9) l'onore di un dovere compiuto

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Varakud, 23 luglio (23:00, 36,27 ore dall'affondamento)

Anna Bazie si era assopita. Come non di rado avviene, la tanta tensione era in lei come implosa su se stessa, annullandosi, e lasciando il suo corpo e il suo spirito rilassati. La certezza della morte, che ormai giganteggiava nella sua mente, le sembrava ora agevole da sopportare: le importava soltanto più del suo braccio, che tutto sommato era comodo così appoggiato fra i tubi, e le sue gambe che, strette fra le coperte, ora non sentivano più tanto il freddo, e ogni tanto ritrovavano qualcosa di simile al calore.

I colpi che si continuavano a battere regolarmente sulla fiancata, a ritmi regolari, erano divenuti dolci come il suono delle campane, anche se dai loro riflessi le sembrava avessero il rintocco delle campane a morto. Il pensiero del suo fidanzato era l'unica cosa che ancora le bruciava nel petto, eppure le sembrava irragionevole credere ad una separazione da lui, nulla sembrava più irreale di quello: Anna non si poneva troppi problemi circa l'aldilà, non era mai stata credente di una qualche religione, eppure questi problemi filosofici sembravano inezie davanti all'autoimporsi di una verità palese, e cioè che l'amore che la legava ad Andrea non avrebbe potuto spezzarsi così, che quella realtà tetra di morte che la circondava avrebbe prima o poi dovuto sfaldarsi per lasciar spazio alla verità davvero importante, quella cioè del loro amore. Le Amazzoni in passato avevano creduto che le anime delle loro madri permanessero in una stato indefinito fra le stelle: crederlo nell'epoca dei sottomarini e dei motori però sembrava irragionevole ad Anna; le idee di qualche yelista che aveva incontrato le sembravano più credibili, ma lo Yelismo era una religione nolariana, che si esprimeva in una lingua che Anna non capiva, e in più fra i suoi principi c'era l'identità dei due generi, una cosa che una donna con le sue responsabilità, con addosso i colori della Rivoluzione, non poteva accettare. Da bambina le avevano raccontato dell'antica religione dai molti dèi che si praticava nell'antico ducato, ma anche quella religione si esprimeva in un modo che ad Anna sembrava superstizioso e vuoto, e in ogni caso la sua lingua era l'Achal, la lingua che ora era riservata a parlare con i maschi. Anna non era una sessista convinta come altre donne dell'epoca, eppure l'impostazione culturale, che presentava la cultura Kamnalo come superiore ad ogni altra, di fatto aveva ancora presa sul suo pensiero. Tuttavia c'era una vecchia preghiera in quel linguaggio che le tornava alla mente, la ripeteva sempre suo padre, e diceva: "Míuno, il 'a lan ílden thar 'ar dáthedh". Significava: "Dèi, fatemi riposare una volta che ogni mio dovere sarà compiuto". Anna si ricordava di averla tradotta una volta in Kamnalo, e che suonava così: "Miyonz, 'c ya-nne osht hal hoz aka-nnezoien yo sar-zacendya".

Mentre pensava a queste cose, e tante parole le frullavano in mente, si ritrovò a camminare su di una spiaggia: guardandosi riflessa nell'acqua limpida si stupiva di come grandi fossero i suoi occhi e timidi i suoi capelli, poi comprese che doveva essere un sogno, perché il suo aspetto era quello che aveva da bambina, così come il vestitino rosso che indossava, ricamato con farfalle bianche, era sicuramente quello che indossava da bimba. Un senso di angoscia represso, a tratti impercettibile, si stagliava sopra di lei e sembrava riempire il cielo, o anzi essere il cielo, quel Gieil a cui continuamente si appellavano le antiche Amazzoni, Gel per le sue contemporanee, per lei ora non era che un peso da cui distogliere lo sguardo, per perderlo sulla sabbia fine, sulle pozze e le conchiglie che giacevano qua e là. Accanto a lei camminava una donna, se n'era accorta da tempo ma non ci aveva fatto caso, nulla sembrava avere davvero importanza: era una donna alta, che ispirava una grandissima dignità, e che portava magnificamente una bella divisa di ammiraglia; ma ora ad Anna sembrava che il suo vestitino rosso esprimesse una grado ancora più elevato, e non si sentiva intimorita.

"Anna", le disse l'ammiraglia. "Ammiraglia Bazu", rispose Anna, "Cosa volete signora?". "Hai combattuto bene, Ancj, io sono orgogliosa di te, come tua comandante, e potrei accoglierti di nuovo con me anche adesso, ma tu non hai ancora detto alle tue ragazze che sei fiera di loro". Anna si ricordò solo in quel momento delle sue ragazze, delle diciotto naufraghe che avevano condiviso ogni ora della sua tragedia, e che ora in un luogo lontano e vicino, lo sentiva, stavano ancora condividendo ogni momento. Anna alzò gli occhi: trovò il coraggio di sfidare il cielo per incontrare lo sguardo della sua comandante, aveva una cosa da chiederle, e sentiva di volerlo fare ora, ma prima che potesse disserrare le labbra, Arianna le afferrò la spalla e la scosse: "Comandante, Anna, abbiamo un problema al generatore di ossigeno!".

"Che ore sono?", domando Anna: la nozione del tempo le era completamente sfuggita di testa; "Signora", rispose Arianna, "sono quasi le due del mattino".

"Che problemi al generatore di ossigeno?". Alice la fissava con la morte negli occhi, tetra, immobile: "Ancj, è finita ormai, il generatore si sta inceppando, temiamo possa durare ancora poco!".

Anna si alzò in piedi, sbarazzandosi delle coperte, ma avanzò a fatica a causa delle membra intorpidite: "Non potete ripararlo?". "No signora", rispose Lucya, "non è una guasto, è solo vecchio, è solo uno dei tanti componenti di questa unità navale che sarebbero dovuti essere sostituiti anni fa!".

Anna rimase gelata, d'un tratto tutto quanto aveva provato prima sembrava distante, tanto quanto durante il sogno sembrava distante la realtà, e ora Anna non capiva più quale fosse la realtà. La fine, la morte, lo smettere di esistere: tutto questo sembrava ora così reale, così ineluttabile, e tutti i pensieri sull'eternità dell'amore fumo, vuota illusione, pensieri da bambine.

Mentre ancora pensava queste cose, ecco un lampo di luce bianco-azzurra abbagliarla per un attimo: nella confusione le marinaie che si acquattano, il grido disperato di una, un rumore sordo, un fremito, il sinistro accomiatarsi di un ingranaggio che s'inceppa e s'ammorta e il profumo della morte riempire la stanza.

Il compartimento dodici era ora divenuto una tomba, nulla di più, una bara già sigillata e sepolta a duecento metri sotto il mare: "Quanti minuti ci restano?", domandò Anna, "Pochi, forse cinque, forse meno", "Non credo più di due invece", risposero delle marinaie. Anna d'istinto si risistemò la giacca, tirò un profondo sospiro e accennò un sorriso. Le sue ragazze si stringevano intorno a lei, diciannove ragazze e due minuti di ossigeno, mentre l'aria s'addensava e i gocciolii non smettevano.

Anna le guardò tutte quante in viso, nel silenzio più completo che regnava fra loro, e ai suoi occhi erano tutte tornate bambine, lei stessa si sentiva così, come se la morte ripiegasse la vita su se stessa, come l'inverno si rituffa nella primavera. "Boz!", disse, "hozo zacendya hoz hieldo; sa hoz stroyadna Paxreie-nne, sa hoz stroyadna ya-nne, sa hoz stroyadna la sharyao sar-Boze-nne!". "Donne, avete compiuto il vostro dovere, il Partito è orgoglioso di voi, io sono orgogliosa di voi, tutte le Donne del mondo sono orgogliose di voi!".

Le sue ragazze, trattenendo le lacrime e centellinando il fiato, saltarono sugli attenti e risposero: "Hurrah!", quindi qualcuna incominciò a mormorare un canto, era l'inno nazionale, ed ecco passò la melodia di bocca in bocca, e sebbene s'assopisse perché a tutte mancava il fiato le sue note ancora risuonavano, e le voci si alzavano sforzandosi fino all'ultimo di farlo riecheggiare. Anna si ritrovò di nuovo sulla spiaggia, ma questa volta aveva i piedi in acqua, e aveva l'aria colpevole di aver giocato troppo: l'ammiraglia Bazu la guardava dalla riva, sorridendo come una mamma. Anna le sorrise, e si accorse che ormai il cielo era sereno, e che non c'era nulla se non un indistinto rimpianto e un segreto dolore ad affliggerla: ogni angoscia era sparita.

"Anna, Anna", la chiamò l'ammiraglia. "Signora", rispose lei, "Ho compiuto il mio dovere?". "Sì", rispose l'ammiraglia, "io sono orgogliosa di te, ma ora forza, devi venire". "Dove andiamo?", domandò Anna. "Dove?", rispose Bazu, "a casa, Anna, andiamo a casa!". A quelle parole il cuore di Anna si riempì di calore, e il profumo della casa le riempì le narici. Corse fuori dall'acqua, prese la mano della sua comandante: non esisteva più il cielo, né età, né mondo, nulla, poiché le cose di prima se ne erano andate, e mentre seguiva la sua ammiraglia, le parve di scorgere delinearsi all'orizzonte un'altra terra e un altro cielo.

Varakud, diciannove ragazze e due giorni di ossigenoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora