-5: Fuori Dalla Mia Finestra-

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"Ragazzi!" La voce del professor Michele riscosse entrambi, che si staccarono di colpo.
"Scusi, professore" balbettò Micaela, arrossendo.
"Tutto bene?" chiese l'uomo, conciliante.
"Sì... sì, tutto bene..." continuò la ragazza.
"Se volete, potete entrare... in genere non si fa, ma stavolta ci hanno permesso di allestire un picnic. Per sollevare il morale a Lucia, mi ha detto il medico."
"Sì... sì, certo, professore... arriviamo" disse Luca, anche lui decisamente in imbarazzo.
Fece per prendere la mano di Micaela, ma poi cambiò idea.
Erano entrambi troppo imbarazzati per camminare fianco a fianco. Micaela stringeva l'impugnatura di Toto come un tesoro prezioso, cercando di non assimilare il contatto con le mani del ragazzo come se lui la stesse ancora abbracciando... ma fu praticamente inutile: la ragazza si sentiva ancora sfiorare, anche se in quel momento lei e Luca erano un po' distanti tra loro. Il suo tocco era leggero, delicato, e la sua presa era salda e rassicurante come nessun'altra. E quelle labbra che erano arrivate a pochissima distanza dalle sue... avrebbe tanto voluto che le loro labbra si toccassero... ma che diavolo stava dicendo? Sarebbe stato il suo primo bacio: non voleva darlo ad un ragazzo incontrato da poco, per buono che fosse.
Lei era una ragazza romantica, forse anche all'antica... non pensava che il suo primo bacio dovesse essere quello della persona che avrebbe sposato, ma di una cosa era certa: per fare certe cose bisogna essere sicuri di volerlo... ed era proprio quello che lei si chiedeva: era sicura di volerlo baciare?
Luca sembrava averlo capito. Si vergognava: era stato troppo impulsivo. Lei non era come le altre... era timida, riservata... forse le aveva messo paura, avvicinandosi in quel modo. E poi, maledizione, lui non sapeva se Micaela voleva che la baciasse... non sapeva se lo vedesse come un amico o come altro... e neanche lui era sicuro di poterla definire... sapeva solo che le voleva molto bene e non avrebbe mai imposto ad una persona di fare qualcosa, ancor meno di quel tipo.
Strinse gli occhi e continuò a camminare, cercando di non pensarci, ma più guardava le guance rosse di Micaela, più vergogna provava. Allo stesso tempo, però, starle vicino gli era piaciuto tantissimo... era come abbracciare una bambina, con quella sua innocenza, quel calore che solo lei dava e aveva, quella stretta forte e tenera... e, cavolo, starle così vicino, sentire il suo respiro sul viso, non gli era dispiaciuto affatto.
Rientrarono nella camera d'ospedale. Lucia sembrava essersi tranquillizzata ed era stato allestito un piccolo tavolino con delle vivande per lei e i suoi amici. Micaela, ancora immersa nelle sue sensazioni, andò a sbattere con il fianco contro uno spigolo del tavolo.
"Attenta!" le disse amorevolmente Gabriele. "Cosa ti succede? Non ti senti bene("
"Cosa? Oh, no... è che mi sono distratta" rispose lei, coprendosi il fianco con una mano.
"Ti sei fatta male?" le chiese gentilmente il custode, tirando indietro una sedia e aiutandola a sedersi.
"Solo un po'" rispose la ragazza, avvicinando la sedia al tavolino per stare più comoda.
"Qualcuno ti ha rubato il cuore, angioletto?" le chiese a bassa voce il custode, assicurandosi che solo lei potesse sentirlo.
"No... no, davvero" rispose la ragazza, ma in quel momento le venne qualche dubbio.
Andrea si mise a sedere accanto a lei e le prese la mano.
"Gli piaci" le disse a bassa voce. "E scommetto che anche lui ti piace."
Ed erano salite a quota due, le persone che le avevano instillato quel dubbio.
Micaela alzò la mano destra, facendo il gesto dell'Okay, poi Andrea le passò una scodella di plastica.
Per solidarietà nei confronti di Lucia, avevano preso tutti una pasta immersa in una brodaglia che non era fatta proprio benissimo... ma la compagnia compensava enormemento il cibo di quel convivio improvvisato.
Tutti, compresa Lucia, riuscirono a ridere e scherzare.
"Anche la professoressa Angelica dovrebbe essere inserita nel gruppo" disse Luca, all'improvviso.
"È vero... starebbe bene anche lei, con questo gruppo." si aggregò Kaleb.
Michele e Gabriele si scambiarono uno sguardo... era da un po' che pensavano di fare qualcosa per quei ragazzi... e forse, per certi versi, anche per loro stessi.
Quando fu il momento di andare si erano fatte le sei del pomeriggio.
Gli unici che ebbero il permesso di restare furono Michele e Giorgia, che facevano le veci dei genitori di Lucia... e, secondo Micaela, lo facevano meglio dei genitori biologici.
Micaela, Kaleb, Luca, Andrea e Gabriele salirono a bordo dell'auto e il custode accompagnò i ragazzi a casa, a turno.
Prima di scendere dall'auto, Kaleb appoggiò una mano sulla spalla di Micaela.
"Mi dispiace" disse piano. "Ti ho detto delle cattiverie... non volevo, davvero..."
"Sì, ma erano cattiverie a fin di bene... non mi è mai capitato che qualcuno non mi lanciasse insulti fini a se stessi..."
Kaleb rimase decisamente sorpreso da quelle parole, ma dal tono gentile di Micaela comprese che lei non era arrabbiata con lui... non in maniera irreparabile, almeno.
Luca e Andrea scesero in contemporanea dall'auto.
"Mica... ti posso consigliare un libro?" chiese Andrea, prima di andarsene.
"Certo" rispose Mica. "A me piace molto leggere."
"Si chiama: "Quello che ti rende speciale", di Marci Curtis Lyn" disse velocemente Andrea, stringendole la mano. "Sono sicura che ti sarà utile."
Le diede un bacio sulla guancia, sorridendo, e andò via insieme a Luca.
Micaela scrisse il titolo del libro e il nome dell'autrice in maniera approssimativa. Sperava di cuore che la lettura di quel libro la distraesse da un pensiero che la tormentava da quando aveva lasciato l'ospedale... e che per una volta riguardava lei. Soltanto lei.
"Sei assorta... va tutto bene, Mica?" le chiese Gabriele.
"Sì... sto bene, davvero" rispose lei. Ma lui, che conosceva fin troppo bene le inflessioni della voce della ragazza e il suo modo di tormentarsi le mani quando era nervosa, comprese che c'era qualcosa che non andava.
"A cosa stai pensando, piccola?" le chiese con calma.
"A domani... io non ho fatto niente di male, però... mi vergogno lo stesso."
"Il fatto che tu dica che non hai fatto niente di male è già un bel risultato. Ma... ti vergogni di quello che potrebbero dire di te i professori?"
"Sì... sinceramente sì. Preferisco essere una cieca invisibile, che una carogna che aggredisce a caso la gente quando la giornata le va male. Già m'immagino i sussurri in corridoio, come se fossi sorda invece di essere cieca... e già immagino le frecciatine dei professori... soprattutto quelle della Distasio. Mi credi se te lo dico? Ogni volta che quella donna e i miei compagni mi parlano, mi sento come se un manipolo di Dissennatori mi stesse portando via l'anima."
"Per crederti ti credo... solo che non ho la minima idea di cosa siano."
"Oh, scusami, è vero... sono delle creature di Harry Potter che si nutrono dei sentimenti felici... e alla fine, quando hanno banchettato, ti trovi praticamente senz'anima."
"A me sembri più Oliver Twist, quando qualcuno della scuola di cui non ti fidi si rivolge a te o cerca di diffamarti."
"Ah, certo... del tipo: "Pregate di non essere come Oliver"!" esclamò Micaela, imitando la voce di uno degli antagonisti, che esortava i bambini della "casa di lavoro" in cui abitava Oliver a pregare di non diventare mai come lui. "Comunque, la cosa che mi spaventa di più è l'idea di essere presente all'assemblea."
"Davvero? Guarda che dovresti esserne felice" le fece notare il custode. "Stando lì puoi ascoltare cosa dicono di te e difenderti... e comportarti dalla ragazza coraggiosa che sei."
