Edith
«Ma davvero?!» Urlai dietro ad un'auto che, a tutta velocità, prese una pozzanghera bagnandomi da capo a piedi. L'acqua colava dai miei vestiti, che si attaccarono alla pelle facendomi rabbrividire. Ero fradicia, stanca, le gambe mi dolevano e avrei tanto voluto fermare la mia corsa per dormire, ma non avrei potuto mollare proprio ad un passo dal tornare a Manhattan, dal rivedere mia madre.
Sempre che lei voglia vedermi, pensai.
Non mi restava molto tempo.
Ripresi lo zaino sgualcito che avevo gettato sul marciapiede e lo sistemai sulla spalla, imprecando silenziosamente quando la bretella tirò una ciocca di capelli, che erano rossi come il fuoco e che arrivavano a metà schiena. Avrei dovuto darci assolutamente un taglio e cambiare tinta, soprattutto perché non passavo inosservata con quel colore acceso. Chiunque avrebbe potuto riconoscermi e ci sarebbe voluto un misero secondo per annullare tre anni di anonimato e di sacrifici. Ripresi a camminare ma, quando le mie gambe traballarono, mi resi conto di aver bisogno di riposare.
Erano due giorni che cercavo di scappare dalla polizia di Chicago, e anche se ero piuttosto certa che avessero perso le mie tracce -perchè ero particolarmente brava a nascondermi-, non avevo intenzione di arrestare definitivamente la mia corsa. Era troppo rischioso restare, oggi più che mai. Ero sempre stata prudente, studiando le mie mosse e soppesando le mie scelte, eppure questa volta ci era mancato veramente poco prima che mi scoprissero. Mi ero guardata indietro per un millisecondo, e quello era bastato a farmi giocare con il fuoco. Un altro attimo in quell'albergo a Chicago e mi sarei bruciata. La mia spavalderia aveva avuto la peggio e io avevo tremato letteralmente dalla paura. Se provavo a chiudere le palpebre potevo rivivere ogni istante di quella serata infernale: i miei passi, le mani di quell'uomo prima sul mio corpo e poi intorno al mio collo, il fiato spezzato e il colpo di pistola.
«È tutto finito.» Ribadii me stessa, quasi fosse stato un mantra.
«Puoi ripartire da zero, è il tuo momento preferito.»
Ero piuttosto sicura che chiunque mi stesse guardando mi avrebbe scambiato per una pazza, ma non ci diedi peso. Mi importava soltanto ricordare che non fosse ancora arrivata la fine, che avessi uno scopo ben preciso da raggiungere e che ne sarei uscita vincitrice.
Anche se prima non era mai rientrato tra le mie opzioni, adesso il Queens era diventato la mia migliore possibilità. A non troppa distanza da Manhattan, era la mia ultima carta, l'unica chance che mi era rimasta per poter tornare alle origini, nel distretto della mia infanzia. E non l'avrei sprecata.
Seppur fossi in possesso di soli mille dollari, -una cifra veramente misera per poter soggiornare in quel quartiere per qualche settimana-, decisi di non demordere. Avevo vissuto in condizioni peggiori, quindi me la sarei cavata in un modo o nell'altro. Perché, alla fine, riuscivo sempre a sopravvivere.
«Guarda dove vai, ragazzina!» Urtai la spalla di un impiegato.
Lo scontro fece scivolare dalla giacca di jeans -l'unica che avevo- i miei documenti, che caddero nell'acqua, impegnandosi di essa. Merda.
Mi chinai per raccoglierli prima che si rovinassero, ma ormai era troppo tardi perché l'inchiostro sulla carta aveva già sbavato il nome e il cognome. Con lo sguardo indugiai a lungo sulla foto della carta d'identità, realizzando che presto avrei dovuto procurarmene un'altra. Era troppo rischioso continuare ad essere Elle Hunt. La ragazza del ritratto che tenevo tra le mani non corrispondeva più a me, adesso.
Sospirai frustrata e posai nuovamente i documenti in tasca, tastando un pezzettino di carta che conservavo come se fosse stato oro. Ciò a cui attribuivo così tanta importanza era il numero di Ivor, una vecchia conoscenza che mi aveva coperto le spalle almeno cinque volte negli ultimi anni, perciò mi appuntai mentalmente di chiamarlo nei prossimi giorni. Se la memoria non mi ingannava, lui era di queste parti e mi avrebbe sicuramente aiutato con il cambio d'identità.
Lo stomaco brontolò, rammentando di aver saltato ben tre pasti perché la fuga mi aveva tenuta impegnata, quindi appena vidi una panchina la occupai e aprii lo zaino sulle mie gambe alla ricerca di cibo. Dentro c'erano tre paia di mutande, due reggiseni, un pantalone e una gonna, una maglia e un vestito, il cellulare con il vetro in frantumi, una bottiglia di acqua e un paio di mazzette. Diamine. Non avevo nulla da mangiare e il giorno prima avevo perso il colpo più grande della mia vita.
Ma ne hai accusati altri. Rintoccò la voce nella mia mente.
Di riflesso mi portai una mano al collo, dove ero sicura ci fossero stati dei segni violacei che avevo cercato di coprire con un foulard rubato, e scostai lo sguardo sulla maglietta bianca che indossavo, schizzata di sangue non mio. Maledetto passato, maledetta curiosità, maledetta regola infranta.
Scacciai il pensiero della scorsa sera dalla testa, perché non era necessario che mi ricordassi dell'accaduto -dato che quello sarebbe diventato il passato di una persona che legalmente nemmeno esisteva- e ritornai sui miei passi. La pancia continuava ad arrovellarsi e avrei dovuto cercare un supermercato se non avessi voluto svenire da un momento all'altro. Mi girava anche la testa, oltre al dolore ai piedi, e crollare era l'ultimo dei miei desideri.
Non avevo un orologio e il telefonino era completamente andato, ma ero sicura si trattasse dell'ora di punta poiché fui costretta a combattere con il traffico della città per cercare un negozio di alimentari. Trovai un supermarket a tre isolati più in là, accanto a un negozio di articoli sportivi, e mi avviai all'interno.
L'aria condizionata sferzò il mio corpo, che venne scosso da tremiti perché gli indumenti erano umidi, e avanzai oltre le porte scorrevoli. Mi infilai nella corsia dei dolci, che mi avrebbero fornito energia immediata, e afferrai una tavoletta di cioccolato, una confezione di biscotti al limone e due barrette ai cereali. Dopo essermi assicurata di non far cadere nulla mi spostai nel reparto bibite, che era accanto all'ingresso del magazzino che consisteva in tende di plastica spesse e sporche. Scelsi una bevanda energetica e mi incamminai verso le casse per pagare, poi mi ricordai di non poter spendere troppo, perciò feci dietrofront fermandomi davanti al tendone pesante. Alternai diverse volte lo sguardo a destra e a sinistra e quando notai che l'area fosse completamente deserta, dato che la guardia era appostata vicino alle casse, sorrisi intrufolandomi nel magazzino. Nessuno mi avrebbe notata se avessi rubato le cose che tenevo tra le mani, e in questi casi c'era sempre un'uscita sul retro per i fornitori, quindi nessuno mi avrebbe colta in flagrante. Spostai l'attenzione sul locale che mi circondava: il soffitto era alto e bianco mentre i muri erano grigi e occupati da scaffali contenenti un quintale di prodotti di riserva, quindi fu difficile trovare subito una via di fuga, soprattutto perché le mie braccia erano colme di cibo. Mi fermai dietro i detersivi, appoggiai su un ripiano quello che avevo intenzione di acquistare e feci cadere lo zaino per terra. Mi chinai, aprendo quest'ultimo, sostituii la bottiglia d'acqua vuota con le nuove bevande e poi aprii il mio giubbotto di jeans. C'erano ben quattro tasche senza contare quelle esterne, perciò qualcosa sarei riuscita a nascondere: infilai due barrette e la tavoletta di cioccolato rispettivamente in quella in alto a destra e a sinistra, e poi studiai come nascondere il pacco di biscotti. Questo era rettangolare e certamente sarebbe uscito dal giubbotto, quindi decisi di toglierli dalla scatola, scoprendo che in realtà i piccoli dolci erano contenuti a loro volta in un sacchettino piccolo e trasparente. Lasciai la confezione vuota per terra, chiusi il giubbotto sul davanti sia per coprire il mio reato che le macchie di sangue, e ripresi lo zaino. Adesso avrei dovuto solamente uscire da questo posto senza essere scoperta. Ci impiegai dieci minuti prima di trovare l'uscita di emergenza, ma quando le fui vicina una voce irruppe nel magazzino.
«Heath, dove cazzo sei?! Il capo ti cerca.»
Il cuore mi salì in gola e un sussulto scappò dalle mie labbra mentre mi nascondevo in una corsia, appoggiando la schiena contro lo scaffale delle bottiglie d'acqua.
«Heath Atkinson!» Lo richiamò.
«Sono qui, sono qui! Calmati, Lucas!»
Il ragazzo in questione rientrò dalla porta sul retro, che era parallela alla mia postazione, e avanzò verso di me passandosi una mano tra i capelli. Spaventata mi mossi lateralmente e in punta di piedi verso sinistra, per sfuggire dalla sua visuale, ma nel farlo urtai una bottiglia di plastica che cadde per terra con un tonfo.
«Heath, sei stato tu?»
Merda.
«In realtà no, controllo cos'è caduto.»
Mi avrebbero scoperta, diamine. Perché ultimamente non ero più in grado di nascondermi?!
Sbuffai rumorosamente e me ne pentii quando sentii dei passi dietro le mie spalle. Ero in trappola. Dovevo assolutamente riflettere, e avrei dovuto farlo rapidamente. Se mi fossi mossa avrei fatto solo più rumore perché lo zaino avrebbe sbattuto contro la mia schiena, mentre se fossi rimasta avrei rischiato di essere riconosciuta, finendo dritta alla centrale di polizia con delle accuse per crimini che non avevo nemmeno definitivamente commesso.
Mi stava girando la testa -era affollata da troppi pensieri-, quindi chiusi gli occhi e provai a regolare i battiti del mio cuore. Il petto si alzava ed abbassava velocemente ad un passo dall'essere colta con le mani nel sacco, ma mi preparai comunque a scattare. Sulla carta ero ancora Elle Hunt, e lei era una ragazza intelligente, scaltra, perciò mi sarei comportata come lei.
«Credo siano cadute delle bottiglie d'acq-»
Il mio sguardo incontrò un paio di occhi neri, che mi freddarono sul colpo perché mi sarei aspettata di trovare un signore distinto piuttosto che un ragazzo in jeans e maglietta.
Rimanemmo per due minuti in silenzio, io con le dita attorno alla stoffa del giubbotto di jeans per evitare che si aprisse, lui con le braccia sui fianchi. Sembrava stesse soppesando la situazione mentre perdevo la capacità di pensare lucidamente; avrei potuto approfittare del momento per svignarmela, ma ero fisicamente stremata.
«Sei deceduto, amico?!»
Sentii dei passi avvicinarsi e sbarrai gli occhi, deglutendo rumorosamente, mentre il commesso si risvegliò dallo stato di trance, tornando a scrutarmi accigliato.
«No...» Il suo sguardo saettò tra l'amico e me: «È tutto a posto, sono solo cadute delle cose.»
Il ragazzo avanzò e di riflesso feci un passo indietro spostando l'attenzione sull'uscita di sicurezza che, però, era ancora troppo lontana. Sospirai. Non avevo un piano. Quanto potevo essere stupida?! Ero riuscita a scappare dalla polizia di Chicago e poi mi facevo riconoscere da un semplice dipendente. Avrei fatto prima se avessi pagato e me ne fossi fregata di qualche fottuto dollaro.
«Se vuoi le raccolgo io. Tu vai dal capo, altrimenti sono cazzi Heath.»
Il suddetto Heath cercò nuovamente i miei occhi e poi dovetti sembrargli tanto disperata che scosse il capo, comunicando al collega che avrebbe rimesso a posto lui: «Dì a Mayer che lo raggiungo tra cinque minuti nell'ufficio, Lucas.»
Nei minuti successivi udii solamente il rumore di passi, lo scrosciare del tendone di plastica e poi il silenzio assoluto.
«Che ne dici se ti accompagno fuori?»
Il ragazzo dai capelli neri indicò un punto dietro di sé, dove giaceva la porta che avevo puntato non appena entrata nel magazzino, e io semplicemente annuii perché non mi capacitivo che avesse potuto coprirmi anziché condannarmi.
«Bene, fai solo attenzione a non scivolare perché l'acqua si è aperta.» Gettai un'occhiata sul pavimento, scavalcando la bottiglia di plastica, e seguii il mio complice sino alla fine della corsia senza fiatare, ma quando egli aprì la porta e la luce sferzò i miei occhi -costringendomi a socchiudere le palpebre- le gambe mi cedettero.
Sudai freddo, e l'ultima cosa che sentii prima di cadere in avanti furono un paio di braccia.N/A
Ciao a tutti!
Per chi non mi conoscesse, mi presento: sono Arianna, ho 20 anni e scrivere è una delle mie più grandi passioni. Ho iniziato a scrivere qui su Wattpad nel 2014, poi ho preso una pausa tra il 2016 e il 2017, e oggi ho deciso di ritornare con "Succederebbe tutto".
Ma bando alle ciance! È un periodo complicato e delicato per tutti, perciò ho pensato che potesse essere una buona idea farvi compagnia con la mia storia e i miei personaggi. Anche perché sono contenta all'idea di farveli conoscere a trecentosessanta gradi, dato che sono rimasti per anni in un cassetto. Spero di potervi conquistare ed emozionare passo dopo passo, perché è questo il mio intento: farvi fuggire dalla realtà per qualche minuto, sognare, piangere, ridere e amare.
Quindi per l'esordio di "Succederebbe tutto", vi regalo i prime cinque capitoli della storia! L'unica cosa che vi chiederò sarà di essere voi stesse. Non vi chiederò né stelline né commenti forzati per pubblicare capitoli successivi, anche perché le pretese e i giochetti non fanno parte della mia natura.
Questo è uno spazio aperto e di scambio reciproco, a patto che ci si rispetti. Quindi se avete voglia di votare o commentare, siete liberi di farlo. Se volete condividere la storia sui vostri social preferiti, io vi ringrazio. Se volete contattarmi, qui è dove potete trovarmi:IG: _ariannabianco
IG: succederebbetutto (dove pubblicherò le anteprime di ogni nuovo capitolo)
Wattpad: _ariannabiancoCi sentiamo presto! Un grande abbraccio e benvenuti!
-Ari.🌹

STAI LEGGENDO
Succederebbe Tutto - H.S.
RomanceLoro due lo sapevano bene, che avvicinarsi sarebbe stato un casino. Lei perchè viveva nel buio. Lui perchè dal buio ne era appena uscito. Edith Ross aveva poche ma importanti regole da rispettare per sopravvivere nell'anonimato: dimenticare il pa...