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Haywood

Quando mia madre aprì la porta di casa, non ci pensai due volte e mi gettai tra le sue braccia. Non si sorprese, al contrario mi strinse a sé e mi accarezzò la schiena. Sembrava avesse già intuito che suo figlio sarebbe caduto a pezzi nel suo abbraccio.

«Mamma» Sussurrai con voce spezzata.

Erano ormai ore che tentavo di dare un nome al magma di emozioni che si agitava dentro di me, e il non saperlo identificare mi stava facendo impazzire. Mi ricordava di essere stato fragile e tanto, troppo sensibile, mentre io non volevo esserlo.
Avevo lavorato per questo, per avere la corazza dura, e avevo paura di crollare di nuovo. Avevo il terrore di poter tornare ad essere il ragazzo che era stato incapace di reggere un lutto.

«Haywood...» Mia mamma mi prese il viso tra le mani, mi penetrò con lo sguardo e mi lasciò un bacio sulla guancia.

«Hay...» Ripeté con dolcezza quando si accorse che stessi trattenendo le lacrime, sull'orlo di una crisi di pianto, e mi strinse di nuovo a sé.

«Non sto bene, mamma. Ti prego»

«Aspettami qui, mmh?» Mi sistemò i ricci che mi erano caduti sulla fronte e indietreggiò.

«Torno subito»

«Ma fa freddo» Quando replicai era già troppo tardi: mia madre era già entrata ed ero rimasto solo in veranda.

Una folata di vento freddo mi colpì di traverso e tremai nella mia giacca a vento, ma prima che potessi entrare mia mamma uscì con due coperte, una ciotola di biscotti al cioccolato e un pacchetto di caramelle gommose. Le mie preferite, a dir il vero.
Mi sorrise e, quando con un cenno del capo mi invitò a sedere sul dondolo accanto alla finestra, la seguii senza proteste.
Ci accomodammo l'uno accanto all'altra, lei con la coperta rossa sopra le spalle e io quella blu sopra le gambe e: «Mangia, su»

Aprì il contenitore dei biscotti e mi sorrise. Ne presi uno.

«Come una volta»Le dissi ricordando la mia infanzia, quando uscivo da scuola e lei mi aspettava fuori dal cancello con il tè freddo al limone e un sacchetto di biscotti appena sfornati dal Castillo's per fare merenda.

Mi accarezzò i capelli. «Come una volta»

Quando mi tranquillizzai, mi prese la mano e la strinse tra le sue, forti e materne. «Raccontami tutto, figliolo. Ti va?»

Annuii e con la mano libera tirai fuori la fotografia di Gyles, ma non l'aprii. La lasciai piegata sul mio ventre e basta.

«Sai perché non volevo tornare qui?» Deglutii e con le dita tremanti aprii la foto.«Per lei»

La prese per osservarla meglio. «Gyles»

Annuii e, dopo aver fatto un profondo respiro, tirai tutto fuori. «Io non ho mai superato la sua perdita, mamma. Sebbene siano passati anni, è dolorosa come il primo giorno. Il tempo scorre, ma la sua morte continua a logorarmi. Anche se sono a Manhattan o dall'altra parte del mondo, la sua mancanza mi insegue ovunque. Ma quando sono qui...Quando ritorno, ciò che sento peggiora e mi soffoca. Mi stringe la gola in una morsa stretta e mi manca il respiro»

Mi massaggiai il collo e annaspai nell'aria fredda alla ricerca del fiato. «Quando torno qua, tutto quello che mi circonda mi riconduce inevitabilmente a lei e mi annienta. Ovunque io giri, qualsiasi luogo che io frequenti, il fantasma di Gyles è con me. E la cosa più brutta e bella al tempo stesso, è che ci resterà per sempre, accanto a me. Al bar, in biblioteca, al parco...Persino in questa veranda, se mi ascolto dentro, posso vederla. Riesco a vederci»

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⏰ Ultimo aggiornamento: Mar 23, 2022 ⏰

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