Haywood
«Atkinson, prenda quel caffè e mi raggiunga immediatamente in ufficio.»
Il commissario Gemini mi superò con un passo autoritario e io, risoluto e professionale come sempre, eseguii il suo ordine. Prelevai e sorseggiai la bevanda calda, che bruciò lungo la mia gola, e gettai il bicchiere di plastica nel cestino a destra della macchinetta. Mi sistemai la divisa e mi diressi nell'ufficio del mio superiore, chiudendo la porta di vetro oltre le mie spalle.
«Abbassi le tendine, Atkinson.»
Tirai un piccolo filo, e la stanza si oscurò impedendo al resto dei poliziotti di assistere al nostro incontro.
«Si accomodi.» Indicò la sedia davanti la scrivania.
«Perché mi ha convocato, commissario?»
Gli domandai educatamente mentre mi sedevo mostrandogli la mia espressione impassibile, ma estremamente attenta.
Era raro che venissi richiamato dai piani alti, perché il mio lavoro era sempre impeccabile, perciò mi scoprii più teso del solito.
«Lei è uno dei ragazzi più intraprendenti che abbia mai conosciuto. Uno dei migliori uomini che abbiamo, oserei dire.» Cominciò.
«Grazie.» Mi sentii lusingato.
«Ha solo ventiquattro anni, Atkinson, ed è già diventato ispettore. Le sue doti non sono trascurabili, per questo motivo ho deciso di avanzarle tre importanti offerte.»
Il commissario Duncan Gemini si alzò dalla poltrona, fece il giro della scrivania per avvicinarmisi e si appoggiò contro di essa, sorreggendosi con le mani ai lati dei suoi fianchi.
«Può decidere se accettarne una, due, oppure tutte e tre.» Mi comunicò protendendosi verso una scatola di cartone, dalla quale estrasse due plichi di fogli.
«Il documento davanti a lei è per il trasferimento nel Queens. Credo che sia ormai sufficientemente maturo da potervi fare ritorno.»
Indugiai diversi minuti sulle pratiche posizionate a pochi centimetri da me, e poi le presi meccanicamente tra le mani, scrutandole meticolosamente, tentando di mascherare la tensione che mi aveva pervaso da capo a piedi.
Avevo trascorso gli ultimi anni a Manhattan, e il Queens -la mia casa- era diventato ormai solo un ricordo lontano, un frammento di passato che avrei voluto solamente archiviare, quindi non sapevo come prendere in considerazione la proposta senza perderci la testa.
Poter ritornare dalla mia famiglia era tutto ciò che avevo sempre desiderato, ma farlo avrebbe implicato confrontarmi con la visione che i miei genitori e i miei fratelli avevano di me, ed essa non corrispondeva più con quella attuale. Avevo soltanto vent'anni quando mio padre aveva scelto questa strada -quella della disciplina- per me, mentre adesso ero un uomo formato sotto ogni aspetto. Un ispettore con le palle, per essere volgari e precisi. Il migliore del mio distretto: agile, astuto, stratega, impavido, autoritario, controllato. Ero diventato il figlio che i miei genitori avevano desiderato a lungo, e finalmente ad oggi mi sentivo completo, perciò non sapevo come avrei reagito qualora avessi dovuto rivederli. Non sarebbe stato semplice, per me.
«La vedo scettico. Se può confortarla, Royce Atkinson è d'accordo con la decisione.»
Mio padre, ovviamente. Lui era ovunque.
«Non è questo che mi preoccupa. So di essere perfettamente in grado di ritornare senza inciampare sui miei errori passati, ma qui a Manhattan ho molte più possibilità.»
Non avevo paura di fare i conti con il mio trascorso, con la mia storia, perché erano parte integrante di me, e sarei stato codardo se, invece di affrontarlo, fossi scappato a gambe levate, ma Manhattan mi avrebbe offerto una carriera migliore. Non avevo lavorato sodo per poi arrestare il mio successo, e avrei fatto di tutto pur di non rendere vani i miei sacrifici. Al tempo stesso, però, l'idea di poter ritornare mi stava stuzzicando. Era una grande tentazione, considerato quanto avessi voluto quell'opportunità negli scorsi anni: ero convinto che mio padre non mi avrebbe mai perdonato, perché le mie azioni lo avevano messo in una posizione scomoda, ma ero altrettanto sicuro che avrebbe permesso di ricongiungermi con la mia famiglia in futuro. Quel giorno era arrivato, eppure non ero più certo di volerlo. Ma mia madre era buona e gentile, mia sorella era la mia più grande motivazione, e mio fratello -per quanto bastardo avrebbe potuto essere- era la mia roccia. Sarei stato un idiota se avessi rifiutato quell'offerta senza nemmeno rifletterci.
«Ed ecco che le presento la seconda proposta.»
Gemini mi passò il secondo fascicolo e trattenne una foto, che sventolò davanti ai miei occhi. L'immagine ritraeva una donna inerme, senza vita, con gli occhi sbarrati, l'incarnato pallido, e con diversi segni violacei sul collo.
Chiusi per un attimo le palpebre, perché osservare un cadavere -specialmente con quello sguardo vitreo- mi aveva fatto impressione, e deglutii.
«Questa donna è morta tre giorni fa, però il suo corpo è stato rinvenuto soltanto ieri. Ha una vaga idea di chi sia?»
Riportai prima l'attenzione sulla fotografia che il commissario teneva tra le mani, e poi sui fogli appoggiati sulle mie ginocchia, dove giaceva un'altra immagine della donna ma di quando era ancora in vita.
«No, signore.»
Gli occhi neri, i capelli castano scuro, e il sorriso smagliante non mi dissero nulla, se non che fosse stata semplicemente una signora come tante altre, ritratta in un momento di gioia. Era bellissima, e facevo fatica ad associarla al cadavere che avevo visto.
«Jane Reyes. Le dice qualcosa?»
Sgranai gli occhi. «Reyes? La moglie di Aaron Reyes?»
Sperai con ogni fibra del mio corpo che non fosse vero, perché non era possibile che una persona per bene come lei -stavo leggendo il suo fascicolo-, così seria e composta, si fosse spostata con un uomo ignobile come Reyes, adesso rinchiuso nella prigione della contea.
«Esattamente.»
«Com'è morta?» Mi incuriosii.
Il commissario mi lanciò la foto, che cadde nel fascicolo che stavo studiando con attenzione, e riportai il mio sguardo su essa.
«Suicida, ma non possiamo esserne certi. C'erano segni di lotta sul suo corpo, sostengo che abbia provato a liberarsi ma non ci sia riuscita.»
«Ecco spiegati i lividi sul collo e sul volto.» Asserii con lucidità, annuendo e: «Quindi c'è un'altra persona, qualcuno che evidentemente ci è sfuggito.» Constatai portandomi una mano sotto il mento e appoggiandomi contro lo schienale della sedia blu, provando a riesumare tutto ciò che avevo sentito riguardo a quel caso. Quando lo avevano aperto, io avevo appena iniziato l'addestramento, non ero ancora nessuno, e non avrei potuto accedere ai dati neanche se avessi voluto, perciò sapevo solo che lui fosse stato sposato nonché un gran bastardo.
«Quale sarebbe il mio compito? Il caso Reyes è stato chiuso anni fa, se non ricordo male.» Precisai. Lo avevano archiviato mio padre e Duncan stesso.
«Esatto, ma io posso e voglio aprirlo di nuovo. Ultimamente è stato impegnato, ispettore Atkinson, quindi le sarà sicuramente sfuggita la notizia che presto Aaron Reyes potrebbe uscire di prigione.»
Essere rilasciato? Stava scherzando?
«È impossibile. La ragione?»
La polizia di Manhattan si era assicurata di lasciarlo al fresco per moltissimi anni, perché i suoi reati erano stati inassolvibili e gravi, quindi cos'era cambiato?
«Tutte le prove contro di lui sono sparite, e quelle che ci sono rimaste sono labili. C'è un infiltrato tra noi, una persona che è vicina sia al distretto che a Reyes, ma di quello me ne occuperò io.»
Rimasi in silenzio per pochi attimi, e in quel lasso di tempo sentii gli ingranaggi muoversi nella mia testa, arrovellandosi alla ricerca di un input, un piccolo segnale o indizio che mi avrebbe permesso di trovare un punto di partenza per avviare l'indagine.
«Non è casuale che la moglie sia morta nell'ultimo periodo, direi.» Pensai ad alta voce.
Se realmente tra noi ci fosse stato un infiltrato, allora non avrei dovuto fidarmi di nessuno, compreso il mio superiore. Ciò stava a significare che, se avessi accettato l'incarico, avrei ricostruito il caso dal principio, in totale autonomia e riservatezza.
«Non abbiamo nulla di concreto, Atkinson, e il suo compito è quello di ricreare il quadro intero.»
Annuii, tuttavia non riuscii a togliermi un dubbio dalla mente: perché Gemini mi aveva scelto invece di prendere lui stesso il caso? Oppure perché non si era rivolto al rispettabile Royce Atkinson? Infondo era stato mio padre, a sbatterlo dietro le sbarre.
«Perché ha scelto me?»
Il commissario mi guardò come se avessi perso la testa.
«Perché di lei mi fido. È giovane, ma è anche il migliore.»
«E cosa otterrei se accettassi? Non è un caso semplice, seguirlo implicherebbe rifiutare qualsiasi altro impiego, nonché un arresto del mio percorso. Non voglio sprecare anni di carriera per un caso che rimarrà irrisolto. Non ci è riuscito mio padre, che fa questo lavoro da quarant'anni, non ha avuto successo lei, perché dovrei riuscirci io?»
Prima di entrare nelle forze dell'ordine la mia vita era diventata pessima, degradante, non per causa della mia famiglia bensì per colpa mia. Avevo perso il lume della ragione, e mi ero intrappolato nel buio. Non avevo più avuto uno stimolo per il futuro, mentre adesso tutto era cambiato, e io avevo uno scopo, quello di continuare a migliorare ed essere impeccabile. Essere il figlio e il fratello che gli Atkinson si erano meritati di avere.
«Perché, le ripeto, è il migliore. Lei è determinato, astuto, intelligente, sveglio, e capace di prescindere il sentimento dal lavoro. Sa come agire con lucidità, sempre. E possiede una dedizione al lavoro che non è indifferente.»
Il mio ego si gonfiò nel petto come un palloncino, compiacendomi, ma proprio perché ero anche un uomo attento decisi di andarci con i piedi di piombo. C'erano ancora molte cose che non mi quadravano, che mi rendevano scettico.
«Le sono grato, Gemini, davvero. Però la mia carriera?»
«È un salto nel vuoto, ne sono consapevole, ma ci pensi.» Il commissario prese una pausa, e ritornò a sedere con grande auterovolezza dall'altra parte della scrivania, sulla poltrona di pelle nera e: «Se lei riuscisse a risolvere questo caso, la sua carriera farebbe un salto di qualità non indifferente. Potrebbe ottenere un grande compenso, un nuovo titolo e molto prestigio. Potrebbe fare qualsiasi cosa, dopo. Capisce? Sarebbe stimato da tutti, ovunque. Non è questo, ciò che ha sempre cercato?»
Alzò le sopracciglia: «Ritornare nel Queens, rendere fiera la sua vita famiglia, lavorare al caso della vita...»
La verità era che Duncan Gemini avesse ragione su tutta la linea. Uno degli amici più stretti di Royce Atkinson, mi conosceva da anni, infatti era stato lui ad istruirmi, a farmi diventare il poliziotto che ero oggi giorno, perciò mentre stava elencando tutti i motivi per i quali avrei dovuto accettare l'opportunità, sapevo già che non si stesse sbagliando, che il completamento di quel caso mi avrebbe permesso di mettere un punto a quello che era stato il vecchio Haywood.
«Perché non lo fa lei?»
«Perché lei è ad un livello superiore, Atkinson.»
«Non saprei.» Sussurrai, pensandolo seriamente.
Come aveva dichiarato lui stesso, accettare questo caso sarebbe stato come compiere un salto nel vuoto. Il me di anni prima avrebbe lo fatto senza nemmeno esitare, perché non avrebbe avuto nulla da perdere, ma la persona che ero diventata aveva bisogno di essere razionale. Non avrei potuto ignorare i contro della situazione.
«Sta tentennando. Credo di averla sopravvalutata.»
Mi sfidò e io, amante delle provocazioni, non potei far a meno che accoglierla, perciò non ci volle molto per farmi prendere una decisione.
«È probabile che accetti, ma ad una condizione.»
Ero il migliore, d'altronde. E quello non sarebbe cambiato.
«Quale?»
«Lei asseconderà ogni mia scelta, nel bene e nel male.»
Se si fosse veramente fidato di me, allora avrebbe anche accettato il mio compromesso. Sorrise, e quel ghigno mi bastò per capire che Duncan Gemini non mi avrebbe ostacolato in alcun modo.
«Mi sembra giusto, Atkinson.» Si chinò per cercare qualcosa sotto la scrivania. Prese una scatola contenente i fascicoli semivuoti di Aaron Reyes e me la passò. La afferrai e riposi la cartella relativa a Jane Reyes.
«Con questo è tutto, può andare.»
Il commissario mi congedò, tornando a guardare il suo computer, e mi lanciò un ultimo e fugace sguardo carico di fiducia mentre mi stavo dirigendo all'uscita.
«La terza offerta?»
Mi ricordai un attimo prima di aprire la porta, curioso di conoscere quali altri piani avesse riservato per me in attesa di una risposta definitiva riguardante il trasferimento.
«In realtà è un obbligo.» Mi sorrise lanciandomi al volo una chiavetta, che afferrai prontamente per evitare che cadesse a terra.
«Saturn.» Aggiunse e per poco non soffocai con la mia stessa saliva. Avevo sentito bene?
«Cioè?» Cercai di sforzare la mia mente a ragionare ma, soprattutto, a mantenere la calma. Non sarebbe stato opportuno perdere la lucidità davanti all'uomo che aveva puntato molto su di me.
«È un locale notturno.» Precisò e la mia preoccupazione crebbe a dismisura. Sperai che non si trattasse proprio di quel Saturn, dato che il nome non mi suonava nuovo.
«Stasera si farà un bel giretto nel Queens, ispettore Atkinson.»
Come non detto.

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Succederebbe Tutto - H.S.
RomanceLoro due lo sapevano bene, che avvicinarsi sarebbe stato un casino. Lei perchè viveva nel buio. Lui perchè dal buio ne era appena uscito. Edith Ross aveva poche ma importanti regole da rispettare per sopravvivere nell'anonimato: dimenticare il pa...