio fratello è uno psicologo mancato... potrebbe fare l'insegnante, anche se a lui non piace. E quanto a Micaela... è una ragazza intelligente e lei stessa vive queste cose tutti i giorni... solo che lo nasconde bene..."
"Lo nasconde per colpa mia" disse piano la ragazza, con gli occhi lucidi di lacrime, che però respinse con successo. "Lei fa finta di niente per non farmi preoccupare... però all'ospedale stava per piangere, mentre parlava con me... mi sento così in colpa!"
"Se lei non volesse prendersi cura di te, t'ignorerebbe e basta... non sarebbe di certo tua amica. E poi anche tu hai dato tanto a lei... sei sempre stata una delle poche persone a starle accanto in maniera disinteressata."
"Se penso che mio padre l'ha picchiata perché mi ha difesa..."
"Non è colpa tua... e poi quel tizio non merita una figlia meravigliosa come te!"
"Professore... le dispiacerebbe portarmi a scuola, domani? Non voglio che Micaela continui a fare la spola tra me e i professori... è l'unica della classe che si preoccupa per me."
"Dimmi: è solo per quello che vuoi tornare?"
"No... non è solo per quello... mi manca lei... la mia compagna di banco... e mi mancano anche Luca e... Kaleb... anche in sedia a rotelle, vorrei tanto tornare a scuola."
"Oh... e brava la mia Lucia!" esclamò il professor Michele. "Io... è da un po' che non guido, però stai tranquilla, che un modo per portarti a scuola lo trovo."
"Potrebbe avvertire anche la signora Sofia? La mamma di Mica... ora lei non è a casa, professore... è con suo fratello."
"E vuoi che la tua amica lo sappia?"
"Sì... vede: io la guardo... e vedo che lei è molto forte e coraggiosa... e poi trova sempre un motivo per sorridere, per essere felice... e voglio provarci anch'io, professore! Ora che sto con lei, io... io mi sento al sicuro... ho ancora qualche incubo, a volte, ma so che lei e la signora Giorgia non mi lascerete sola."
Michele si girò per un attimo, perché stavolta era lui ad avere gli occhi leggermente lucidi.
"Ti voglio bene, piccola" le disse, prendendola sulle ginocchia e stringendola a sé.
"Anch'io... papà... ti voglio bene an... oh no, mi scusi!" Era successo di nuovo! Aveva chiamato "papà" quell'uomo, e "mamma" sua moglie!
Lui non disse alla signora Ferrante che Lucia l'aveva chiamato "papà", ma le raccontò solo quello che la ragazza pensava di Micaela. Quando la ragazza fu messa al corrente di quel dettaglio, era letteralmente al settimo cielo.
"Per una volta sono le belle notizie ad arrivare insieme!" disse sorridendo, e Sofia non poté non concordare con lei.
"Domani raccontale quello che hai detto a me, tesoro" le disse. "Vedrai che ne sarà felice."
E, per certi versi, anche Micaela ne era convinta.
Il giorno dopo si svegliò presto: andò a vestirsi con le cose che le aveva preparato sua madre, fece una rapida colazione e preparò lo zaino. Non riusciva a smettere di sorridere al pensiero di quello che era accaduto il giorno prima... allo stesso tempo, però, non riusciva a non pensare alla sua migliore amica. Era preoccupata: da una parte era felice che Lucia volesse tornare a scuola, ma d'altro canto sapeva che nella sua classe non sarebbero mancate le derisioni e le cattiverie da parte di certi insegnanti.
"Piccola... lo so che la scuola è vicina, ma io non sono tanto abituata, a dire il vero... non sono abituata a lasciarti andare completamente da sola. Ti va bene se imposti il navigatore e io ti seguo da lontano?"
"Ma... come farai a non arrivare in ritardo al lavoro?" chiese Micaela, afferrando la macchinetta del caffè e versandosene un po'.
"Se ci avviamo presto non dovrebbe essere un problema."
"Va bene, allora" rispose lei. Corse a lavarsi i denti e gettarsi dell'acqua fresca in faccia, poi recuperò Toto e lo zaino, impotò il navigatore sul telefono e chiuse la cerniera del cappotto.
Micaela e Sofia uscirono insieme di casa e raggiunsero il marciapiede. La ragazza rimase in attesa per qualche istante, poi il navigatore le disse: "Fra cinquanta metri girare a destra." Scese dal marciapiede, assicurandosi di trovare le solite due macchine, parcheggiate rispettivamente una a destra e una a sinistra del marciapiede, e s'incamminò, tesa come non mai per la paura che una macchina potesse spuntare all'improvviso. Non faceva che battere con foga Toto sulla strada lastricata, sperando di attirare l'attenzione di eventuali automobilisti distratti.
"Girare a destra." La ragazza svoltò di poco verso destra e con la rotellina del suo Toto urtò un palo.
"La strada dei pali" pensò. In quel caso iniziò a contare. Non i passi, ma i pali presenti sulla sinistra. "Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei. Sette." C'era un altro marciapiede sulla sua destra, vi salì, sperando di non incappare in qualche "ricordino", e continuò a camminare, fino ad andare a sbattere contro un cestino dei rifiuti, sfiorandolo appena, mentre il navigatore continuava a parlare. Raggiunse il limitare del marciapiede, sentì il navigatore dirle di svoltare a sinistra e fece un quarto di giro, trovandosi il marciapiede dietro le spalle. Continuò a seguire le indicazioni del navigatore, cercando di ricordare la maggior quantità di segnali che le riusciva, e all'improvviso riconobbe il rumore di un oggetto su ruote che si stava avvicinando. Scattò di lato, sperando di schivarlo, ma si fermò quando riconobbe una stretta familiare alla mano sinistra, tesa lungo il fianco.
"Mica, sono io!" le disse una voce dolce e delicata.
"Oh, Lu... che bello rivederti!" esclamò Mica, mentre anche sua madre si avvicinava.
"Le due amiche s'incontrano a metà strada, eh?" dise il professor Michele.
"Buongiorno!" esclamò Micaela, al settimo cielo, facendo l'atto di gettargli le braccia al collo. "Oh, mi scusi, mi scusi..." Si tappò la bocca con la mano sinistra e fece un passo indietro.
"Oh, andiamo!" esclamò il professore, sorridendo. "Magari ce ne fossero di più, di persone entusiaste come te!"
"Credimi: se fa così puoi stare tranquillo, perché vuol dire che ti vuole bene!" disse Gabriele, scendendo dall'auto e avvicinandosi alla carrozzina su cui era Lucia, per sistemare lo schienale. "Mi raccomando: non me la trattare male o te la vedrai con me, intesi?"
"Onon ce ne sarà bisogno!" disse lei con un sorriso. "Quanto sono felice di vedervi!"
"Anche noi, tesoro. Allora? Com'è andata la prima notte da attrice?" le chiese Gabriele.
"Cosa? In che senso?" chiese Lucia, confusa.
"Faccio parte dello spettacolo che faranno Gabriele e Andrea... una ragazza se n'è andata all'ultimo... e io... insomma: volevo cercare qualcuno che la sostituisse..."
"Ma ha trascritto passo passo tutto il copione mentre ci guardava" le venne in soccorso l'uomo, "e sono sicuro che farà la sua parte egregiamente. Ne ha dato prova ieri..."
"Davvero è andata bene, ieri?" chiese timidamente Micaela.
"Molto bene! Impari in fretta, tesoro... devi solo smetterla di considerarti un'imbranata, perché non lo sei."
"Come fai a sapere che..."
"Mi hai detto: "Davvero è andata bene?", come se fosse caduto un meteorite o... come se avessi acquistato la vista all'improvviso!"
La ragazza scoppiò a ridere. "Quanto sono contenta che qualcuno voglia giocare con me su questa storia!" disse, elettrizzata.
"Allora perché non entrate insieme? Come il Gatto e la Volpe!" disse il professor Michele.
"Ma certo... se Lucia si fida, naturalmente!" esclamò Micaela. "Io di lei mi fido. Ciecamente..."
"Di' un po', ragazzina: lo fai apposta?" le chiese ridendo il professor Michele.
"Ovvio! Sono sempre stata abituata a farlo io. I miei compagni mi guardano così male, quando dico queste cose!" rispose lei. "Eppure sono io quella che si dovrebbe offendere."
"Sì" convenne Lucia, "perché poi gliene dicono di cotte e di crude, quando siamo soli... almeno alcuni..."
"Ma tu non ti devi preoccupare di questo, Lucia" la rassicurò Gabriele, mentre faceva posizionare Micaela dietro la sedia a rotelle. "Se queste cose non fanno male a Micaela, non ne devi soffrire tu..."
"Bene... io ora devo andare, altrimenti farò tardi per davvero" disse Sofia. "Ciao ragazze... a dopo."
Poi si girò verso Gabriele: "Ah, signor Gabriele, a proposito... le posso parlare un secondo?"
Il custode fece un cenno d'assenso con la testa.
I due si allontanarono di poco, mentre Micaela si avvolgeva la corda di Toto attorno al braccio per avere le mani libere.
"Cosa voleva dirmi, signora Sofia?" le chiese Gabriele.
"Volevo soltanto... ringraziarla... Micaela ieri mi ha raccontato tutto, e non può immaginare quanto era contenta! Non pensavo che qualcuno... potesse prendere tanto a cuore mia figlia..."
"Quell'angioletto si fa voler bene: come potrei non prenderla a cuore? È la mia bambina... ha difficoltà a fidarsi delle persone, ma una volta che la conosci bene non puoi non affezionarti a lei."
"Dice sul serio?" gli chiese Sofia.
"Certo... è una ragazza buona, tranquilla, intelligente e sensibile... e con le persone a cui tiene è molto protettiva. Si trasforma, quando qualcuno fa del male ai suoi cari. In genere non capita spesso, che una ragazzina si preoccupi di tendere la mano a qualcun altro, anche a costo di rimetterci."
"Lo so, e ne sono orgogliosa... e Micaela mi dice esattamente le stesse cose di lei."
Il custode sorrise, strinse la mano alla signora Ferrante e le disse: "Micaela ha tutto il diritto di realizzare i suoi sogni... e io voglio aiutarla a farlo."
Sofia gli ricambiò il sorriso, riconoscente. La sua Micaela era in ottime mani: gli amici sapeva sceglierli e anche loro, in un certo senso, avevano scelto lei. La ragazza non aveva l'abitudine d'imporsi, ma di proporsi... e tra le persone che conosceva, ciechi o meno, erano pochi quelli che potevano dire la stessa cosa.
Quando il custod tornò indietro, Micaela e Lucia erano all'ingresso.
"Aspetta... a tirarla su ci penso io" disse con calma.
"Ah, certo... e... posso rendermi utile?"
"Mettiti di fronte a Lucia, Micaela."
La ragazza girò attorno alla carrozzina e salì su uno degli scalini per riuscire a sostenerla. Si avvicinò al corrimano e lo tenne stretto, per tenersi in equilibrio.
"Vieni, Lu. La sedia è frenata, tirati su" le disse.
Lucia si aggrappò al braccio di Micaela. La ragazza si piegò un po' sulle ginocchia, l'attirò a sé e la fece stringere alle sue spalle. Mica strinse un braccio attorno al corpo di Lucia, per sostenerla, e salì le scale, lentamente, muovendosi all'indietro. Una volta in cima alla scala, cercò di girarsi lentamente su se stessa.
"Sono accanto a te, cara" disse il professor Michele, vedendola incerta. "Lucia si sente più sicura, se a sorreggerla sei tu."
Micaela si spostò un po' più avanti. Per fortuna l'ingresso era quasi deserto. Gabriele, intanto, aveva sollevato la carrozzina e la stava portando sulle scale senza troppo sforzo.
"Reggiti, Lu... va tutto bene" disse Micaela, sentendola tremare. Si concentrò sul rumore delle ruote della sedia che atterravano lì vicino.
"Venite a sinistra, verso di me" disse il custode, frenando la sedia. Lucia si reggeva in piedi a stento, tanto che Micaela le strinse ulteriormente il busto, rischiando di perdere Toto, legato al suo polso.
"Eccoci" disse, sentendo le dita del custode che battevano contro lo schienale della sedia. "Spostati un po' più indietro... ecco, puoi lasciarmi andare, adesso... brava, Lu!"
"Anche tu sei stata brava, Micaela" le disse il professor Michele. "Sei stata molto brava a sorreggerla."
Intanto Gabriele tolse i freni alla sedia e la girò, in modo che Micaela vi si aggrappasse un'altra volta.
"Ora tocca a te, Lucia" le disse con dolcezza Gabriele.
"Che vuol dire? Che cosa devo fare, signor Gabriele?"
"Dai, se ci sono riuscita io, anche tu puoi riuscire a parlare con Gabriele in modo confidenziale... da amico ad amica, no?"
"Grazie, Micaela."
Il custode sorrise, precedendo le ragazze per aprire le tre porte antincendio e soprattutto la porta della loro classe.
"Ora devi guidarmi tu, Lu" disse Micaela, "in quel senso "tocca a te"!"
Lucia iniziò a guidare ad alta voce Micaela, mentre quest'ultima si occupava di portarla in classe.
"Oh, molto bene!" esclamò una vocetta stridula, fredda e crudele alle loro spalle. "Le due invalide si aiutano a vicenda!"
"Naturale, signorina Charlotte" disse Micaela, senza scomporsi, mentre sentiva le spalle di Lucia irrigidirsi.
La ragazza prese a tremare e gli occhi le si riempirono di lacrime, per l'ennesima volta.
"Perché "naturale"? Voi siete due scherzi della natura belli e buoni... non c'è niente di naturale!" esclamò lei, con il puro intento di ferirle.
"Beh, è naturale che tra persone "contro natura" come dici tu, ci si aiuti... seaspettassimo che ci aiuti una come te staremmo fresche... e comunque, se essere... "naturali" vuol dire somigliare a te, io personalmente non ci tengo. Ci vediamo in classe... oh, scusa, Charlotte... ho dimenticato che non sono costretta a vedere la tua faccia da schiaffi!"
E, scoppiando a ridere, spinse ancora la sedia in avanti.
"Continua a venire dritta" disse Gabriele, consapevole del fatto che Lucia non sarebbe stata in grado di dire altro.
Micaela continuò a spingere la sedia, andando avanti dritta. ed entrò in classe con l'amica.
"Ecco" disse il custode, aiutandola a sistemare la sedia. "Ti ho messo un banco più alto e lo zaino è sulla sedia che occupi di solito... così potrai prendere le cose più facilmente e starai più comoda, va bene?"
"Sì... va bene, grazie mille" rispose Lucia. "È stato davvero gentile a preoccuparsi per me. Davvero gentile."
"Non mi darai del tu tanto presto, non è vero?" chiese Gabriele. "Va bene, dai... non voglio metterti fretta... ci vediamo all'intervallo, meraviglie!"
"Grazie... ci vediamo più tardi" disse Micaela, sorridendo.
Carlotta non era ancora entrata, e la piccola Lucia scoppiò di nuovo in lacrime.
"No... non fare così, tesoro, ti prego... per favore! Non ne vale la pena, te l'assicuro. Carlotta vive ancora nel Medioevo e non possiamo farci molto, se non prenderla sullo scherzo... starci male... è un inutile spreco di energie."
"Io non sono forte come te!" esclamò la piccola Lucia, spazzando via le lacrime e cercando di non esplodere un'altra volta.
"Ascoltami... io non sono affatto forte, e tu sei molto più coraggiosa di quello che credi. Lo sai? Ieri mia madre mi ha raccontato che ti ho ispirata io a tornare a scuola o qualcosa del genere. Non puoi immaginare quanto mi abbia fatto bene, sentire quelle cose. Per questo ti dico che, se hai intenzione di affrontare la giornata con un sorriso, non puoi permettere a nessuno di rovinare tutto."
Lucia rimase in silenzio. In realtà non sapeva se le avesse fatto più male essere insultata o il fatto che la sua migliore amica avesse ricevuto a sua volta degli insulti, ma di una cosa era sicura: Micaela aveva ragione.
Quella mattina si era svegliata piena di aspettative, di energie... si era svegliata con la voglia di fare bella figura con i professori che non credevano in lei... con la voglia di rendere orgogliose le persone che, invece, le volevano bene... e invece, eccola lì: era crollata alla prima difficoltà, davanti ad una ragazza priva di scrupoli che aveva preso in giro lei e la sua amica.
Si sentiva malissimo... qualunque cosa poteva farle male: perché?
"So a cosa stai pensando" le disse Micaela. "Non ti devi vergognare di essere sensibile. È lei quella che deve vergognarsi. Quello che non devi fare, se mi permetti un consiglio, però... è permettere a queste cose di farti male. Non per una questione di debolezza... ma se ti lasci ferire non riuscirai ad essere felice... ad essere libera. Che t'importa di quello che pensa quella ragazza? In fondo non siete mai state amiche, voglio dire. E in tutti i casi, se quello che ti ha detto ti dà fastidio... perché non rispedisci queste parole al mittente? Io non sono un'esperta, ma faccio così per non starci male... prendo quelle parole che mi fanno male e mi ci metto a giocare... oddio, ce ne sono alcune che proprio non riesco a sopportare, ma... ci sto lavorando, lo sai? Tu te ne accorgi, perché quando qualcuno mi dice esattamente quelle parole... io comincio a fare delle facce strane."
"Certo, ma... non mi prendere per stupida, se te lo chiedo... come sai che fai facce strane quando qualcuno ti dice quelle parole?"
"Preferisco una persona che mi chiede le cose ad un'altra che pensa di aiutarmi, si comporta da saccente e invece fa peggio. Comunque... i muscoli si contraggono per tutti, no? Ciechi o vedenti che siano."
"Certo! Che sciocca" disse piano Lucia, abbassando la testa.
"Ma ti ho detto che non c'è problema." disse Micaela con tenerezza. "Non sei affatto stupida, te l'ho detto prima... anzi: sei molto più intelligente di tanta gente che ho conosciuto, credimi!"
E Micaela era decisamente sincera.
In quel momento suonò la campanella, riscuotendo le ragazze.
"Accidenti! Questa scuola è quasi sopportabile, quando siamo in pochi!" sussurrò Micaela, rivolgendosi a Lucia.
I ragazzi iniziarono ad entrare, con la solita andatura lenta e stanca di sempre.
Presero tutti posto ed ecco che dopo pochi istanti fece il suo ingresso la professoressa Distasio. Lucia, d'istinto, afferrò la mano della sua migliore amica e gliela strinse tanto forte da rischiare di farle male... ma Micaela non fece una piega e non emise un gemito: il solo motivo per cui Lucia se ne accorse fu il cambiamento d'espressione della ragazza. "Scusa" le sussurrò, allentando la presa.
Micaela, però, si limitò a sorriderle, accarezzandole delicatamente il dorso della mano tremante. "Va tutto bene." disse piano.
"Ah... il ritorno del figliuol prodigo! Anzi: della figliola prodiga! Allora, Lucia? Oggi riuscirai ad arrivare alla fine dell'interrogazione o ti verrà un'altra crisi?"
Micaela si morse le labbra così forte da farle sanguinare, pur di non risponderle sgarbatamente... Lucia, intanto, tremava come una foglia.
"Micaela, lascia la mano a Lucia e stacca il tuo banco dal suo" disse perentoria la Distasio. "Non vorrei che... ehm... ti sfuggisse qualche aiutino per la tua migliore amica."
Micaela, di malavoglia, lasciò andare Lucia, sollevò il banco e lo gettò per terra quasi con violenza dal lato opposto dell'aula... poi afferrò la sedia e, con la stessa forza, la lasciò cadere sul pavimento, mordendosi le labbra ancora una volta.
Lucia fece strisciare le ruote della carrozzina in direzione della cattedra, ma la professoressa la fermò all'istante.
"No, rimani lì, Lucia" disse, alzandosi e portando con sé la sedia della cattedra, che posizionò subito di fronte alla ragazza.
Micaela, seguendo i suoi movimenti, si sentì gelare. Chi diavolo si stava divertendo a mettere i bastoni tra le ruote alla sua migliore amica?
"Are you ready, Lucia?" ripeté la Distasio, come l'ultima volta.
"Yes... I... I am" rispose la ragazza in un soffio.
"What do you know about Charles Dicken's life?"
Ce la puoi fare, Lucia... ce la puoi fare, continuava a pensare Micaela, così intensamente da sentire i muscoli del volto contrarsi.
Lucia la guardò per un istante, e le sembrò quasi di sentire la voce dell'amica che le diceva esattamente quelle parole: "Ce la puoi fare, Lucia! Ce la puoi fare!" Tanto che, forse, fu per quella ragione che ce la fece a rispondere alla prima domanda. In genere non osava guardare nessuno direttamente negli occhi, ma in quel caso, un po' come Harry Potter quando si presentò all'Ippogrifo Fierobecco, Lucia tenne gli occhi spalancati e li piantò dritti in quelli della Distasio. Le bruciavano e le lacrimavano per lo sforzo, ma non distolse lo sguardo.
Iniziò a parlare a raffica, con la sua vocina sottile e dolce, nel suo inglese incerto e leggermente storpiato. In quel momento, però, sentiva che niente avrebbe potuto fermarla. Sapeva che Micaela era attentissima, che la stava ascoltando e la stava sostenendo.
"Well..." disse la Distasio, sconcertata. "Tell me about Oliver Twist, A Christmas Carol and Hard Times."
Tutto insieme? Lucia si sentì nuovamente inquieta.
Gli occhi della Distasio erano fissi nei suoi, penetranti, freddi e crudeli, come in celentanesca attesa.
"E la smetta di guardarla male, per favore!" esclamò Micaela, senza riuscire a trattenersi.
La Distasio rimase talmente sconvolta da distogliere lo sguardo, e in quel momento Lucia iniziò a parlare. La Distasio tornò a guardarla, come per accertarsi che la ragazzina non stesse leggendo... ma cosa avrebbe potuto leggere, visto che non c'era neanche uno straccio di libro sul banco?
"Va bene" disse la Distasio. "Non ti posso mettere sei... lo sai, no? Un salto da due a sei sarebbe troppo... ma posso passarti a cinque, per adesso."
"Cinque!" sussurrò Lucia, con gli occhi che le brillavano.
"Se t'impegnassi un po' di più, potresti aspirare al sei... non di più."
Possibile che quella donna dovesse per forza mettere in ogni cosa un pizzico di celentanese?
"Per Lucia è un grande risultato, il cinque" spiegò Micaela. "Non perché non sia in grado di raggiungere un risultato migliore, sia chiaro, ma perché la sua fobia delle persone, di sentirsi sotto esame, le rende difficilissimo fare un'interrogazione... senza avere delle crisi di panico. Le fa piacere passare dal due al cinque perché per una volta l'ha capito anche lei, che ha studiato."
"E tu che ne sai?" chiese la professoressa.
"Mi sono presa la briga di conoscerla, tutto qui." rispose Micaela.
Trascinò il banco verso la sua amica e l'abbracciò stretta. "Hai visto che ce la fai, Lu? Hai visto che puoi riuscirci?"
Lucia, commossa, ricambiò l'abbraccio e Micaela sentì delle lacrime calde bagnarle la maglietta.
Mentre la Distasio andava avanti con le interrogazioni, un po' di malavoglia rispetto al solito, Lucia rimase abbracciata a Micaela, sussurrò: "Grazie!", e si asciugò le lacrime. Micaela le spostò una ciocca di capelli dalla guancia ancora umida e sorrise. Non le disse di non reagire a quel modo: sapeva che la sua amica era semplicemente commossa.
Nell'ora successiva il professor Michele si avvicinò ai banchi delle due ragazze e chiese a bassa voce: "Allora? Com'è andata?"
"Cinque" sussurrò Lucia.
"Brava, piccola mia, brava!" disse a bassa voce il professore. "Cerca di dare un po' più retta alla tua amica, d'ora in poi, d'accordo?"
Quel giorno, il professor Michele aveva una voce leggermente diversa, turbata.
"Professore... v-va tutto bene?" chiese Micaela, preoccupata.
"Oh... certo, cara" rispose il professor Michele. Ma la verità era che non stava bene... non stava bene per niente.
Quel giorno doveva spiegare Leopardi, e quel compito gli risultava più gravoso di anno in anno.
L'uomo tirò un lungo sospiro, raggiunse la cattedra e sistemò il libro davanti a sé.
Iniziò a spiegare, insolitamente in fretta, senza fare domande ai ragazzi. Micaela sentì Lucia irrigidirsi e si mise dritta, con le orecchie tese, da bravo pipistrello... era dannatamente preoccupata. Più lo ascoltava trattare l'argomento Giacomo Leopardi, più la sua voce tremava... incespicava di continuo con le parole e la penna con la quale sottolineava le cose essenziali gli cadde sulla cattedra due o tre volte.
Poi chiese ad un ragazzo di leggere: "A Silvia", e fu lì che Micaela ebbe la certezza del fatto che qualcosa non andava. Man mano che il lettore proseguiva, il povero Michele era preso da un senso di malessere... delle scene orribili, insieme ad altre scene talmente dolci da essere dolorose, gli sfrecciavano davanti agli occhi. Poi, dal nulla, con voce tremula, sussurrò: "Alex..."
Un gran frastuono indicò a Micaela che il professore si era sentito male ed era caduto a terra, trascinando con sé la sedia. Si alzò di scatto, presa dal panico, rischiando d'inciampare, mentre Lucia, altrettanto spaventata, si copriva il viso con tutt'e due le mani.
Micaela s'inginocchiò a terra e prese a tastare il pavimento, fino a scontrarsi con qualcosa di morbido: la maglietta dell'insegnante.
"Professore... ehi, professor Michele! Per l'amor del cielo, mi sente?" disse, avvicinandosi a lui. Avvicinò l'orecchio alle sue labbra per essere certa che respirasse ancora. Tirò un sospiro di sollievo quando sentì un leggerissimo soffio caldo sulla pelle.
"Lu... amica, riesci a spostare la sedia verso di me?"
Lucia mosse le ruote al'indietro. "Ascolta: cerca di portarmi il cappotto che ho sulla sedia, va bene?" Lucia si appoggiò il cappotto di Micaela sulle ginocchia e spostò la sedia verso di lei.
"Eccomi, Mica" le disse. Micaela tese il braccio e afferrò il cappotto, che poi posizionò sotto la testa del professore.
"Lu... ascolta: ora io vado a cercare aiuto: tu intanto rimani qui con lui."
Lucia, dimenticando che Micaela non poteva vederla, fece un cenno d'assenso con la testa, prese la mano del professore e rimase lì, vicino a lui. Micaela, intanto, tornò al suo banco, estrasse Toto dallo zaino e guadagnò rapidamente la porta.
"Andrà tutto per il meglio, Lu!" esclamò prima di uscire.
Corse verso la porta accanto e batté qualche colpo con la rotellina del suo Toto, con il cuore che le batteva a precipizio.
"M-mi scusi, professoressa" disse, sentendo addosso lo sguardo gelido della Distasio, "è un'emergenza. Il professor Michele si è sentito male e mi serve una mano per portarlo in infermeria... la prego, per favore!"
Luca e Kaleb non attesero il permesso della Distasio: scattarono in piedi e raggiunsero la porta.
"Andiamo!" esclamò Kaleb.
"Dove credete di andare, voi due?" chiese la Distasio, alzandosi a sua volta.
"La prego, professoressa... venga con me, se non mi crede!" esclamò Micaela.
"Non darle retta" disse Luca. "Tanto a lei non importa niente di nessuno!" E spinse delicatamente in avanti Micaela, che tremava, malferma sulle gambe. "Stai tranquilla... ti aiutiamo noi, non ti preoccupare!"
Entrarono tutti e tre in classe. Lucia era terrorizzata, sembrava addirittura incapace di muoversi.
"Lu, siamo qui" sussurrò Kaleb. La ragazza era pallida e lui si rese conto del fatto che stava per sentirsi male. "Ora lo portiamo in infermeria... poi verrò a prenderti io! E voi perché non ci aiutate, invece di starvene lì impalati come stoccafissi?"
Ma nessuno della classe si mosse.
"Coraggio, professore" sussurrò Luca. Prese un braccio dell'uomo e se lo avvolse attorno alle spalle, mentre Micaela, affidato il suo Toto a Lucia, lo aiutava a tirarlo in piedi. Kaleb sostenne il professore per l'altro braccio. Per rendere la cosa più agevole, Micaela mise le mani attorno al busto del professore e premette il suo corpo contro la schiena dell'uomo.
"Ragazzi, ora dovete guidarci voi... io non posso fare da sola, qui... non senza..." balbettò Micaela.
"Ehi! Calma, va tutto bene" disse Luca, sentendo la voce della ragazza incrinarsi.
Raggiunsero l'infermeria, facendo un po' di fatica.
"Oh santo cielo!" esclamò la dottoressa Marcella, spalancando la porta per farli entrare. "Ma cos'è successo, ragazzi?"
"Eravamo a lezione" rispose Micaela, "e lui... all'improvviso è crollato a terra..."
"Ma non ha dato dei segnali di preavviso? È crollato così, di colpo?" chiese la dottoressa, aiutando i ragazzi a sistemare il professore su una barella.
Micaela, tutta tremante per la tensione, cercò di recuperare quel minimo di lucidità che le restava per ricordare... poi le venne in mente qualcosa.
"Ecco, lui... lui era molto turbato... quando è venuto a lezione... era come se qualcosa lo rendesse nervoso, ma non mi ha detto cosa fosse... poi... mentre un ragazzo leggeva, ha detto: "Alex" ed è svenuto."
"Ho capito" disse la dottoressa. "Ascolta, Micaela: va' a chiamare il signor Gabriele, va bene?"
"Ma io..." balbettò Micaela. "Non sono attrezzata... non..."
"Vieni" disse Luca, afferrando la mano di Micaela e conducendola fuori.
Micaela si reggeva a stento sulle gambe e Luca, capendolo, le sfregò la mano tra le sue.
"E se fosse grave?"
Quella frase le venne fuori così, di punto in bianco. Non erano molte, le persone per cui aveva avuto tanta paura, ma lui ne faceva parte. Era un uomo buono, gentile, un ottimo insegnante, un buon padre acquisito per la sua migliore amica... si faceva voler bene, il povero professor Michele.
"Non dire così, Mica" sussurrò Luca, continuando a condurla per il corridoio. "Vedrai: non gli accadrà niente di male. Non devi preoccuparti."
Raggiunsero il "gabbiotto" e attirarono l'attenzione del custode.
"Ragazzi... cos'è successo?" chiese, vedendoli entrambi pallidi e piuttosto agitati.
"Il professor Michele si è sentito male!" esclamò Luca, sorreggendo Micaela.
"Come... come si è sentito male?" chiese Gabriele, scattando verso la porta e rischiando di buttare all'aria la stampante, che in quel momento era "all'opera".
"A lezione... si è sentito male all'improvviso... e ha detto... ha detto..." balbettò Micaela.
"Cosa?" chiese gentilmente Gabriele, anche se gli tremava la voce.
"Ha detto: "Alex"!" rispose Micaela in un soffio.
Gabriele le prese istintivamente l'altra mano, lasciò che i fogli che la stampante sputava fuori cadessero per terra e si diresse in infermeria insieme ai ragazzi.
"Dottoressa" disse piano, con il cuore che, per contro, gli batteva furiosamente. "Come sta?"
"Signor Gabriele... io non sono sicura di poter fare molto per lui. Forse... per accertamenti, voglio dire... sarebbe meglio portarlo in  ospedale..." Si avvicinò per tastare il polso dell'uomo, e Luca, che si era avvicinato, poté vedere che aveva la faccia completamente rossa, come se gli fosse salita la febbre.
Se n'era accorto anche Gabriele, che gli aveva sentito la fronte.
"Io ho paura di sapere cosa gli è successo" disse, e Micaela lo sentì stringere nervosamente il medaglione che le aveva fatto vedere quando avevano parlato, dopo lo scontro con Carlotta. Gli si avvicinò, esitante, e cercò la sua mano, per stringerla e fargli coraggio.
"Lì dentro c'è una foto di Alex, non è vero?" chiese sottovoce, in modo che solo lui la sentisse.
Il custode si portò una mano della ragazza dietro il collo e fece un cenno d'assenso con la testa.
La ragazza non fece altre domande... non era sicura di voler chiedere chi fosse Alex... sembrava un argomento decisamente doloroso da sopportare, sia per il suo amico che per il professore.
"Io... io vado a chiamare l'ambulanza" disse Gabriele, con voce tremante, "e dovrò chiedere qualche ora di permesso... e avvertire Giorgia."
"Non vuoi che qualcuno di noi venga con te?" chiese timidamente Micaela.
"No, tesoro, non è il caso... andate in classe... soprattutto voi due, che se state fuori ancora un po' passerete guai molto seri con la Distasio... siete stati bravissimi. Ditelo anche a Lucia. Sono sicuro che anche lei abbia contribuito ad aiutare mio fratello."
"Va bene" disse Micaela, "però appena hai notizie potresti avvertirci?"
Il custode sorrise, scompigliandole teneramente i capelli per poi dare dei colpetti sulle spalle degli altri due.
"Siete davvero dei bravi ragazzi... grazie" disse con dolcezza. Gli tremava leggermente la voce, e Micaela era sicura che qualche lacrima gli fosse sfuggita, ma lui non se ne fece accorgere... come lei, anche lui tendeva a mostrarsi sempre tranquillo, per non far preoccupare le persone alle quali voleva bene, e che gliene volevano a loro volta. Lei lo capiva, e non ritenne opportuno fare altre domande.
Tutti e quattro lasciarono l'infermeria.
"È il figlio" sussurrò Luca, rivolto ad entrambi i suoi amici. "Alex è il figlio del professor Michele."
"Ma cosa...?" balbettò Kaleb, ma Micaela si portò istintivamente una mano al cuore e la lasciò lì fino a quando non furono arrivati in classe. Alex era il figlio del professor Michele... in un medaglione Gabriele custodiva gelosamente una sua foto... questo voleva dire solo una cosa. Il professor Michele e sua moglie avevano vissuto il dolore più grande che un genitore potesse vivere: quello di perdere un figlio.
"Mica..." sussurrò Luca, vedendola barcollare mentre cercava di raggiungere il suo banco.
"Sto bene" sussurrò lei, raggiungendo il banco e mettendovisi seduta.
"Mica! Mica, dimmi qualcosa! Come sta il professor Michele?" chiese la povera Lucia, agitatissima.
"L'hanno... l'hanno portato in ospedale per... per accertamenti. Lo sai: in infermeria non c'è proprio tutto quello che serve per curare una persona, capisci?"
"Voglio andare con lui! Per favore!" esclamò la ragazza, letteralmente presa dal panico.
"Lu! Lucia, ascoltami: non possiamo... non ci lasceranno andare, lo capisci? A maggior ragione se stai con me."
"Devo andare da lui! Devo andare da mio padre!" esclamò Lucia, e Micaela a quel punto si bloccò. Lucia, quasi per istinto, considerava quell'uomo suo padre.
"Lu... ci sono Gabriele e la dottoressa con lui e poi... e poi, appena finita la scuola, ci faremo dire dove sta... dove l'hanno portato, e ti prometto che andremo da lui, te lo prometto!" disse Micaela, con la voce che le tremava, ma cercando di evitare di piangere.
"Come riesci a pensare alla scuola? Sta male! Lui sta male!" disse Lucia, in preda al panico. In classe era rimasta soltanto lei: non essendoci qualcuno che potesse coprire quell'ora, erano andati tutti in giro per la scuola.
"Sei una stupida!" esclamò Luca, che era rimasto accanto a lei. "Non capisci che neanche soto minaccia ti farebero uscire da qui? Né te, né Micaela, né nessuno di noi! Non ci possiamo andare!"
"Luca... non sgridarla, ti prego! È preoccupata... è normale che reagisca così." disse con calma Micaela. "Lu... amica, ascoltami, ti prego... non possiamo fare niente per lui, ora... non ancora... ma vedrai che riusciranno a curarlo... Gabriele mi ha detto di farti sapere che sei stata bravissima... l'hai aiutato tanto anche tu..."
Lucia rimase lì, immobile, in silenzio.
"Lu... non voglio che tu abbia più contatti con i tuoi, hai capito?" disse Micaela, stringendo la mano della sua amica. "Ti hanno sempre detto un sacco di sciocchezze, chiaro? Se... se tu avessi avuto dei veri genitori... dei genitori come il professor Michele e la signora Giorgia non... non staresti così..."
E, con la gola che le si stringeva, si nascose il viso tra le mani.
"Scusami" disse Lucia, guardando l'amica con apprensione. "Non li cercherò, te lo giuro... ma non fare così, non piangere..." Era la prima volta che Lucia cercava mare l'amica... ma la notizia che il suo insegnante avesse perso un figlio era stata veramente il colmo, per Micaela.
Luca dimenticò di entrare nella sua classe. Non riusciva a vederla in quelle condizioni.
"Ehi..." Le prese delicatamente una mano, la fece alzare e l'abbracciò stretta, mentre Lucia si faceva scorrere tra le dita una ciocca dei capelli della ragazza. "Non fare così, Mica, ti prego... calmati..."
"N-non posso..." balbettò la ragazza, mentre Lucia continuava ad accarezzarle la testa. Luca la tenne più stretta. Poteva sentire il cuore della sua amica battere forte, come se stesse per rompersi, e il suo respiro agitato, troppo agitato... ma perché diavolo gliel'aveva detto? Era sicuro che Micaela avesse capito, da quelle parole, che Alex, il figlio del professor Michele, aveva perso la vita.
"Shhh... non fare così, ti prego! Ah, maledizione: perché te l'ho detto?"
"Sto bene" ripeté lei, ma in quel momento non era per niente credibile. "Luca... se non vai ti sgrideranno... Kaleb non potrà coprirti per molto."
Luca non avrebbe voluto lasciarla lì, in quelle condizioni, ma sapeva che la ragazza aveva ragione da vendere.
Le diede un bacio sulla fronte, sciolse delicatamente l'abbraccio e tornò in classe.
Stranamente, questa volta la Distasio non dise una parola in merito al suo ritardo. Fu lui a parlare per primo.
"Mi scusi, professoressa" disse semplicemente, andando a prendere posto al suo banco.
La donna non si mosse. Probabilmente Kaleb le aveva raccontato quello che era successo.
"Ma dov'eri finito, Luca?" chiese Kaleb a bassa voce.
"Sono stato un completo deficiente, Kal" rispose il ragazzo, sottovoce. "Ho detto quella cosa a Micaela... e lei in qualche modo ha capito tutto..."
"Capito che cosa?" chiese Kaleb.
"Alex, il figlio del professor Michele... è morto in un incidente automobilistico... quando era piccolo."
Kaleb per poco non cadde dalla sedia. Aveva la bocca talmente spalancata che se ci fosse entrato dentro tutto il banco non se ne sarebbe reso conto.
"Santo cielo!" esclamò dopo qualche istante, sconvolto.
Rimasero immobili, in silenzio, per il resto della lezione.
Certo, dopo quello che era successo quel giorno non c'era molto da dire.
Tutti e quattro i ragazzi erano preoccupati per il professore e per Gabriele... avevano un senso di malessere per il piccolo Alex, che purtroppo era rimasto piccolo per un crudele scherzo del destino.
Durante l'intervallo, Luca informò Andrea di quello che era successo al professor Michele. La ragazzina era a scuola a sua volta, ma approfittò dell'intervallo per allontanarsi dalla sua classe e chiamare Gabriele su WhatsApp, aggiungendo alla chiamata anche Luca e Micaela, in modo che tutti potessero essere informati su come andavano le cose.
"Ehi... ciao ragazzi!" disse il custode, naturalmente parlando sottovoce. "Come state?"
"Un po' così" rispose Luca. "Storditi, diciamo."
"Tu, invece, come stai?" chiese Micaela.
"Un po' come voi... aspetto notizie" le rispose lui, "ma non dovete preoccuparvi. È una cosa che succede abbastanza spesso... ecco... vedete, per lui... c'è un argomento un po' delicato, dietro una cosa che deve spiegarvi... avete fatto Leopardi, non è vero?"
"Sì" rispose Lucia tamburellandosi nervosamente un ginocchio con le dita.
"E Michele? Si è svegliato? Ci sono stati cambiamenti?" gli chiese Andrea.
"Ancora niente, in quel senso... ma almeno la febbre è scesa un pochino" le rispose Gabriele. "Siete stati gentili a preoccuparvi."
"Finita la scuola verremo in ospedale" disse Kaleb. "Ci manderesti la posizione? Così ti raggiungiamo lì."
"Non dovete preoccuparvi, davvero" disse Gabriele.
"Noi vogliamo bene ad entrambi" disse Lucia. "Per questo vorremmo venire da voi in ospedale..."
"D'accordo... allora vi mando la posizione. Grazie di nuovo, ragazzi... appena avrò qualche novità ve lo farò sapere."
Detto questo, la chiamata collettiva si concluse. Micaela non poteva uscire dalla classe, perché la sua guardia del corpo non c'era, e se l'avessero vista fuori dalla classe avrebbero scoperto che lui non le stava addosso come volevano loro. Per questo, d'istinto, si alzò dalla sedia e iniziò a camminare avanti e indietro per l'aula, fregandosene di andare a sbattere di continuo contro i banchi, le sedie messe a caso e gli zaini dei compagni gettati sul pavimento, senza attenzione.
"Mica... sei arrabbiata?" chiese timidamente l'amica.
"Certo che no!"
Dicendo quelle parole, Micaela sorrise dolcemente a Lucia, tornò indietro e spostò la sua sedia di fronte a lei per poi afferrarle le mani.
"Perché dovrei essere arrabbiata?"
"Per quello che ti ho detto prima... che non t'importa di quello che succede al professore... ero spaventata, non volevo offenderti."
"L'ho capito, tesoro" disse Micaela con dolcezza. "Hai una cosa in comune con Kaleb, sai? Anche lui, quando si arrabbia, a volte se la prende con le persone con le quali parla... e poi, oggi so che anche tu puoi arrabbiarti... e lo sai anche tu."
"Che vuoi dire?" chiese Lucia, confusa.
"Voglio dire che fino ad ora hai sempre avuto paura di dire quello che ti veniva istintivo. Oggi non ti sei trattenuta, e se per scoprire questo ti ho sentito dire che "non me ne importava di niente se non della scuola", ne è valsa la pena, credimi..."
"Posso chiederti un favore enorme?"
"Quello che vuoi" le rispose Micaela.
"Vorrei... riprovare ad alzarmi da qui" rispose Lucia. "Guarderò la classe... così saprai dove siamo... e ti dirò tutto..."
"Ma certo... però prima vediamo l'ora, e poi devo chiudere la porta... per carità: se mi scoprono che cerco di sorreggerti mi prenderanno per una non... per una cieca incosciente! Sai... volevo provare a fare la rima con quella parolina non proprio carina, per renderla più sopportabile, ma non ci sono riuscita."
Lucia scoppiò a ridere, capendo a quale parola alludeva la ragazza.
Micaela si avvicinò a Lucia e spostò la sua sedia verso l'esterno per poi chiudere la porta dell'aula. Avevano esattamente dieci minuti d'intervallo, ma negli ultimi due o tre naturalmente i loro compagni e il professore di chimica sarebbero tornati in classe.
"Pronta?" chiese Micaela, mettendo i freni alla sedia.
"Sì, sono pronta" le rispose Lucia, in un tono sicuro che non aveva mai usato in precedenza.
Micaela si mise in posizione di fronte a lei, con le ginocchia leggermente piegate, e sentì le mani dell'amica afferrarle le spalle. Aveva le dita ghiacciate, segno di una forte tensione, e tremava come se non ci fosse un domani... ma, notando che Micaela se n'era accorta e stava stringendo la presa, Lucia disse: "Meglio iniziare subito, non credi?"
"Certo" rispose Micaela, spostandosi lentamente all'indietro e sperando vivamente di non andare a sbattere contro qualcosa. Lucia la guidava con la voce, pur sforzandosi di reggersi in piedi, e in quel modo riuscirono ad arrivare fino alla porta della classe.
"Vorrei lasciarti una spalla" disse all'improvviso Lucia.
"Sicura?" chiese Micaela, mentre la sollevava quasi da terra per riportarla verso la sedia a rotelle. Lucia si stava leggermente irrobustendo, da quando Michele e Giorgia l'avevano portata via dall'ospedale... ma era ancora uno scricciolo, talmente leggera che Micaela non faceva grossi sforzi per tenerla in piedi... forse anche perché le sue gambe, per brevi tratti, erano in grado di sostenerla un minimo.
"Sicura... quando sono con la mia migliore amica, sono sempre sicura di quello che faccio o dico" rispose Lucia con un sorriso.
"E va bene, allora" acconsentì Micaela.
Lucia le lasciò andare una spalla e Micaela le tenne le braccia intorno al busto, per essere ugualmente certa che non potesse cadere.
Stavolta l'equilibrio della ragazza era un po' più instabile, ma le due ragazze riuscirono a ripercorrere lo stesso tratto di prima e ritorno senza problemi.
"Bravissima!" esclamò Mica, orgogliosa. "Ce l'hai fatta, amica!"

Volontariamente disadattatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora