CAPITOLO 9

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Qualche giorno dopo io e Peter ci informammo per sapere quando sarebbero iniziate le lezioni. Riuscimmo a recuperare il numero del poliziotto che mi aveva contattata ed egli ci disse che secondo lui sarebbe stata un'esperienza educativa e formativa e che noi due avremmo potuto fare i tirocinanti nel caso di Vicky.

Io e Peter andavamo sempre nella nostra libreria preferita dove c'erano dei divanetti molto carini sui quali ci sedevamo e iniziavamo a leggere finché non era tardi e solo a quel punto staccavamo gli occhi dal libro.

Quei giorni furono bellissimi perché per un piccolo momento non ci sentimmo tristi per la tragica perdita di Vicky, ma è chiaro che non ci eravamo dimenticati di lei: dopo un po' di tempo avevamo cominciato a pensare che lei fosse in mezzo a noi, quindi abbiamo smesso di associare il suo nome ad una terribile tragedia, bensì ad una figura dolce e amorevole.

Nonostante questo, ovviamente a volte avevamo delle malinconie che ci portavano a dei pianti silenziosi e pieni di dolore, ma comunque c'eravamo sempre una per l'altro, perciò ci consolavamo con degli abbracci semplici ma amorevoli. La libreria nella mia camera ben presto si riempì di libri che finii per appoggiare dappertutto insieme a quelli di Pete.

***

Passò circa una settimana dalla proposta fantastica di Jess e quel sabato mattina alle 9:30 sarebbero iniziati i corsi per le indagini. Io mi vestii con un paio di Jeans stretti e un maglioncino abbastanza largo ma molto comodo, di un rosso scarlatto magnifico, e lasciai i capelli sciolti così che il colore del maglione e il marrone dei miei capelli creassero un bel contrasto.

Peter invece aveva dei Jeans semplici con una felpa azzurra che riprendeva il colore chiaro dei suoi bellissimi occhi. I suoi capelli erano un po' spettinati ma non sprecò del tempo a sistemarli, infatti passò davanti allo specchio, cercò di sistemarli un po' con le mani senza ottenere risultati e poi corse in salotto a leggere il suo libro.

Ci mettemmo le scarpe e uscimmo di casa e subito ci investì il freddo di gennaio: pungente e terribile. Decidemmo di andare a piedi e quindi passare per il parco che era vicino a casa di Pete.

Quel tragitto fu magnifico: era davvero interessante vedere come si svegliasse la città. C'erano alcuni adulti che correvano con i pantaloncini corti nonostante fosse freddissimo, alcuni ragazzi in gruppo con lo zaino sulle spalle e una signora anziana dalla pelle raggrinzita e ben coperta da diversi strati di lana che dava da mangiare ai piccioni mentre stava seduta su una vecchia panchina.

Una volta giunti a destinazione secondo il mio amato Google Maps (senza il quale probabilmente mi troverei nella terra di mezzo tra elfi silvani e orchi), alzando gli occhi vedemmo un edificio a due piani con diverse finestre e le tapparelle che coprivano alcune di esse. Aveva tutto l'aspetto di una scuola, ci avvicinammo alla porta d'ingresso e suonammo il campanello.

Sia io che Pete eravamo davvero agitati perché essere timidi ha davvero molti svantaggi, uno dei quali è che quando bisogna cominciare qualcosa di nuovo si ha una paura matta di doversi relazionare con i propri coetanei e per questo si finisce per isolarsi finché non si trova una persona che ha la stessa paura di essere giudicata.

Andammo nella sala che, come aveva sentito mia madre dal poliziotto, sarebbe stata quella dedicata al corso ed entrando vedemmo vari altri ragazzi, chi seduto sulla sedia del banco a guardare il telefonino prima dell'inizio della lezione, chi chiacchierava sonoramente seduto sul banco e chi guardava fuori dalla finestra perso in pensieri lontani.

I banchi erano disposti in tre file e ognuno era staccato da quella di fianco. Io mi sedetti in seconda fila nel banco al centro e Peter nel banco alla mia sinistra. Cominciammo a prendere fuori dallo zainetto che avevamo preso con noi il materiale richiesto, ovvero ciò di cui avevamo bisogno per prendere appunti, quando una ragazzina si avvicinò a noi.

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