XXXIV

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La donna non si accorse di Timoteo e Isaia quando i due entrarono nella cappella. Era inginocchiata di fronte a uno degli altari minori, talmente assorta nella preghiera da sembrare un'autentica statua di marmo. Anche le pieghe del tessuto sembravano scolpite su di lei, lucide nell'umidità della foschia emersa dai turiboli. Isaia alzò il sopracciglio quando vide che la donna portava un abito nero con fasciature rosse. Doveva essere l'abito della penitenza, come aveva detto la Madre Superiora. Spostò lo sguardo verso Timoteo e notò che il bambino la stava osservando con uno sguardo colmo di apprensione. L'ultima fatica di Ercole era solo a pochi passi da lui, imponente come una gigantessa la cui ombra si estendeva in tutte le tappe del viaggio ormai concluso, e gli stava mettendo soggezione. Dopotutto gli ultimi passi che lo dividevano da lei erano il portale verso un universo inesplorato. Così come la porta della sua cella lo aveva catapultato in un mondo sconosciuto, le porte della cappella maggiore lo avrebbero condotto verso un abisso dimensionale di cui non si poteva vedere il fondo. Isaia non avrebbe potuto seguirlo laggiù. Timoteo inspirò profondamente, cercando di distendere i nervi, e contrasse i muscoli facciali per nascondere la sua inquietudine. Non voleva farsi vedere indifeso o spaurito. La sua tipica, pensosa malinconia si dipinse sul suo volto mentre gli occhi restavano fissi sull'abito della madre. Era pronto.
Timoteo iniziò a camminare verso la donna inginocchiata, seguito dal persecutore. L'eco dei suoi passi non sembrò disturbare la suora, che non mosse un muscolo nemmeno quando il bambino arrivò molto vicino. Timoteo si fermò a pochi passi da lei, indugiando. Da quella distanza, riusciva a sentirla mormorare preghiere di perdono e penitenza. La sua voce era sottile e femminea, non severa come quella della Madre Superiora. Le ricordava la voce di Rebecca, ma più aspra e sofferente. La luce giallastra delle candele fece danzare l'ombra del bambino sulle pareti della cappella mentre i due compagni attendevano in silenzio. La donna, completamente immersa nelle proprie preghiere, non si era ancora accorta di loro. Timoteo iniziava a sentirsi intimorito da quel silenzio. Fece per aprire bocca, ma presto la richiuse timidamente. Non voleva disturbarla. Isaia abbassò lo sguardo verso il compagno e con un cenno del capo gli intimò di non avere paura. Non avrebbe interferito con quel momento, ma non c'era niente da temere. Doveva solo chiamarla per nome e avrebbe impresso il sigillo della fine su quel viaggio una volta per tutte.
Dopo un lungo e turbolento silenzio, quindi, Timoteo sospirò e fece un ultimo passo avanti.
«Suor Elide?» sussurrò con voce tremolante.
La donna sembrò non sentire, troppo assorta nel proprio pentimento per lasciarsi sfiorare da alcunché, e le sue labbra continuarono a salmodiare indisturbate.
«Suor Elide?» Timoteo alzò la voce.
Questa volta, la suora sussultò. Le sue preghiere si interruppero facendo sprofondare la cappella in un silenzio irreale. Timoteo sembrò rabbrividire nella penombra.
«Sì?» rispose lei con tono sorpreso.
«Siete voi Suor Elide?»
«Sono io» la donna aveva un tono rauco e indolenzito, come se si fosse consumata la gola a forza di pregare.
«Vi abbiamo disturbato?» domandò Timoteo.
«Solo un po'. Ora sono in penitenza. Ho commesso un peccato molto grave e devo porvi rimedio»
Timoteo sembrò titubare di fronte a quella frase. Le parole della donna erano flebili come una brezza invernale, né angeliche né diaboliche ma immote come la nebbia. Il bambino non aveva mai sentito una voce così. Si schiarì la gola, intimorito, e dovette inspirare profondamente prima di continuare.
«Un peccato molto grave?»
«Sì» rispose lei, sospirando «ho fatto uno strano sogno stanotte. Un sogno oscuro e peccaminoso. Questo è stato il mio peccato e di questo sogno mi pento con tutto il cuore»
Isaia poggiò istintivamente la mano sulle spalle del bambino. La voce della donna si stava facendo sempre più immateriale, rendendo anche lui piuttosto inquieto. Non era così che si aspettava cominciasse l'incontro. Timoteo, tuttavia, non sembrò rilassarsi sotto il tocco del persecutore. Restò immobile, un po' stordito, e si morse timidamente le labbra mentre pensava a cosa rispondere. I suoi muscoli guizzavano per il nervosismo e la sua gola era intirizzita dalla trepidazione.
«E cos'avete sognato?»
La donna aspettò qualche secondo in silenzio, poi si voltò improvvisamente, facendo sussultare i due compagni. Timoteo la osservò con gli occhi sgranati per la sorpresa. Dalla punta del suo cappuccio pendevano spessi fili rossi con perle di piombo che le coprivano interamente il volto. Aguzzando la vista, il bambino cercò di decifrare i lineamenti del viso nascosto dietro ai fili, ma era impossibile con quell'oscurità. La donna piegò la testa per osservare i due compagni, facendo tintinnare le perle, poi ricominciò a parlare.
«Ho sognato cose terribili, per le quali non c'è espiazione che io meriti agli occhi del Signore. Ma egli è misericordioso e nella sua infinita saggezza purificherà la mia anima come il cielo dopo la tempesta, rendendo queste parole superflue. Questa notte ho sognato delle visioni irreparabili, profetiche. Dei disturbi biblici e delle ombre messianiche nelle fauci dei grandi abissi cefalei. Ho sognato di essere nella mia vecchia casa sulla costa meridionale. Sapete, prima che arrivassero i Cacciatori era un posto magnifico. I frutteti della mia famiglia erano rigogliosi. Ho sognato di possedere un cane da guardia che ci difendeva da chi tentava di prendere l'uva dai nostro campi. Era un bellissimo cane, fedele e nobile nella sua lealtà. Eppure, sentivo che dentro di sé era pieno di una malignità bestiale e istintiva. Crescendo nella desolazione, la sua mente canina si era corrotta nonostante i suoi intenti fossero buoni. Era incontrollabile. Così, ho sognato di cacciarlo di casa, abbandonandolo tra le geometrie del pioppeto vicino al fiume. Ma me ne pento, lo giuro. Ho sognato che, dopo molti anni, il cane sarebbe tornato da me. E questa volta sarebbe stata una bestia demoniaca con tre teste e dieci corna, traboccante di rancore e assetato di vendetta. La selva lo avrebbe corrotto sin nel midollo delle ossa, rendendolo un mostro arcano il cui ringhio non mi avrebbe lasciato dormire. I suoi occhi vitrei sarebbero rimasti inchiodati alla mia casa come quelli di un predatore paziente e letale, pronto a strappare il mio corpo dall'anima con le sue zanne, e io avrei pianto per settimane di fronte al mio destino. Di questo sogno mi pento con tutto il cuore. Non potrei essere più contrita. Ma ho peccato e ora devo rimediare. Per questo sono qui, in preghiera, sperando che la mia afflizione possa salire al cielo e raggiungere la benevolissima coscienza dell'Onnipotente. E voi? Perché siete qui?»
Isaia e Timoteo ascoltarono il racconto in silenzio. Il suo tono della donna era inespressivo, come se ogni sua frase fosse una formula liturgica. La domanda echeggiò per tutta la cappella, riflettendosi sulle curve della cupola e sulle volte delle navate laterali, e Timoteo sentì la desolazione crescere dentro di lui. Sapeva che l'incontro con sua madre lo avrebbe reso nervoso, ma quella donna lo inquietava molto di più. Ripensò alla domanda che aveva posto a Isaia nella casa dell'Ustà. A cosa servono i sogni? Non voleva più saperlo. Alzò lo sguardo verso il persecutore, smarrito, ed egli gl'intimò di rispondere alla domanda della donna. Era tempo di raccontarle tutto. Aspettare ulteriormente avrebbe creato ancora più imbarazzo. L'aria era tesissima e il bambino si sgranchì la voce, annaspando dentro di sé per trovare la parole giuste.
«Siamo qui per vedere voi» disse.
«Per vedere me? E chi siete?» rispose la donna.
«Io sono Timoteo, il figlio...» il bambino trasse un profondo sospiro prima di continuare «il figlio di Giacomo Timordomini. E il mio compagno è Isaia il Muto. Mi ha condotto lui fino a qui»
La donna squadrò i due compagni da cima a fondo, in silenzio. Sembrava confusa.
«Giacomo Timordomini? Non credo di aver mai sentito questo nome» rispose, inclinando la testa di lato.
Isaia e Timoteo si guardarono negli occhi, disorientati. Era impossibile. La Madre Superiora non aveva mentito, il persecutore gliel'aveva letto negli occhi. Uno strano, bruciante formicolio iniziò ad avvolgerli mentre le loro menti si inceppavano per un secondo, confuse dalla risposta.
«Non siete voi Suor Elide?» domandò Timoteo.
«Sì, sono io» la donna sembrò tentennare di fronte all'improvvisa angoscia del bambino.
«E non ce ne sono altre?»
«No, sono solo io»
«E non ricordate Giacomo Timordomini?» gli occhi di Timoteo erano parecchio preoccupati.
La suora borbottò qualcosa sottovoce e alzò lo sguardo verso l'alto, cercando di ricordare.
«Timordomini... Timordomini» mormorò tra sé e sé «sì, mi dice qualcosa questo nome. L'ho già sentito. Ma non ricordo molto bene. Sapete, ho molti vuoti di memoria dopo aver supplicato il Signore di dimenticare per così tanto tempo...»
Timoteo boccheggiò, allibito. Alzò nuovamente lo sguardo verso il persecutore, cercando delle risposte nella sua maschera, ma Isaia era tanto confuso quanto lui. Una pessima sensazione si fece strada nei loro cuori, irrigidendoli in una prigione di orribili presentimenti mentre cercavano di afferrare il senso di quelle parole. Timoteo sentì i muscoli del collo contrarsi istintivamente e l'angoscia crescere dentro di lui, condensandosi in fredde gocce di sudore. Strinse i denti e rivolse uno sguardo colmo di frustrazione verso la donna.
«Giacomo Timordomini! Dovete ricordare!» protestò, facendola trasalire «la Madre Superiora ci ha raccontato tutto. Del vostro amore e del vostro parto in segreto. Abbiamo viaggiato fino a consumarci e abbiamo rischiato la vita venti volte per arrivare fino a qui. Vi prego. Lo so che siete voi. Dovete ricordarvi»
«Mi dispiace davvero» la suora era visibilmente imbarazzata «ma non riesco proprio a ricordare. Vi vedo agitato. State bene? Vorrei potervi aiutare»
«Allora ricordate! Siete voi suor Elide, no?» il bambino non riuscì a trattenere un singhiozzo. La sua voce si era improvvisamente fratturata, vibrando d'incredulità ed esasperazione.
«Sì, sono io» ripeté la donna, sempre più turbata «che cosa volete da me?»
«La Madre Superiora ha detto che siete voi ad aver partorito anni orsono. Avete partorito un bambino in segreto»
«Vi sbagliate, io non ho mai fatto nulla del genere. Come ho già detto, la mia memoria è una distesa di sabbia, e non posso vedere ciò che è sepolto alla radice delle dune. Ho pregato per anni affinché si frammentasse in questo modo. Vorrei potervi aiutare. Ora per favore, vi prego di andare. Devo continuare la mia penitenza»
Gli occhi di Timoteo si erano fatti lucidi. Isaia strinse la presa sulle sue spalle, come per trattenerlo dallo sprofondare a terra, e lanciò un'occhiataccia alla suora. Con quelle cordicelle di fronte al viso, non riusciva a capire se stesse mentendo o no. Aveva già considerato l'ipotesi che lei avrebbe potuto rifiutare Timoteo, ma gli era parsa troppo assurda per prenderla seriamente. Ora, invece, lo scenario peggiore stava diventando sempre più concreto e il volto del bambino si era fatto più livido che mai.
«Mi dispiace davvero. Vi prego di andarvene e lasciarmi da sola» continuò la suora. Parlava ancora in modo strano, remoto, quasi biblico nella sua innaturale pacatezza, e Isaia stava perdendo la pazienza. Improvvisamente, gli venne un'idea. La voglia sul collo di Timoteo. Se aveva scosso la Madre Superiora, costringendola a rivelare la verità ai due compagni, forse avrebbe risvegliato anche lei. Nulla avrebbe potuto la sua falsa incomprensione di fronte al trionfo di verità che quella macchia rossastra rappresentava per loro. Pregando di non sbagliarsi, Isaia posò le dita guantate sul bavero dell'impermeabile. Fissò le proprie mani, che avevano iniziato a tremare, e sospirò. Stava lottando con tutte le sue forze per ricacciare nell'ombra l'idea che le sue peggiori paure si stessero avverando in quel momento. Il nucleo di ciò che aveva rappresentato quel viaggio stava marcendo di fronte a lui come un agonizzante frutto consumato dal tempo, impotente di fronte al gesto di una madre che rinnega il proprio figlio. Il filo che legava Timoteo alla ragione era meno spesso di un capello, corroso dalla salsedine e divorato dal sangue versato sotto la spada di Isaia. Finora aveva resistito grazie a chissà che miracoli, ma era impossibile che reggesse un simile shock. Il persecutore trattenne l'odio come avrebbe trattenuto il respiro sott'acqua, pregando con tutte le sue energie che la suora si risvegliasse dal suo letargo spirituale. Era la loro ultima occasione.
Con delicatezza, scostò le pieghe del tessuto fino a scoprire la voglia a forma di pesce. Timoteo sussultò quando percepì il contatto con l'acciaio dell'armatura, e alzò lo sguardo verso il compagno. Aveva capito le sue intenzioni, ma Isaia non lo aveva mai visto così agitato. Gli fece cenno di girarsi e il bambino ubbidì, strascicando i piedi di fronte agli occhi confusi della suora. Entrambi sapevano che quella era la loro ultima possibilità.
«Per favore» insistette la suora, ma Isaia la ignorò. Scoprì per bene l'impermeabile, mettendo a nudo le vertebre pulsanti di Timoteo, e le indicò bruscamente la voglia. Poi attese col cuore in gola.
La donna inizialmente non sembrò capire le intenzioni del persecutore. Isaia dovette puntare il dito sulla voglia con foga ancora più esasperata, fissandola dritta negli occhi, e solo allora lei sussultò. Si alzò malvolentieri in piedi, inquieta di fronte all'energia che i due sconosciuti irradiavano, e strabuzzò gli occhi per osservare bene il collo di Timoteo. Il più totale silenzio calò nella cappella. Gli unici rumori che Isaia riusciva a percepire, ovattati dai vapori della più estrema apprensione, erano il frenetico palpitare dei loro cuori e la pioggia che iniziava a farsi più lieve. Timoteo gemette sottovoce, la schiena pulsante per l'ansia, e molti secondi trascorsero all'ombra dello sguardo della suora. La tensione era tale che Isaia riusciva a percepire ogni suo capillare fremere d'angoscia, vibrando all'unisono con le palpitazioni del cuore del bambino. Ben presto, un altro rumore si aggiunse al coro di suoni che avvolgevano la cappella col proprio eco. Isaia tese le orecchie. Era un mormorio asmatico, un respiro gracchiante e gorgogliante di paura. Corrugando la fronte, il persecutore osservò il petto della suora contrarsi come se il respiro le fosse stato mozzato dalla gola. Stava ansimando nell'oscurità.
«No» boccheggiò la suora, sottovoce. Timoteo si voltò per guardarla. Anche se non poteva vederla in viso, tutto nella sua postura comunicava un orrore viscerale. Si era istintivamente portata la mano destra sul collo e ora stava tastando la medesima voglia a forma di pesce con le dita inarcate come radici di mangrovia. Le due macchie erano perfettamente identiche: non c'era alcun dubbio. Ogni minima increspatura, ogni poro rossastro, combaciavano indissolubilmente. La realizzazione investì la donna con tanta forza da farla barcollare e il sarcofago della memoria implose come una supernova, riempiendola dei ricordi che aveva dimenticato. I suoi occhi si fecero vitrei dietro lo schermo di fili rossi e i suoi denti stridettero nel tentativo di sovrastare le urla di quei ricordi.
«Timoteo» disse lei, esalando il nome del bambino con agghiacciante sconcerto.
Timoteo sussultò. La donna aveva pronunciato il suo nome in modo solenne, quasi come fosse una maledizione, ed egli rabbrividì. Voleva muoversi da quella posizione, eppure le sue paure lo costrinsero a indugiare nell'oscurità. Anche Isaia restò interdetto e arretrò di qualche passo.
«Timoteo» continuò la donna. Le sue gambe cedettero improvvisamente, costringendola a inginocchiarsi di fronte al bambino. Egli la osservò confuso, gli occhi baluginanti di pianto trattenuto. Che stava succedendo?
«Adesso ricordo» la voce della suora si prosciugò di ogni sfumatura inespressiva, trasformandosi in un lamento strozzato «adesso ricordo tutto. Adesso ricordo tutto»
I suoi singhiozzi riempirono la cappella mentre Isaia e Timoteo la fissavano, pietrificati dallo sgomento. Le dita della donna ghermivano l'aria come se stesse cercando di restare a galla nell'oceano di memorie che l'aveva appena sommersa. Il bambino si rabbuiò in viso, sempre più disorientato, e continuò a fissare Isaia in cerca di spiegazioni per quella reazione estrema. Durante tutto il viaggio gli era sembrato di vivere un sogno allucinato. Ora, invece del risveglio, sentiva di star vivendo l'impalpabile apice emotivo di quell'esperienza onirica. Le braccia gli formicolavano e la testa stava cominciando a girargli sempre più vorticosamente.
«Io non so...» tentò di farfugliare, la fronte imperlata di sudore «sei mia madre, quindi? Te lo ricordi... adesso»
La donna non rispose e continuò a singhiozzare silenziosamente per alcuni istanti prima di alzare la testa.
«Ora capisco il significato di tutto» disse, la voce rotta dall'emozione «oh, Signore, perché mi avete fatto questo? Sono indegna di pronunciare il vostro nome. Sono indegna di essere ospite della vostra santissima casa»
Timoteo aprì la bocca per ripetere la domanda, ma dopo qualche istante di riflessione ci ripensò. Era troppo intimorito per parlare. Si sentiva inerme di fronte all'inesprimibile malessere che sembrava scalciare spasmodicamente dentro la donna, contorcendole le membra e sgorgando come pianto dai suoi occhi. Ammutolì, troppo teso anche solo per respirare, e attese fluttuando che lei continuasse il suo monologo.
«Per anni ho sofferto il ricordo del frutto maledetto del mio seno» guaì lei, spostando lo sguardo dal bambino tremante al proprio grembo «gemendo nella notte come uno spettro, stracciandomi le vesti. O Signore, sono stata una stolta a pensare di meritare il vostro perdono. Sono meno di una goccia di pioggia caduta nel mare, meno di un cane rabbioso che azzanna il suo padrone. Perché? Perché mi fate questo? Cos'ho fatto per meritare questo momento? Vi ho supplicato per anni, mio Signore, perché mi faceste dimenticare. Ho purificato il mio corpo con il flagello e il cilicio, mondando la carne che ha commesso quel peccato, e vi ho supplicato con veglie infinite di cancellarlo dalla mia mente. Vi ho pregato fino a sanguinare la lingua. Vi ho offerto tutta me stessa per la seconda volta, anima e spirito, perché mi faceste dimenticare quei nove mesi d'inferno. Perché ora me lo fate ricordare? Dopo così tanto tempo, quando ormai avevo rimosso ogni infettiva scheggia di ricordo, perché questo segno? Ascoltatemi!»
Le parole della donna giunsero sfocate alle orecchie di Timoteo. Erano echi di un incubo terribile, troppo assurde per essere vere. La pioggia era svanita; le candele si consumavano a ritmo delle stagioni, invadendo di luce bruciante la cappella e soffocandolo in sensazioni che egli non riusciva a comprendere. Non percepì nemmeno quando Isaia gli staccò la mano dalla spalla, avvolto in un velo caleidoscopico di luci baluginanti, sentenze bibliche e mulinelli vorticosi. Il persecutore era allibito. Istintivamente, fece per raggiungere la spada con il braccio, come per squarciare il tempo e fermare quelle parole, ma l'aveva lasciata sulla barca. Voleva prendere il bambino e scappare, ma la sua mente era intorpidita e le membra completamente immobilizzate. Non poté fare altro che restare a guardare mentre la donna ricominciava a parlare.
«Ascoltami, Signore!» continuò lei «Ho impiegato così tanti anni per dimenticare! Pensavo che dimenticando avrei potuto continuare a vivere in funzione del tuo amore, ma non è così! Non è vero? Che il nome di Giacomo Timordomini sia dannato per l'eternità per quello che ha fatto! Mi sono consacrata a te, ho vissuto il mio calvario secondo il consiglio delle mie sorelle, credendo che bastasse dimenticare. Perché mi fai questo? Che cosa mi vuoi dire? Che cosa mi vuoi dire...»
Da quando aveva iniziato a remare, Timoteo si era distaccato da forti emozioni per rinchiudersi nel silenzio dei suoi pensieri, ma le parole della donna squarciarono il velo delle certezze che si era costruito con una violentissima pugnalata. Il pensiero che il viaggio fosse stato inutile gli era sembrato così assurdo, ma improvvisamente era reale. Tutto intorno a lui era reale. Timoteo percepì l'incredulità scemare per lasciare spazio alla stessa rabbia primale che lo aveva invaso la prima volta che aveva visto Isaia. Si lasciò assorbire dall'estasi, vorticando insieme alla distorsione che aveva invaso la realtà della cappella. Per un attimo il suo corpo fu una massa d'odio purissimo, perfettamente conscio del significato del viaggio nella sua permanenza sulla terra. Il suo volto si contrasse, trasformandosi nel ritratto celeste di un angelo maledetto. Le sue ali erano state spezzate, rendendolo per un attimo una creatura completamente sopraffatta dall'odio più viscerale, ma i suoi occhi erano specchi della più alta espressione di umanità mai raggiunta. Solo per un istante, Timoteo si sentì Dio, raggiungendo il culmine dell'esecrazione con il sacrilego orgasmo definitivo. Dopodiché, non sentì più niente.
«Perché mi hai costretto a ricordare?» singhiozzò la suora. Timoteo la guardò. Ora non era altro che una penosa figura che piangeva accasciata al suolo.
«Siete venuti qui a ricordarmi di quei giorni passati a pentirmi giorno e notte con la consapevolezza che era tutto inutile. Ho commesso un peccato mortale. Non c'è perdono per quello che ho fatto, lo sapevate. Perché siete venuti a cercarmi? Cosa speravate di trovare?»
Questa volta fu Timoteo a non rispondere. Si limitò a osservarla, impassibile, e i lineamenti del volto gli si sciolsero nella muta rassegnazione che lo aveva accompagnato per tutto il viaggio.
«Non siete venuti per vostra volontà. È la volontà del Signore che vi ha condotti qui. Ma perché mai? Perché mai, o mio Signore, avete scelto questo giorno per punire la mia umile anima? La vostra infinita provvidenza non può avermi abbandonato, vi scongiuro. Datemi un segno per capire! Datemi un...»
Improvvisamente la donna s'interruppe. Le perle di piombo smisero di sbatacchiare e tutti i suoi muscoli si contrassero all'unisono, scossi dall'illuminazione.
«Un persecutore...» scandirono le sue labbra. Timoteo restò immobile e fissò la donna strisciare verso di lui.
«O mio Signore, non vorrai dire che... questa è la mia unica occasione? L'espiazione che ho atteso per anni, rinviandola con la mia stolta convinzione che bastasse dimenticare per cancellare... è questo il momento in cui mi chiami a te? Ma certo»
Un rivolo di saliva le colò giù per il mento, mischiandosi alle lacrime mentre il suo petto cominciava a pulsare sempre più forte. La donna si trascinò lentamente vicino a Timoteo, spingendosi sui gomiti. Le sue movenze erano spiritate e i suoi occhi sembrarono luccicare di bramosia dietro lo schermo di fili rossi. E Isaia non poté che assistere impotente, paralizzato dal terrore a pochi passi dal bambino.
«Un peccato mortale è imperdonabile, lo dice il dogma stesso. Perdonami, o Signore, per aver titubato di fronte alla tua infinita misericordia. Come può una peccatrice come me comprendere i cammini che predisponi ai fedeli che si spogliano di ogni bene per il tuo amore? Solo ora comprendo la tua volontà»
La suora raggiunse Timoteo e si strinse ai suoi piedi, raggomitolata sul freddo marmo. Le sue dita percorsero la sagoma delle brache sporche del bambino finché non percepirono l'affilato tocco della lama dietro il tessuto.
«Il martirio. Il martirio è la sola cosa che può cancellare il mio peccato»
La donna strinse l'elsa del pugnale e lo estrasse dalla cinta del bambino con un colpo secco. La lama sibilò nell'aria, disegnando un imponente arco sopra la testa della suora, e l'eco dello scintillio risuonò nelle navate della cappella mentre le tenebre calavano sui tre individui. Stremata da singhiozzi e convulsioni, la donna iniziò a vibrare di un mistico ibrido di trepidante gioia ed estremo dolore. Tolse il panno che avvolgeva il pugnale e lo ammirò in silenzio, rapita dalla luce delle candele che si rifletteva in mille scintillii rossastri sul metallo. Le sue membra tremavano così violentemente che a malapena riusciva a reggerlo in mano.
«Sia fatta la tua volontà! Signore! Che il peccato per cui non merito perdono sia cancellato una volta per tutte!» i suoi lamenti si erano trasformati in latrati cerimoniali. La donna prese delicatamente le mani di Timoteo, che continuava a fissarla senza dire niente, e avvolse le dita del bambino intorno all'elsa. Gli mise in mano il pugnale, ansimando mentre il suo corpo si preparava ad abbandonare la vita terrena. Dopodiché, gli afferrò il polso e lo costrinse ad avvicinare la punta della lama al proprio cuore.
«Colpiscimi» disse, mollando la presa sul polso del bambino. Allargò le braccia, abbandonata al destino che si era scelta senza più alcuna ombra di paura.
«Colpiscimi, se mi ami» le sue labbra tremavano incontrollabilmente. Il suo corpo era vessillo di emozione suprema.
Timoteo continuò a fissarla imperterrito, gli occhi offuscati dalla malinconia. Spostò lo sguardo sulla lama che teneva stretta in pugno e corrugò la fronte, pensieroso. Isaia lo vide scavare nell'animo con inerzia, talmente deteriorato dalle emozioni estreme da essersi appassito come un fiore reciso dal gambo. La donna continuò a boccheggiare nell'oscurità, lasciandosi sovrastare dal sentimento di gloria divina, ma i suoi lineamenti si fecero preoccupati quando vide che il bambino non muoveva un muscolo.
«Avanti» mormorò «martirizzami. Martirizzami e cancella il mio peccato. Sei la mia sola speranza, luce dei miei occhi. Avanti»
Timoteo la zittì con uno sguardo. Dai suoi occhi arrossati traspariva un atteggiamento di sfida, una luce sulfurea e magnifica che fece trasalire la suora. Il viso del bambino era ancora imperturbabile, ma la sua figura si stagliava al di sopra dell'Ospitale, al di sopra dell'eliosfera e delle nubi temporalesche. Era un uomo intento a lottare contro volontà titaniche e terrori cosmici, traboccante di una patetica e grandiosa fierezza che bruciava nelle cicatrici del suo animo. La donna annaspò di fronte a quegli occhi ardenti, impotente di fronte a una tale forza, e osservò le dita del bambino che allentavano la presa intorno all'elsa.

Timoteo sciolse i muscoli del braccio, allontanando il pugnale dal petto della suora. Dopodiché lo lanciò via senza distogliere lo sguardo. Non appena la lama atterrò sul pavimento di marmo con un clangore, il viso della donna si contrasse in un'espressione di orrore infinito. Lei boccheggiò esterrefatta. Tentò di aprire la bocca per parlare ma nulla le fuoriusciva dalla gola, e il bambino continuò a fissarla negli occhi con la medesima espressione per qualche secondo. Dopodiché, si voltò per non guardarla mai più.
Atterrita dal dolore, la donna si accasciò a terra e allungò le braccia verso di lui. Un terrore troppo estremo per riuscire a parlare la invase, costringendola a boccheggiare. Si portò le mani al viso e digrignò i denti mentre il pianto ricominciava a scuoterla fin dentro le radici delle ossa, ma era solo una farsa agli occhi del bambino. Egli fece qualche passo in avanti, allontanandosi dalla donna sopraffatta dagli spasmi, poi rivolse uno sguardo d'intesa a Isaia. Era un silenzioso "andiamocene da qui". Il persecutore annuì, finalmente riscosso dall'immobilità che lo aveva pietrificato, e seguì il bambino verso la porta della cappella. Nessuno dei due si voltò per rivolgere un ultimo sguardo alla suora. Si limitarono ad uscire rinchiusi in un silenzio turbolento.
Isaia sospirò profondamente e tese le orecchie, assorbendo la pace che sembrava aver avvolto l'isola. La pioggia era cessata; anche i lampi non solcavano più il cielo mentre le nubi si diradavano sopra di loro. Qualcosa dentro Timoteo era morto e sembrava che tutto l'Ospitale si fosse quietato per un momento. Non c'era bisogno di dire o pensare nulla. I due compagni camminarono lungo i corridoi deserti della struttura per qualche minuto, allontanandosi dalla cappella. L'unica cosa a cui Isaia riusciva a pensare era il vuoto che a un tratto sentiva dentro di sé. Era come se il suo corpo si fosse dissolto, lasciando solo il guscio metallico della corazza a racchiudere la sua essenza. Il suo cuore era divenuto un organo inanimato, dalle palpitazioni silenziose, pregno di sensazioni di cui Isaia non comprendeva la natura. Rivolse uno sguardo compatito a Timoteo mentre i due ripercorrevano la strada per il molo. Il bambino non sembrava commosso o deluso, era solo pensoso. E anche Isaia si rinchiuse nei propri pensieri attraversando le sale dell'Ospitale sotto gli sguardi intimiditi delle suore vestite di bianco.

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