Il messaggero di corte, durante la tempesta, aveva faticato non poco per portare la notizia della scomparsa dei signori di Veilchenburg al duca. Questi aveva scritto una risposta che, tempo permettendo, era infine giunta al destinatario. A distanza di sole tre settimane da quei funesti eventi, il cauto sole invernale tornò a splendere sulla contea, facendo brillare il candore della neve che l'aveva ricoperta. La vita, pian piano, si risvegliava. Dalle stradine del paese, la gente si accorse di uno strano movimento sul valico che separava il borgo dal resto del mondo: si trattava di una lunga colonna di uomini a cavallo che, scendendo la scarpata, pareva dirigersi verso il castello.
«Credetemi, Vostro Onore, questi nuovi abiti vi stanno a pennello!» Ripeteva, frattanto, il sarto che aveva confezionato un nuovo completo per il giovane Giselbert: una calzamaglia a strisce alternate di due tonalità di viola, sopra alla quale era posta una spessa, bianca camicia di cotone, con delle maniche molto larghe che si restringevano solo sul polso. Ad abbinarsi, una tunica nera che si fermava poco prima delle ginocchia, abbellita da una cintura su cui i ricami di un filo d'oro riflettevano la luce del sole. Un elegante mantello color melanzana che copriva anche il collo, data la fredda stagione, era assicurato agli altri indumenti da una limpida spilla d'argento. E per finire, un soffice cappello porporino, sul quale spiccava una penna di fenicottero, era posto sul capo del ragazzo.
«Dite davvero?» Chiese Giselbert per conferma, inarcando le sopracciglia e socchiudendo le palpebre in un'espressione inquisitoria, nonostante fosse soddisfatto. «Certo, Altezza,» rispose il sarto con tono sommesso: «ho selezionato per Voi stoffe di prima qualità, insieme ai colori che più vi donano: il nero pece dei Vostri capelli si sposa alla perfezione con il viola, il rosso lampone e qualche tocco dorato». «Un lavoro eccellente, non c'è che dire. Vi meritate i centocinquanta denari promessi». Asserì il giovane, prossimo al destino di diventare conte di Veilchenburg, andando a prendere un sacco di monete dal forziere della famiglia, per consegnarlo all'abile artigiano, che lo ringraziò con riverenza. D'un tratto, entrambi sobbalzarono all'udire una forte voce provenire dall'esterno: «Largo! Fate largo al duca di Wittelsbach! Largo!» Svelto, Giselbert salì sulla cima del torrione, per poter avvistare l'arrivo del suo tanto atteso superiore.
Non era solo: insieme a lui c'erano sua moglie, numerosi cavalieri che reggevano gli stendardi delle varie casate, alcuni baroni, vescovi, ed erano attorniati da una schiera di guardie. Il duca, un tipo sulla trentina vestito di rosso dalla testa ai piedi, in sella a un maestoso destriero bianco, attraversò in pompa magna le strette strade del villaggio ai piedi del piccolo colle, sul quale s'ergeva il castello degli Eisherz. «Presto, Altezza, scendete! Il duca sarà qui a momenti!» Disse una serva, esortando il ragazzo a correre verso il salone. Giselbert non se lo fece ripetere due volte e, con lestezza, discese la scalinata, attraversò il cortile e giunse nella stanza in cui avrebbe avuto luogo la cerimonia. «Dunque è qui che risiede questo nostro vassallo...» appuntò la duchessa, non appena arrivarono a salire l'altura: «in un castello senza fossato?» «Sì, Agnese... la struttura del terreno, oltre a non consentire uno scavo di tale portata, funge da barriera naturale». Rispose dolcemente suo marito. «Oh, capisco» disse lei, cambiando poi discorso: «spero che egli apprezzi il nostro dono». «Ma sì, ma sì, Agnese! Come potrà non apprezzare del buon vino?» Concluse lui, con fiducia.
Il corteo si fermò davanti alle mura della fortezza. Le guardie ricevettero l'ordine di aprire il portone e alzare, in un lento stridore, la pesante grata di ferro che difendeva l'entrata, affinché il duca e tutto il suo seguito entrassero nel maniero. In poco tempo, Giselbert vide il salone riempirsi di gente e di cavalli - questi ultimi accompagnati poi dai servi nelle scuderie - perciò si levò dalla panca dov'era seduto, andò incontro al duca, si tolse il cappello, si inchinò e gli baciò la mano. «Lieto di avervi conosciuto. È un onore che voi siate qui a palazzo». Pronunciò, con leggera ansietà e freddezza. «Karl Giselbert Eisherz... quanti anni avete?» «Diciassette, Vostro Onore» affermò, rialzandosi. «Siete ancor più giovane di me, quando sono stato nominato duca di Baviera, sei anni fa... mio padre, Ludovico, conobbe Vostro padre: me lo descriveva sempre come un tipo fidato, giusto, carismatico, forse un po' taccagno, ma pur sempre leale. Dico bene?» Giselbert non era del tutto d'accordo con quegli attributi, ma fece finta di niente e annuì molto vagamente. «Bene. Diamo inizio alla cerimonia».
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L'Ultimo Conte di Veilchenburg
Historical FictionXIII secolo: Il giovane Giselbert, signore di una contea tra le Alpi austriache, abbandona i suoi averi e si avventura sotto falso nome nelle terre dell'est Europa. La gente del posto non tarda a riconoscere la sua origine nobile, segretamente legat...