CAPITOLO 7

6 2 0
                                    

I giorni successivi a Natale passarono veloci, tra canzoni natalizie e film sul divano. Tutto fu reso migliore da Peter e Vicky, la quale a volte ci passava a trovare. La loro presenza mi rallegrava sempre e ridere era esattamente la cura di cui avevo bisogno per dimenticare il problema di mia madre e il tradimento da parte di mio padre.
 Decisi di organizzare qualcosa di speciale per Capodanno, e pensai di regalare qualcosina a Peter e a Jess per ringraziarli. A lei comprai due candele, mentre a Peter regalai un libro di poesie di Francois Rabelais.
 Alla fine, optai per organizzare una grande partita a tombola, ricchi di premi che ovviamente io non vinsi, data la mia sfiga. La sera prima di capodanno non cenai perché ero sazia dopo aver mangiato un gelato che avevo trovato in freezer con Jess, infatti mi presi il rimprovero di Pete, che diceva che ero troppo magra, cosa peraltro falsa a mio parere.
 Lessi un po' il mio libro del momento: "cercando Alaska" di John Green, uno dei miei scrittori preferiti.
 Mi svegliai riposata e gioiosa, perché la sera prima mi ero imposta di chiudere gli occhi alle 22:30. Mi alzai molto prima del mio solito e nessuno si era già alzato poiché effettivamente era un'ora insolita rispetto al normale.
 Andai in cucina e mi preparai un caffèlatte che bevvi con un po' di torta: la mia colazione preferita. Mi cambiai e mi accoccolai sul divano sotto a un panno con il mio libro vicino ma non volevo continuare a leggerlo: dovevo pensare bene a come organizzare quella sera, ovvero la magica notte di capodanno. Non vedevo l'ora che finisse quell'anno confuso e ricco di novità e avrei approfittato del nuovo anno per ricominciare dimenticando i brutti ricordi e facendo posto alle cose belle e allegre. Presi un quadernino che mi ero portata dietro e lo aprii nella prima pagina libera che trovai. Me lo sistemai sulle ginocchia per scrivere bene e decisi di iniziare ad appuntarmi alcuni buoni propositi per l'anno nuovo. Ne segnai alcuni e poi rilessi tutto, sicura di riuscire a fare ciò che avevo scritto. Speravo che non succedesse niente l'anno successivo perché avevo bisogno di un periodo di calma per ricominciare.
 ***
 Quel pomeriggio io e Peter uscimmo per andare a fare la spesa e approfittammo anche per fare un breve giro in centro. Era l'ultimo dell'anno e molte persone stavano facendo una bella camminata per concluderlo al meglio. Peter cercò più volte di farmi dire cosa avevo organizzato per quella sera, ma io non avevo intenzione di rovinargli la sorpresa, perciò restavo muta come un pesce senza mai cedere. Devo confessare che in realtà ero un po' misteriosa ma non mi dispiaceva: in questo modo facevo crescere la curiosità.
 Quella sera mangiammo dell'ottimo cibo preparato apposta per l'occasione: spiedini di carne e varie verdure invitanti. Dopo cena giocammo a tombola e fu molto divertente vedere persone, ad esempio mia mamma e Jess, che vincevano sempre qualcosa e altre, come me e Peter, che non vincevano mai niente e quindi mangiavano le patatine per consolarci.
 Verso mezzanotte andammo tutti in giardino e ci ritrovammo a fare il conto alla rovescia per accogliere il nuovo anno. Dopo di che accendemmo i fuochi d'artificio, che partirono a razzo e esplosero, creando una costellazione colorata che interruppe la monotonia di un cupo cielo invernale. Mentre i fuochi venivano sparati nel cielo, sentii una mano avvolgermi il fianco e strinsi Peter più vicino a me, contenta che un nuovo anno ricco di possibilità fosse appena cominciato.
***
 Il 2 gennaio passai la giornata con Vicky perché mi sentivo un pochino in colpa per non aver rispettato la nostra tradizione: passare il capodanno insieme a casa sua per poi parlare fino a tarda notte, quasi l'alba. Facemmo un po' di shopping e ci fermammo da Starbucks per prendere un caffè lungo per me e un milk-shake per lei, che infatti ne beve almeno tre a settimana. La trascinai a forza dentro una libreria in cui trovai una nuova copia di "Orgoglio e Pregiudizio", un libro che avevo già letto in versione Kindle. Vicky dopo ricambiò il favore portandomi in un Apple Store, in cui provò a convincermi a prendere un tablet, che ovviamente rifiutai, dato che avevo già il computer di quella marca. Dopo un pranzo insieme in un bel ristorante, andai a casa dopo averla salutata con un semplice abbraccio, ma dopo poche ore mi pentii di non essere stata più tempo con lei.
Ero andata a casa di Peter e mi stavo risposando sul divano facendogli le coccole, quando vidi una chiamata persa. Sbloccai il telefono e scoprii che era il numero della polizia e credetti che mia madre avesse di nuovo bevuto, ma presto scoprii che era ben più grave di questo.
 Sentii la voce di un poliziotto a me sconosciuto darmi delle informazioni senza lasciarmi parlare e poi chiuse la conversazione. Appena avevo capito di cosa si trattasse avevo messo in viva voce per far sentire anche a Pete ciò che era successo. Non c'era nessuno in casa e non avevamo il tempo di chiamare qualcuno per dire che saremmo usciti, quindi decidemmo di avvisare dopo le nostre famiglie. Ci precipitammo nel luogo che ci aveva indicato il poliziotto. Usciti di casa eravamo corsi alla fermata del tram più vicina alla casa di Pete e una volta entrati ci accomodammo poiché il tram era praticamente vuoto.
 Ci sedemmo vicini e io iniziai a piangere tutte le lacrime che avevo in corpo. Stringevo forte la mano di Peter nella speranza che potesse aiutarmi e darmi il coraggio e la speranza di cui avevo bisogno. Durante il viaggio nessuno dei due parlò: eravamo talmente sconvolti che il nostro cervello ci impediva di parlare e avevamo paura di interrompere quel silenzio colmo di tragedia. Appena scesi dalla metro corremmo fino allo stremo delle forze fino a un parco in periferia lontano dalle nostre case e da quella di Vicky.
 C'erano tantissimi poliziotti che parlavano tra loro guardando qualcosa che si estendeva davanti a loro; i membri della polizia scientifica avevano in mano provette e sacchetti trasparenti con dentro cose che non potevo vedere; notai una persona che mi sembrava familiare singhiozzare disperatamente con la faccia tra le mani. Moltissime persone che non conoscevo si guardavano sconvolte senza capire bene. Alcune persone piangevano, altre guardavano tristi quella "cosa" davanti a loro; qualcuno cercava di capire cosa fosse successo e qualcun altro se ne andavano lentamente poiché non riusciva a reggere tale dolore. Il cielo scuro pieno di nuvole, i volti pallidi e piangenti delle persone, la polizia... mentre correvo a un certo punto mi bloccai: non sarei riuscita a sopportare tale dolore. Una piccola parte di me iniziò a pensare che forse era meglio tornare a casa. Mi sentivo confusa e sentivo come se una parte del mio cuore se ne fosse andata lasciando un vuoto che non sarei mai più riuscita a colmare. Peter si girò verso di me e mi guardò senza capire cosa stessi facendo. Tornò indietro e mi abbracciò stringendomi fortissimo. Stava piangendo lacrime amare proprio come me e riuscii a capirlo perché appoggiò la sua faccia alla mia spalla e sentii che continuava a singhiozzare senza riuscire a frenare le lacrime. Ci staccammo dopo esserci consolati a vicenda e poi iniziammo a camminare mano nella mano verso ciò che ci aspettava.
 Iniziai a chiedere ai diversi poliziotti chi fosse quello che mi aveva contattato. Alla fine, lo trovai e dopo averlo ringraziato per avermi chiamata subito, gli chiesi cosa fosse successo. Greg, così si chiamava, mi disse che avevano ricevuto una chiamata da una signora che non aveva spiegato cosa era successo ma aveva solamente detto cosa aveva visto e dove. La squadra di polizia era subito giunta sul luogo, poi avevano chiamato anche la polizia scientifica e l'ambulanza. L'ambulanza sarebbe arrivata di lì a poco mentre la polizia scientifica era subito giunta sul posto. Non ci disse nient'altro perché non avevano altre informazioni, l'unica cosa che fece fu di invitarmi a vedere con i miei occhi ciò che avevano trovato.
Io annuii anche se vedere quello spettacolo era l'ultima cosa che avrei mai voluto vedere. Peter mi prese per mano e insieme ci facemmo spazio tra la folla. Una volta giunti tra le prime persone, aprii lentamente gli occhi. Quando vidi bene, iniziai a piangere disperatamente avvicinandomi piano piano al corpo steso di Vicky. Aveva la faccia piena di lividi e i bellissimi capelli biondi arruffati e spettinati. Sulle braccia si vedevano diverse pozze di sangue ormai colato a terra. La faccia era bianca, il corpo freddo e l'anima libera volata in paradiso. Mi inginocchiai e le presi una mano e iniziai a baciarla piangendo senza riuscire a smettere: provavo un dolore indescrivibile e sentivo il cuore farmi male. Guardando bene vidi che i segni di sangue erano stati creati da alcune pallottole che la avevano colpita. Il corpo era ricoperto da lividi, probabilmente l'assassino l'aveva calciata dopo averle sparato, in modo da capire se fosse definitivamente morta.
 A quel punto, dopo aver visto il cadavere della mia migliore amica su quella barella, crollai. Ero distrutta, piangevo e urlavo come un'ossessa, urlavo che era solo un incubo, che era tutto un bruttissimo sogno. Gridavo che Vicky era ancora viva, che quella non era lei, ma in fondo sapevo che non c'era più niente da fare per la mia amica. Avevo sperato con tutto il cuore che quell'anno nuovo andasse bene, e i primi due giorni dell'anno avevano rispettato quel desiderio, ma il terzo, beh il terzo era andato tutto in frantumi, come un pezzo del mio cuore. Vicky era tutto, un'amica, una sorella e un sostegno, e in quel momento non c'era più, semplicemente...puff...era scoparsa.
 Chiamai mia madre e Peter la sua. Ci chiesero cosa fosse successo, ma gli dicemmo semplicemente dove recarsi. Quando arrivarono gli spiegammo tutto e loro si misero a piangere in silenzio. Andarono a fare le condoglianze a William da parte di tutti, perché io non ero pronta a parlare e Peter non voleva lasciarmi da sola. Tornammo a casa dopo una decina di minuti e io mi rinchiusi in camera mia nella casa che Isabel aveva affittato per noi sostenendoci economicamente, poiché non potevamo più pagare l'affitto della vecchia casa.
 Lasciai fuori Peter anche quando minacciò di non parlarmi mai più; in quel momento non mi interessava niente di quello che diceva, poiché è impossibile pensare a lui, che era vivo, mentre la mia migliore amica era morta, e non la avrei rivista mai più. Mio padre se ne era andato, mia madre si era drogata e la mia migliore amica era stata assassinata. Sembrava che l'universo si fosse messo d'accordo per rendere la mia vita un inferno.
 Quella casa non era mai stata arredata, poiché non c'eravamo mai stati tanto da doverla arredare. Stavo seduta per terra in un angolo della mia stanza da letto vuota con le gambe rannicchiate e la faccia nascosta. Cercai di alzarla lentamente per cercare di riprendermi. Mi sistemai un po' i capelli come meglio potevo. Mi sistemai il maglione e posai lo sguardo sui miei bracciali. Strisciai lentamente la mano sui pochi bracciali che avevo e nella mia mano riaffiorarono moltissimi ricordi: uno me lo aveva regalato la mia mamma per il compleanno, l'altro lo avevo comprato quando eravamo andati a Miami in vacanza.
Mi soffermai con quello che avevamo io e Vicky: un giorno alle medie corse da me e mi diede un braccialetto fatto con dei fili di cotone colorati di blu e verde che erano accuratamente intrecciati. Mi tornarono in mente tutti i ricordi che nel corso degli anni avevamo costruito: quel giorno in cui mi ero rotta il polso e mi fece compagnia all'ospedale per delle ore; quella volta che i miei avevano fatto una lunga litigata e avevo paura e nonostante fosse tarda notte, era arrivata e mi aveva consolata come solo lei sapeva fare; quella volta che avevo bisogno di un aiuto per un appuntamento (ovviamente finito male) e non avevo la più pallida idea di cosa mettermi e lei mi aveva aiutato portandomi al centro commerciale; ogni volta in cui non ce la facevo lei correva tralasciando tutto. Slacciai il bracciale presa da una improvvisa ira insensata e lo buttai contro il muro, come se qualcuno ci volesse privare del nostro legame e desse fuoco a tutto senza nessuna pietà. Nascosi di nuovo la testa piangendo senza trovare via di scampo. Mi stavo interrogando su che ora fosse, probabilmente mezzogiorno perché cominciavo ad avere fame, quando sentii il campanello suonare.
 Decisi di non aprire, perché non potevo sopportare di parlare con nessuno, perché avrei finito per piangere di nuovo, cosa che avrei fatto comunque anche da sola, ma non mi andava di farlo in compagnia. Ogni tanto anche io dovevo stare da sola, soprattutto in quel momento, dopo che Vicky era morta. Non potevo crederci. Non poteva essere vero che una persona così... così... buona, bella, altruista, generosa, amorevole, amabile e preziosa fosse morta. Non era perfetta e lo sapevo anche io: non andava bene a scuola ed era superficiale in alcuni casi, spesso era scontrosa con coloro che non la conoscevano bene quanto me. Tutti però abbiamo dei difetti, perciò per quale diavolo di motivo era stata lei ad essere uccisa e non io? Avrei preferito essere assassinata io piuttosto che lei, infatti mi sarei presa una pallottola per lei, se ne avessi avuto la possibilità.

SPAZIO AUTRICI:

Ciao! So che non scrivo da...tanto. Mi dispiace di non essere stata costante. Io e la mia "collega" abbiamo avuto qualche problema di comunicazione, ma finalmente abbiamo riiniziato a scrivere e questo capitolo mi pare buono. Questo è un po' lungo, lo so, ma mi spiace. 
grazie per aver letto questo capito, per me è molto importante, per noi è molto importante. 

sulle tracce dell'amoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora