365 giorni al 7 luglio

Dall'altra parte della città Shoto aveva appena parcheggiato fuori dal bar dove avrebbe dovuto incontrare suo fratello. Gli scappava un sorriso ogni volta in cui pensava a quella parola, fratello. Gli scaldava il cuore ed allo stesso tempo gli opprimeva il petto facendogli quasi male.

Aveva vissuto per più di dieci anni nella convinzione che Touya se ne fosse semplicemente andato, che non gli importasse di lui. L'aveva odiato, era stato il suo punto di riferimento per una vita intera e di colpo era sparito.

Mentre si accomodava al solito tavolo ripensò come fosse proiettato davanti ai suoi occhi ad uno dei tanti pomeriggi in cui, a sei anni appena, si sedeva sui pouf colorati che Touya aveva sistemato nel garage. Passava ore ad ascoltare suo fratello ridere degli strafalcioni del suo migliore amico mentre insieme imparavano a suonare e sognavano di mettere su una band che sarebbe diventata famosa in tutto il mondo.

Touya non era come gli altri, non lo trovava fastidioso, non lo cacciava via. Gli preparava succhi di frutta e merendine, in inverno lasciava sempre la coperta preferita di Shoto in un angolo e si assicurava che non si annoiasse mai.

A volte, nei momenti più calmi, lo faceva sedere tra le sue gambe incrociate e gli insegnava a suonare la chitarra; riusciva quasi a sentire tra le braccia il peso di quello strumento troppo grande per lui alleggerito dalle braccia di suo fratello che ai suoi occhi era il super eroe più forte al mondo. Touya teneva le dita sulle sue manine, le muoveva con pazienza e le spostava lungo le corde causando la meraviglia negli occhi del più piccolo mentre gli elencava le note e gli accordi per suonare le sue canzoni preferite.

«Voglio essere come te da grande!»

Lo ripeteva di continuo.

L'aveva detto talmente tante volte da essere diventato il loro modo di salutarsi, con Touya che per tutta risposta sorrideva e gli scompigliava i capelli in modo affettuoso.

«Spero tu sia meglio di così», mormorava ogni volta con una certa tristezza nelle iridi azzurre che Shoto non riusciva ancora a cogliere né a comprendere.

Gli dava nomignoli buffi; lo chiamava "bestiolina", si divertiva a dirgli che la vita era più facile quando era figlio unico ma Shoto capiva dal modo in cui faceva le trecce a Fuyumi e dalla pazienza con cui giocava a calcio con Natsuo anche se non gli piaceva che Touya era nato per essere un fratello maggiore.

Aveva l'aria di uno tosto, forse perché aveva imparato da subito ad intimidire con lo sguardo qualsiasi essere vivente che infastidisse i suoi fratelli.

I suoi capelli erano rossi come quelli di Shoto, ma più spettinati, ed i suoi occhi erano azzurri come i cieli limpidi la mattina presto.

Lui ed Enji litigavano spesso, avere un padre come il loro era tutto tranne che semplice. Pretendeva una perfezione inesistente, incolpava Touya dei suoi fallimenti e quando tutto diventava insostenibile era lui la vittima dei suoi sfoghi.

Enji picchiava Touya senza mezze misure, ma lui non si lamentava mai. Non voleva che la sua rabbia passasse ai suoi fratelli ed ogni volta in cui aveva alzato le mani su di loro aveva finito per mettersi in mezzo. Piuttosto che vedere uno di loro con un livido addosso sopportava in silenzio e fasciava da solo ogni taglio in modo che né la madre già fragile né i più piccoli si rendessero conto di cosa succedeva.

La sera in cui Rei, in preda alla follia causata da suo marito, versò un bollitore d'acqua su Shoto fu anche la sera in cui per la prima volta videro Enji indietreggiare di fronte alla furia di Touya.

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