#ScaccoMatto (S.K e Antonio Di Dio)

72 8 71
                                    

Vengo portato al commissariato, la voce di Michele continua a dirmi di stare zitto. Cristina e Ilenia invece ridono, parlano, sono contente che mi abbiano arrestato. Le tre voci continuano a sovrapporsi nella mie orecchie
Non ce la faccio più, mi stanno facendo impazzire. La testa mi fa sempre più male, le loro voci rimbalzano da una tempia all'altra.

Forse se non li ascolto, spariranno? Forse non devo rispondere, perché più rispondo, più do retta a loro, più diventano forti?
«Signor Klap, ha capito? Si sente bene? Sembra in un altro pianeta!» esclama un poliziotto. Dal male che ho, ho la vista annebbiata mi manca l'aria.

Non è paura che mi arrestino, so che la Luce e l'Universo mi proteggeranno dalle tenebre della prigione, so che non mi lasceranno solo.

«Parlerò solo con il commissario Di Dio. Fino ad allora non risponderò a nessuna domanda»
«Signor Klap, le abbiamo chiesto se vuole chiamare il suo avvocato?»
«Avvocato?! Agente, l'avvocato è per i colpevoli o per chi ha qualcosa da nascondere. Quindi non è il mio caso, vada a chiamare Di Dio se volete sapere qualcosa da me.»
La mia sicurezza non mi ha abbandonato. Lui non mi risponde, si alza e va...
Ha qualcosa di strano quel giovane, forse anche lui nasconde qualcosa di torbido. Non percepisco bene qualcosa, ma lo vedo dalle arie che si da mentre parla, lo sento dai suoi passi incerti mentre cerca Di Dio, e annuso la sua paura. Però forse più che paura è disagio.
Peccato che non sia il momento...mi piacerebbe indagare di più su di lui e magari fargli assaggiare il mio coltello...
«Simone, è giunto il momento se vuoi salvare il mondo devi farlo...»
«Michele prima voglio parlare con Antonio...»
«È un ordine fallo, sennò tutto quello che avrai fatto sarà stato vano»
«Ok, ho capito!» dico con le lacrime che mi solcano il viso.

********************************
So che non posso partecipare al fermo di Simone, ma comunque non lascio il commissariato. Non posso, non adesso...
Sono agitato, cerco di rilassarmi e prego che trovino qualcosa nel suo pc, qualcosa che lo possa inchiodare. Nessuno si dichiara colpevole senza combattere un minimo...
De Michelis irrompe nel mio ufficio:
«Commissario, il suo amico è fuori come un balcone. Sembra che sia assente e a volte parla con qualcuno di immaginario, ma dice che parlerà solo con lei!»
«De Michelis, non potevi dirmi il tuo pensiero in due volte? Sai che a volte proprio non capisco quello che dici!» rispondo seccato.
«Lo so, ha ragione, ma quello che volevo dire è che per me ha bisogno di una visita psichiatrica e che vuole parlare con lei!»
Mi metto le mani nei capelli, lascio perdere la diagnosi medica dell'improvvisato De Michelis. Sa anche lui come sono le procedure: sono gli avvocati a richiedere esami psichiatrici, ma ai processi.
«Ok, facciamo finta che non ho sentito la prima parte dei tuoi studi medici, ma gli hai detto che non posso interrogarlo io?»
«Ci ho provato, ma non mi ascoltava e farfugliava qualcosa a qualcuno al suo fianco che non c'era e poi ha detto che avrebbe parlato solo con lei...»

********************************
Ecco che arriva Antonio, ha l'aria stanca, ma ci salutiamo e ci abbracciamo come vecchi amici. Sembra sereno, non arrabbiato, mi sento a mio agio, nonostante le manette.
«Ciao Simone»
«Ciao Antonio, finalmente eccoti qui, amico mio.»
«Mi hai fatto dannare per anni per trovarti, per fermarti»
«Eh lo so, ma sono felice che tu mi abbia trovato. Sei pronto ad ascoltare la mia storia ?»
«Sì, voglio sapere tutto, capirti fino in fondo, scoprire la tua vera anima.»
«Adesso ascolta e rilassati.»
Antonio chiude gli occhi inspira profondamente:
«Ok sono pronto, inizia!»
«Vedi quando ero giovane, ero uno scapestrato, nonostante mio padre era un uomo potente e ricco e mia madre la classica mamma che ti accudisce nel momento del bisogno, che ti prepara i biscotti alla mattina appena alzati, anche se in casa ci sono dei collaboratori domestici. Vivevo in una villa, bellissima, da sogno, avevo anche due sorelle. Io di mio ero scontroso, anche se avevo tutto non ero mai felice. Per i miei diciott'anni mio padre mi regalò una bellissima Corvette, rossa a due posti. Mi divertivo a girare per i locali più costosi, bere e offrire champagne, e anche a tirare un po' di cocaina. Per i miei amici ero una specie di Dio, le ragazze non ci mancavano durante le nostre serate. Ero bello, ricco e stronzo. Non avevo legami duraturi con le donne, non mi interessava, ero giovane volevo solo divertirmi: sai, Antonio, ho spezzato molti cuori, ho fatto del male e non ne vado fiero.»
«Immagino, ma eri giovane, chi non ha commesso stupidaggini a quell'età ?»
«Sí, ma sentendomi onnipotente, non mi accorgevo che a molte azioni, corrispondono delle conseguenze: azioni buone al novantanove per cento portano conseguenze buone, azioni cattive sempre con la stessa percentuale portano conseguenze brutte, disastrose a volte. L'un per cento che rimane, secondo i miei calcoli è il destino, il fato, la fortuna o la sfiga, di trovarsi in un determinato posto, in un determinato momento della vita, e a quello non ci posso fare niente, non posso controllarlo.»
«Capisco Simone, ma va avanti con la tua storia.»
«Non avere fretta, abbiamo tutto il tempo.
L'unica persona a cui volevo veramente bene era il mio migliore amico, era come un fratello, si chiamava Michele. Io e Michele avevamo fatto tutte le scuole assieme, ci conoscevamo fin dall'asilo, anche lui proveniva da una famiglia ricca, ma a differenza di me era un'anima buona, gentile. Io ho ucciso Michele. Ho ucciso i suoi sogni, gli ho portato via tutto, quella sera non doveva neanche essere con me, ma con la sua ragazza Sabrina. Sabrina però era influenzata quel sabato, quindi Michele era uscito con me. Lo feci bere molto, lui tra i due era quello che reggeva meno e, io avevo anche fatto qualche riga di una coca che era uno sballo. Michele, era ubriaco fradicio, io su di giri. Avevamo girato mezza città cantando a squarciagola.
La mia Corvette sfrecciava per le vie della città. Andammo perfino in una discoteca e facemmo gli scemi con due ragazze, che erano la fine del mondo. Alle sei stavamo rientrando.
"Michele, stiamo volando senti come va", sempre più veloci, sempre più liberi.
Lui rideva, io ridevo. Fino a che bamm! Buio, nero.»
Una lacrima mi scese dalle guance, Antonio mi abbracciò.
«Dai vai avanti, ti farà bene parlarne.»
«Avevamo diciannove anni. Io mi risvegliai dopo due mesi di coma, Michele non ce la fece morì sul colpo. Non avevo visto lo stop e facemmo un brutto incidente, almeno così mi raccontarono, ma non uccisi solo Michele, tra le mie vittime c'era anche una famiglia: Mamma, Papà e due bambini, di sette e dieci anni. Mi dissero che si erano svegliati presto per andare a sciare. Doveva essere una domenica in famiglia, ma un mostro li portò via tutto.»
«Gli incidenti capitano...»
Lo interruppi.
«No amico mio, io ero strafatto, ero un demone in quel momento, stavo infrangendo le regole, ma lasciami continuare.»
«Quando dopo mesi e mesi di ospedale tornai a casa, entrai in depressione. Mi feci seguire dai migliori psichiatri. Avevo tentato anche il suicidio , più di una volta. Mio padre, a un certo punto, decise di farmi ricoverare in una clinica sul lago di Garda, per essere seguito.

S.KDove le storie prendono vita. Scoprilo ora