Capitolo 20

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Sanem

Dissi alle ragazze di non sentirmi bene. Non mi andava di spiegare ciò che era successo poco prima. Protestarono un po’ ma il mio viso pallido le convinse a tornare a casa subito. Decidemmo di dormire tutte da Ayhan e concludere la serata bevendo una cioccolata calda.

Mi persi con la mente ripensando all’abbraccio di Can che, se pure per mascherare la sua presenza lì, mi aveva provocato quella scossa che solo lui era in grado di farmi provare. Avrei voluto scrivergli ma sarebbe stato inutile, sapevo che il suo orgoglio ferito non era pronto a farsi da parte, eppure il suo cuore che batteva all’impazzata contro il mio petto l’avevo sentito eccome! Al caldo, nel letto, mentre Ayhan dormiva già accanto a me, giravo e rigiravo il telefono fra le mani.

“Prima o poi deve cedere, Sanem. Non sarà oggi, non domani, ma tu non mollare” dissi a me stessa.

E così gli inviai un messaggio: “Sono a casa. Siamo andate via subito”.

E poi azzardai inviandone un altro: “E’ stato bello abbracciarti”.

Passarono alcuni minuti finché il mio telefono s’illuminò. Lo presi subito anche se avevo paura di leggere.

“Grazie per avermi ascoltato. L’abbraccio era solo per proteggerci, non voglio che tu t’illuda”

I miei occhi si appannarono.

“Il tuo cuore, però, non sembrava contrario. Buonanotte!” risposi.

“Buonanotte anche a te!”

Spensi il telefono cercando in qualche modo di spegnere anche la mia speranza.

*******

Ero sul volo per Mosca. Osservavo quella gallina di Selin atteggiarsi mentre parlava con Osman; eh sì, ci era toccato lo stesso volo, ma lui non sembrava infastidito dalla mia presenza. Forse ero io a crearmi problemi inutili. Di tanto in tanto lo vedevo lanciarmi occhiate quasi come se volesse implorarmi di liberarlo da quella conversazione, che sicuramente era l’ennesimo sfogo futile della nostra collega. Mi avvicinai e chiesi ad entrambi chi volesse aiutarmi a spingere il carrello con gli snack. Osman si offrì subito e lei mi propose di lasciare a loro due quell’incarico, ma mi bastò un’occhiata omicida del mio ex per non accettare.

«Come stai?» mi chiese lui, una volta che avemmo percorso l’intero corridoio dell’aereo e fermandoci nella parte posteriore.

«Potrei stare meglio» risposi con un sorriso mesto.

«Hai parlato con lui?» mi chiese, mentre sistemava alcune cose sul carrello.

«Ci ho parlato ma… non vuole più saperne di me» ammisi con aria sconfitta.

«Forse ha solo bisogno di tempo.»

«O forse ha un’altra» esclamai con la voce che quasi tremava.

«Ma forse lei è solo un ripiego. Non ti arrendere, Sanem» mi disse poi, guardandomi negli occhi.

«Io… io non so cosa fare, Osman!» Mi asciugai le lacrime che involontariamente bagnarono i miei occhi. «Scusami! Non dovresti essere tu a consolarmi.»

«E perché no? Perché mi hai lasciato? In realtà io non ti ho mai avuta e l’errore è stato mio che ho creduto in qualcosa di più.»

Lo guardai e mi stupii ancora una volta.

«E’ colpa mia, invece, non dovevo darti speranze. Perdonami!»

«Ora basta, asciugati gli occhi se non vuoi somigliare a un panda» disse, facendomi ridere. «E se quel Can non torna da te è proprio un co…»

«Osman!» lo ripresi.

«Un codardo, cos’hai capito?» ribattè, nascondendo un sorriso.

«Grazie!»

«Ti voglio bene! Non dimenticarlo mai. E ora torniamo avanti ma, ti prego, tienimi alla larga da quella gallina» sbuffò, facendomi però sentire meglio.

~*~*~

Can

Era domenica. Anche se faceva freddo era una splendida giornata di sole. Avevo detto a Deren che ci saremmo visti per ora di pranzo, non le avevo ancora parlato, non avevo avuto tempo, o forse ero io che non avevo trovato ancora il coraggio di farlo.

Ero andato alla terrazza, non avevo resistito. Mi ero perso a guardare il mare che quel giorno era di una calma serafica. I gabbiani volavano indisturbati emettendo il loro stridio mentre intorno a me sentivo il vociare della gente, bambini che urlavano e una musica proveniente da qualche radiolina poco distante. Riuscii miracolosamente a rilassarmi, non pensando a nulla, nonostante quel posto fosse intriso di ricordi.

Come me, le persone si affacciavano alla ringhiera alternandosi, mentre io restavo lì fermo percependo solamente la loro presenza ma senza degnarli di uno sguardo.

Improvvisamente, però, come una sensazione strana, avvertii qualcosa che mi riportò alla realtà e mi voltai, accorgendomi che Sanem era a pochi passi da me, anche lei assorta nei suoi pensieri. La fissai, non si era accorta di me e continuai a guardare l’espressione triste sul suo viso.

Mi mancava come l’aria ma continuavo a ripetermi che non potevo tornare da lei. Decisi di andar via di lì, quando i suoi occhi m’intercettarono, bloccandomi. Non si mosse subito, i nostri sguardi si persero l’uno nell’altro, poi s’incamminò avvicinandosi.

«Anche tu sei qui!» esclamò.

«Volevo rilassarmi.»

«E ci sei riuscito?»

«Abbastanza!»

Passò qualche secondo. «Sei solo?» mi chiese, guardandosi intorno.

Annuii. «Ma stavo andando via. Mi aspettano» le dissi, notando un velo di turbamento sul suo viso.

«Posso… farti una domanda?» mi chiese con un lieve tremolio nella voce.

«Certo!»

«C’è un’altra donna nella tua vita?» Percepii la sua ansia in attesa della mia risposta.

I suoi occhi erano fissi nei miei. La vidi deglutire e trattenere il respiro.

Annuii solamente, ma bastò per farle velare gli occhi di lacrime.

«Non mi perdonerò mai per averti perso in quel modo. Tu non meriti una come me. Ti auguro di essere felice!» disse tra le lacrime, per poi voltarsi e andare via.

Le sue parole mi colpirono e restai a guardare la sua figura che si allontanava e man mano spariva. Rivolsi il mio sguardo di nuovo verso il mare pensando a cosa fosse giusto fare ed avvertii il conflitto fra il mio cuore e il mio cervello. Ora conoscevo anch'io quell'eterna lotta tra amore ed orgoglio. Sembrava che la testa mi stesse per scoppiare, così andai via anche io.

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Il mio volo sei tuDove le storie prendono vita. Scoprilo ora