11) Una risalita greve di pianto

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Mirsianna fece schierare le marinaie in alta uniforme sui ponti delle navi, la bandiera rosa venne ammainata a mezz'asta; le fanti di Marina si schierarono e presentarono le armi. Una ragazza, che aveva dei fiori per il fidanzato, si portò sul ponte e li consegnò invece a Mirsianna, con gli occhi lucidi, ed ella, dopo averla guardata negli occhi, li gettò in mare, sopra il luogo dell'affondamento, guardando come le rose si disfacevano ondeggiando sull'acqua salata, e i loro petali fluttuavano inerti scossi dalla corrente, come sangue sulla neve al contatto con la candida schiuma. 

Tazkin venne liberata, salì sul ponte a passi lenti... Le parole "nessuna sopravvissuta", che le erano state comunicate da una stupida marinaretta appena promossa, le bruciavano ancora nel petto. Sapeva che solo per quel disastro lei e Mirsianna, e non solo, avrebbero perso il loro incarico; il loro grado no, forse, ma di certo non avrebbero più comandato quella flotta. A capo chino si avvicinò a Mirsianna, guardandola con un velato rancore, ma il dolore era troppo forte per serbare rabbia. 

I Nolariani onorarono le cadute allineandosi anch'essi sul ponte del Fiordoro, ammainando a mezzasta la bandiera coi quattro colori, e gettando in mare delle mimose, fiore simbolo di sacrificio per i soldati e le soldate di Nolar. L'ammiraglia Tazkin fece un paio di saluti indirizzati alla volta di Nirye, e questi rispose con garbo, renendo all'amica-avversaria tutti gli onori militari.

L'annuncio ufficiale del disastro venne dato alla popolazione solo il giorno dopo, paradossalmente le genti di Nolar, Tolnar, Tuccanato, perfino i Sàfoni l'appresero prima, leggendo la notizia già nei giornali della sera. Si era alle porte di una caso giudiziario che non si sarebbe risolto presto, ma nessuna aveva voglia di pensarci, quella triste mattina. 

Il mezzo di sococrso compì due giri, nel secondo venne portata in salvo la lettere di Anna, ed il foglio con i baci delle sue ragazze venne in mano a Tazkin, che ordinò di consegnarlo immediatamente al suo ragazzo. Quella lettera tuttavia non sarebbe mai arrivata a Paolo: l'EKD la requisì non appena la nave ebbe attraccato in porto, e, sebbene se ne conservino delle fotografie, l'originale toccato dalle labbra dell'equipaggio del Varakud venne smarrito, o volutamente occultato. 

A Paolo la notizia venne già data la notte stessa: si stava per mettere a letto, quando il campanello squillò. Alla porta una ragazzina della Kamnayo Davya-'phdelion, la Polizia di Stato, con le mostrine bianche dell'arma sul colletto risvoltato. Una ragazza come quelle che Anna chiamava sue figlie, con la cravatta annodata per bene e profumata di pulito, che con occhi azzurri scossi da tremiti e voce tremante gli disse: "Signorino Volpe, vi porto tristi notizie, la vostra fidanzata è caduta in azione, dal Varakud non ci sono superstiti, nessuna sopravvissuta, mi dispiace". Paolo rimase fermo a fissarla, incredulo, il dolore e lo stupore erano in lui troppo grandi per potersi esprimere. Le parole non erano state le migliori, anzi la odiò per come glielo aveva detto, ma ebbe compassione di lei, poiché che avrebbe le parole giuste per dire una cosa del genere, per dire ciò che perfino i poeti si trovano in imbarazzo a dire?

Nessuno dei corpi presenti nel sottomarino venne estratto dal ventre del relitto, nessuna ebbe il cuore di districare quel groviglio di corpi abbracciati, conservando i segni degli ultimi disperati gesti d'affetto che quelle ragazze si erano scambiate nel momento supremo. Sono ancora lì.

Due giorni dopo, durante gli strazianti funerali di stato, non c'erano che centoventiquattro casse vuote, avvolte nelle bandiere rosa sotto lo stendardo della Marina. I fidanzati, Paolo Andrea in testa, sembravano fantasmi: bianchi in volto, vestiti in fretta come da mani altrui, in piedi per miracolo (qualcuno svenne durante la celebrazione). 

Più di un famigliare si rifiutò di stringere la mano alle rappresentati di Partito, con una ribellione e uno sprezzo che mai si erano visti del mondo Femminiano, e che assai rari sono in tempo di dittatura. Tutti però strinsero la mano a Tazkin, che si scusò più e più volte, anche il televisione. Apparve una sera durante un notiziario, indossando l'alta uniforme, in pedi rifiutando di sedersi sul divano, con i capelli sciolti, e guardando con occhi lucidi lo schermo mormorò: "Vi domando perdono, perdono per non essere stata in grado di salvare le vostre fidanzate, perdone per non aver avuto la forza di proteggere le vostre figlie, le vostre madri, le vostre amiche, e sorelle donne, perdono".

Varakud, diciannove ragazze e due giorni di ossigenoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora