#Trappola (S.K)

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Ho calcolato ogni minima mossa, il corpo di Ilenia alla fine è  stato rinvenuto nella modalità che ho deciso io.

Mi sento potente. I poliziotti, ma soprattutto Di Dio, stanno scivolando piano piano nella mia trappola e questo mi procura uno stato di pura estasi.

È da qualche settimana che passo ore e ore a capire come destabilizzare il commissario.
Voglio farlo impazzire, renderlo vulnerabile, insicuro di se stesso, voglio entrargli nel cervello e annientarlo. Di certo, non desidero la sua morte, perché io e lui combattiamo per ripulire il mondo dalla feccia. Abbiamo in comune il desiderio di renderlo un posto migliore. Solo che io ho le prove che questo sistema non punisce abbastanza i demoni e i demoni se non muoiono non cambiano e non si fermano. Il "povero commissario", invece, crede nel sistema, crede di redimere le persone.

Se avesse capito veramente me e la mia arte forse saremmo "colleghi" e non nemici.

Ma questo mi rendo conto che è utopistico e quindi devo salvaguardarmi.
Voglio dargli la possibilità di salvarsi, di lasciare il caso, di lasciarlo a qualche incompetente . Alla fine è un'eccezione nella polizia, non tutti sono come lui, non tutti hanno nobili ideali, un giorno sono sicuro mi ringrazierà.

Qualche giorno fa, una mattina, ebbi  un'illuminazione: avevo il piano, e per quanto potesse sembrare fantascientifico, sentivo che poteva funzionare o lo avrei fatto funzionare lo stesso. Avevo ideato una trappola perfetta e se il commissario ci fosse caduto, non sarei stato costretto a eliminarlo, avrebbe semplicemente lasciato il caso per esaurimento nervoso.

Dovevo cercare però un alleato ed ecco la soluzione. Pensai a quell'accattone, quel parassita della società, che vedevo ormai da mesi vicino al mio posto di lavoro.

Avrei dovuto solo capire fino a che punto la sua disperazione potesse essere a mio vantaggio. Cominciai a osservarlo. Arrivava puntualmente alle 9.00 di mattina, metteva i cartoni a terra, si sedeva posizionando un cartello e una tazza in bella vista per impietosire e spillare qualche euro alla gente. Non lo guardavano nemmeno in faccia, era invisibile agli occhi di quelle persone che ogni giorno sempre con più fretta gli passavano davanti. Qualcuno lasciava qualche monetina, qualcuno lo trovava irritante, lo si capiva dallo sguardo pieno di disprezzo, camuffato da un finto perbenismo che gli rivolgevano. Tutte frazioni di secondo, magari anche in modo inconsapevole, ma non per me.

Io sono abituato a studiare e analizzare ogni comportamento delle persone che incontro: ogni gesto, ogni parola, ogni espressione inconscia o no. So quando una persona mi mente, quando si sente in imbarazzo e soprattutto quando ha intenzioni cattive.

Trovo  un piacere incommensurabile ad analizzare la razza umana . Mi sento come uno scienziato che gioca con il suo topolino da laboratorio.

Avendo questa routine sarebbe stato semplice farmelo amico. Iniziai a passargli accanto e lasciare prima cinquanta centesimi, poi ogni giorno aumentavo un pochino, volevo guadagnarmi la sua fiducia, la sua totale gratitudine , fino al punto di spingerlo a commettere qualche servigio per me ed essere sicuro che non mi avrebbe mai tradito. Lo volevo in pugno come una marionetta. Speravo che potesse essere abbastanza disperato per aver bisogno dei miei soldi, ma non così disperato da denunciarmi. Volevo renderlo psicologicamente attaccato a me, come il cane fedele al suo padrone.

Dovevo essere la sua luce in fondo al tunnel, la sua ancora di salvezza.

Un giorno lo salutai, gli porsi un bicchiere d'asporto con caffè e una brioche. Mi ringraziò e mangiò con avidità e potevo leggere un'estrema gratitudine negli occhi.

Rimasi lì a osservarlo. Quando ebbe finito, gli chiesi il suo nome e con un po' di vergogna disse:

«Luca...»

S.KDove le storie prendono vita. Scoprilo ora