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1 giorno al 7 luglio

Caldo.

Non riusciva a pensare ad altro se non al caldo intenso che sembrava volerlo logorare fino a sciogliergli la pelle.

Izuku grugnì appena sistemandosi meglio sul pavimento dello scantinato in cui l'avevano rinchiuso; di tanto in tanto si spostava in cerca di zone più fresche della stanza, strisciava facendo forza sulle braccia e spesso crollava di faccia sbuffando tra la polvere.

Si sentiva un verme, se il tutto non fosse stato estremamente tragico avrebbe anche riso.

Non poteva dire di essere spaventato - in fondo aveva vissuto così tante vite da non riuscire più ad avere paura di un gruppo di esaltati che giocavano a fare i criminali con le pistole - ma per la primissima volta nella sua intera esistenza aveva l'impressione di avere qualcosa da perdere.

Non voleva andarsene, non in quel momento.

Aveva bisogno di rivedere Kacchan, di stringerlo e baciare la sua pelle, di fare l'amore e non pensare a niente. Lui non se lo sarebbe mai perdonato, se gli fosse successo qualcosa; avrebbe incolpato sé stesso per tutto il resto della sua vita, perché in quello era bravissimo ed Izuku se ne era reso conto davvero troppo presto per i suoi gusti.

Tossicchiò mentre si rialzava a sedere e posò la testa contro il muro, qualche gocciolina di sudore gli scivolò lungo il collo per infrangersi sul bordo della maglietta.

Continuava a ripensare alla telefonata del giorno prima, alla voce di Katsuki in preda al panico e alle sue urla. Avrebbe potuto tranquillizzarlo, stare zitto e fargli credere che Tobias stesse bluffando, invece doveva aver solo peggiorato la situazione con i suoi lamenti.

Deglutì a vuoto, le ferite che gli erano state inferte pulsavano fastidiosamente ad ogni minimo movimento ed il sapore di sangue in bocca iniziava a disgustarlo.

Ce l'aveva un po' con sé stesso per essersi fatto prendere tanto facilmente, doveva ammetterlo.

Aveva parcheggiato sotto casa, come al solito, col profumo di Katsuki che ancora aleggiava sui suoi vestiti. Aveva fatto appena in tempo a mettere un piede fuori dalla macchina, subito si rese conto che qualcosa non andava.

Denki li chiamava "sensi di ragno", lui li giustificava con tanti anni di esperienza. Eppure, nonostante i suoi fantomatici superpoteri, non si era minimamente reso conto dei movimenti alle sue spalle.

Sentì delle mani ruvide e fastidiose afferrarlo da dietro e fece appena in tempo ad alzare gli occhi al cielo prima che qualcuno gli calasse un cappuccio in testa.

Un idiota.

Era stato un emerito idiota.

Tobias le aveva provate tutte per farlo collaborare in modo che fosse lui a convincere Katsuki che correre fosse la scelta più sensato. L'aveva picchiato, gli aveva infilato la testa sotto l'acqua fino quasi a togliergli ogni particella d'aria nei polmoni, lo aveva minacciato.
Niente.
Nessuna reazione se non un apatico, quasi annoiato sbuffo a cui seguiva generalmente la richiesta di dormire.

«Tu non sei umano», aveva detto dopo quasi dodici ore di tentativi.
«Non ne hai idea», fu la risposta inespressiva di Izuku.

E poi Katsuki aveva chiamato, tutta la sua sicurezza era andata in fumo.
Per dirla senza mezzi termini, aveva completamente dato di matto non appena aveva capito che Tobias lo stava usando per ricattarlo.

Idiota al quadrato. Non riusciva a non pensarci.

Avvertì un rumore dall'altra parte della porta, poi delle chiavi girarono nella toppa e lui alzò gli occhi al cielo consapevole di cosa stava per succedere.

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