Capitolo 11

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*Presente*

Can

Ebbi la febbre per quasi tutta la settimana. I primi giorni non feci che delirare. Sognavo lei, lei che mi guardava e mi sorrideva per poi voltarmi le spalle e andarsene via. Sentivo il suo corpo appiccicato al mio mentre facevamo l’amore e un attimo dopo lei che inveiva contro di me. E poi di nuovo le sue labbra sulle mie e le sue mani che mi spingevano via, lei che correva a perdifiato sulla spiaggia ed io che la inseguivo, per poi vederla correre fra le braccia di un altro. Il suo nome mi rimbombava nella testa come un martello pneumatico.

«Come ti senti, Can?» mi chiese mia sorella, che in quei giorni si era presa cura di me.

«Come se mi fosse passato addosso un tir.»

«Almeno non hai più la febbre. Mi hai fatta spaventare molto!»

«Scusa!»

«Vado a prepararti qualcosa da mangiare, devi rimetterti in forze» disse, avviandosi fuori dalla camera, ma la bloccai.

«Özge?»

«Dimmi!»

«Quando ho avuto la febbre alta… ho delirato? Ho detto qualcosa di strano?» le chiesi, preoccupato. Non avrei voluto farle capire che nei miei pensieri c'era ancora Sanem.

«Hai detto qualcosa, sì, ma niente di strano» mi rispose con un lieve imbarazzo.

«Cosa ho detto?»

«Hai… hai pronunciato più volte il suo nome...»

Ci guardammo e ci capimmo al volo. Sospirai.

«Pensi ancora a lei, non è vero?» mi chiese dolcemente.

«Erano solo incubi» mentii.

Non ci fu bisogno che lei aggiungesse altro, mi conosceva, e in silenzio uscì dalla camera.

Loro due andavano molto d’accordo, Sanem era come una sorella per Özge, al punto che spesso confabulavano tenendomi al di fuori dei loro segreti, ma a me andava bene, ero contento che mia sorella avesse un’amica con la quale trascorrere un po’ di tempo. Era spesso triste, sovrappensiero, sapevo che era per i nostri genitori. Papà era morto alcuni anni prima a causa di una malattia, mamma invece era caduta in depressione e non era riuscita a superarla. Aveva raggiunto papà lasciandoci soli. Io avevo dovuto farmi forza per due e a volte avevo temuto che anche Özge potesse ammalarsi come nostra madre. Per fortuna, il tempo aveva alleviato quel dolore ed era tornata la mia sorellina sorridente. Con Sanem si era ripresa completamente e spesso, al mio rientro da lavoro, le trovavo che ridevano a crepapelle. Per Özge fu un duro colpo quando ci lasciammo.

Il mio cellulare prese a suonare, risposi a Deren.

«Come stai, tesoro?» mi chiese.

«Meglio, grazie! A te come va?»

«Diciamo…»

«Che succede?»

«Mi manchi, non vedo l’ora che ti riprendi e torni in redazione.»

Sorrisi, era sempre così premurosa mentre io sapevo di non darle abbastanza.

«Ti va di venirmi a trovare?» le chiesi.

«Sei sicuro che posso venire, Can? L’altro giorno, quando sono passata, tua sorella non mi ha fatta nemmeno entrare, ha detto che era meglio lasciarti riposare.»

«Tranquilla, ci parlo io con Özge. Ti aspetto!»

«Allora a più tardi, amore!»

«A presto!» la salutai, chiudendo la chiamata e rendendomi conto che dovevo essere più affettuoso con lei.

Özge tornò con una tazza di tè e dei biscotti.

«Perché l’altro giorno non hai fatto entrare Deren?» le chiesi un po’ duro.

«Perché non volevo che ti sentisse, stavi delirando, ti agitavi e… continuo?» chiese dispiaciuta.

«No, hai fatto bene, allora. Ma quando viene magari chiedile scusa. Pensa che tu non voglia averla fra i piedi.»

«D’accordo, mi scuserò!»

Nel pomeriggio, Deren si presentò con un piccolo leone di peluche facendomi sorridere. Mi accomodai sul divano in salotto vicino a lei che mi raccontava della settimana lavorativa.

«Fra due giorni abbiamo organizzato una festa per presentare il nuovo sponsor. Vorrei tanto che anche tu fossi presente» mi comunicò.

«Se non muoio prima, ci sarò» ironizzai.

«Non dire stupidaggini.»

Sorrisi e le cinsi le spalle con un braccio, lei si lasciò andare contro il mio corpo.

«Scusa se non ti do le attenzioni che meriti. Sono pessimo.»

«Capisco che ci vuole tempo, Can, e io saprò aspettarti. Anche se a volte mi chiedo se davvero sia giusto stare insieme.»

«Cosa dici? Tu sei una donna splendida, intelligente, onesta...»

«Ma non basta!»

«Ehi, guardami! Tu… sei importante» le dissi sincero. Sì, era vero, lei era importante, mi aveva supportato e mi era stata vicino quando più ne avevo avuto bisogno. E con lei davvero volevo provare a rinascere.

Le diedi un lieve bacio sulle labbra e di nuovo la cinsi con un braccio.

*******

«Ehi, leone, ci sei anche tu!» esclamò Engin non appena mi vide.

«Come va? E’ già arrivato il testimonial?» chiesi, osservando la sala adibita per l’occasione.

«Sì, è di là che parla con Metin. Per fortuna ogni tanto promuoviamo qualche sponsor, almeno abbiamo un’occasione per festeggiare.»

«Vado a cercare Deren, l’hai vista?»

«E’ col solito gruppo a spettegolare» m’informò il mio amico.

La serata trascorreva abbastanza tranquilla, ci fu la presentazione dello sponsor e poi tutti si buttarono in pista per ballare. Le luci si abbassarono e improvvisamente mi sentii girare la testa, probabilmente a causa dei postumi dell’influenza.

«Vado a prendere un po’ d’aria» dissi a Deren, che non voleva smettere di ballare.

«Ti accompagno!»

«Non fa niente, resta qui. Torno subito.»

Mentre mi allontanavo da solo, calò il buio totale. Dovette saltare la corrente perché sentii la gente parlottare e cercarsi tra di loro. Io dovevo essere nei pressi dei bagni perché non sentivo voci nelle vicinanze. Cercai di muovermi verso l’uscita quando urtai contro qualcosa, o qualcuno.

«Mi scusi!» Quella voce… l'avrei riconosciuta tra mille.

Cosa ci faceva lì?

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Il mio volo sei tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora