3. una festa d'affari

3 1 0
                                    

L'ennesimo piano di Antonio, ovvero quello di far ingelosire Suzanne,era fallito ancor prima di metterlo in atto. La ragazza a cui aveva chiesto aiuto, aveva ben presente chi era davvero lei, e ne era così spaventata da essersi rifiutata di aiutarlo. Lui ne era sconcertato. Chi poteva mai essere la sua assistente, da incutere così tanto timore a chiunque?

Questa domanda continuò a tartassargli la testa per tutto il weekend di quella settimana e per tutta la durata della successiva fino al venerdì sera, dove ricevette una chiamata che gli diede una bella idea per poter passare del tempo con Suzanne. Doveva andare a una festa per concludere un affare con una CEO di un'azienda minore, e non poteva presentarsi certo da solo, avrebbe nociuto alla sua immagine, così con un ghigno stampato in faccia, si lanciò sul letto e si mise a dormire.


Il sabato mattina, alle 6.00 spaccate, Suzanne stava dormendo tranquilla con la testa su un braccio di John e la fronte contro le sue labbra, quando d'improvviso una suoneria all'inizio distorta e terrificante non le fece spalancare gli occhi e tirare su a sedere. Ben presto quella suoneria divenne la canzone di Madagascar, quella di Re Julien che lei tanto odiava, stando a farle capire che era una chiamata del capo. Prese il telefono in mano e rispose stropicciandosi un occhio e sbadigliando:

-pronto- disse con voce impastata di sonno -oh bene. Sei sveglia!- esclamò lui entusiasta ma lei gli rispose con un ringhio basso -devi aiutarmi. Alle 8.30 ti voglio a casa mia- rise il capo sentendola, poi però udì in sottofondo alla sua assistente che gli faceva una domanda, le parolacce borbottate e gli improperi che gli stava tirando John in una serie di borbottii, visto che la sua chiamata aveva svegliato anche lui. -Piccola, chi c'è in camera con te?- chiese Antonio già irritato -eh?- biascicò Suzanne cercando di non riaddormentarsi al telefono -ho detto... chi è . Il tizio. Che sento borbottare- domandò di nuovo il CEO scandendo meglio tutte le parole, e lei alla svelta, mise una mano sulla bocca di John che continuava a maledirlo bisbigliando e con la voce impastata di sonno gli rispose -divido la camera con uno dei miei fratelli. Tragga le sue conclusioni- sbadigliò la povera ragazza assonnata -ah... s-stavi dormendo quindi?-

-secondo lei? Di sabato mattina, cosa voleva che stessi facendo?-

-ehm...ti aspetto per le 8.30 a casa mia. Sii puntuale- rise lui nervosamente per poi attaccare. 'prima o poi commetto un omicidio' pensò Suzanne guardando storto il suo telefono e alzandosi dal letto -lo scassa-maroni che ti ha chiamata vuole morire- ringhiò John ad occhi chiusi dentro al cuscino visto che si era girato a pancia in giù -su questo non c'è dubbio- rispose lei sbadigliando mentre si vestiva, ed indossati i tacchi, gli disse di tornare a dormire ed uscì dall'appartamento.


'ma cosa ho fatto io di male?' pensò Suzanne stropicciandosi un occhio passandosi un dito sotto una lente degli occhiali. Per la poca voglia di uscire che aveva ed il sonno che l'attanagliava si era solo chiusa i capelli arruffati nei suoi soliti codini e si era messa gli occhiali senza il correttore per le occhiaie, unico cosmetico che metteva sempre, ma se ne rese conto solo quando passò davanti al bar davanti all'ufficio che a quell'ora era ancora chiuso e si vide riflessa nella vetrina. 'se prova a fare commenti gli tiro un calcio nei coglioni stamattina' pensò ringhiando contro la propria immagine prima di proseguire. Lungo la strada si ritrovò anche a sentire una vecchietta che le chiedeva preoccupata cosa le fosse successo, se qualcuno l'avesse aggredita o cose del genere, per poi sentirle dire parole di compassione quando le spiegò in breve la situazione, ed infine lasciarla andare con una delicata pacca sulla spalla d'incoraggiamento. Suzanne dal canto suo non capiva ancora molto del mondo che la circondava visto quanto era rimbambita. Di solito arrivava davanti all'ufficio dieci minuti prima che iniziasse l'orario di lavoro, e ne approfittava per fermarsi al bar lì davanti a fare colazione, con un caffè nero ed un cornetto al miele. Senza quel caffè non riusciva a ricollegarsi al mondo reale, e difficilmente poteva seguire e partecipare ad una conversazione, anzi era più probabile che si sarebbe addormentata nel mentre.

Girly soldierDove le storie prendono vita. Scoprilo ora