-10: Amica Mia-

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Il signor Fausto lasciò lo scantinato solo quando Lucia si fu addormentata. Avrebbe voluto coprirla, ma non poteva rischiare che i signori Grimaldi se ne accorgessero, quindi l'aveva tenuta stretta per un po', per scaldarla, poi l'aveva adagiata sul pavimento, le aveva dato un bacio sulla fronte il più leggero possibile per non svegliarla e se n'era andato via silenziosamente, chiudendo la porta a chiave. Sperava solo che la piccola non si svegliasse in quel momento, o il buio l'avrebbe spaventata.
Qualcuno gli aveva lasciato un messaggio, sia su WhatsApp che come normale SMS, e in quel momento l'uomo ringraziò il cielo di essere abbastanza esperto di tecnologia.
"Salve! Sono Gabriele Ferreri e conosco Lucia... forse c'è un modo per tirarla fuori da quella casa, ma lei deve aiutarmi... appena può mi chiami, anche di notte, e faccia in modo che i Grimaldi non la sentano... non voglio farle correre rischi."
Il signor Fausto rientrò a casa, indossò un cappotto, una sciarpa e un cappello per ripararsi dal freddo e uscì di nuovo, lentamente, appoggiando il bastone sul pavimento il più delicatamente possibile.
Raggiunse il parco sottostante il condominio e andò a sedersi su una panchina, poi estrasse di nuovo il cellulare e chiamò quel tale che gli aveva scritto, sperando solo che non fosse un imbroglio.
"Pronto?" disse la persona dall'altra parte. Il signor Fausto fu sollevato nel notare che quella voce gli era familiare. Apparteneva all'uomo che stava con Lucia, nella camera d'ospedale, e che l'aspettava lì quando era scappata.
"Salve... Gabriele Ferreri, giusto?"
"Sì... lei è il signor Fausto? Il vicino di casa di Lucia Grimaldi?"
"Sì... sono io. Mi trovo nel parco sotto casa... sono lontano da orecchie indiscrete... dimmi come posso aiutar... ah, mi scusi!"
"No, non si preoccupi... va bene così." lo rassicurò il "ragazzo". "Immagino che lei sappia cosa dicono i signori Grimaldi a proposito della sua deposizione... è così che hanno convinto Lucia a tornare a casa con loro... oltre a minacciare di far mettere in prigione mio fratello e mia cognata, ovviamente."
"Hanno detto che sto iniziando a soffrire di... demenza senile o qualcosa del genere" rispose il signor Fausto, senza un minimo d'espressione nella voce. "Come se sapessero di cosa stanno parlando..."
"Sì..." disse Gabriele, amareggiato.
"Non ti preoccupare, ragazzo" disse calmo l'uomo. "Mi dispiace che tu l'abbia presa così."
Gabriele si morse forte le labbra, anche se l'uomo con il quale parlava non poteva vederlo. La rabbia lo pervase: aveva sempre odiato le calunnie. Poi, però, si riprese: ci sarebbe stato tempo per farla pagare a quei due. Ora la priorità era Lucia.
"Ecco... io ho un'amica... assistente sociale."
"Sì" rispose il signor Fausto con calma. "E... cosa potrebbe fare questa persona?"
"Mi creda, mi costa molto chiederle questo favore... ma, vede, per farla entrare in contatto con i Grimaldi devo alimentare quelle sciocchezze che quei due hanno inventato sul suo conto." gli spiegò Gabriele. Il signor Fausto sorrise bonariamente, sentendo una nota di dispiacere nella voce del suo interlocutore. Era davvero un brav'uomo, quel Gabriele.
"Non c'è problema."
"È sicuro che... che... ecco..."
"Ma certo! Ah, senti: come sta la ragazzina? Quella che sta sempre con Lucia, voglio dire. Come l'ha presa?"
Così, dal nulla, gli era tornata in mente quella ragazza che, pur nella sua compostezza e nel suo silenzio, nascondeva tanto dolore... l'uomo aveva avvertito in lei una dolcezza incredibile. La ragazza si vergognava anche di chiedere a qualcuno se andava tutto bene, ma era sempre lì, ad accertarsene.
"Intende Micaela("
"Non mi ricordo il suo nome, veramente. Ricordo che ho parlato con lei... per la storia di Lucia, intendo... e lei era spaventata, ma mi ha detto che non avrebbe avuto problemi a testimoniare in un eventuale processo."
"Sì... è la piccola Micaela" disse con affetto il custode, sorridendo tra sé. "Era molto scossa."
"Povera cara... mi dispiace. Allora lo faremo per entrambe le ragazze... per Lucia e per Micaela."
Non si salutarono, ma fu come se l'avessero fatto. Chiusero la comunicazione e il signor Fausto decise di rimanere lì, sulla panchina. Se doveva fare lo svampito, tanto valeva farlo a dovere, no?
"Signor Fausto!" Una voce attirò la sua attenzione. L'uomo si alzò lentamente, infreddolito, e vide Kaleb, il ragazzo che di solito lo aiutava, inginocchiato a terra, all'angolo del portone del condominio.
"Ma che cosa ci fai tu lì, ragazzo?" lo interpellò il signor Fausto.
"Non riuscivo a dormire" rispose Kaleb. L'uomo lo guardò e vide che aveva gli occhi rossi... doveva aver pianto un bel po'.
"Ma... da quanto tempo sei lì?" gli chiese l'uomo, reggendosi a stento al suo bastone da passeggio.
"Sono arrivato poco fa, signor Fausto, ma ero distratto e non l'avevo vista... ero preoccupato..."
Era vero. Kaleb era stato turbato dagli incubi. La visione di Lucia, rudemente punita dai suoi genitori per cose che non esistevano, in lacrime, con la schiena che bruciava per le ferite... e, maledizione, si era svegliato di scatto con il cuore che martellava, la fronte madida di sudore e le lacrime che le bruciavano il viso come acido. Le coperte gli erano sembrate improvvisamente troppo strette e soffocanti. Le aveva gettate via con uno scatto fulmineo, era saltato giù dal letto ed era corso in bagno. Si era buttato sotto la doccia, aprendo il getto dell'acqua fredda per mandar via quella sensazione di calore che sembrava morderlo, soffocarlo, asfissiarlo. Uscito dalla vasca, si era vestito in fretta e, sempre di corsa, aveva raggiunto la porta. Voleva andare via, voleva camminare... voleva sentire freddo, aver paura... qualunque cosa, ma non voleva provare quel dolore.
Era sceso in strada, senza uno straccio di cappotto né niente che potesse coprirlo da un'eventuale pioggia, si era recato al condominio in cui abitava quella ragazza alla quale era tanto legato... la ragazza dalla vita travagliata, candida come un agnellino lasciato in mezzo ad un branco di lupi. Sapeva dove doveva andare. Era arrivato al condominio così in fretta da non rendersene quasi conto. Si era accovacciato vicino al portone, aveva premuto la fronte contro il vetro gelido ed era scoppiato a piangere silenziosamente... fino a quando il signor Fausto non l'aveva visto.
"Lucia sta bene" lo tranquillizzò, andando a sedersi lì vicino. La schiena ne avrebbe di certo risentito, ma in quel momento non gliene importava.
"Come lo sa?" chiese sottovoce il ragazzo.
"L'ho vista. L'hanno mandata nel sottoscala del palazzo, Kaleb... ma è meglio così. È meglio che stia lì, piuttosto che con i suoi genitori. Sono stato con lei, almeno... fino a quando non si è addormentata. Non ho neanche potuto coprirla, povera piccola... se mi scoprono me la massacrano!"
"Voglio vederla!" esclamò Kaleb, scattando in piedi.
"No! Aspetta... aspetta, figliolo!" disse il signor Fausto, trattenendolo per un braccio. "Se entri lì dentro e quei due ti beccano, se la prenderanno con quella povera ragazza, e forse anche con te, capisci? Lo so che la vuoi vedere... ma la vedrai domani, a scuola... va bene?"
"Non voglio aspettare domani! La prego, signor Fausto... voglio vederla, per favore! La scongiuro!"
"Ti ho detto che non è possibile!"
"E io le ho detto che sono preoccupato e voglio vederla!"
Il signor Fausto lo guardò: faceva il duro, ma si vedeva che reagiva così solo perché era preoccupato per Lucia.
"E va bene, ho capito, testone che non sei altro!" disse il signor Fausto. "Ma prima di tutto avverti i tuoi genitori che sei uscito. Non voglio che si spaventino. Seconda cosa: nello scantinato c'è un armadietto... appena sentirai un rumore di chiavi o roba del genere, ti chiuderai là dentro come Harry Potter nel secondo libro, intesi? E non ne uscirai per nessun motivo. Qualunque cosa tu veda o senta."
Kaleb si limitò ad annuire.
Il signor Fausto riaprì il portone e subito dopo lo scantinato. Prima di lasciar andare il ragazzo, il signor Fausto gli disse: "Ricordati quello che ti ho detto, hai capito?"
"Sì... me ne ricorderò" rispose Kaleb, con voce ferma.
"Ah, aspetta... tieni questo!" aggiunse sfilandosi il cappotto. "Sei uscito senza niente, praticamente... e non accetto un no come risposta!" Detto questo l'uomo si allontanò e lasciò Kaleb vicino alla porticina che lo separava da Lucia.
Entrò nello scantinato e l'uomo lo chiuse dentro. Kaleb si avvicinò e quando vide Lucia gli cedettero le ginocchia. Era un fagotto di stracci, aveva gli occhi gonfi e rossi a causa delle lacrime, ma per fortuna non sembrava avere altre ferite oltre a quelle vecchie.
Le si avvicinò e si sdraiò accanto a lei, sul pavimento gelido. La ragazza tremava tutta, anche se aveva ancora gli occhi chiusi. Premette le labbra sulla sua fronte e continuò a stringerla.
Un paio di secondi dopo, però, la ragazza aprì gli occhi.
"Cosa...? Kaleb... che cosa ci fai qui sotto a quest'ora?"
"Non potevo restare a casa senza vederti" sussurrò in risposta il ragazzo mentre l'abbracciava.
"Ti metterai nei guai" sussurrò Lucia.
"No, non mi metterò in nessun guaio." la rassicurò Kaleb.
"Ma se ti scoprono qui con me te la faranno pagare" disse Lucia, così piano che Kaleb dovette avvicinarsi alle sue labbra per capire cosa diceva.
Il ragazzo indicò l'armadio in fondo allo scantinato e le sorrise, rassicurante. "Ma ora voglio solo stare qui con te" aggiunse, sempre a bassa voce.
Lucia si sentì scaldare il cuore a quell'affermazione. Il ragazzo che aveva sempre guardato da lontano, quello del quale parlava di continuo alla sua migliore amica, quello che, senza neanche sapere come o perché, le aveva rubato il cuore, era lì con lei, in uno scantinato freddo, buio e sporco, nella sua prima notte di ritorno in quella casa infernale. In quel momento lo scantinato le sembrava una reggia.
Rassicurata da quell'abbraccio, si lasciò andare al sonno, stavolta senza incubi... forse per la prima volta in vita sua.
Kaleb, invece, non riuscì ad addormentarsi. Rimase semplicemente lì, abbracciato a lei, in ascolto. Era pronto a sparire, se necessario, così come era pronto a difenderla... ma un'immagine più dolce lo tenne sveglio: un'immagine che voleva contemplare anche per tutta la notte. Lucia se ne stava lì, silenziosa, tranquilla... i suoi bellissimi occhi verdi erano chiusi, ma a lui andava bene anche così, purché non fossero pieni di lacrime. Era rilassata, per una volta... e non per effetto dei farmaci.
I capelli le ricadevano scomposti sulla fronte... e a lui venne istintivo tendere una mano e passarvi in mezzo le dita. Erano morbidi e il calore provocato da quel contatto gli piaceva così tanto che non avrebbe mai voluto interromperlo. Continuò a passare le dita in mezzo a quella massa un po' aggrovigliata, facendo attenzione a non svegliarla e a non farle male... e, rilassato com'era, rasserenato dalla vicinanza della ragazza e sollevato nel vedere che stava bene per davvero, alla fine si addormentò anche lui.
"LUCIA! LUCIA!"
Delle voci che gridavano riscossero la ragazza... stava facendo un sogno stupendo: perché dovevano rovinarle anche quel momento?
"RISPONDI, RITARDATA! O VUOI CHE ENTRIAMO E T'INSEGNAMO LE BUONE MANIERE?" continuò ad imprecare la signora Grimaldi.
La ragazza spalancò gli occhi e con sua grande sorpresa vide che non stava sognando. C'era veramente Kaleb, disteso accanto a lei, con una mano intrecciata tra i suoi capelli.
"Kal! Kal, svegliati!" sussurrò, terrorizzata.
"No, mamma... ancora cinque minuti!" biascicò lui, ancora intontito dal sonno.
"Ti farei dormire su un letto decente tutto il tempo che vuoi, ma ora devi nasconderti... per favore!" supplicò Lucia, sciogliendo le dita del ragazzo dai suoi capelli scomposti.
"I tuoi... oddio!" scattò Kaleb, ricordando all'improvviso dove si trovava. Raggiunse in fretta l'armadio, mentre i genitori di Lucia facevano scattare la serratura, e chiuse la porta appena in tempo.
"Perché non rispondevi? Sei diventata muta o cosa, ragazzina? La natura ci ha fatto mezzo favore?" sbottò la signora Grimaldi. Kaleb dovette darsi un morso piuttosto forte su una mano per non riempirla d'insulti.
"Scusami, mamma" disse piano Lucia.
"Era meglio quando te ne stavi zitta! Forza, alzati!"
"Ma... devo andare a scuola così... con le cose che indossavo ieri?"
La donna la prese per un braccio.
"Ringrazia che non ti buttiamo per strada!" disse. "È ovvio che non andrai a scuola così... ci andrai con i tuoi vecchi vestiti!"
Lucia fu scossa da un brivido. I suoi abiti erano tutti rattoppati, e poiché erano quelli che i suoi genitori non usavano più, indistintamente dal fatto che fossero della madre o del padre, si aspettava più derisioni del solito.
Cercò di alzarsi e riuscì a muovere qualche passo, ma una volta arrivata alla porta ricadde a terra di spalle.
"Alzati!" ordinò la signora Grimaldi.
La ragazza ci provò, ma non solo faceva fatica a stare in piedi perché il suo fisico era ancora debilitato: un ulteriore problema era rappresentato da sua madre, che continuava a fissarla, facendole cedere le ginocchia.
La madre le prese l'esile braccio e vi lasciò uno schiaffo così forte che Kaleb poté sentire le ossa della sua... di Lucia scricchiolare. Non poteva restarsene lì mentre quei due la torturavano, non poteva!
Ma si costrinse a stare fermo e a trattenere anche il respiro finché non sentì i passi pesanti della donna allontanarsi. Non poteva rischiare che Lucia finisse in guai peggiori per un suo colpo di testa.
Lucia fu costretta ad indossare gli abiti rattoppati. Non ebbe il permesso di usare il bagno o fare colazione, ma dell'ultima cosa poco le importava... aveva lo stomaco chiuso. Era preoccupata: sapeva che con quella roba addosso sarebbe stata additata dall'intera classe e anche se ci metteva impegno le prese in giro le facevano un male tremendo.
Senza farsi troppi scrupoli, i signori Grimaldi la buttarono letteralmente fuori di casa con addosso un mucchio di stracci, pressocché incapace di reggersi in piedi e senza neanche un cappotto per ripararsi dal freddo.
Quando fu abbastanza sicuro, Kaleb uscì dall'armadietto e, ringraziando il cielo per il fatto che la porta era stata lasciata aperta, strisciò furtivamente fuori e raggiunse la ragazza.
"Lu! Sono qui." le disse, chinandosi su di lei.
"No! Non mi toccare... mi sento sporca... ti prego."
"Anch'io sono tutto impolverato, Lu." la tranquillizzò lui con un sorriso, prendendola in braccio. "Vorrà dire che andremo nei bagni della scuola. Lì ci sono le saponette... ci arrangeremo, okay?"
"Guarda quanto sei stravolto!" disse a bassa voce Lucia, guardando il viso tirato del ragazzo che la teneva in braccio come una piuma, come se nulla fosse successo. "E tutto per colpa mia! I miei genitori hanno ragione... hanno ragione a dire che sono un disastro..."
"No! No! No! Shh... cosa sentono le mie orecchie?" la rimproverò giocosamente lui. "E poi, sono quei due ad essere un disastro, non tu..."
Continuò a camminare verso la scuola, tenendo in braccio la ragazza.
"Avevo paura che ti ci volessero portare loro" disse.
"A scuola, dici? No, non credo. A loro non è importato niente prima e non gliene importa niente adesso..."
"A loro no, ma a me sì... ed è stato un bene che ti abbiano piantata lì, sai? Così a scuola ti ci posso portare io in braccio, tipo sposina."
Purtroppo stavolta il tentativo di Kaleb di far ridere Lucia andò nel vuoto.
"Sì... ma per quanto continuerà questa cosa?" sussurrò Lucia, più tesa che mai.
"Durerà quanto deve durare. Il tuo fisico è predisposto a camminare, ma è ancora un po' debole per farlo... devi darti un po' di tempo... d'accordo?"
Anche quel giorno erano stati sorpresi dalla pioggia, ma per fortuna Kaleb aveva addosso il cappotto del signor Fausto e, come un moderno San Martino, lo infilò solo in parte, usando il resto per coprire Lucia.
Quando arrivarono a scuola era decisamente presto, ma furono sorpresi nel notare che non erano soli.
Anche Micaela si era svegliata presto ed era uscita di casa di buon'ora. O meglio: più che essersi svegliata presto si poteva dire che la ragazza avesse dormito poco o niente, in parte per gli incubi che l'avevano assalita e in parte perché aveva impostato la sveglia ogni due ore per svegliarsi, a causa della botta in testa.
Non volle svegliare i suoi genitori per farsi accompagnare.
Si limitò a scrivere loro un messaggio per avvertirli che stava uscendo di casa, si caricò lo zaino in spalla e impostò il navigatore. Aveva stretto il nodo della corda del suo Toto intorno al manico dell'ombrello, che però le sfuggiva di continuo dalle mani.
Le gambe sembravano reggerla a malapena e per la verità quella mattina si era dovuta trascinare giù dal letto... ma l'aveva fatto per Lucia. Era già stato troppo non riuscire a starle dietro il giorno precedente, per cui, anche se avvertiva dolori da tutte le parti, decise di andare a scuola ugualmente per starle vicino.
La voce metallica del navigatore aveva un effetto devastante su di lei: le rimbombava in testa, provocandole dolore.
Provò a contare i pali che doveva sfiorare, ma si sentiva totalmente stordita e confusa. In ogni caso, però, riuscì a raggiungere la scuola.
"Micaela!" Una voce profonda e leggermente arrochita le giunse all'udito e una mano calda si posò sulla sua spalla. "Ma quest'ombrello è un disastro! Sei tutta bagnata, piccola... vieni con me, così potrai asciugarti."
"Gabriele..." cercò di dire la ragazza, ma quella semplice parola le provocò un dolore terribile. Si portò una mano all'altezza della gola, massaggiandosi quella zona per cercare un po' di sollievo. Aveva mal di gola da quando si era svegliata. Aveva cercato di alleviare un po' quel malessere con una caramella alla menta, ma era servito a ben poco.
"Questa vocina non mi piace per niente. Che succede al mio angioletto?" chiese preoccupato l'uomo.
"Non... non è niente..." cercò di rispondere lei, ma provava dolore.
"Buona, tranquilla, amore mio" le disse dolcemente l'uomo, accarezzandole i capelli fradici. "Facciamo così: io ora ti chiedo delle cose... tu fai segno di sì o di no con la testa. Ti ricordi come si fa?"
La ragazza chinò la testa, in un segno affermativo che però le provocava dolore quasi quanto ne provava per parlare.
"Oltre al mal di gola hai dolore da qualche altra parte, tesoro?"
La ragazza ripeté lo stesso gesto, massaggiandosi il braccio che reggeva Toto.
Gabriele l'avvolse tra le sue braccia e la spinse delicatamente in avanti. La ragazza reggeva a stento il suo Toto e il telefono.
"Eccoci." disse con calma. "Vieni qui, tesoro... siediti."
Più che sedersi, la ragazza crollò all'indietro.
"Scusami, eh?" le disse, appoggiandole una mano sulla fronte. "Micaela... capisco che sei una ragazza diligente, ma questo mi sembra esagerato! Avrai un febbrone da cavallo, a quest'ora... perché sei venuta a scuola?"
"Lucia." mormorò la ragazza, ma quella semplice parola fu seguita da un accesso di tosse.
"Hai deciso di continuare a proteggerla... e questo ti fa onore."
"Se quella strega della Distasio... si accorge... che sono malata..." cercò di dire la ragazza, ma faceva decisamente fatica.
"Non credo che tu sia contagiosa... con questa vocina rovinata puoi avere solo una faringite."
Micaela tese una mano, che le ricadde pesantemente lungo un fianco, urtando qualcosa.
"È la carrozzina di Lucia" rispose il custode, leggendo letteralmente la sua espressione.
"Gliel'hai portata" sussurrò Micaela, guadagnandoci un'altra fitta di dolore nella zona della gola.
"Non ti sforzare, stai qui tranquilla. Vado a prenderti un bicchiere d'acqua, d'accordo?"
La ragazza cercò di ringraziarlo, ma lo sforzo le costò caro, al punto che, per farlo, iniziò a fare una serie di gesti completamente casuali.
"Vuoi essere gentile anche senza quella voce dolce che ti ritrovi, lo so... ma non mi devi ringraziare di niente, tranquilla."
Le versò un po' d'acqua, poi si chinò a darle un bacio sulla fronte bollente, gesto che le diede un po' di sollievo dal mal di testa. La ragazza cercò di reggere il bicchiere d'acqua, ma le mani le facevano così male che a malapena riusciva a chiudere le dita. "Vuoi che ti aiuti?" le chiese lui, tranquillo. La ragazza, pur volendo, non avrebbe potuto fare diversamente, quindi l'uomo appoggiò una mano sulla sua e l'aiutò a tenere l'oggetto. La ragazza bevve avidamente l'acqua contenuta nel bicchiere, facendolo sorridere.
"Scusami" biascicò, guadagnandoci il solito fastidio.
"Non ho mai sentito qualcuno scusarsi perché ha molta sete e farlo anche se ha giusto un filo di voce... piuttosto: ora va meglio, vero?" le chiese lui.
La ragazza fece un cenno affermativo.
"Mi dispiace di non avere un termometro qui dentro" sospirò l'uomo. "Ah, ecco Kaleb e Lucia!"
Micaela scattò in piedi, così in fretta che il bicchiere vuoto le cadde di mano.
"Piano, piano... li faccio entrare, stai tranquilla." le disse, dandole un pizzicotto sul viso.
Kaleb entrò nella portineria, con la piccola Lucia tra le braccia. La ragazza parve illuminarsi quando vide la sua sedia a rotelle. Tre secondi dopo, però, quella debole luce si spense.
"Mica..." sussurrò, vedendo la sua migliore amica seduta su quella sedia, con le guance rosse e il viso completamente stravolto.
"Sto bene" sussurrò la ragazza a sua volta, sentendo nuovamente quel dolore terribile alla gola.
"No! Non stai bene per niente, Mica."
Lucia rimase lì a guardarla, preoccupata.
"Non ti conviene tornare a casa?" le chiese Kaleb.
Micaela scosse lentamente la testa.
"È inutile. Non riuscirete a convincerla." li avvisò Gabriele.
Kaleb adagiò Lucia sulla sedia a rotelle. La ragazza fece l'atto di tendere la mano verso l'amica, ma all'ultimo momento ci ripensò.
"Lu... come ti hanno trattata?" chiese Micaela, mentre gli occhi prendevano a lacrimarle per lo sforzo.
"Mi hanno fatta vestire con la loro roba vecchia e mi sento sporca... ma a parte quello, bene" rispose Lucia, cercando di buttarla sullo scherzo. Non raccontò all'amica di come sua madre l'avesse schiaffeggiata e trascinata per un braccio fino a gettarla in strada. Micaela, però, non si sentiva tranquilla. Prese la mano destra dell'amica e fece scorrere delicatamente le dita sul suo polso. Lucia s'irrigidì quando l'amica passò le dita fredde sul livido che le si era formato sul braccio. Micaela, dal canto suo, non riuscendo più a parlare prese cellulare e macchinetta da scrivere e digitò una frase che poi fece leggere a Gabriele: "Hai un po' di ghiaccio?" Il custode non se lo fece ripetere: corse fuori e tornò cinque minuti dopo con un freddino in mano. S'inginocchiò davanti a Lucia, prese la sua mano e ve lo poggiò sopra.
All'inizio Lucia fu scossa da un brivido, ma il ghiaccio sul segno che le copriva metà polso le diede un enorme sollievo.
"Ma non ti hanno dato nemmeno un po' d'acqua, da ieri?" le chiese, guardando le sue labbra riarse e screpolate.
Aveva notato come vi passava la lingua per cercare di reidratarle.
Lucia scosse lentamente la testa.
Gabriele si affrettò a versarle un po' d'acqua e mise la bottiglia su un'altra sedia, che sistemò di fronte a lei in modo che, se ne avesse voluta dell'altra, avrebbe potuto versarsela in autonomia.
"Grazie." disse Lucia, provando un enorme sollievo quando le sue labbra secche furono toccate dal liquido.
Micaela prese ad indicare febbrilmente il suo zaino.
"Che ti prende, angioletto?" le chiese Gabriele.
La ragazza estrasse alcuni libri in nero dallo zaino.
"Ah, capisco... hai portato qui i suoi libri di oggi!" disse sorridendo l'uomo. "Ma quanto sei carina, tesoro!"
"Sono... quelli..."
Non arrivò a dire: "Giusti", perché fu colta da un violento attacco di tosse.
"Sì, sono quelli giusti." rispose Lucia. "Sei un angelo, davvero!"
"Hai visto che non lo dico solo io? Però ora la nostra malata deve tornare a letto." disse con dolcezza Gabriele.
Ma la "malata" fece cenno di no con la testa.
In quel momento Lucia mosse lentamente la sedia.
"Io... io vado... ho bisogno di fare una cosa..."
Micaela capì che la ragazza era infastidita dallo stato in cui era. Infilò di nuovo una mano nello zaino e tirò fuori un pacco di salviette imbevute.
"Mica... grazie, ma io..." balbettò Lucia.
Micaela spinse la piccola scatola verso l'amica, che cercava di restituirgliela.
"Si sente a disagio" scrisse rapidamente, mostrando la scritta a Kaleb. "Su queste cose è come me: è fissata con l'igiene."
Kaleb rise sommessamente.
"Ti accompagno" disse, posizionandosi dietro la carrozzina di Lucia.
Gabriele e Micaela rimasero soli.
"Allora, piccolina" disse con tenerezza l'uomo, "sei molto premurosa con la tua amica... ma come farai a stare a scuola se stai così? Guarda che faccino che hai... sei pallida come un fantasma!"
"Spettacolo..."
"Cosa? Che dici, tesoro?"
La ragazza iniziò a scrivere febbrilmente.
"Non mi crederai mica così despota da farti venire alle prove con la febbre? Sei completamente senza voce, piccola, stai già male... e la mia bimba deve stare bene perché da cinque minuti la vedo così e già non vedo l'ora che si riprenda! Tranquilla, ce la facciamo..."
"Lo so che non mi chiederesti di provare con la febbre" scrisse velocemente Micaela. "Però mi dispiace lo stesso."
In quel momento anche Luca entrò nella stanza.
"Gabriele... Micaela... santo cielo, ma che è successo?" chiese, vedendo la faccia stravolta di Mica.
"Si è ammalata" rispose Gabriele. "Avrà preso freddo, ieri sera... ma è venuta a scuola ugualmente."
"Come sarebbe "è venuta a scuola ugualmente"?" chiese Luca, preoccupato.
Si chinò su di lei, le prese una mano e Micaela ebbe un sussulto quando sentì le dita di Luca, ruvide e affusolate al contempo, posarsi sulla sua fronte.
"Oh, cavolo... ma ci sei venuta da sola, fino a qui?" le chiese.
"Non farla parlare" disse Gabriele. "È praticamente senza voce."
"Ma così le verrà una polmonite!" esclamò Luca. "Non dovrebbe stare qui, oggi!"
"Ancora? Lo devi dire a lei, non a me!" lo rimproverò Gabriele, ma senza sgridarlo davvero.
"Cavolo, è vero..."
Sulle labbra bollenti di Micaela si formò un accenno di sorriso.
"Va bene... ragazzi, mi fareste un favore?" chiese calmo il custode. "Tu, Luca, ti devi prendere cura della signorina Micaela. Se dovesse sentirsi male, me la porti qui e chiamiamo i suoi genitori perché vengano a prenderla. Oh, andiamo... non mi guardi male, signorina Ferrante" aggiunse, vedendo l'espressione di Micaela contrarsi. La cosa la fece sorridere. "E, a proposito, cara la mia signorina... so che lei è molto timida, così timida che la vocina che ha adesso non è molto più bassa di quella che usa di solito... ma mi faccia il favore di dirlo, al signor Marzano, se non si sente bene... siamo d'accordo?"
Micaela, stordita com'era, non sapeva come rispondergli senza farsi venire il solito mal di gola.
"Così" disse Gabriele, prendendole la mano e facendole chiudere il pugno, pollice escluso. "Fallo con la manina, visto che la voce per adesso l'hai persa."
Sapeva che il diminutivo non era per trattarla da bambina, ma per stuzzicarla un po'.
"Ora andate in classe, ragazzi" disse gentilmente Gabriele.
La ragazza avrebbe voluto ringraziarlo, ma stavolta non le uscì neanche un filo di voce. Si portò una mano al cuore, poi, sperando di non sbagliare, provò ad indicare lui.
"Credo che voglia dirti che ti porta nel cuore... o forse ringraziarti, o qualcosa del genere" disse incerto Luca.
"Lo so, l'ho capito" disse il custode. "Non mi devi ringraziare di niente, tesoro mio."
Micaela sorrise e Luca la prese per mano. La ragazza avrebbe voluto portare da sola il suo zaino, ma se ne stava già occupando Gabriele mentre Luca accompagnava per mano lei.
Arrivarono in classe. Lucia era già al suo banco, con i capelli umidi.
"Lucia... tesoro... dovresti asciugarti un po' quella testolina o finirai come la tua amica." le disse Gabriele.
"D'accordo" rispose lei, sfregandosi le punte dei capelli nel tentativo di asciugarle.
"Mi raccomando, Micaela... se ti dovessi sentire male avvertici, d'accordo? Per favore, piccola." le disse ancora una volta Gabriele, stavolta in tono così serio che la ragazza si sarebbe sentita decisamente in colpa se non l'avesse fatto. Chiuse il pugno della mano destra, alzando soltanto il pollice.
Rassicurato da quel gesto, Gabriele si voltò lentamente e tornò in portineria.
Luca strinse ancora una volta la mano di Micaela e, senza preavviso, se la portò sulle labbra e vi lasciò un bacio.
La ragazza sentì il calore che le bruciava le guance aumentare sensibilmente... non sapeva se le stesse salendo la febbre o se fosse l'imbarazzo di quel gesto così semplice.
"Sono il tuo cavaliere." le disse con dolcezza. "Sono qui vicino. Se non riesci a parlare... ecco, mi puoi scrivere... e io... io corro... te lo prometto!"
Anche lui si sentiva maledettamente in imbarazzo. Non sapeva perché... era un tipo riservato, ma non certo timido.
Quella, più che altro, era una prerogativa della ragazza per la quale aveva appena compiuto un gesto decisamente insolito.
Raggiunse la porta, tutto tremante, passandosi a ripetizione la lingua sulle labbra.
Voleva conservare quella sensazione piacevole che aveva provato quando aveva premuto le labbra contro il dorso della sua mano. Era dolcissima... lei, nel suo tutto. Un formicolio piacevole gli attraversò tutto il braccio, pensando che pochi secondi prima stava stringendo quella mano bollente tra le sue.
Entrò in classe, decisamente stralunato.
"Luca... amico, ma che ti è successo?" chiese Kaleb, mentre il ragazzo, che a malapena riusciva a reggere il peso dello zaino, andava a sedersi al suo banco.
Il ragazzo non sentiva chiaramente: aveva la testa altrove.
"Bro! Ehi! Mi vuoi dire qualcosa?"
"Cosa... cosa mi avevi chiesto?" gli chiese, confuso.
"Ti ho chiesto cosa ti è successo... ma che hai visto, un fantasma?" domandò Kaleb, preoccupato.
"Un... no, no, certo che no!" rispose Luca. "Niente... non è successo niente..."
"Guarda che me lo puoi dire che sei preoccupato per Micaela, eh?" disse Kaleb. Al suono di quel nome, Luca sentì lo stomaco contorcersi.
"Lei è... è veramente un angelo" disse, senza preavviso.
"Chi è un angelo?"
"Di chi stavamo parlando? Mi riferivo a Micaela" lo rimbeccò Luca.
"Sì... lei è un angelo, ma tu sei cotto a puntino, fratello" disse Kaleb. "Ma che hai fatto?"
"Sai quel gesto che a volte fa Gabriele?" chiese Luca. "Con le ragazze, dico... che ha fatto anche con lei? Di prenderle la mano e darle un bacio... qui, sul dorso?"
"Sì, ma che c'entra?" chiese il ragazzo.
"Oggi l'ho fatto anch'io... volevo stuzzicarla un po' e poi mi piaceva come cosa... è un gesto carino, e a una come leia che è anche molto romantica, secondo me sarebbe piaciuto... solo che dopo averlo fatto mi sono sentito tutto scombussolato."
"Ti ha elettrificato le labbra o cosa?" chiese Kaleb, scoppiando a ridere.
"Non fare l'idiota, sto parlando sul serio!" ribatté lui.
"Va bene, ma se non ti posso prendere un po' in giro..." iniziò Kaleb, ma si fermò vedendo lo sguardo omicida dell'amico. "E va bene, ho capito, non sei in vena. Allora? Che è successo?"
"Dopo... mi sono sentito in imbarazzo... io e lei siamo andati vicino al bacio già due volte... a quello sulle labbra, dico... ma nessuno dei due ha avuto il coraggio di andare fino in fondo. Non pensavo che questo contatto, che comunque non è così ravvicinato come quello che abbiamo avuto in precedenza, mi facesse un effetto simile, ma non lo so... mi sono sentito veramente strano..."
Kaleb rimase in silenzio.
"Ti sei sentito come se non avessi mai provato niente di più bello, vero?"
"Sì... qualcosa del genere..."
"Come se sperassi di non far finire mai quel momento, come se potessi restare lì a guardarla per ore?"
"Ma come cavolo fai a saperlo?" chiese Luca. "Come... a meno che..." Si passò una mano sulla fronte. "Ti sei innamorato!"
"Chi, io?" chiese Kaleb, agitato.
Poi, però, gli venne in mente una cosa. Lui l'aveva già detto a Micaela.
"Sì... sono innamorato perso..."
"Di Lucia" sussurrò Luca, nonostante fossero ancora soli in aula.
"Sì... e per la verità non sopporto che quei due continuino a trattarla male."
"Che vuoi dire? Sei stato a casa sua?" domandò Luca.
Kaleb si limitò ad annuire. "E se avessi visto come l'hanno trattata..."
"Kal, ascoltami" lo avvisò Luca, "non fare colpi di testa, adesso... altrimenti quei due come minimo la manderanno in un'altra scuola... e lì non le saremo di nessun aiuto, capisci?"
Non fecero in tempo a dirsi altro, perché suonò la campanella e una folla di ragazzi si riversò in classe. Lo stesso accadde anche nella classe adiacente.
"Ehi, Lucia... che è successo? Hai dormito per strada?"
La voce di Carlotta giunse alle orecchie di Micaela e Lucia come un pugno nello stomaco. La prima non poteva rispondere, perché era completamente senza voce... l'altra si vergognava terribilmente.
"Guardate! La nostra Lulù è vestita di stracci e ha la faccia stravolta, come la povera Cenerentola! Che c'è? I tuoi genitori hanno capito che non vali niente e ti hanno messa a lavorare? Oh, scusa... tu non puoi neanche camminare! E neanche la tua amica ti difende più! Si sarà resa conto che se vuole sperare di migliorare deve lasciar stare le cause perse... beh, migliorare, poi... per quanto possa migliorare una cieca!"
Carlotta non poteva saperlo, ma in quel momento aveva appena fatto una cosa che aveva reso felice Micaela. L'aveva chiamata "cieca"! Non le aveva detto la solita parola chilometrica che la infastidiva tanto... aveva usato la parola più semplice, quella più informale... quella "politicamente scorretta"!
"E tu cos'hai da ridere tanto?" chiese Carlotta, notando che la ragazza sorrideva.
Micaela non rispose, anche perché non le sarebbe bastata la voce per metere insieme una frase di senso compiuto.
"Che c'è? Ora il ciclope è diventato sirena?" chiese con astio Carlotta.
E quel giorno accadde qualcosa che Micaela non si sarebbe mai aspettata... non perché la sua amica non fosse abbastanza coraggiosa, ma perché era troppo buona per insultare chiunque, persino Charlotte.
"Sì... lei è una sirena" rispose d'improvviso. "Lo è perché riuscirebbe ad incantare tutti con la voce... e può anche essere un ciclope, ma solo per via degli occhi. E tu, invece? Tu potresti essere solo Ursula, la Strega del Mare... perché è lei che mette a tacere la sirenetta, e non perché abbia ragione. Le toglie la voce... come tu togli la forza a Micaela di risponderti!"
"Ma come ti permetti?" sbottò Carlotta. "Vedi di tornare a startene zitta, capito? Ma guardati! Sei vestita come una poveraccia, sei tutta piena di graffi, non sai camminare e non c'è una materia in cui tu vada bene! E poi sei amica di un altro scherzo della natura, come te... e io li detesto, gli scherzi della natura! Anzi: voi due non dovreste poter entrare in una scuola per gente normale!"
Il coraggio che Lucia aveva trovato pochi istanti prima parve dissolversi. La ragazza, pallida e tremante, abbassò la testa sul banco.
Micaela, dal canto suo, sentì una morsa stringerle lo stomaco, talmente forte da farle venir voglia di urlare... ma non aveva voce. Era rabbia, quella che provava. Rabbia, perché fino a poco meno di quarant'anni prima, per chiunque stesse come lei era veramente l'unica possibilità di studiare, l'ingresso in un istituto specifico... ora, nel ventunesimo secolo, quella era una scelta. Ma quel commento la irritava perché era pura cattiveria: voleva farle credere che non era in grado di fare nulla, non era in grado di stare con gente, come diceva lei, normale.
"Neanche agli avvoltoi" riuscì a biascicare, con la gola che le bruciava per lo sforzo.
"Che cos'hai detto?" sbottò Sabrina, alzandosi insieme a Carlotta.
Anche Micaela si mise in piedi, ma perché le era venuto in mente un esercizio che le aveva insegnato Luca, per il canto, quando tutti i suoi amici, eccetto Lucia che era finita in ospedale, erano andati a trovarla. Prese un respiro profondo, cercando di sentire le costole che le si allargavano e spingevano contro la maglietta, e disse: "Tu sei un avvoltoio... e neanche agli avvoltoi dovrebbe essere permesso di frequentare una scuola pubblica." La gola le bruciava ancora, ma almeno era riuscita a dire un'intera frase.
Subito dopo, però, fu costretta a sedersi di nuovo. Le tempie le pulsavano così forte da darle l'idea che la testa fosse sul punto di esplodere e le guance le stavano diventando sempre più rosse.
La professoressa Angelica, che era arrivata da poco, mandò a posto Carlotta e Sabrina.
"Bello spettacolo!"
"Prof, è stata Micaela ad iniziare!" disse Carlotta.
"Sì, come no... come l'ultima volta, vero, Carlotta?" chiese l'insegnante, con la solita voce suadente che per chi aveva uno scheletro nell'armadio era peggio di un pugno allo stomaco.
"Perché non sgrida anche lei? Ha chiamato "avvoltoio" Carlotta!" esclamò Sabrina.
"Perché io non mi sarei limitata ad una risposta ad effetto, se qualcuno avesse dato a me e alla mia migliore amica degli "scherzi della natura"!" rispose l'insegnante, sempre in tono tranquillo.
Per quanto fosse buona, nessuno degli alunni aveva il coraggio di farle degli scherzi o risponderle in malo modo.
"Vorrei farvi vedere una cosa" disse semplicemente.
"Ma... l'appello?" chiese Lucia.
"Non ti preoccupare di questo, cara" la rassicurò la donna.
"Va bene... mi scusi" disse Lucia.
"Non c'è niente di cui tu debba scusarti... anzi: ti va di venire qui? Ho bisogno del tuo aiuto per una cosa."
Lucia fece strisciare le ruote della sua carrozzina fino alla cattedra.
L'insegnante le chiese sottovoce quale fosse il titolo del film che lei e Micaela avevano visto insieme... ma forse, a parte Lucia, Micaela fu l'unica a sentirla abbastanza chiaramente.
"Stelle sulla Terra" rispose la ragazza, con la solita voce sottile.
Micaela a volte si chiedeva chi tra loro due ricordasse di più Beth di Piccole Donne.
L'insegnante non fece vedere tutto il film. Scelse una scena specifica: quella in cui il professore d'arte raccontava le storie di grandi personalità dell'arte, (non solo figurativa), e della scienza che avevano tutte una caratteristica comune: la dislessia. Thomas Edison, Leonardo Da Vinci, Pablo Picasso, Albert Einstein, Walt Disney, Agatha Cristi. La voce profonda del doppiatore che dava voce all'insegnante d'arte asiatico sfiorò l'udito della ragazza, toccando le corde del suo cuore. "Voi vi chiederete perché vi ho raccontato tutte queste cose. Beh, l'ho fatto per farvi capire che sulla nostra terra sono spuntate piccole stelle che ci hanno permesso di guardare le cose con i loro occhi. Pensavano in maniera diversa e le persone vicine non lo accettavano... e le hanno ostacolate. Ma loro ne sono uscite vincenti... e con la loro luce hanno illuminato il mondo."
Con la loro luce hanno illuminato il mondo. Quelle parole si ripetevano nella testa della ragazza, senza sosta, come un mantra. Nessuno le aveva consigliato quel film. L'aveva trovato da sola, e qualcosa nel suo cuore si era ribellato a quella realtà, che purtroppo ancora oggi relega all'"anormalità" chi vede le cose in modo diverso, chi cammina in modo diverso, chi parla in modo diverso... chi pensa in modo diverso.
Ma quella realtà, con il tempo, secondo Micaela era diventata più subdola, meno evidente. Si ricorreva a parole che volevano essere gentili e risultavano stucchevoli, per parlare di una caratteristica. Si ricorreva al non detto: quel "non" davanti a qualsiasi participio che ti toglieva un pezzo. Si ricorreva a quel "non qualcosa" per dire: "Questo non lo puoi fare, quello non va bene per te" e simili. E ci si aggrappava a quel "non", per gente da medioevo come Carlotta o i genitori di Lucia, per chiamare qualcuno: "Scherzo della natura, ritardato, idiota", con una leggerezza disarmante. A Micaela faceva male al cuore sentir dire quelle cose... forse perché lei stessa le provava sulla propria pelle.
"Vi faccio una domanda. Avete parlato tanto di normalità... ma pensate davvero che sia normale che nel ventunesimo secolo si debba ancora ricorrere a questo?"
La voce della donna era sempre calma, dolce e priva di qualunque sfumatura di rimprovero. Se li avesse sgridati, però, sarebbe stato decisamente meglio.
"A cosa si riferisce?" chiese Carlotta.
"Vi sembra normale che una persona venga presa in giro perché è troppo timida, perché è in carrozzina, perché è cieca? Vi sembra normale pensare che una persona non debba essere trattata normalmente per queste cose?" chiese la donna, sforzandosi di rivolgere alla classe il solito sorriso dolce, che però questa volta le costò un bel po'. Non voleva sgridare i ragazzi: non le era mai piaciuto quel tipo di approccio, ma aveva assistito ad una scena che le aveva provocato troppo dolore. Non aveva nessuno, in teoria, per cui sentirsi così coinvolta. Era semplicemente molto sensibile... anzi: forse non era del tutto vero che non aveva nessuno. I suoi alunni erano un po' parte di lei. Si sentiva male per Micaela e Lucia, che venivano bersagliate continuamente. Si sentiva male per Kaleb, maltrattato perché era straniero. Stava male per Claudia, derisa per il suo aspetto. Stava male per altri ragazzi della scuola, che, per un motivo o per l'altro, venivano messi al margine ed etichettati come "anormali".
"Ma, professoressa..." sussurrò Sabrina. "Non è neanche normale che una ragazza ne insulti un'altra."
"È normale che una persona reagisca, se viene insultata, te l'ho già detto." le fece notare la donna.
"Ma è ridicolo! Sa perché io la chiamo così? Perché è la verità: lei è uno scherzo della natura!" sbottò Carlotta. "E comunque, io saprei fare quello che fa lei molto meglio di come lo fa lei... e potrei anche fare quello che vorrebbe fare lei: l'attrice. Quelli come lei non possono farlo!"
In quel momento a Micaela venne da ridere. Se quella ragazza avesse saputo com'era brancolare nel buio... e se avesse saputo che lei, Micaela, era in una compagnia teatrale, anche se in maniera temporanea, forse non sarebbe stata così sicura di quel che diceva.
"Molto bene, Carlotta... vorrei che venissi un attimo qui vicino, per favore. Dimostra a tutti quello che riesci a dire così bene" propose l'insegnante.
Carlotta si alzò, titubante. D'improvviso la sicurezza che aveva ostentato parve eclissarsi. Lei non aveva la minima idea di come fosse muoversi alla cieca.
Anzi: per la verità non si era mai interessata a niente di quello che i suoi genitori consideravano "fuori dal normale". Per la verità, però, era più che altro il padre a porsi quel tipo di problema... e Carlotta non solo lo prendeva alla lettera, ma esasperava quello che l'uomo diceva.
"Mettiti questa sciarpa sugli occhi" disse l'insegnante.
Carlotta esitò: non voleva. Non le piaceva doversi trovare nelle stesse condizioni di Micaela. Non voleva avere niente da spartire con lei.
"Solo per poco, Carlotta" la rassicurò la donna. "Coraggio, metti la sciarpa."
Lei non voleva, ma il tono della donna era così gentile che si lasciò convincere. Si coprì gli occhi con la sciarpa nera della professoressa.
Si sentiva strana, insicura. Quella sensazione di vuoto era destabilizzante.
"Prova a muoverti."
Carlotta non voleva fare neanche questo, ma ci provò lo stesso. Micaela trattenne il respiro: pur non vedendola sapeva che la ragazza era in difficoltà. Si alzò di scatto, raggiunse la zona in cui, più o meno, si trovava il banco di Carlotta e, senza che la professoressa le dicesse nulla, prese a battere ritmicamente le mani per guidare la compagna, momentaneamente privata della vista.
Carlotta, esitante, si concentrò su quel suono... ma si bloccò praticamente in mezzo all'aula.
Micaela fece l'atto di andarle incontro per chiederle se le servisse una mano, ma la professoressa Angelica la fermò.
"Lascia che se la cavi da sola, visto che è tanto brava." le disse, e per la prima volta la ragazza percepì una nota di astio nella sua voce. Rimase lì, ferma accanto al banco di Carlotta.
Carlotta incespicò, rischiando d'inciampare, e per Micaela fu troppo.
"Vuoi una mano da una veterana?" chiese gentilmente, non senza sforzo. Non l'aveva presa di sorpresa per aiutarla perché lei stessa detestava che lo facessero a lei.
"No. Faccio da sola" rispose Carlotta. "Posso  cavarmela, e meglio di te, ragazzina..."
"Oh, per l'amor del cielo, che un fulmine mi colpisca e mi accechi se ne dubito! Oh, no... non può succedere, perché sono già cieca" disse Micaela. Dopo, naturalmente, la sua gola prese a bruciare come se faringe, laringe e trachea avessero messo su una braciata, ma non poteva non dirlo. In classe per un secondo calò il silenzio, ma Lucia, capendo che l'amica scherzava, scoppiò in una risata cristallina.
Carlotta cercò di raggiungere il suo posto, ma andò a sbattere praticamente contro tutti i banchi che si trovò davanti.
"Va bene. Basta così" disse la professoressa Angelica. "Togliti la sciarpa, cara." Carlotta alzò le mani tremanti e sciolse il nodo della sciarpa. Fu un enorme sollievo per lei tornare a guardarsi intorno.
Micaela tornò al suo posto prima che Carlotta potesse dirle qualcos'altro.
"Cos'ha voluto insegnarci, facendo questa prova?" chiese Sabrina, preoccupata per l'amica che se ne stava lì, immobile, con lo sguardo perso nel vuoto.
"Niente" rispose la donna, e quella era l'ultima cosa che i ragazzi si sarebbero aspettati.
"Come... come sarebbe?" chiese ancora Sabrina.
"Non volevo insegnarvi niente" ripeté la donna, senza scomporsi. "Se voi avete imparato qualcosa mi fa piacere, ma non avevo un obiettivo."
Micaela e Lucia si scambiarono una stretta di mano.
Avevano capito che la donna voleva far capire che non si può giudicare una cosa "anormale" senza trovarvisi immersi, che non c'è niente di normale nello sbarrare la strada a qualcuno per questo o quel particolare... che basta un niente perché quello che una persona definisce "scherzo della natura" le si ritorca contro. Ma non voleva che la risposta alle domande degli alunni venisse servita su un piatto d'argento.
Durante il resto della lezione, la donna si rese conto che serviva a poco spiegare qualunque cosa riguardo gli artisti del passato, quindi decise di fermarsi per gli ultimi dieci minuti.
Durante l'ora di storia non accadde nulla di particolarmente rilevante, eccetto una sfilza di voti da schedina e qualche domanda rivolta a Micaela, che, pur conoscendo gli argomenti, fece fatica a rispondere, un po' per la voce, un po' perché la febbre le rallentava di molto i riflessi mentali.
"Non stai bene?" le chiese la donna, per la prima volta.
"Solo un raffreddore" rispose Micaela tranquillamente.
L'insegnante di storia, (che tra l'altro era anche quella di filosofia), non ritenne opportuno proseguire con le interrogazioni, e attaccò a spiegare, per l'ennesima volta, il periodo giolittiano tramite una serie di video nei quali dei docenti si prendevano la briga di spiegare al posto suo.
Da studentessa modello quale era, (anche se i suoi compagni avrebbero detto "secchiona", mandando in barba i sacri precetti del politicamente correto), Micaela cercò di prendere appunti, ma i suoi riflessi erano più lenti che mai e la tizia del video sembrava parlare ad una velocità doppia rispetto a quanto in realtà stava facendo.
Uno dei suoi insegnanti di sostegno, l'unico che aveva iniziato ad andarle un po' incontro, la fermò posandole una mano sul polso e le disse: "Lascia stare, Mica. Ti farò avere il link e se vuoi prendere appunti li scriverai a casa, quando ti sentirai meglio."
La ragazza provò a ringraziarlo, ma aveva già chiesto decisamente troppo al suo corpo, quindi scrisse la parola "grazie" in fondo ai suoi appunti disordinati.
Quando venne l'ora dell'intervallo, l'intera classe accerchiò Micaela, avendo cura di starle il più vicina possibile. La ragazza non ne fu sorpresa: sapeva che speravano di beccarsi un po' di febbre per saltare qualche giorno di scuola. Tutti tranne Lucia, che le stava vicino perché lo voleva. In fondo per lei era difficile scegliere se fosse meglio stare in casa con i suoi, a farsi maltrattare, o andare a scuola, a farsi maltrattare lo stesso.
Proprio quando suonò la campanella dell'intervallo, Micaela venne raggiunta da quattro persone: Luca, Kaleb, Gabriele e Claudia.
"Potete anche smetterla" disse Luca con rabbia, "tanto non è contagiosa!"
Tutti i ragazzi decisero di riversarsi all'esterno, per godere dell'intervallo.
"Allora, amichetta, come andiamo?" le chiese Gabriele, posandole due dita sulla guancia infuocata. Micaela provò una sensazione di sollievo: quel contatto delicato le aveva attenuato un po' il mal di testa.
Senza contare che lui le aveva ripetuto per l'ennesima volta che erano amici, rendendola felice... solo che questa volta aveva un buon motivo per non dire nulla.
Alzò il pollice della mano destra, per lasciar intendere che era andata bene... certo, per quanto qualcosa potesse andar bene in quella scuola!
"La sai una cosa? La prof di arte mi ha raccontato quello che è successo." le disse il custode, mentre lei tendeva la mano sinistra verso di lui, per cercare un contatto.
Lui parve capirlo, perché le afferrò la mano e gliela tenne stretta per qualche secondo. A Mica non dispiacque sapere che la prof aveva scelto proprio lui per raccontare quella storia... ma la sua espressione si rabbuiò ricordando quello che aveva detto a Carlotta.
Prese la macchinetta da scrivere e digitò rapidamente: "L'ho chiamata avvoltoio."
"Sì, lo so... ma se Carlotta ti chiama "scherzo della natura" si dovrebbe aspettare una risposta, non credi?" le fece notare il custode.
La ragazza fece un cenno d'assenso con la testa, ma fu chiaro che non era del tutto convinta.
"Piccola, non te la devi prendere." le disse Gabriele, scompigliandole i riccioli. "Tu sei troppo buona... e te lo dice uno che se ne intende. Capisco che ti costi molto dire certe cose, ma quando qualcuno ti attacca, in qualche modo ti devi difendere."
"E non le ha detto di come l'ha trattata dopo Carlotta?" chiese Lucia.
"Lo so." rispose il custode. "Non serve prendersela: è fatta così... non è vero, angioletto?"
Micaela sorrise.
"Però tu non ti devi preoccupare di questo, Lucia. La tua amica se la cava benissimo da sola."
"Ma... non ti sta salendo la febbre, per caso?" chiese Claudia, mettendosi a sedere accanto a lei.
Micaela non rispose, anche perché credeva che la ragazza avesse ragione.
"Non lo possiamo sapere... a meno che non la portiamo in infermeria" le disse Gabriele. "Micaela, lo so che non vuoi farti mandare a casa... ma mi sto preoccupando seriamente, adesso. Fammi questo favore, amica... ti prego!"
E, anche se lei non poteva vederlo, non le era sfuggito il suo fare "la bocca a cuoricino".
"E... come faccio... a dirti di no?" mormorò, coprendosi un attimo dopo il viso con entrambe le mani a causa dell'ennesimo attacco di tosse.
"No! Più che altro come fai a dire qualsiasi cosa?" scherzò Luca, ritrovando in qualche modo quel suo modo spigliato.
"Passiamoci un attimo" disse Kaleb.
Micaela fece per cercare Toto nello zaino, ma per l'ennesima volta da quella mattina Gabriele la trattenne.
"Non ti preoccupare per Toto... e non ti vergognare. Tu non mi hai chiesto di aiutarti. È stata una mia iniziativa... mia o di chiunque voglia darti la mano adesso visto che non ti reggi in piedi."
Micaela si lasciò guidare. Non capiva come fosse possibile, ma lui aveva una capacità di persuasione incredibile.
Luca le camminava accanto e continuava a guardarla con apprensione. Non aveva mai visto Micaela così pallida e stanca. Era contento che Gabriele la sostenesse, perché lui ancora tremava dopo il contatto della mattina... era in imbarazzo, perché lei era la prima ragazza con la quale aveva un approccio... particolare.
Diede una mano a Kaleb con la sedia di Lucia: stavolta era giusto che ci fosse anche lei, o non se lo sarebbe mai perdonato... ormai Luca aveva imparato a conoscerla.
A chiudere il piccolo corteo, una silenziosa Claudia.
Se ne stava lì, camminando ad occhi bassi, preoccupata. Conosceva poco Micaela, ma le dispiaceva vederla così.
"Ehi! Chi segui, mongolfiera?" le disse pacata Sabrina. "Ah, certo... Micaela."
Micaela si gelò sul posto. Aveva sempre detestato il bullismo e ne aveva appena avuta una manifestazione. Si strinse al braccio di Gabriele e si bloccò, con un miscuglio di rabbia e tristezza che le dava il tormento.
"Tranquilla" le disse calmo Gabriele. Poi si girò verso i ragazzi e, simulando sorpresa, disse: "Ah, salve, professoressa!"
Sabrina, Carlotta e il loro gruppetto di oche si dileguarono all'istante, credendo che un'insegnante avesse sentito quello che avevano detto, o le loro risatine dopo quelle battute idiote.
"No! Non ci posso credere!" esclamò Kaleb, avvicinandosi a Gabriele per dargli il cinque. "Come hai fatto?"
"A fare cosa?" chiese l'uomo, continuando a scortare Micaela.
"A mandarle via" disse Kaleb. "Voglio dire... è bastato che dicesi quella frase per farle dileguare."
"I bulli sono codardi, lo sanno tutti" rispose Gabriele.
Nel frattempo erano arrivati davanti all'infermeria.
"Dottoressa, mi scusi" disse il custode, "la signorina Micaela è un po'... giù di tono, diciamo così."
"Un po' più di un pochino giù di tono" disse la donna, "ma ora vieni qui, Micaela... siediti sul lettino, vediamo se hai la febbre... d'accordo?"
Micaela si mosse in avanti, esitante, e la dottoressa le prese le mani e la guidò verso il letto. La fece girare lentamente e la ragazza mosse qualche passo indietro.
"Mettiti giù, cara" disse tranquilla. Le infilò il termometro sotto il braccio e le disse di aprire la bocca. "Accidenti... hai tutta la gola arrossata, Micaela! Ma da quanto tempo stai così?"
Micaela non sapeva che dire. Se avesse rivelato che stava male dalla mattina, la dottoressa si sarebbe preoccupata.
"Non è da molto che sta così" intervenne prontamente Gabriele. "Stamattina non era al massimo della forma, ma stava bene."
"Capisco... ma non credo che le convenga rimanere a scuola" disse la dottoressa. "Guardi lei stesso. Trentotto e mezzo."
Gabriele rimase lì, immobile, a fissare il termometro.
"Povero tesoro" le disse, accarezzandole la testa. Micaela sentì l'emicrania alleviarsi leggermente e si chiese se Gabriele non avesse le stesse abilità del buon John Coffey.
"Perché non chiami i tuoi e torni a casa?" chiese Luca.
"No" biascicò Micaela. "Non voglio farli preoccupare... e non voglio andarmene."
"Ma ti piace così tanto studiare, tesoro?" chiese la dottoressa Marcella.
Micaela scosse lentamente la testa.
"Niente da fare: la nostra amica è testarda" disse Luca sorridendo.
"Va bene... allora facciamo così: quando uscirai da scuola ci permetterai di accompagnarti a casa, va bene?" propose Kaleb. "Lo sappiamo tutti che te la cavi benissimo anche da sola, però quando ci si ammala bisogna farsi coccolare un po'..."
Micaela sorrise a quell'affermazione e si lasciò convincere. Certo, dipendere da loro non la rendeva precisamente felice, ma essere tanto benvoluta da quel piccolo gruppo le faceva molto piacere.
Per il resto della giornata scolastica, come era prevedibile, Micaela risultò essere poco più di un fantasma. Era completamente stordita, anche se, per fortuna, la Tachipirina che le aveva somministrato la dottoressa per un po' l'aveva tirata su, ma di certo non era al massimo della forma, infatti dovette registrare le lezioni. Decise, poi, di passarle su un altro dispositivo per riascoltarle e prendere appunti. Era decisamente troppo stanca per mettersi a scrivere.
Quando venne il momento di rientrare a casa, Luca si offrì di accompagnare Mica.
"Di' la verità: lo fai per non andare a casa a piedi." lo prese in giro Kaleb.
"Sì, proprio per questo motivo, guarda!" lo rimbeccò Luca, prendendo la mano di Micaela. L'aiutò a salire a bordo dell'auto e si mise a sedere dietro, accanto a lei. Il professor Michele sedette davanti, insieme al fratello.
Micaela li sentiva parlare di qualcosa che aveva a che fare con Lucia, ma non riuscì a capirci granché. Il professor Michele, però, era visibilmente agitato.
"Che tu sappia, quella persona è arrivata?" chiese il professor Michele.
"Sì, stamattina presto" rispose il fratello. "Stai tranquillo... sono certo che lei riuscirà a tirare Lucia fuori da quella casa infernale."
Il professor Michele si lasciò andare ad un sospiro. Sperava vivamente che il fratello avesse ragione.

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