-2: Questa Sono Io-

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Perché si preoccupava così per quella ragazza? Luca non avrebbe saputo spiegarselo, ma in lei c'era qualcosa che lo attraeva... forse era il fatto che fosse così riservata e timida, che non gli stesse addosso come facevano altre compagne di scuola... o forse era il suo essere così solare, a prescindere da tutto quello che le accadeva... o quegli occhi inerti, eppure espressivi... in ogni caso era lì, in quel corridoio, mano nella mano con lei. Non aveva potuto evitarlo. Si era preoccupato quando l'aveva sentita gridare, quando il professor Michele, l'insegnante di italiano, si era alzato di scatto per poi dirigersi nella classe vicina... non aveva resistito: si era alzato dalla sua sedia e si era avvicinato alla porta per vedere cosa fosse successo.
Aveva visto il professor Michele uscire dall'aula con una ragazza in braccio e il suo amico Kaleb, accanto a lui, era sbiancato.
"È Lucia... è Lucia!"
"Vedrai che non le succederà niente." l'aveva rassicurato Luca, appoggiandogli una mano sulla spalla. Kaleb sembrava tenere moltissimo a Lucia, l'amica di Micaela... tanto quanto Luca teneva alla stessa Micaela, probabilmente.
La professoressa Angelica, entrata in classe per sostituire il collega, aveva visto Luca e Kaleb andare a sedersi con una faccia stravolta.
"Ragazzi, fatemi un favore" aveva detto con calma, "tu, Kaleb, vai in infermeria, di' alla dottoressa che vorrei sapere come sta Lucia. E tu, Luca, va' a chiamare Micaela... dille che ho bisogno di parlarle" concluse, strizzando l'occhio al ragazzo per lasciargli intendere che Micaela sarebbe stata più tranquilla se avessero parlato da soli.
E i due ragazzi l'avevano fatto: erano usciti dall'aula e avevano raggiunto le due ragazze.
Luca, camminando per il corridoio con Micaela, si concentrò sul contatto che aveva con lei in quel momento. La sua mano era fredda, ma piccola e morbida. La sua presa era delicatissima, ma per certi versi sembrava che lei cercasse qualcuno che le stringesse la mano per il puro piacere di farlo, non per pietà... forse per quello era restia a prendere per mano le persone.
Quella mattina aveva un po' invidiato Lucia e il signor Gabriele: i soli con i quali Micaela non s'irrigidisse a seguito di un contatto fisico.
Poi, però, si rese conto di una cosa: anche con lui Micaela non sembrava sentirsi a disagio. Era un po' tesa, ma non sembrava voler sfuggire al contatto con lui.
"Dove... dove stiamo andando?"
Luca si riscosse e sorrise. "Ecco... non era esattamente la prof, a cercarti" spiegò. "Cioè: lei era preoccupata per te... ma ha visto che lo ero anch'io e mi ha chiesto di venire a cercarti... ecco, siamo arrivati!"
Si fermarono vicino ad una classe vuota e Luca, da degno cavaliere, spinse la porta e condusse la ragazza all'interno per poi farla sedere ad un banco.
Micaela sentì le guance ardere quando Luca spostò la sedia vicina ad un banco e la fece accomodare.
Luca sorrise: quella ragazza gli faceva tenerezza.
"Di cosa volevi parlarmi?" chiese Mica, timidamente.
"Niente... volevo sapere come stavi... voglio dire..."
Anche Luca si sentiva in imbarazzo, anche se non sapeva perché. Per entrambi l'approccio con l'altro sesso, in un modo più "intenso" era un mondo tutto da scoprire.
"Grazie..." disse Micaela, portandosi una mano sul petto.
Le sembrava così strano che qualcuno, specialmente qualcuno tra i ragazzi, si preoccupasse per lei in maniera disinteressata. In genere i suoi compagni si preoccupavano di lei solo per fare bella figura con i professori, e non erano contenti di avere quel "fardello", durante le gite scolastiche.
"Quindi... come va? Come ti senti?"
"Adesso sono più tranquilla." rispose Micaela. "So che lei è in buone mani, e..." Ma si fermò, raggelata. Non era vero niente. Non stava affatto bene, e Luca parve notarlo.
"Ehi!" Le si avvicinò e le prese il viso tra le mani.
La ragazza era accaldata e guardandola meglio Luca notò che aveva delle macchie sulle braccia.
"Forse anche tu dovresti andare in infermeria."
"Cosa? No, perché?"
"Sei accaldata e hai delle macchie rosse sulle braccia. Sicura di star bene?"
"Ah, quello!" esclamò Micaela. "Non è nulla... solo che quando m'innervosisco per qualcosa, mi esce questo sfogo sulla pelle e mi sale un po' la temperatura."
"Forse dovresti confidarti con qualcuno." disse piano il ragazzo... e avrebbe voluto davvero che Micaela lo facesse... avrebbe voluto davvero ascoltarla, offrirle conforto, farle capire che lui c'era. Forse anche quello lo attraeva: lei era così forte e fragile al tempo stesso... e lui lo apprezzava... voleva proteggerla... era nella sua indole.
"No!" sussurrò lei.
"Perché no?" chiese il ragazzo, confuso.
"Perché quello che mi preoccupa non riguarda me" rispose Micaela, stringendo gli occhi così forte da sentire dolore.
"Sì... ma quello che riguarda te, se te la senti, puoi raccontarmelo." le fece notare il ragazzo, stringendole le mani e tracciandovi sopra dei ghirigori.
"Sono stanca" disse sottovoce Micaela.
"Di essere trattata come se non sapessi stare sulle tue gambe per poi essere umiliata come se avessi commesso chissà quale peccato capitale? Lo so... anch'io mi sento così, a volte."
"Anche a te fanno una testa così di descrizioni dicendo: "Anche quelli come te devono godere di un panorama", per poi fissarti stile Smaug per evitare che tu possa copiare in una verifica?" gli chiese Micaela.
"Non esattamente... però mi dà fastidio che la gente si comporti in un modo con me per poi maltrattare i miei amici... e poi sono un tipo empatico..."
"Quindi... mi consideri un'amica?"
"Solo se ti fa piacere" le disse Luca. "Sai, mi fa piacere aver trovato una ragazza gentile, che non mi si attacca addosso stile sanguisuga..."
Micaela avrebbe voluto coprirsi il viso con le mani per quanto era diventata rossa, ma la stretta di Luca non glielo permetteva... e da una parte, a lei faceva piacere. Era contenta di stringergli la mano.
Non poteva neanche biasimare le ragazze che lo tormentavano: non sapeva come fosse il suo viso, ma era un ragazzo così gentile, premuroso, attento... e quella voce dolce e leggermente graffiata, poi, era un incanto, per l:i.
"Sai... a volte mi sento inutile" disse con un filo di voce. "La mia amica sta male per tante cose, i professori ci mettono il ditino e io non posso fare niente, a parte forse starle vicino, farle capire che di me si può fidare... e credimi: mi fa una rabbia... ma una rabbia che non ti so neanche spiegare. A volte la butterei giù, questa maledetta scuola... e urlerei fino allo sfinimento contro i professori... e poi nella mia classe davanti agli insegnanti mi trattano con i guanti bianchi e quando sono sola, o risulto trasparente o mi deridono.. le derisioni mi stanno anche bene, tanto la prima a prendersi in giro sono io, ma quando qualcuno mi tocca Lucia sbotto, compagno o insegnante che sia."
Luca sembrò felice: per qualche strano motivo, quella ragazza che si teneva sempre tutto dentro, si stava confidando con lui. Neanche lei sapeva perché, ma quella confessione sembrò averle fatto scivolare via un po' del peso che portava sulle spalle con fatica.
"Però questa scuola non è poi così male" le disse. "Ci siamo io e te... ci sono i nostri amici, che sono pochi, ma buoni. Un paio di professori si salvano... e poi, se non ci fosse Gabriele, anch'io darei fuoco alla scuola!"
"Vero" disse Micaela.
D'istinto si alzò dalla sedia, prima che Luca potesse trattenerla, girò attorno al banco e gli gettò le braccia al collo. Luca si alzò a sua volta, si girò e ricambiò la stretta. Micaela appoggiò una guancia sul petto del ragazzo: lui era un po' più alto di lei, e probabilmente gli faceva il solletico con i capelli, ma a Luca non importava granché. Il ragazzo alzò una mano e prese a coccolarle la testa.
Per quei due ragazzi era bello abbracciarsi. Lei, con il volto premuto sul petto di Luca, non si era mai sentita così serena, così rilassata... il cuore le batteva fortissimo, ma non a causa della tensione. Luca le piaceva davvero, si sentiva in imbarazzo, ma non si sentiva bloccata... con lui stava bene.
Luca, dal canto suo, si era completamente rilassato, in quell'abbraccio: gli sembrava che il corpo di Micaela, caldo, accogliente e con una stretta forte, ma non soffocante, fosse il suo rifugio sicuro.
In quel momento, stretto tra le braccia di quella ragazza dal viso sereno, dimenticò tutta la tensione e la rabbia che aveva accumulato durante gli anni scolastici.
Non gl'importava più delle gallinelle che gli stavano dietro per poi vantarsi di chissà cosa, non gl'importava di dover aspettare per mettere da parte dei soldi che gli consentissero di realizzare il suo sogno di diventare un cantante, non gl'importava di quanto quei sette giorni di coma l'avessero danneggiato... non gl'importava delle prese in giro dei  non gl'importava delle urla isteriche della Distasio... non gl'importava più di niente, finché poteva godersi l'abbraccio di Micaela. Era un calmante e una droga al contempo... era come la Nutella, alla quale Luca non poteva resistere... o, ancora, era come la musica, che l'aveva salvato.
Luca fece scorrere le dita tra i riccioli ribelli della ragazza, che, se possibile, divenne ancora più rossa... poi fece scendere la mano lungo il suo viso e si soffermò sulla guancia sinistra, caldissima, morbida, pulita come quella di una bambina. A Luca stava anche bene che le ragazze si truccassero, anche se alcune esageravano a tal punto da farti sentire quell'impressione di "poroso" anche senza toccarle. Micaela era tutto l'opposto: detestava il trucco con tutta se stessa e sfiorarle il viso per lui era piacevole.
"Oddio... ho qualcosa in faccia?"
L'improvvisa uscita della ragazza lo fece sussultare.
"Cosa? No, perché?" chiese.
"È che... avevi la mano sulla mia faccia e pensavo..."
"No... è solo piacevole toccarti il viso, tutto qui."
Per un secondo, Micaela sperò che la terra la inghiottisse. Come le era venuto in mente di sbottare in quel modo? E poi, chissà se Luca diceva sul serio? Era piacevole toccarle il viso... eppure lei si faceva tante paranoie... era terrorizzata all'idea che il suo contatto potesse risultare fastidioso a chi lo riceveva. Per questo non dispensava abbracci comefossero caramelle... ma quando abbracciava qualcuno, lo faceva perché gli voleva bene, e Luca sembrava averlo capito, perché non accennava a lasciarla andare... lei ne era felice, ma poi, come un pugno allo stomaco, le risuonarono in mente le parole taglienti della Distasio: aveva detto chiaramente che, poiché l'ora successiva nella classe di Luca era la sua, lui avrebbe dovuto sbrigarsi.
"Luca... credimi, a me dispiace, ma..."
"Dovremmo andare." completò la frase il ragazzo. "Lo so... anche a me dispiace tanto, ma hai ragione... vieni, ti accompagno in classe. Magari, poi, ci vediamo all'intervallo."
Sciolsero a malincuore l'abbraccio e Luca riprese la mano di Micaela e la condusse fuori dalla classe. La porta cigolò lentamente, mentre i due ragazzi la spingevano con cautela.
Il corridoio era piuttosto affollato.
Micaela, istintivamente, si strinse forte al braccio del ragazzo.
"Ma perché non se ne stanno in classe, invece di riversarsi al bar?" sbottò Luca, girandosi di lato e facendo passare Micaela a granchio.
"Dai, Luca, non te la prendere. E poi, anche noi siamo fuori dalla classe" gli fece notare la ragazza, mettendosi nuovamente di lato per evitare di essere travolta da una folla di studenti che si dirigevano verso il bar dell'istituto.
"In effetti non posso darti torto... però tu sei speciale." ribatté il ragazzo, sorridendole.
"È un modo carino per dire "cieca"?" gli chiese Micaela.
"Per i professori sì, ma per me no. È un modo per dire "empatica"!" rispose a bassa voce Luca.
Gli piaceva il fatto che giocasse in quel modo con i suoi occhi, e anche se per un attimo si era sentito in difficoltà, sentendola ridere mentre parlava si era reso conto del fatto che la ragazza stava scherzando. Mai come quel giorno, Micaela era certa che lui non l'avesse guardata male, a quell'uscita un po' fuori dagli schemi, e aveva ragione. Attraverso lei, Luca aveva visto crollare molti stereotipi sui ciechi: in alcuni film erano descritti come persone sicure di sé, in altri erano personaggi egoisti e anche un po' cattivi con le loro burle e i loro commenti sprezzanti, in altri ancora, sembravano extraterrestri con tanto di antenne, o ancora, estremamente suscettibili. Micaela era Micaela e basta: una ragazza dolce e sensibile, che evitava di prendere in giro gli altri, ma non si faceva scrupoli a scherzare su se stessa, marcava sugli stereotipi in questione e in quel modo li asfaltava... aveva anche chiesto a Gabriele di dirgli qualcosa in più di lei, e il custode aveva risposto: "Quella ragazzina è semplicemente straordinaria! Per tirarle una parola di bocca la devi mettere a testa in giù e non è detto che ti riesca nemmeno così, ma se si affeziona a te fa tutto il possibile, anzi: anche l'impossibile, per proteggerti." Ed era vero... solo che lui non aveva dovuto ribaltarla, perché si confidasse. Qualcosa l'aveva spinta a dirgli tutto, almeno di sé.
"Eccoci!" disse il ragazzo, e a Micaela sembrò che il momento fosse arrivato decisamente troppo presto, ma naturalmente, dopo la famosa confidenza, la sua bocca si era richiusa a doppia mandata, come prima.
Luca batté qualche colpo alla porta.
"Avanti!" dise una voce gentile dall'interno dell'aula.
"C'è il professor Michele" sussurrò Luca, mentre entravano in classe.
Micaela lo sapeva: aveva riconosciuto la sua voce, quando li aveva invitati ad entrare, ma non voleva che Luca si sentisse in colpa per averglielo detto, quindi rimase in silenzio. Il ragazzo la condusse al banco e la ragazza si rimise a sedere al suo posto.
"Professor Michele... io..." balbettò, un po' incerta.
"Dimmi tutto, Micaela" la rassicurò l'insegnante.
"Lucia sta bene, non è vero?" chiese con apprensione la ragazza.
"Tranquilla, adesso sta meglio" rispose il professore. "Io non potevo restare, ma c'è Gabriele in infermeria con lei, non preoccuparti."
Alla ragazza sfuggì un sospiro di puro sollievo. Il signor Gabriele ci sapeva fare praticamente con chiunque: dallo scapestrato al cucciolo smarrito... e nessuno lo sapeva meglio di lei.
Era appena arrivata a scuola, quando lo incontrò la prima volta. Era il primo giorno, e la ragazza si era smarrita nella folla di studenti del primo anno, nervosi e spaventati, quanto o forse più di lei.
"Ehi... che ti succede, tesoro? Ti sei persa?"
Quella voce la fece voltare di scatto. La ragazza si strinse al suo bastone, intimidita.
"Ehi, calma! Guarda che non ti mordo!" esclamò l'uomo.
Ma non era stato quel timore a farla sussultare. Era stata la sorpresa, la tensione, il fatto di non sapere dove diavolo si trovava esattamente.
Al contrario: la voce di quell'uomo le era sembrata rassicurante. Le sembrava una di quelle voci che possono andare su e giù, a piacimento, che possono essere acute o profonde, leggermente graffiata. Era una voce amichevole, che scaldava il cuore.
"Oh no, mi scusi... non pensavo niente del genere, davvero" balbettò Micaela. Aveva capito che l'uomo stava scherzando, ma si sentiva così imbarazzata da sentire il bisogno di giustificarsi per quella reazione. "Ecco... io non..."
"Sei nuova, vero?" le chiese gentilmente l'uomo. "Sei del primo anno?"
"Sì... credo di sì." rispose Mica, per poi pentirsi di aver parlato in quel modo. Magari quell'uomo in quel momento la stava prendendo per matta.
Ma lui, capendo che la ragazza era agitata, non disse nulla su quel dettaglio.
"Se sei del primo anno, allora devi andare in Aula Magna. Vieni, dammi la mano, ti ci accompagno io."
La ragazza non esitò, in quel momento. Gli tese la mano e lui l'afferrò e gliela tenne stretta. L'uomo aveva una stretta forte, calda e accogliente, che la rassicurava... ma Micaela notò anche un'altra cosa. Era come se quello  avesse sempre guidato qualcuno, perché tendeva a stare leggermente più avanti di lei, per farle capire dove andava e come si muoveva. Inoltre fu lui ad insegnarle, a suo tempo inconsapevolmente, le direzioni dell'orologio. I suoi familiari e i suoi pochi amici la guidavano dicendole: "Vai a destra, vai a sinistra, vai avanti, vai indietro!", un po' come se stessero manovrando un joystick, e per la verità a volte le dicevano: "Destra", quando lei doveva andare a sinistra e viceversa. Questo anche perché Micaela si confondeva spesso, con le istruzioni in stile: "A prima vista"... ma non le capitò con lui.
"Sedia a ore tre!" le disse lo sconosciuto, posizionandosi di fronte a lei e prendendole entrambe le mani. La ragazza, che si confondeva sempre tra il tre e il nove quando si trattava delle direzioni da prendere, cercò di seguire a specchio i movimenti dell'uomo che le stava davanti. Lui la fece indietreggiare, fino a farle raggiungere la sedia in questione.
"Grazie, signore" disse la ragazza, riconoscente.
"Di niente, signorina" rispose l'uomo, con lo stesso tono e un sorriso benevolo. "Ah, ho dimenticato di presentarmi: io sono Gabriele, il custode della scuola."
"Piacere... io... io sono Micaela." ricambiò lei, mentre si stringevano nuovamente le mani.
"Bene... allora, avanti tutta, Micaela! Ci vediamo!" le disse il signor Gabriele.
Quel: "Ci vediamo" fu il tassello che completò il quadro. La ragazza si era fidata subito di lui, e quella frase, detta liberamente, senza tante tensioni, aveva confermato le sue sensazioni.
Era contenta che con la sua amica Lucia ci fosse lui, in quel momento... era certa che avrebbe saputo come rassicurarla.
Il cellulare che Mica aveva lasciato sul banco vibrò, riscuotendola dai suoi pensieri. La ragazza collegò il telefono alla Barra Braille, la sua macchinetta per la lettura e la scrittura, e lesse il messaggio che le era arrivato su WhatsApp.
Charlotte: "Non farti tante illusioni... a Luca non potrebbe mai importare qualcosa di una piccola disabile."
Quella frase per la ragazza fu un pugno nello stomaco. Non avrebbe dovuto prendersela, lo sapeva bene... in fondo non era la prima volta che Charlotte, come diceva lei, la insultava a causa dei suoi occhi, e lei era la prima a scherzarci su, ma il sospetto che a Luca potesse non importare davvero niente di lei la feriva... e ancora di più la feriva quella maledetta parola: disabile. Era uno dei modi in cui non sopportava di essere chiamata.
Una presenza accanto a lei la fece sussultare: qualcuno stava guardando lo schermo del suo cellulare da sopra la sua spalla... e quel qualcuno era proprio Luca. Lei non poteva saperlo, ma il ragazzo aveva provato un forte senso di disgusto, leggendo quel ridicolo messaggio. Possibile che quella ragazza fosse così stupida da usare i trucchetti delle telenovelas? Gli stava bene il fatto che, poiché il ragazzo l'aveva respinta, lei avesse raccontato alle sue amiche una storia al contrario... non perché si sentiva importante, ma perché tutti, ragazzi o ragazze che fossero, si vantavano di aver dovuto rifiutare le avances di qualcuno, quando questi dava loro un due di picche. Quello che però non poteva sopportare era che una persona venisse insultata in quel modo, per una cosa così stupida... e in maniera così subdola e meschina.
"Carlotta, mi daresti un attimo il tuo cellulare?" chiese in tono calmo, anche se gli prudevano le mani come se sentisse il bisogno di picchiare qualcuno.
Il cuore di Micaela fece un balzo, a quella frase... allora era vero! Ma non fece neanche in tempo a pensarlo, che le arrivò un altro messaggio.
Charlotte: "Sono Luca. Qui c'è il mio numero. Se vuoi, copialo e cancella il messaggio." E infatti, lì sotto c'era un numero di telefono. Poi Luca scattò una foto del numero di Micaela, per averlo anche sul suo telefono, mentre la ragazza faceva quello che le era stato detto.
"Tieni, Charlotte" disse Luca, sbeffeggiandola, "e la prossima volta, se pensi una cosa del genere, dilla ad alta voce. Dimostra quanto sei DISamorata." E, pronunciando quella parola, marcò sulle prime tre lettere, per lasciar intendere almeno al professore che cosa aveva scritto quella strega di Carlotta. "Beh, io... io ora devo tornare in classe. È stato un piacere parlare con te, Micaela!" aggiunse.
La ragazza avrebbe voluto rispondergli: "Anche per me!", ma per l'ennesima volta le parole le si bloccarono in gola. Riuscì solo a portarsi una mano al petto, e sperò vivamente che Luca cogliesse il gesto.
Quando il ragazzo rientrò in classe, fu accolto dalla Distasio, che esclamò: "Alla buon'ora, Marzano!"
"Mi scusi" disse il poveretto, anche se non ne sentiva minimamente il bisogno. Era quella donna, la vera cieca: altro che Micaela.
"Oh, tranquillo. A quanto sembra, il tuo degno compare è ancora in giro a bighellonare... quindi immagino che non ti dispiacerà se ti chiedo di deliziare la classe con una bella chiacchierata su William Blake and the Little Lamb."
Certo, William Blake e l'agnellino... l'agnellino innocente, come Lucia di fronte a quella donna che giustificava tutti i suoi scatti con una frase celentanesca: "Io ho il dovere di essere onesta..."
Un agnellino, come per pochi istanti lo era stata Micaela.
E mentre Luca si faceva spellare vivo dalle domande della Distasio, Kaleb era finalmente riuscito a trovare l'infermeria.
"Permesso?" disse timidamente. "Io... io sono venuto per Lucia Grimaldi..."
"Oh, certo, vieni!"
La dottoressa Marcella indicò la stanza. La piccola Lucia si era finalmente calmata del tutto, e accanto a lei c'era il signor Gabriele, che l'aveva convinta a lasciarsi andare, a dormire un po', visto che aveva due occhiaie da far spavento. "Non stanno bene, su questo visino così carino, quelle borse sotto gli occhi" le aveva detto. "Se fossero vere, ti ci potresti preparare i bagagli per andare in villeggiatura, figlia mia bella..."
E quando quel benedetto sedativo aveva fatto effetto, l'uomo aveva provato a lasciarla, ma lei gli aveva stretto forte la mano, e non se l'era sentita di muoversi dal suo posto.
Kaleb entrò e vide il volto della piccola Lucia finalmente rilassato e il custode che le teneva la mano, coccolandole la testa.
"Signor Gabriele!"
"Giovanotto... vieni, avvicinati... però fai piano: ci ha messo una vita a calmarsi, poverina."
Kaleb si avicinò al letto, lentamente, cercando di non far rumore. Non aveva mai visto il viso di Lucia così disteso e sereno. La guardava spesso, e ogni volta gli sembrava un cucciolo spaventato. Non sapeva cosa le facesse paura, ma sapeva con certezza che avrebbe tanto voluto proteggerla. La guardò ancora una volta, con attenzione: aveva le guance pallide, due occhiaie che le attraversavano il viso da parte a parte, era così magra che avrebbe potuto circondarle un braccio con due dita, magari facendo anche più di un giro... poi notò qualcosa. La dottoressa non aveva potuto coprirle il braccio a causa della flebo, e questo gli fece vedere dei lividi violacei.
"Signor Gabriele... lei li ha visti, quelli?" chiese con un soffio di voce. Il cuore gli batteva a mille.
Il custode fece solo un cenno d'assenso con la testa. Li aveva visti eccome, appena era entrato, ed era esattamente per quello che non voleva che la piccola portasse lo zaino... così come non avrebbe voluto farle portare un fardello molto più grosso di quello. Non era la prima volta che notava dei segni sul suo corpo. Non era la prima volta che notava quanto la piccola fosse denutrita, quanto i suoi genitori sembrassero esasperati da qualunque cosa la riguardasse. Non ne era certo, perché giustamente Lucia non ne parlava mai, ma temeva che i suoi genitori le facessero del male. Non era solo per quei lividi, che lo immaginava, ma anche perché Micaela si presentava a scuola anche con la febbre, se necessario, per non lasciare l'amica da sola... gli occhi di Lucia apparivano sempre più smarriti e spenti, e lui si sentiva impotente... senza contare la maggior parte dei professori, che rigiravano il dito nella piaga dicendo che la ragazza era svogliata, che non s'impegnava a sufficienza e altre stupidaggini simili.
Una volta, dopo l'ennesimo colloquio con i genitori, la ragazzina si era chiusa in una classe e aveva piazzato, in qualche modo, un banco davanti alla porta per impedire a chiunque di entrare. C'era voluto il bello e il buono per calmarla.
"Lei lo sa perché si è sentita male?" chiese Kaleb, agitato.
"Diciamo che mi sono fatto un'idea a riguardo" rispose a bassa voce l'uomo, passandosi una mano sulla fronte. "È che abbiamo tutti fretta di giudicare. Se una persona cammina più lentamente, non ci va bene, punto e basta... non importa se semplicemente ha bisogno di fare le cose in un altro modo, per riuscire a farle bene. Sei un caro ragazzo, Kaleb... non tutti si preoccuperebbero così per una ragazza che praticamente non conoscono."
Kaleb pensava la stessa cosa del custode. Era più adatto lui, all'insegnamento, del novanta per cento dei professori di quella scuola.
All'improvviso un piccolo gemito venne fuori dalle labbra sottili di Lucia.
"No... no, vi prego!" disse piano.
"Oh mio Dio... che le prende?"
"No... no, non voglio, non voglio!"
"Vieni qui, Kaleb, fa' presto!" disse il signor Gabriele.
Il ragazzo, non capendo, si mise a sedere al posto del custode. Vide che la ragazza si agitava sempre di più e continuava a delirare, letteralmente. D'istinto la sollevò come se nulla fosse, senza difficoltà per quanto era leggera, e le fece appoggiare la testa sulle sue ginocchia per poi iniziare ad accarezzarle il viso pallido e stremato.
"Va tutto bene, Lu" disse sottovoce. "Va tutto bene." L'abbraccio del ragazzo parve rassicurarla, e finalmente la ragazza aprì gli occhi, lentamente, e smise di agitarsi.
Alzò lentamente lo sguardo e Kaleb dovette trattenerla, perché la ragazza, per la sorpresa, aveva rischiato di cadere per terra.
"Kaleb..." sussurrò agitata. "Che cosa ci fai qui?"
"Buongiorno anche a te!" le disse il ragazzo, cercando di buttarla sullo scherzo.
"Lasciala stare!" lo rimbeccò il custode, guardandolo di traverso. "Se le parli così me la fai entrare nel panico un'altra volta!"
"Scusami... non mi fraintendere: mi fa piacere vederti, ma io... non me l'aspettavo, ecco... cioè, voglio dire..."
"Scusami, non volevo spaventarti."
"Ehi, piccolina, va tutto bene" le disse il signor Gabriele. "A Kaleb piace scherzare, non devi aver paura."
Le guance della ragazza erano rosse come peperoni e il cuore aveva ripreso a martellare, ma non avrebbe saputo dire se quella reazione dipendesse ancora una volta dal panico o da un piacevole imbarazzo che le dava il fatto di trovarsi tra le braccia di quel ragazzo. Kaleb, dal canto suo, non era da meno. La teneva stretta e si sentiva il cuore caldo e leggero, ma martellante... quella ragazza era una delle poche persone della scuola che non lo evitava, dicendo cretinate per prenderlo in giro a causa della sua provenienza straniera e della sua carnagione scura e bellissima. Parecchi studenti di quella scuola erano cresciuti decisamente male.
"Stai meglio?" le chiese il ragazzo, stringendola a sé.
"Sì... va molto meglio, grazie" gli rispose la ragazza, sorridendo debolmente.
"Sono contento, davvero." disse il ragazzo. "Sai... ti posso assicurare che quando ti rilassi anche per poco sei bellissima. Ti giuro, non ti sto prendendo in giro." aggiunse, vedendo che la ragazza appariva poco convinta di quell'affermazione. "Guarda che anch'io vengo preso in giro da tutta la scuola. Perché dovrei fare lo stesso. Proprio con te, poi..."
Ma non ebbe il tempo di aggiungere altro, perché la dottoressa Marcella entrò in infermeria, con il solito sorriso gentile, e si avvicinò a Lucia.
"Ehi, ciao, cara" disse amorevolmente.
"Salve, dottoressa" sussurrò la ragazza cercando di tirarsi su, ma non era facile, perché Kaleb la tratteneva delicatamente... e non sembrava che volesse farle male... sembrava che semplicemente la volesse vicino.
"Va meglio, tesoro? Vogliamo vedere se i valori si sono stabilizzati?" chiese la dottoressa. "Ah, Kaleb... è venuta una tua compagna di classe. Dice che la professoressa Distasio ti cerca."
Al suono di quel nome, Lucia si buttò giù dalle gambe di Kaleb cadendo quasi di testa sul pavimento.
Fortunatamente, con una prontezza di riflessi che neanche lui sapeva di avere, il signor Gabriele l'afferrò al volo.
"Kaleb... Kaleb, ti prego, vai!" sussurrò la ragazza.
"Ehi! Piccola, va tutto bene, respira" le disse sottovoce il signor Gabriele.
"Kaleb, vai! Se la prof ti punisce a causa mia non me lo perdonerò mai." continuava a ripetere Lucia, letteralmente terrorizzata.
"Va... va bene, io... io... vado..."
Kaleb era decisamente spiazzato. Non credeva che una persona potesse preoccuparsi così tanto per un'altra. La guardò per un secondo: i suoi occhi erano ribaltati all'indietro, l'espressione terrorizzata di chi ha appena visto un fantasma, il corpicino sorretto a stento dal custode tremava come se non ci fosse un domani. Lei non era solo preoccupata: era letteralmente terrorizzata dalla professoressa d'inglese.
"Vi vedrete a ricreazione" lo rassicurò la dottoressa, rendendosi conto di quanto Lucia si stesse agitando di nuovo.
"Va bene... ciao, Lu" disse Kaleb, dirigendosi verso la porta.
Quando il ragazzo fu uscito, la ragazza era ancora scossa. Guardava nel vuoto, stravolta.
"Hanno ragione" disse con un filo di voce. "I miei hanno ragione... non faccio altro che combinare disastri... non dovrei esistere..."
Nel sentirle pronunciare quelle parole, il custode si sentì gelare il sangue. Suo fratello e la moglie avrebbero dato qualunque cosa per avere un figlio e i genitori di quella ragazza le dicevano una cosa del genere?
Non sapendo che altro fare, si chinò su di lei e le diede un leggero bacio sulla guancia.
Non le disse niente. Non le disse di smetterla, di non credere a quelle sciocchezze, perché sapeva che sarebbe stato inutile. Quando le persone che ti sono più vicine ti fanno credere che non vai bene, chiunque può dirti qualcosa: non servirà a niente.
"Mi dispiace... non immaginavo che..." disse piano la dottoressa, mentre offriva un po' d'acqua alla ragazzina.
"Non è colpa sua" la rassicurò il custode. "Il fatto è che certe persone dovrebbero evitare di mettersi dietro una cattedra, se non sanno riconoscere una ragazza sociofobica quando ci hanno a che fare."
Sociofobica... era la prima volta che qualcuno dava una spiegazione a quella che Lucia chiamava "la sua malattia"! Anzi: la seconda, contando il professor Michele.
Il signor Gabriele aveva una sensibilità fuori dal comune... un po' come la sua migliore amica... chissà se dipendeva dal fatto che entrambi fossero del segno dell'ariete? Come lei, Gabriele sapeva bene quando scherzare e quando essere serio... aveva capito che Lucia, si sentiva terribilmente a disagio, quando qualcuno la prendeva in giro, anche giocosamente, e fin da subito si era mostrato gentile e comprensivo con lei.
Nel frattempo, un Kaleb incredibilmente scosso varcò la porta dell'aula, mentre la professoressa Distasio metteva sotto torchio il povero Luca, che, fortunatamente, sapeva il fatto suo.
Quando vide l'amico entrare, pallido e malfermo sulle gambe, Luca si bloccò.
"Little Lamb... who made... Kaleb?"
"Che succede, Marzano? Il rientro del figliol prodigo ti ha messo talmente a disagio che non sai più leggere, per caso?"
Ma Luca non le diede retta. Andò incontro all'amico e lo scosse forte per le spalle, nel tentativo di svegliarlo da quella specie di trance in cui era caduto.
"Kal... ma che è successo?" chiese preoccupato.
"Vai" disse semplicemente Kaleb per poi precipitarsi al suo posto.
"Non così in fretta, Kaleb."
Il ragazzo si fermò a metà strada tra il suo banco e la cattedra. "Continua tu, dove si è interrotto il tuo compagno. Vai a posto, Marzano. Sei." E Luca, pur avendole praticamente detto anche cosa indossava William Blake mentre scriveva, tornò al suo posto, con i pugni stretti.
Quando la prof gli fece la prima domanda, però, il ragazzo rimase in silenzio.
"Niente da fare." disse la professoressa. "Non hai studiato per niente, vero?"
"Certo! La sua spiegazione a tutto quello che va storto è questa, non è vero?"
Kaleb tremava, aveva gli occhi così stretti che sembrava che fossero sul punto di saltar via, era pallido e aveva una smorfia stampata in faccia. Una smorfia di rabbia.
"Che storia è questa, Kaleb?"
"La storia è che lei mi ha proprio stancato!" sbottò il ragazzo, aggrappandosi alla cattedra e stringendone il bordo così forte che le nocche delle sue dita diventarono completamente bianche. "Per lei è sempre e comunque colpa degli studenti e della loro pigrizia. E che importa se magari hanno un problema più importante di sapere che accidenti ha scritto un tizio due o tre secoli fa, in un'altra lingua, tra l'altro. Che importa se una ragazza finisce in infermeria perché le è venuto un maledetto attacco di panico a causa di un'insegnante che la fulmina al minimo sbaglio? Che importa se solo a sentir nominare quell'insegnante si spaventa e si sente in colpa per un'eventuale punizione che si becca qualcun altro? Che diavolo importa a lei se una ragazza viene umiliata solo perché sta vicino ad un'amica, o perché è cieca? Tanto, se lo studente non parla o arranca, è perché non ha studiato e basta..."
Luca rimase a guardare l'amico. Anche lui aveva preso a stringere il banco con tanta forza da farsi male.
"Kaleb, fermati" lo supplicò a denti stretti.
"Vuoi beccarti una sospensione?" chiese la professoressa, stringendo i denti.
"Ma faccia quello che vuole, che m'importa? Sa cosa vorrei? Che lei sospendesse se stessa, una volta tanto... così si farebbe un esame di coscienza!"
"Kaleb, smettila!" lo supplicò l'amico.
"Bene! Una settimana di sospensione con obbligo di frequenza." saltò su la professoressa.
Kaleb andò a sedersi al suo banco accanto all'amico: aveva ancora il viso tirato per la rabbia e, guardandolo meglio, Luca notò uno strano luccichio nei suoi occhi, come se si stesse trattenendo dal piangere. La classe rideva sotto i baffi.
"Vi sembra divertente?" li fulminò la Distasio, facendo la prima cosa buona di quella giornata. "Io vado a chiamare i tuoi genitori." aggiunse, fulminando Kaleb con lo sguardo, per poi uscire dalla classe.
Chiuse la porta, sbattendola alle sue spalle, e Luca toccò piano la spalla dell'amico.
"Kaleb... che diavolo ti è preso?"
"Mi è preso che mi sono stancato." rispose secco l'amico, sfregandosi con forza le tempie. "Che c'è? Vuoi darmi contro anche tu, per caso?"
"No, non è quello."
Luca era d'accordo con l'amico... ma era preoccupato per il fatto che fosse stato punito, che fosse entrato in classe in quel modo, che avesse sbottato subito. In genere Kaleb non era il tipo che voleva farsi notare. Anzi: se avesse potuto, si sarebe reso invisibile... ma quel giorno sembrava non essere in grado di controllare la sua rabbia.
"Tu non hai visto Lucia, oggi!" sussurrò Kaleb, coprendosi il viso con entrambe le mani e stringendo forte gli occhi.
"Che vuoi dire, Kal?" chiese Luca.
"Quando Roberta è venuta a chiamarmi e la dottoressa ha detto che la Distasio mi stava cercando, lei è caduta dal letto, è diventata pallida e ha iniziato a farneticare, a dire che sarei stato punito per colpa sua e altre cose sui suoi genitori... e ho visto che ha le braccia piene di segni..."
Luca si guardò intorno: sembrava che i compagni non stessero ascoltando.
Dopo aver passato in rassegna la classe, guardò il suo amico. Si era accasciato sul banco, con il viso ancora tirato, e sembrava sempre che si stesse sforzando di non piangere davanti ai compagni.
"Kal! Ehi! È molto bello, quello che hai fatto... non molto ortodosso, ma bello... anzi: scusami per non averti aiutato... ma non volevo..."
"Peggiorare le cose" lo fermò Kaleb. "Tu mi hai aiutato, invece. Hai cercato di farmi ragionare, di calmarmi, voglio dire... di non farmi fare colpi di testa inutili... il resto della baracca è rimasto in silenzio. Grazie, Luca."
La Distasio non si fece vedere per tutta l'ora, e finalmente giunse il momento del tanto atteso intervallo. Tutti si riversarono in corridoio, tranne Luca e Kaleb, nella quinta C, e Micaela, nella quinta B. A Kaleb era stato impedito di uscire per prendere un po' d'aria, e quanto a Luca, quest'ultimo non se l'era sentita di lasciare l'amico in classe da solo.
Micaela, invece, non pensando ad altro che alla sua migliore amica in infermeria, non volle uscire dalla classe.
"Allora, signorina Ferrante... tutta sola?" chiese una voce familiare, che le fece spuntare subito un sorriso.
"Signor Gabriele!"
Micaela scattò in piedi, urtando contro il banco.
"Piano, attenta. Io ti voglio bene... come faccio, se ti fai male?" le disse il custode.
"Mi scusi... io volevo... volevo chiederle..." disse la ragazza, incerta.
"Volevi chiedermi come sta la tua amica" completò la frase l'uomo, che, anche senza che la ragazza dicesse nulla, ormai la conosceva benissimo.
"Sì... era questo."
"Ha avuto un po' di paura, in certi momenti... ma alla fine il sedativo ha fatto effetto: è riuscita a riposare un po', poverina..."
"Ma adesso dov'è?"
"È qui fuori. Entra, Lu!" chiamò il custode, gentilmente, e Lucia si fece avanti esitante, per poi gettare le braccia al collo dell'amica.
"Ehi, Mica! Scusa se ti ho fatta preoccupare!" disse.
"Si è preoccupata parecchio, la nostra signorina... guarda che ha combinato al braccio!" esclamò il custode, sempre in tono giocoso, per poi prendere la mano sinistra di Micaela e farle sfiorare la crosta strappata che aveva sul braccio destro. "Ti devo portare un antistress, così ti sfoghi su quello."
"Mi scusi... il fatto è che quando sono nervosa non so che fare, non riesco a controllarmi e... e io..."
"Calma, calma... a tutto c'è rimedio" la rassicurò l'uomo, prendendola sottobraccio. "Che ne dite di andare a prendere qualcosa al bar? Magari poi andiamo a fare un po' di compagnia ai ragazzi della quinta accanto, che hanno deciso di non uscire per l'intervallo."
L'uomo ebbe la delicatezza di non rivelare davanti a Lucia il fatto che Kaleb fosse stato punito per aver sbottato contro la Distasio, ma il suo tono fece intuire a Micaela che i due non avessero deciso, o almeno, non tutti e due.
"Va bene" acconsentirono le ragazze.
Gabriele accompagnò le due ragazze al bar e presero un po' di cose per Luca e Kaleb. Gli era stato detto di farlo perché nei momenti di spacco, secondo la preside, qualcuno doveva fare da "sorvegliante" a Micaela, e lei lo sapeva bene. Il custode non lo credeva necessario: Micaela era tranquilla, e quanto a camminare, poteva farlo benissimo in autonomia, cosa che lui sapeva bene perché sulla questione "bastone bianco" avevano scherzato. Lui si era stupito di come lei lo facesse apparire e sparire così, come se niente fosse, e lei gli aveva mostrato a cosa serviva. "E io che pensavo me lo volessi spaccare in testa!" aveva ribattuto lui, sempre per scherzo, e lei, seguendo quella linea, aveva esclamato: "Io non sono violenta... e poi, se dovessi farlo, non lo farei mica a lei!"
Per lui era un piacere stare con i ragazzi, o almeno: con alcuni di loro, tra cui Micaela stessa... in ogni caso, però, quando i professori e la preside pensavano ai fatti loro, si metteva in disparte, guardando la ragazza da lontano, o almeno, quando l'accompagnava tenendola sottobraccio, si comportava come un cavaliere e trovava sempre un modo per non farle pesare quella storia. Era l'unico, almeno a scuola, in grado di accompagnarla senza porsi come una balia, senza farla sentire controllata.
Sapeva che, anche se la ragazza non protestava per educazione, avere una specie di guardia del corpo le avrebbe dato parecchio sui nervi.
"Molto bene, damigelle! Siamo arrivati a destinazione!" esclamò il custode, per poi rendere il bastone a Micaela, che teneva in mano anche un pacco con due cornetti. "Ti lascio in ottime mani, Micaela." E detto questo, le strinse la mano che reggeva Toto, per lasciarle intendere a chi appartenevano, quelle mani sicure.
Micaela sentì le guance scaldarsi e immaginò di essere arrossita. Anche lui doveva averlo notato, perché le scompigliò leggermente i capelli, sorridendo, prima di andarsene.
Avendo le mani occupate, non sapeva come bussare alla porta... poi le venne un'idea.
"Lu... mi diresti dov'è la porta della quinta C?" chiese.
"Proprio di fronte a te" rispose Lucia timidamente.
"Ah, grazie, signor Gabriele!" pensò Micaela. "Ha pensato a tutto, come sempre, vero?"
La ragazza allungò il braccio che reggeva Toto, e colpì con la rotellina la porta per due o tre volte.
Fu Luca ad aprire, e fu sorpreso di vederla lì fuori, insieme alla sua migliore amica, e fee entrambe avessero le braccia cariche di leccornie.
"Micaela! Lucia! Che bello vedervi!"
Luca prese di mano a Micaela il pacchetto, e altrettanto fece con Lucia, malferma sulle gambe... poi fece per accompagnare Micaela ad un banco, ma la ragazza sorrise, fermandolo delicatamente.
"Tranquillo... a quello ci penserà Tot... voglio dire: faccio io!" esclamò sorridendo e coprendosi la bocca con la mano sinistra che in quel momento era libera.
Come le era venuto in mente di parlare di Toto davanti a Luca? Era la seconda volta che lasciava cadere le sue difese a riguardo... ma che diavolo le prendeva?
Luca, dal canto suo, si chiedeva chi diavolo stesse per nominare Micaela. Forse era il suo cane... anche se la cosa non era molto plausibile: l'accesso ai cani-guida lì non era proibito, ma Micaela non ne aveva portato uno... quindi non ce l'aveva. Qualche anno prima, l'aveva raccontato un'insegnante di sostegno della classe vicina, c'era stata una ragazza che andava a scuola con il cane-guida e lo teneva attaccato alla porta con una corda vicina alla maniglia, che si agganciava alla pettorina. Aveva visto Micaela stringersi nelle spalle, mentre la prof spiegava quelle cose, come per spingere Micaela a prenderne uno. Micaela aveva risposto chiaramente che, in primo luogo avrebe dovuto andare all'estero, perché fino alla maggiore età non ne avrebbe avuto uno in Italia... e in secondo luogo, non ne voleva sapere. L'ultima cosa non l'aveva deta così: era fin troppo educata per farlo, ma era infastidita e spaventata, mentre la prof le faceva muovere per finta il bastone di qua e di là, trascinandola per un braccio per le strade, (le due classi erano in gita insieme). In quel momento, Luca aveva ringraziato il cielo di non essere stato al posto di Micaela, n per gli occhi: perché lui, al posto suo, avrebbe risposto male all'insegnante.
La voce di Kaleb lo riscosse dai suoi pensieri.
"Ehi, ciao ragazze!" salutò questi, cingendo le spalle di Lucia e portandola ad un banco.
"Siamo venute a trovarvi" disse Micaela, girando per la classe con il bastone che saettava da una parte all'altra del pavimento. "Fa freddino qui, vero?"
"Un po'... la classe è grande, come vedi... oh, maledizione!" sbottò Kalhb, maledicendosi.
"Eddai, davvero siamo ancora a questo punto?" chiese Micaela, senza perdere il sorriso. "Puoi dire: "Vedere"! Lo sai, il signor Gabriele mi chiama "piccolo ciclope", perché gli ho detto che non mi dà fastidio... e mi dice: "Guardare", "Vedere", come se non fossi semplicemente la cieca della quinta B... sono Micaela. Micaela e basta... poi sono cieca, sono bassa, sono imbranata... è una caratteristica come un'altra." Il ragazzo, sollevato dall'imbarazzo che aveva provato pochi secondi prima, rise.
"Che carine che siete!" esclamò Luca. "Avete anche portato i cornetti! Wow, alla crema: è il mio preferito!"
"Lo sai? Anche il mio!" disse Micaela adocchiando un banco. Prese la sedia che vi stava dietro e la mise di fronte a quella di Luca, da quello che aveva capito dalla provenienza del suono della sua voce. Poi andò a prendere una sedia anche per Lucia: la ragazzina, mingherlina e debilitata com'era, non ci sarebbe riuscita da sola.
"È vero, non ci ho pensato" disse Kaleb, ridendo. Lucia si mise a sedere accanto alla sua amica, sorridendo ai ragazzi, intimidita.
"Prendi, Mica" disse gentilmente Luca, offrendole un cornetto alla crema come il suo. La ragazza sapeva di essere sul punto di mandare a quel paese la dieta per la seconda volta, ma Luca insisteva, e la ragazza non poté rifiutare. "Vorrà dire che dopo, in qualche modo, mi farò una corsetta." disse tra sé.
"Sai, oggi sono stato interrogato anch'io" sussurrò il ragazzo. "Abbiamo preso quasi lo stesso voto, sai?"
"Ti ha dato sette?"
"Macché! Sei tondo!" rise Luca.
"Se ti sentisse cantare, in inglese, magari, sono sicura che ti alzerebbe il voto!" disse Mica, cercando le sue mani e stringendogliele.
"Sono stato interrogato anch'io" disse Kaleb, "ma non ho voluto risponderle."
Micaela, che aveva un'empatia estrema, sentì Lucia irrigidirsi e istintivamente chiuse la sua mano sottile e tremante nella sua stretta.
"Lu! Tesoro, guardami!" le disse a basa voce. "Va tutto bene, respira. Stai tranquilla."
"Non è colpa tua, Lucia" si affrettò a dire Luca, mentre la ragazza se ne stava lì, con mezzo cornetto in mano e gli occhi sbarrati. "Kaleb ha sbottato per tante cose. Lui non può soffrire la Distasio, come del resto tutti noi..."
"Ero stanco di lei, delle sue frecciatine, dei suoi voti a caso e del suo essere così..."
"Attento." sussurrò Micaela. Qualcuno era passato vicino alla porta. Mica si alzò di scatto, recuperando Toto, che era stato bloccato tra la sedia e il banco, e raggiunse in fretta la porta dell'aula. Tese l'orecchio, in attesa, e tirò un sospiro di sollievo, riconoscendo le voci di alcuni alunni.
"Non è lei!" disse, tirando un sospiro di sollievo. "Ma qualcuno dei vostri compagni sembra aver fretta di rientrare in classe... forse è meglio se andiamo. Aspetta, rimetto a posto le sedie."
"No, aspetta... mancano ancora cinque minuti alla fine dell'intervallo" protestarono Luca e Kaleb.
"Starei con voi tutto il tempo" ammise Micaela, e Lucia avrebbe concordato, ma si vergognava troppo per dirlo ad alta voce, "ma, vedete, se il prof di chimica scopre che sono rientrata in classe con una compagna, o peggio ancora, da sola, metterò nei guai il signor Gabriele..."
"Perché dovresti metterlo nei guai?"
"Perché la preside me l'ha messo alle costole. Dovrebbe farmi da guardia del corpo, per capirci, ma lui stesso mi ha detto che non ce n'è bisogno... lo fa per non farmi rimproverare, e io non voglio che se la prendano con lui... devo andare. Ciao, ragazzi."
Micaela si avviò verso la porta e raggiunse la classe vicina. L'amica, dopo aver salutato i ragazzi, si affrettò a correre verso di lei e insieme raggiunsero i rispettivi banchi.
Arrivarono giusto in tempo, perché poco dopo entrò il professore di chimica. Micaela tirò un sospiro di sollievo, notando che era sempre nervoso, ma non sospettava nulla.
Anche stavolta ci fu un'interrogazione a tappeto, ma per fortuna, pur sbraitando come un ossesso, il professore non chiamò né Mica né Lucia.
Nelle ultime tre ore, non accadde nulla di particolarmente rilevante, e finalmente giunse il momento di andare a casa.
"Micaela" disse Carlotta, avvicinandosi al banco della ragazza, "posso parlarti un secondo, per favore?"
Nel tono della sua voce c'era qualcosa di decisamente stonato, ma Micaela le rispose: "D'accordo."
Lucia, che aveva percepito la stessa sensazione dell'amica, le strinse il braccio, rischiando di farle male poiché era quello su cui c'era la crosta che Mica aveva torturato per sfogare il suo nervosismo.
"No, per favore!" sussurrò, agitatissima.
"Tranquilla, Lu" la rassicurò l'amica stringendole le mani. "Ascolta, va' pure... io ti raggiungo tra poco."
"Ma..." balbettò Lucia, poco convinta.
"Ti prometto che starò attenta" tagliò corto Micaela, che già per conto suo sentiva l'ansia invaderla e non voleva trasmetterla anche a Lucia, che quel giorno ne aveva già passate troppe.
Tutti lasciarono la classe. Lucia, però, non si aggregò al corteo che correva verso l'uscita. Micaela e Carlotta rimasero sole, e quest'ultima chiuse la porta.
"Ti diverti tanto?"
Micaela si riscosse e scattò in piedi.
"Mi diverto tanto a fare che?" chiese, diffidente.
"Ti diverti tanto a fare la paladina della giustizia, non è vero?" specificò Carlotta, mentre Micaela, che aveva la sensazione di sapere dove l'altra stesse andando a parare, cercava di estrarre il suo Toto dallo zaino... ma Carlotta la raggiunse e rovesciò il contenuto dello zaino sul pavimento.
"Ma che ti prende?"
"Tu non vai da nessuna parte, piccola, insulsa disabile!" sbottò Carlotta.
Micaela si strinse nelle spalle: sentirsi sputare addosso quel termine era un pugno alo stomaco.
"Ti metti a difendere quel cervello bacato della tua amichetta, fai la carina con Luca, ti metti a fare la vittima con i professori..."
"Non ti azzardare a parlare così di Lucia, che ne vale mille di persone come te, capito?" sbottò Mica, mordendosi le labbra quasi a sangue, mentre cercava di raccogliere le sue cose. Ma, tra i libri e l'astuccio che riponeva nello zaino, c'era qualcosa che mancava: Toto.
"Cercavi questo?" chiese, facendole sfiorare l'oggetto. Micaela si raggelò.
Carlotta rise: "Ma certo, te la difendi così, la tua amichetta, perché vi siete trovate. La cerebrolesa e la non vedente."
Un altro pugno nello stomaco. Sembrava che Carlotta lo facesse di proposito.
"E ora che farai? Andrai a fare la vittima con Luca?"
"Ah, ecco cosa ti brucia!" esclamò Micaela, riuscendo ad aggrapparsi a quel poco di lucidità che le era rimasto. "Non te ne importa nulla di chi difendo o non difendo... ti brucia il fatto che Luca si sia preoccupato per me... e che ti abbia dato un due di picche!"
"Stupida handicappata patetica!" gridò Carlotta. Prese un paio di forbici e, davanti ad una statuaria Micaela, tagliò la corda che teneva insieme i cinque pezzi di cui era composto Toto, per poi buttarli a terra e calpestarli.
Poi, con un tono beffardo e falsamente gentile, disse: "Oh, scusami... non l'avevo proprio visto!"
Micaela non ebbe bisogno di vedere, per sapere che la ragazza non solo aveva buttato a terra il suo Toto fatto a pezzi, ma aveva anche ribaltato di nuovo il suo zaino riempito per metà.
"Oh, povera Charlotte! Povera, piccola, innocente Charlotte... non hai visto il bastone bianco della cieca cattiva? Eppure l'hai distrutto e ci hai camminato sopra... forse ne serve uno anche a te, di bastone per ciechi!" cantilenò Micaela, marcando sulla parola che aveva ripetuto due volte.
Carlotta, vedendo che la ragazza non si scomponeva anche se dentro aveva l'inferno, escluso il commento su Lucia, l'afferrò per le braccia e prese a strattonarla con forza.
"Molla... e molla!"
Micaela cercò di respingerla, ma Carlotta era troppo forte per lei, e decisamente nervosa.
"Lasciami... e lasciami!" disse Micaela, stringendo i denti. Diede un'ulteriore spinta, ma per liberarsi il braccio destro finì per dare uno schiaffo a Carlotta all'altezza della spalla.
Lucia, intanto, era rimasta dietro la porta. Aveva sentito le ragazze urlare, o meglio: Carlotta urlare e Micaela ribattere con calma... poi c'era stato lo scontro.
"LUCA! LUCA, DOVE SEI?" gridò Lucia, correndo per il corridoio, disperata.
"Lucia!" Luca, riconoscendo la sua voce in mezzo alla folla, tornò indietro. Vide la ragazza, in piedi, terrorizzata.
"Luca, falla smettere, ti prego!"
"Non capisco... che stai dicendo, Lucia?" chiese, agitatissimo... poi si rese conto dello stato in cui la ragazza versava: era tutta sudata, tremava e si reggeva in piedi per miracolo. Non aveva mai visto nessuno andare nel panico così spesso... e non c'era Micaela a calmarla, questa volta... ma dov'era, Micaela?
Lucia continuava ad indicare la sua classe, terrorizzata.
"Vieni... andrà tutto bene." disse il ragazzo, recuperando un po' di calma per non farla agitare. "Kal! Portala via di qui, presto!"
Kaleb raggiunse Lucia, la prese per mano e dovette sforzarsi per portarla via: la piccola aveva una forza della disperazione incredibile e non sembrava avere intenzione di lasciare l'amica lì dentro.
Luca fece irruzione nella quinta B e vide proprio Carlotta che tratteneva Micaela e quest'ultima che lottava per liberarsi, finendo per colpirla involontariamente.
"Ma che diavolo fai? Sei impazzita, per caso?" urlò, infuriato. Carlotta mollò la presa sull'altro braccio di Micaela, che cadde all'indietro, sbattendo una spalla contro il banco.
"Non è come sembra" disse sbrigativa e agitata Carlotta.
"No... non è come sembra, piccola vipera patetica!" le disse Luca, rivoltandole contro i suoi stessi insulti. "Non hai buttato a terra i libri di una ragazza, non hai fatto a pezzi il bastone di cui aveva bisogno, non l'hai strattonata e non l'hai insultata fino alla nausea, strega che non sei altro!"
Agli angoli degli occhi di Carlotta si formarono delle lacrime, ma Luca ormai aveva perso il controllo.
"E fai conto che il cieco sia io, perché il solo motivo per il quale guarderei una ragazza come te, sarebbe evitarla" le sbraitò contro per l'ennesima volta.
"Luca, non c'è bisogno!" intervenne Micaela, dolorante e atterrita, ma comunque abbastanza lucida da notare che Carlotta sembrava sul punto di piangere, almeno all'apparenza.
"Lei dovrebbe piangere, non tu!" sbottò ancora Luca, mentre Carlotta correva via con la coda tra le gambe.
"Ehi!" lo richiamò dolcemente Micaela.
Il ragazzo si placò al suono dolce della sua voce. Aveva ragione Gabriele: quella ragazza era un angioletto.
"Tu non sei così" disse Micaela, provando a raggiungerlo, con il risultato che, smarrita com'era, inciampò sui suoi stessi libri. "Ahi! Non ci voleva, accidenti!" mormorò, alzandosi. Luca le andò incontro e le mise una mano sulla spalla, facendola sussultare a causa del dolore.
"Scusa... scusa, io non... non volevo."
"Tranquillo, non è niente" lo rassicurò la ragazza.
"Ma perché se l'è presa con te?" chiese il ragazzo.
"Perché crede che io abbia fatto chissà cosa per circuirti" rispose Micaela in tono pacato. Luca si sorprese di quanto riuscisse a star calma, come una moderna Jane Eyre, dopo aver scoperto che il signor Rochester aveva una moglie. Micaela stessa ne era stupita, ma non voleva che Luca la vedesse fragile... farsi vedere mentre veniva aggredita in quel modo era già stato abbastanza umiliante, per lei.
"E cosa gliel'ha fatto pensare?"
"Non so... forse il fatto che tu ti sia preoccupato per me, o il numero di telefono... però ne è valsa la pena, sai? Speravo di averlo, un amico come te." Micaela disse quella frase in modo leggermente forzato: era una mezza verità. Avrebbe voluto davvero una persona come lui al suo fianco, ma non come amico... avrebbe voluto che lui fosse il suo ragazzo.
"Mi dispiace... guarda che ha combinato! Non volevo metterti nei guai." disse Luca, mortificato.
"Ma non è stata colpa tua. Charlotte è suonata, anche più di me, se possibile" disse Micaela.
"E ora cosa farai, con il tuo bastone?"
"Dovrò sostituirlo, temo" sospirò Micaela. Quella era la cosa che le dispiaceva di più, e Luca parve capirlo al volo, per cui la ragazza si mise sulla difensiva. "Non è solo al cane-guida, che ci si affeziona... io sono affezionata al mio Toto." Ma si lanciò maledizioni in aramaico, dopo averlo detto. Ecco, ci mancava solo che quel ragazzo la prendesse per matta.
Luca, però, non sembrava scandalizzato.
"Ma io non ho parlato né di cani, né d'altro" disse. "Solo... non so se ho capito bene: è il tuo bastone, Toto?"
"Sì, è il mio bastone... o meglio: lo era" rispose lei tristemente. "Era il mio primo bastone. Ce l'ho da sette anni e mi ci sono affezionata..."
"Lo so che ci si affeziona anche agli oggetti" disse Luca. "La mia chitarra, per esempio, si chiama Selene."
Micaela in quel momento non aveva la forza di chiedergli perché... non ci capiva niente, ma fu sollevata da quella rivelazione.
"Vuoi che ti aiuti?" chiese Luca, mentre la ragazza cercava di raccogliere i libri.
Il braccio, però, le faceva piuttosto male.
"No... grazie..."grazie" balbettò Micaela, stringendo i denti e infilando i libri nello zaino, uno alla volta. Si sforzò di tener fermo lo zaino con la mano dolorante e raccattò le sue cose con la sinistra. "Però... ecco, mi faresti un piccolo favore?"
"Di che si tratta?"
"Potresti dire a Lucia di aspettarmi cinque minuti? Il tempo di rimettermi un po' in sesto" disse Micaela. Le era appena venuto in mente che la sua migliore amica avrebbe potuto spaventarsi, se l'avesse vista scossa e malconcia.
"È un modo carino per dirmi: "Levati di torno"?" chiese il ragazzo, cercando di farla sorridere.
In effetti il tentativo gli riuscì, anche se per pochi istanti.
"Non mi permetterei mai di cacciarti... ma sono preoccupata per Lucia, non voglio che mi veda così" disse Micaela timidamente. In più, sentiva le lacrime spingere per venir fuori, e non voleva piangere davanti a lui. Aveva già fatto abbastanza figuracce, per quel giorno.
Luca comprese che la ragazza aveva bisogno di stare da sola e le disse: "Va bene, tranquilla. Dirò a Lucia di aspettarti ancora per un po'."
"Grazie, sei un angelo!" disse Mica, sentendosi decisamente sollevata.
"Veramente l'angelo sei tu, però grazie del complimento. Me lo dice anche mia madre." le disse Luca, varcando la porta e chiudendosela alle spalle.
Rimasta sola, Micaela si lasciò scivolare sul pavimento e si prese il viso tra le mani, ma dovette lasciare la presa, perché il polso le faceva male. Sospirò, cercando a tentoni i segmenti del suo Toto. Li raccolse, uno per uno, con le mani che le tremavano, e li dispose sul banco. Non era insolito che dovesse aspettare tutti, per uscire dall'aula, perché ovviamente al povero custode era stato detto che prima doveva accertarsi che tutti gli studenti fossero usciti e solo allora doveva andare a prendere lei in classe. Ma stavolta, Micaela avrebbe atteso da sola. Era stanca, sfiduciata, abbattuta... e la sua migliore amica non doveva assolutamente vederla in quello stato. Aveva già tanto, a cui pensare... non doveva preoccuparsi anche per lei. Micaela doveva mostrarsi forte, anche se non lo era.
Non sapeva perché, ma iniziò a ripetere a voce alta un pezzetto del secondo libro di Harry Potter: quello in cui Hermione veniva insultata. Aveva mischiato il libro al film, perché le piaceva pensare ad un Hagrid intento a confortare Hermione, insultata da Draco Malfoy perché nata da persone comuni... così come lei era stata insultata da Carlotta per i suoi occhi, in un modo troppo pesante da sopportare persino per lei, che in genere prendeva tutto con un sorriso... quelle parole le bruciavano, vedere il suo Toto distrutto le bruciava, non essere stata in grado di evitarlo le bruciava... e l'unico rimedio che conosceva contro quella tristezza, era raccontare qualcosa ad alta voce, o magari cantare. L'autostima non le saliva di certo, facendo quelle cose: non si sentiva brava, ma almeno quei sogni ad occhi aperti riuscivano ad alleggerirle un po' il cuore. Chissà come sarebbe stato, raccontare quelle storie su un palco teatrale? Chissà come sarebbe stato cantare in un musical, recitare in una commedia o in qualunque altra cosa? Chissà come sarebbe stato anche solo stare dietro le quinte, in attesa, con il cuore che batteva fortissimo e le mani strette intorno ad un amuleto, che poteva essere un medaglione, una collana, una foto speciale? Ma lei, questo, non l'avrebbe mai scoperto. Chi se la sarebbe presa, una come lei, in una compagnia teatrale? Carlotta gliel'aveva sputato addosso per ben tre volte, il motivo per il quale nessuno si sarebbe preso la briga di aiutarla a realizzare il suo sogno... quattro, contando anche il messaggio; la Distasio, insieme ad altri colleghi, glielo faceva notare in continuazione... e Micaela ci credeva.
Forse era per quello che si limitava a recitare o cantare per conto suo, dove nessuno poteva vederla o sentirla, e lo faceva per calmarsi.
Un altro ostacolo rilevante era la timidezza. Certo, perché molti ciechi dei luoghi comuni cantano, ma lei non voleva farlo davanti agli altri. Si vergognava da matti, fin da bambina. Una volta aveva provato ad entrare in un laboratorio di musica delle elementari, e le era stato chiesto di cantare la canzone più facile del mondo: Fra Martino Campanaro... con il risultato che la piccola, che all'epoca aveva sei anni, si era bloccata, lì, vicino alla cattedra, e le sue labbra si erano chiuse ermeticamente. Poi, col tempo, era diventato difficile anche farle esprimere quel che pensava.
Quel giorno sentiva la necessità proprio di un brano sull'autostima, e scelse: "This is me", dal musical: "The Greatest Showman". Le sarebbe piaciuto tanto interpretare la Donna Barbuta... ma il punto era sempre lo stesso.
D'improvviso, il cigolio della porta dell'aula la riscosse. Quel rumore ffu seguito da un applauso, e la persona che lo faceva sembrava decisamente entusiasta, anche perché esclamò: "Ma brava! Hai capito cosa teneva nascosto, il mio piccolo ciclope?"
La ragazza riconobbe quella voce e, colta alla sprovvista dal fatto che lui la stesse ascoltando, fu solo in grado di dire, con un filo di voce: "Signor Gabriele..."

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