XI

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Entrambi i compagni passarono la notte quasi del tutto in bianco. Una volta lucidate spada e corazza, Isaia si recò alle rovine per cercare una pietra delle giuste dimensioni che potesse fare da lapide a Sanudo. La trovò subito e la trascinò verso il falò, poi trascorse diverse ore a scolpire il nome del barcaiolo con l'aiuto di uno dei coltelli che si era portato dietro. Cercò di non fare troppo rumore per non disturbare Timoteo, ma il bambino era sempre vigile e lo osservava ammirando la pazienza con la quale raschiava la roccia. Bastava meno di un secondo per spegnere una vita, ma al persecutore c'era voluta quasi tutta la notte per incidere poche lettere che ricordassero quel medesimo attimo. Chissà quanto tempo sarebbe durata quella grezza lapide prima di morire anch'essa, sepolta dalle rovine o inghiottita dal terreno molle delle isole lagunari. Non appena fu soddisfatto del lavoro, Isaia spostò la lapide verso le rovine per ricollocarla su suolo sacro, poi continuò ad alimentare il fuoco con la legna finché non crollò per la stanchezza.

La mattina seguente, i due compagni furono svegliati da grosse gocce di pioggia. Isaia si alzò e si guardò intorno. Il fuoco si era spento e il cielo era ricoperto di minacciose nuvole grigiastre. Timoteo sbadigliò energicamente, poi si rannicchiò sotto le coperte per proteggersi dalla pioggia che stava iniziando a cadere. Il suo viso era scavato e dolente, con delle occhiaie profonde e un barlume di apatia negli occhi. La stanchezza non era ancora passata. Isaia lo scosse per intimargli di alzarsi e il bambino sbuffò mentre ubbidiva.
«Non avevo mai sentito la pioggia sulla pelle. Pensavo facesse male» disse lui, allungando il braccio e osservando l'acqua che si depositava sull'incavo della mano.
Isaia sussultò mentre riponeva le lanterne nel fagotto. Si era dimenticato che quel bambino era sempre rimasto segregato nella cella. Il suo fisico doveva essere molto più debole di quanto immaginava; era meglio proteggerlo dalla pioggia. Fortunatamente Isaia aveva portato con sé il suo impermeabile di cuoio e subito lo estrasse per porgerlo al bambino.
«Grazie» biascicò Timoteo «ogni notte sogno di essere di nuovo nella mia stanza. Non so se l'ho mai lasciata davvero, mi sembra tutto così strano»
Isaia raccolse gli oggetti che mancavano, poi si caricò il fagotto in spalla e fece cenno al bambino di seguirlo. Era piuttosto tardi e quelle nuvole non promettevano bene, perciò era meglio partire subito. Fissò il cielo completamente oscurato dalle nubi nerastre e gli tornarono alla mente le parole che il cacciatore aveva detto la sera prima. Una tempesta senza precedenti che veniva da est e che avrebbe flagellato la laguna con violenza inaudita. Che stesse parlando di quelle nuvole?
I due scesero lungo il sentiero che conduceva al molo e salirono sulla barca. Isaia sciolse le cime come aveva visto fare Sanudo e agguantò il remo con mani tremolanti per l'esitazione. Non aveva molta esperienza di traghettamento lagunare se non qualche viaggio in barca nei dintorni della città, perciò avrebbe dovuto mantenere i nervi saldi. Condurre una barca attraverso acque agitate non era facile, tantomeno se non si conosceva il territorio, e una mossa falsa poteva sancire la fine del viaggio per entrambi. Trasse un respiro profondo, pronto a remare il più energicamente possibile per superare le correnti avverse, poi puntellò il remo sul legno del molo e spinse l'imbarcazione al largo. Il viaggio era ricominciato.
Isaia fece cenno a Timoteo di rimettersi il fazzoletto attorno a naso e bocca e il ragazzo ubbidì malvolentieri. Si acquattò quindi sulla prua come il giorno prima e strabuzzò gli occhi per osservare le onde più alte e frequenti del giorno prima.
«Sai dove andare?» domandò, alzando la voce per sovrastare lo scroscio della pioggia.
Isaia annuì. Conosceva la posizione della Pala di San Sebastiano nella laguna, perciò sapeva approssimativamente in che direzione fosse l'Isola delle Rose. Ma non sarebbero andati lì in con quelle condizioni metereologiche. Era meglio avvicinarsi alla terraferma per cercare riparo se la pioggia avesse iniziato a incalzare troppo. Pagaiare nella laguna era di gran lunga più faticoso che navigare attraverso i canali di Venezia, e Isaia fendeva le acque con forza per muovere la barca nella direzione che voleva. L'isola svanì presto dietro di loro, inghiottita dal muro di pioggia, e la tensione sulla barca s'innalzò non appena i due si trovarono circondati da nebbia e acqua.
«Quando ero a casa, Pia mi leggeva storie di marinai» disse Timoteo «ma non pensavo che il mare fosse così grande. È spaventoso»
Isaia lo guardò. Era visibilmente irrequieto e disabituato al dondolio dell'imbarcazione. Ghermiva il parapetto e cercava di non respirare affannosamente per l'inquietudine.
«Tutto è molto confuso da quanto mio padre è morto. Non sono abituato a viaggiare. Solo adesso mi rendo conto di quanto è diverso il mondo qui fuori» continuò.
Remando con più foga per combattere le onde, il persecutore chinò il capo in segno di solidarietà. Capiva perfettamente come si sentiva, imprigionato in una realtà che non era stata scelta da lui. Schiavo di principi e di un substrato mentale frutto di comportamenti completamente contrari alla natura umana. Avrebbe inesorabilmente continuato a vivere nell'alienazione per buona parte della sua vita. Non poteva farci niente.
«Non ho mai visto altri bambini. E se mia madre avesse avuto altri figli?» Timoteo si succhiava le nocche delle dita, cupo in viso «Non so cosa fare quando la troveremo, non so nemmeno se le voglio bene»
Isaia continuò a remare per diverso tempo prima di lasciare il remo per riposarsi. Le sue braccia erano stanche e la sua mente annebbiata dal costante picchiettio della pioggia sull'acciaio dell'armatura. Mangiò un altro tozzo di pane per riprendere le forze e lasciò che la barca venisse sballottata dalle onde per un paio di minuti.
Man mano che le ore passavano, la pioggia diventava sempre più sferzante e le onde sempre più alte. Isaia alzò lo sguardo verso il cielo, preoccupato. Nelle ultime ore aveva sfidato il vento e la pioggia pagaiando con costante energia, ma non avrebbe retto ancora molto. Era meglio raggiungere la terraferma il prima possibile. I terreni del litorale erano estremamente paludosi e se non fossero sbarcati subito avrebbero rischiato di trovare un pantano impossibile da attraversare. Isaia agguantò la bussola e cambiò bruscamente rotta verso est mentre Timoteo tornava a chiudersi nel suo silenzio riflessivo.
La costa apparve ai loro occhi prima del previsto, proprio mentre la pioggia iniziava a incalzare sempre più bruscamente. Evidentemente il vento e le onde li avevano sospinti verso est, facendoli deviare dalla rotta nonostante gli sforzi di Isaia. I due compagni sussultarono quando la barca cozzò contro una secca nelle acque paludose. Il persecutore liberò l'imbarcazione facendo leva con il remo, poi la manovrò rapidamente per raggiungere una bricola rosa dai tarli.

Il vento era tanto forte da penetrare l'armatura mentre Isaia cercava di legare le cime d'ormeggio intorno al palo di legno. Una volta finiti i nodi, la barca scivolò verso la barena più vicina e s'incagliò nel fango con un forte scossone. I due compagni scesero con cautela, cercando di non affondare nella melma profonda, poi s'incamminarono verso l'interno della barena. Isaia si assicurò che il bambino si coprisse bene naso e bocca, intimorito dal vento che probabilmente trasportava le esalazioni tossiche, e lo accompagnò per mano mentre compieva ampie falcate per allontanarsi dall'acqua. Timoteo avanzava in maniera schizzinosa, disgustato dalla consistenza del fango che gli aveva inzaccherato tutte le brache, e il persecutore dovette spingerlo per spronarlo a camminare. Ben presto il terreno tornò solido sotto i loro piedi ed egli si guardò intorno alla ricerca di qualche riparo. La pioggia si abbatteva con sempre più furia, limitando la visuale e facendo loro battere i denti dal freddo. Isaia si addentrò nell'erba alta senza un'idea precisa di che fare.
«Dove stiamo andando?» strillò Timoteo per farsi sentire attraverso la pioggia. Il bagliore di un lampo squarciò il cielo dietro di loro, facendoli sobbalzare. Isaia strinse i denti e si sistemò meglio il fagotto sulle spalle. Eccola. Era quella la tempesta di cui parlava il cacciatore. Il pensiero che quella pioggia violenta si sarebbe protratta per giorni lo fece rabbrividire. Erano solo superstizioni, non c'era modo di prevedere il tempo. In autunno piogge del genere erano piuttosto comuni e mai duravano più di un paio di notti nei casi peggiori. Perché mai questa volta sarebbe stato diverso? Tuttavia era vero: aveva sottovalutato la pericolosità di quel viaggio. Ora si sentiva male per Timoteo, fradicio e spaventato mentre i due vagavano senza meta nel paesaggio desolato della barena.
Un altro lampo illuminò il cielo e stavolta Isaia strabuzzò gli occhi. Gli era parso di vedere qualcosa a poche centinaia di metri di distanza, nei pressi del ghebo più vicino. Timoteo emise un flebile gemito di paura quando il persecutore lo trascinò nervosamente in quella direzione. L'erba sembrava essere già stata calpestata in quel punto; forse avevano trovato una strada percorribile. Dopo qualche minuto di marcia, i due sbucarono di fronte al rigagnolo e Isaia tirò un sospiro di sollievo quando vide un ponticello di legno che collegava le due barene. La sorte si era rivelata benigna con loro, contrariamente a ogni previsione. Anche Timoteo sembrò rasserenarsi e strinse la presa sulla mano del persecutore con più vigore. I due attraversarono il ponticello e s'incamminarono lungo il sentiero costellato di fiori ed erba alta. La pioggia incalzava con più veemenza che mai, ma la speranza di trovare presto un riparo li spinse a marciare speranzosi. Le nubi ruggirono proprio mentre Isaia riuscì ad adocchiare un bagliore di luce in lontananza. Poggiò la mano sull'elsa della spada, pronto a farne uso se necessario, ma qualcosa dentro di sé gli diceva che non c'era ostilità in quel tremulo barlume. Mentre i due compagni continuavano a camminare, il bagliore ben presto si trasformò in una finestra e la nebbia si diradò a mostrare un imponente edificio di mattoni grigiastri. L'edificio era piuttosto ampio, con quasi tutti i balconi verdastri chiusi eccetto quello da cui trapelava la luce. Il suolo era composto da lastre di antico cemento e grosse crepe che si estendevano fino a sfregiare le pareti della casa; inoltre c'era un piccolo spazio d'ormeggio sul ghebo con due barche ancorate al muretto di pietra. Doveva essere l'abitazione di qualche pescatore. Con un po' di fortuna non sarebbe stato necessario sfoderare la spada. I due compagni si diressero verso la porta d'ingresso e Timoteo sussultò non appena il persecutore bussò con decisione.

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