SanemMi svegliai senza ancora aprire gli occhi. Avvertii all’istante qualcuno accarezzarmi il viso e sorrisi, intuendo di chi fosse quella manina. Restai immobile beandomi di quel tocco leggero ma pieno d’amore, mentre strani versi m’incitavano a svegliarmi. Phil portò la sua piccola mano sulle mie labbra, aveva capito che ero ormai sveglia. Avvertii poi un altro tocco, più intenso ma non meno delicato. Mi abbandonai al calore di quella mano realizzando che non stavo sognando, che finalmente, dopo tanto tempo, avrei riaperto gli occhi e avrei potuto perdermi nello sguardo intenso e profondo dell’uomo che amavo.
Li osservai cautamente e notai mio figlio spingere via la mano di Can lanciandogli un’occhiataccia, chiaro segno di gelosia, per poi buttarsi al mio collo e accoccolarsi come spesso accadeva.
Ma se le mie braccia stringevano lui, i miei occhi cercarono quelli di suo padre che ci osservava teneramente.
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Non fu semplice uscire di casa e lasciare Phil con la nonna. Si mise a piangere quando capì che, sia io che Can, saremmo andati via senza di lui. Corse a stringersi intorno alle mie gambe e ci guardava implorante con i suoi occhioni lucidi. Per quanto desiderassimo starcene un po’ da soli, non avemmo il coraggio di lasciare nostro figlio in quello stato, per cui decidemmo di portarlo con noi.
Eravamo appena saliti in macchina, quando Denise bussò al finestrino. Era il suo giorno di riposo ed io la implorai con lo sguardo indicando Phil seduto in braccio a me. Mi capì al volo e tese le braccia per prendere suo nipote, che per la prima volta si voltò dall’altra parte, scuotendo la testa energicamente. Vani furono i tentativi per corromperlo, dalle giostrine al gelato che adorava, nonostante facesse freddo; Denise gli propose di andare a giocare a palla sulla spiaggia o con il trenino elettrico che aveva a casa di Özge. Nulla! Phil aveva deciso di stare con noi.
Engin fu la nostra salvezza. Arrivò dopo circa venti minuti, avvisato da mia sorella, con un enorme sacco colorato sulle spalle, che incuriosì Phil, e un bastoncino di zucchero filato per il quale lui ne andava matto. Quasi dimenticandosi di me e suo padre, corse incontro allo zio che lo distrasse portandolo in casa.
«Non essere gelosa ma domani sarò tutto per mio figlio» asserì Can sorridendo. Io dovevo lavorare, non avrei potuto desiderare compagnia migliore per il nostro bambino.
Giungemmo a Sirkeci. Gli raccontai che ormai quella era diventata la mia casa e Phil adorava il mare. Passeggiammo per un po’ sulla sabbia, il sole ci riscaldava regalandoci una sensazione di pace e benessere. Ma sapevo che, in realtà, quella serenità era dovuta alla presenza di Can.
Quante lacrime avevo versato su quella spiaggia, guardando in lontananza e aspettando il suo ritorno! Quello stesso mare che mi aveva visto crollare tante volte, ora era testimone della mia immensa gioia.
Entrammo in casa, la fragranza alla lavanda si mescolava al profumo di talco che utilizzavo per Phil. Il divano era ancora invaso dai suoi giochini, mentre sul tavolo era posata la piccola conchiglia, che lui aveva trovato giorni prima sulla spiaggia, da dare al suo papà.
«Sai, Phil sapeva, in qualche modo, che tu stavi tornando!» confessai a Can, che si osservava intorno con curiosità.
«Quel bambino è un dono meraviglioso e tu sei una mamma eccezionale» disse, accarezzandomi una guancia. «Ti prometto che non andrò più via, resterò qui e mi prenderò cura di voi. Perdonami per averti lasciata sola in tutti questi anni ma…»
«Sssh!» gl’intimai di tacere, spingendolo a poggiare la sua fronte sulla mia. «Non è stata colpa tua. La vita è stata ingiusta, ti hanno costretto a non ricordare, a scrivere pagine nuove, ma ora sei qui… con i tuoi ricordi… con me…»
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Il mio volo sei tu
RomansaA volte non basta l'amore per riuscire a perdonare, soprattutto se c'è di mezzo l'orgoglio, ma nel loro cuore vivranno sempre l'uno per l'altra.