"In questo caso temo che finirò per deluderti... io non sono coraggiosa..."
"No, non finirai per deludere proprio nessuno, piccola... a cominciare da me. E poi: tu sei molto coraggiosa, molto più di quanto credi. Quello che ti è successo oggi ne è la prova... un'altra avrebbe rinunciato a proteggere l'amica dopo essersi scontrata con quegli idioti che ha per genitori... che mi chiedo come abbiano fatto ad avere una figlia tanto buona."
"Me lo chiedo anch'io." si aggregò Micaela. "E, a proposito di genitori..." La ragazza si strinse il ginocchio: aveva sempre grosse difficoltà nel confidarsi. Cominciò a battersi freneticamente le dita sul ginocchio, poi si decise: "Loro hanno sempre fatto tanto per me... e io non voglio che pensino di non aver fatto nulla di buono... o che li prendano per quelli che difendono i figli a spada tratta, anche se sono degli stupidi bulli di quartiere."
"Per l'amor del cielo... dare a te della bulla di quartiere è semplicemente ridicolo!" esclamò Gabriele. "Devo tenermi il posto, altrimenti giuro che avrei qualcosa da dire ai professori."
"No, non farlo! Se ti mandano via, io come faccio?" gli disse istintivamente Micaela.
"Addirittura? E perché?" chiese lui.
"Perché... perché sei uno dei pochi veri amici che ho." gli rispose lei, in fretta, prima di tornare a chiudersi nel solito silenzio.
Lui non le disse nulla, ma quella confidenza gli aveva fatto piacere.
Quando arrivarono a casa di Micaela, il custode le lasciò un bacio sulla guancia ancora gonfia e le disse: "Copriti un po' il viso... no, non mi fraintendere, sei molto carina, ma non vorrei che i tuoi si spaventassero nel vedere questo... ne avrebbero anche dei buoni motivi, comunque..."
"Accidenti, è vero" dise tra sé Micaela, mentre Gabriele le schiacciava una ciocca di capelli sulla guancia.
"Vedrai, entro un paio di giorni sarà scomparso del tutto" le disse. "È già più sgonfio di prima... mi dispiace tanto di non essere arrivato in tempo."
"Non puoi essere ovunque... prima o poi doveva succedere anche questo" lo rassicurò lei. "Grazie... a domani."
Gli sorrise e scese dall'auto. Teneva stretto Toto così forte da rischiare di farsi male... ma era tesa: non sapeva cosa sarebbe successo se i suoi genitori avessero visto la sua faccia.
Estrasse le chiavi di casa dallo zaino, avendo cura di tenerlo davanti al viso, per sicurezza, aprì il portone e fece le rampe di scala praticamente di corsa.
Appena aperta la porta di casa, s'infilò dentro rapidamente, ma fu costretta a fermarsi sulla soglia quando riconobbe la voce di sua madre.
"Ciao, amore... com'è andata?" le chiese.
"Ciao, mamma... tutto bene... Lucia sta un po' meglio."
"Che cos'hai? Sei agitata?" chiese sua madre, preoccupata.
"No, va tutto bene" rispose Micaela, sorridendo. "Sono solo un po' stanca e gli ospedali non mi piacciono, lo sai."
Sofia era dubbiosa, ma conosceva bene Micaela... sapeva che c'era dell'altro, ma che non gliel'avrebbe detto per non farla preoccupare.
"Ti voglio bene, mamma!" disse senza preavviso, per poi filare in bagno, dimenticando di prendere un cambio, e gettarsi sotto la doccia. Le costava, ma si gettò dell'acqua gelata in faccia, sperando che il segno dello schiaffo rimpicciolisse ancora un po'. Se solo pensava che Lucia doveva sopportare quel dolore tutti i giorni il cuore le si stringeva fino allo stremo.
"Tesoro, hai dimenticato..." disse Sofia, entrando con un pigiama in mano, che le cadde quando vide di sfuggita la guancia rossa di Micaela. "Che ti è successo?"
"Oh, questo!" esclamò Micaela. "Non è nulla, davvero... fa un po' male, ma si sta già sgonfiando..."
"Chi te l'ha fatto, Mica?" chiese Sofia. Micaela tirò la tenda, per coprirsi, mentre sua madre si sedeva sulla cesta dei vestiti da lavare.
"Non importa... tanto sarà dietro le sbarre a breve, quell'animale." rispose Micaela, senza un minimo di compassione nella voce. Non poteva provare niente del genere per una persona che aveva riservato alla sua migliore amica il trattamento che aveva riservato a lei... con la differenza che quelle carognate Lucia doveva sorbirsele tutti i giorni.
"E sulle braccia? È stata sempre la stessa persona a riempirti di lividi?"
"No, mamma... è stato uno scontro tra streghe, quello" rispose Micaela, stavolta tranquillamente.
Per Carlotta sì che provava pena... era una bambina insicura, come lei, con la sola differenza che non lo esternava e finiva per esplodere facendo cattiverie.
"Piccola... non sai quanto mi dispiace" sussurrò Sofia, e Micaela la vide piangere, cosa che la donna non faceva da tanto tempo. "So cosa penserebbe la tua insegnante, se ti difendessi... ma non m'importa. Io lo so che non avresti mai alzato le mani su una ragazza, se non per difenderti..."
Micaela, per l'ennesima volta, ricollegò quella scena ad Harry Potter, lacrime a parte. "Tu sei innocente..." "E tu lo sai... questo è quello che conta." E, d'istinto, tese la mano bagnata verso sua madre, sorridendo, e disse: "Non mi deve importare di cosa pensano la Distasio e altri professori. Non tutti, ma quasi. In fondo, io a loro non voglio bene... invece di te m'importa, mamma... e non avrai bisogno di difendermi, domani. Andrà tutto bene."
Sofia era commossa: conoscendo Micaela quella storia le bruciava più dei lividi che aveva "collezionato" in due giorni, ma la sopportava con un sorriso, con ottimismo... e sembrava così tranquilla, anche se in realtà non lo era per niente.
Quella sera, infatti, Micaela fu tormentata da incubi al limite dell'assurdo. Sognò di essere addirittura in un'aula di tribunale, con la Distasio come giudice... e quando si svegliò, era nel panico più assoluto.
Il giorno dopo aveva una faccia stravolta, tanto che vi gettò sopra dell'acqua gelida per svegliarsi del tutto.
Suo padre non le fece domande sul segno. Sofia gli aveva già raccontato tutto, pregandolo di non dirle niente: doveva essere stata già abbastanza dura parlare con lei, dopo quello che aveva notato... e l'uomo fu molto discreto.
"Vuoi che ti accompagnamo, Mica? Visto che Lucia non c'è, voglio dire..." fu l'unica domanda che le fece.
"No, papà... grazie mille" rispose la ragazza, cercando di mostrarsi serena. "La scuola è a poca distanza... metterò il navigatore, così non sbaglierò strada... prima o poi sarebbe successo anche questo, no?"
I due si guardarono, indecisi... poi accettarono, ma decisero di seguirla a distanza. Micaela era nervosa e andarsene in giro da sola con una notte quasi insonne sulle spalle e l'ansia alle stelle non era il massimo.
Mentre usciva, Mica ricevette un messaggio.
Numero sconosciuto: "Ehi Mica, sono Andrea... Luca mi ha raccontato quello che è successo a scuola... non preoccuparti: tu non hai fatto niente di male... dovranno crederti per forza."
Mica scrisse velocemente una risposta.
"Ehi, ciao Andrea... grazie... sei stata carina a preoccuparti, ma non dovevi... io sto bene, davvero... spero di rivederti presto... ti mando un abbraccio enorme. Grazie."
"Accidenti, i libri!" esclamò Micaela, tornando indietro per prendere lo zaino con i libri. S'infilò il cappotto e si caricò lo zaino in spalla per poi impostare il navigatore e prendere Toto con la mano libera.
Appena uscita dal condominio, ebbe la sensazione che il gelo le attraversasse le ossa più del solito.
La voce asettica del navigatore le indicava la strada e lei seguiva le istruzioni meccanicamente. Era nervosa, più di quanto non volesse confessare persino a se stessa.

Volontariamente disadattatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora