Capitolo 30

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Can

Non dormii per niente quella notte, il mio cuore era rimasto agitato come il mare a pochi metri. Avevo sentito ogni singola onda battere furiosamente sulla battigia per poi essere risucchiata nuovamente. La luce della luna filtrava dalla finestra rischiarando di poco le pareti sulle quali sembravano proiettarsi strane forme.

Ripensai ai tre giorni a Parigi. Avrei voluto scegliere Roma, ma avevo deciso che lì ci saremmo andati al mio ritorno. Volevo che se la godesse a pieno, la Città Eterna era in qualche modo legata al nostro incontro.

Cercai di rilassarmi anch'io, Sanem si era da poco addormentata, nonostante avesse passato, come me, la notte agitata, nervosa, cercando di evitare di farmelo notare, ma la conoscevo bene e sapevo quanto anche lei fosse in ansia per la mia partenza tra poche ore. Avevamo deciso di trascorrere quell'ultima notte a Sirkeci, amandoci fino a notte fonda.

Chiusi per un istante gli occhi e quando li riaprii vidi la mia dolce ragazza scrutarmi in viso, mentre il sole del mattino illuminava la stanza e sembrava aver placato la furia del mare.

«Buongiorno!» La mia voce roca salutò il mio raggio di sole.

«Buongiorno! Morfeo ha vinto anche te» disse sorridendo, ma notai subito che il suo sorriso era mesto.

«Che ore sono?» le chiesi. Avevo quasi paura a sentire la risposta. Mancava sempre meno tempo prima di salutarci.

«E' ancora presto. Abbiamo ancora un paio d'ore.»

"Un paio d'ore? Così poche?" pensai.

«Ce le faremo bastare» esclamai avvicinando il mio viso a quello di Sanem. Le nostre labbra si cercarono ancora inevitabilmente, portai una mano dietro la sua nuca e la spinsi a me più che potei. La baciai con dolcezza, assaporandola, mordendole delicatamente il labbro inferiore e cercando il contatto con la sua lingua accarezzandola con la mia.

Avvertii qualcosa di umido sul mio viso e capii che erano le sue lacrime, lacrime silenziose che mi spinsero a baciare la mia Sanem disperatamente. Non volevo staccarmi da lei, non volevo sentirla singhiozzare né, però, riuscii ad obbligarla a non piangere. Placai l'irruenza del bacio ma non smisi di restare bocca contro bocca, le accarezzai la schiena per poi prendermi tutto di lei, prima con tenere carezze e poi facendola mia dolcemente. Volevo imprimere sulla mia pelle il suo calore, volevo respirare il suo odore a pieni polmoni come a farne scorta per quei dieci lunghi giorni. Volevo che il suo sapore rimanesse sulle mie labbra così a lungo da poterla ribaciare, al mio ritorno, e non accorgermi del lungo distacco.

Mi distesi al suo fianco stringendola a me. I suoi occhi erano due pozze d'acqua, ci passai sopra le mie dita per asciugarli. Baciai il suo viso bagnato prendendomi il sapore di quelle lacrime salate.

«Me lo fai un sorriso? Voglio portarlo con me» sussurrai, sorridendole a mia volta.

Le sue labbra si schiusero e restammo così. «Tornerò presto, amore mio, e cominceremo insieme una nuova vita.»

«Promettimi che la mattina ci sveglieremo sempre così.»

«Ne puoi essere certa. I tuoi occhi saranno la prima cosa che voglio vedere.»

Presi le sue mani e le portai sul mio viso beandomi di quel contatto.

«Voglio accompagnarti.» La sua voce era quasi rotta.

«Ne abbiamo già parlato. Meglio di no. Sarebbe ancora più difficile. Tra poco verrà Özge così starete insieme.»

Avevo deciso che ci saremmo salutati lì, non volevo quegli arrivederci strazianti all'aeroporto, per di più che non partivo da solo, per cui non avrei avuto grandi possibilità di dedicarmi alle persone che amavo. Anche mia sorella avrebbe voluto accompagnarmi ma per entrambe le mie donne avevo pensato che la soluzione migliore e meno traumatica fosse quella di non salutarci attraverso la vetrata dell'aeroporto.

Il mio volo sei tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora