L'Allievo di Lal

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Titolo: The Lady of the Ring
Capitolo: 18. L'allievo di Lal
Fandom: Katekyo Hitman Reborn - Miraculous
Numero Parole: 10.510
 
 
 
 
Marinette restò a riposo per i due giorni successivi. Il fatto che fossero entrambi di vacanza fu vantaggioso poiché non perse alcuna ora di lezione, ma si scoprì terribilmente incapace di restare ferma troppo a lungo: non era mai stata un tipo molto attivo (esclusi i momenti in cui era Ladybug) ma essere costretta a letto le causava un fastidioso senso di impotenza e inutilità che la faceva sentire a disagio, soprattuto quando vedeva Bianchi e sua madre fare su e giù dalla cucina alla camera per portarle i pasti, l’acqua, le coperte o quasiasi altra cosa le servisse. Ad un certo punto Dino, vedendola decisamente giù di corda, l’aveva aiutata a scendere in salotto e aveva passato l’intera domenica a giocare ai videogochi con lei (collezionando una sconfitta dietro l’altra) per aiutarla a sfogarsi un po’, cosa che la ragazza aveva apprezzato tantissimo.
Con suo enorme stupore, tuttavia, Colonnello non si era più fatto vedere ritirandosi insieme a Lal nella villa di Dino dove avrebbe alloggiato di lì in poi; non sapeva cosa stessero combinando quei due ma il dubbio che fossero intenti a progettare il suo allenamento s’insinuò prepotentemente dentro di lei e non la fece sentire per nulla tranquilla: aveva un pessimo presentimento riguardo tutta quella faccenda e sperò vivamente di sbagliarsi… ma, come scoprì ben presto, ogni sua preghiera fu vana e se ne accorse quando, quel lunedì mattina, Dino la venne a svegliare più presto del solito e non per andare a scuola: il ragazzo la informò, decisamente assonnato, che avrebbe dovuto accompagnarla alla villa poiché Colonnello l’aspettava lì.
La cosa non le piacque affatto ma non poté avanzare alcuna protesta, quindi s’infilò la tuta da ginnastica, fece una colazione veloce e salì in macchina con un magone atroce allo stomaco; erano a malapena le cinque, il sole stava sorgendo lentamente e l’aria era gelida nonostante il cielo fosse limpido. Marinette sbadigliò, vedendo una nuvola di condensa uscire dalla propria bocca, sperando che non le avrebbero fatto fare nulla di troppo fisico poiché la caviglia le dava ancora un po’ di fastidio. Non era raro che saltasse la scuola per dedicarsi esclusivamente alle lezioni di Lal (salvo poi recuperare tutto lo studio perso) quindi non si stupì molto di quel giorno di “vacanza” improvvisato: i suoi genitori avevano rilasciato una certificazione particolare al preside che giustificava tutte le sue assenze e le uscite anticipate sotto la dicitura “Questioni di famiglia” e non mettevano più bocca nella faccenda, lasciando tutto nelle mani della sua tutrice. Ciò, doveva ammetterlo, era incredibilmente comodo poiché le permetteva di coprire senza problemi le sue fughe come Ladybug senza che loro sospettassero nulla o la mettessero nuovamente in punizione per le assenze inspiegabili che faceva troppo spesso.
Dino sbadigliò e alzò pigramente il riscaldamento senza staccare gli occhi dalla strada: - Per essere quasi marzo fa ancora molto freddo - notò. Marinette alzò le spalle.
- Ci trasciniamo dietro l’inverno per un bel po’ - ammise distrattamente, guardando le strade vuote di Parigi oltre il finestrino. Non c’era un’anima in giro per le strade e i lampioni si stavano spegnenendo pian piano per far spazio alla luce del sole: non si era mai alzata così presto neanche per andare a correre e si chiese perché mai avessero scelto proprio quell’orario.
Uno degli uomini di Dino aprì il cancello principale e il ragazzo parcheggiò la macchina nel vialetto interno; lei scese per prima dal veicolo e si diresse verso il portone, dove Romario la stava aspettando in piedi sulla soglia già aperta.
- Buongiorno, signorina Cheng - salutò con un sorriso gioviale.
- ‘Giorno - mugugnò lei strofinadosi stancamente un occhio, ormai rassegnata al fatto che ignorassero deliberatamente il cognome di suo padre. L’uomo la invitò ad entrare e la condusse fino al seminterrato dove, prima della sua partenza, Squalo le dava lezioni di scherma. Quel giorno, però, era stato riarredato in vista del suo imminente allenamento: in fondo alla stanza era stata sistemata una spessa lastra di metallo che copriva tutta la parete davanti alla quale, rette da delle solide basi di gesso, erano allineati diversi cartelloni neri di stampo vagamente umano con disegnati dei bersagli al centro; un lungo bancone di plastica suddiviso in cubicoli da strisce di plexiglass divideva in due lo spazio e, su di esso, vi erano poggiate diverse paia di cuffie imbottite e tre lunghi fucili neri. Quella visione l’allarmò e sperò che non avessero intenzione di farle usare sul serio uno di quegli affari.
Non aveva neanche finito di pensare quelle parole che Colonnello apparve alle sue spalle, sospeso a mezz’aria grazie ad un grande gabbiano bianco, di nome Falco, che lo teneva saldamente tra le zampe, facendola sobbalzare. - Eccoti finalmente, korà - esclamò tornando con i piedi per terra. Falco volò fuori dalla stanza e il bambino si tolse il lungo fucile azzurro dalla spalla.
- Ehm… buongiorno - salutò Marinette, sentendosi leggermente a disagio quando lo vide iniziare a girarle intorno, squadrandola da capo a piedi con interesse. Sussultò e arrossì violentemente quando la canna dell’arma le venne infilata tra le scapole, voltandosi di colpo verso di lui ad occhi sbarrati non capendo cosa accidenti stesse facendo. - Ma cos…! -
- Stai ferma! - la rimproverò Colonnello, toccandola sulle braccia e il busto con colpi brevi e decisi del fucile, causendola un lieve sobbalzo ad ogni stoccata: si sentiva tremendamente imbarazzata da quell’assurda ispezione (e le fece anche un po’ male quando la colpì al fianco) ma il bambino la fissava con una serietà quasi inquietante. - Non hai muscoli molto sviluppati - notò infine lui, lasciandola stupita - Però il tuo corpo riesce a muoversi bene nel combattimento diretto grazie alla tua struttura fisica esile e leggera. Credo che non ci sia bisogno di lavorare sulla forza, con te, pertanto ci concentreremo esclusivamente sulla tecnica - la informò poggiandosi la lunga canna azzurra sulla spalla. Marinette lo fissò, quasi sconvolta, non riuscendo a credere che fosse riuscito a capire come fosse fatto il suo corpo solo palpeggiandola con un pezzo di ferro, e non trovò nulla di sensato da dire; si limitò a guardarlo saltare sul bancone e mettersi l’arma dietro la schiena.
- Hai mai sparato? - domandò lui porgendole un paio di cuffie. La ragazza fece una smorfia, prendendole con riluttanza.
- Certo che no. -
Colonnello sospirò e strinse maggiormente il nodo che gli reggeva la fascia intorno alla fronte: - Immaginavo - ammise avvicinandosi alla fila di fucili e scegliendone uno - Beh, non è mai troppo tardi per imparare - commentò, tendendolo verso di lei con il chiaro invito a prenderlo e usarlo. Marinette guardò il moschetto con la tensione ben visibile sul volto, divenuto pallido, e deglutì.
- È proprio necessario? - domandò, esitante, per nulla intenzionata ad imbracciare quell’affare.
Colonnello alzò un sopracciglio: - Beh, sì, dobbiamo capire che tipo di arma si adatti a te - rispose, lasciandola perplessa.
- In che senso? - domandò lei, mettendo giù le cuffie, più confusa che mai.
- Ognuno dei guardiani di Tsuna ha uno stile di combattimento proprio - spiegò il bambino - C’è chi usa la spada, chi il corpo a corpo, chi le illusioni, chi i fulmini… tu, invece, non hai ancora una specialità tutta tua: il nostro obbiettivo principale è capire quali sono le tue potenzialità e cosa usare per sfruttarle al meglio.
Lal mi ha detto che Superbi Squalo ti ha insegnato le fondamenta della scherma, ma non te la cavi granché con quella. -
Marinette annuì, un po’ amaramente, ricordando quante volte la sua quasi totale incapacità nel brandire una spada aveva fatto mettere le mani nei capelli al ragazzo per la disperazione. - Sono decisamente negata - ammise - Ma io ce l’ho già un’arma: lo yo-yo che mi ha dato Reborn - ricordò: aveva imparato ad usare quel giocattolo per combattere mentre era Ladybug e aveva scoperto di cavarsela egregiamente anche in vesti civili; non era esattamente un’arma convenzionale ma faceva il suo lavoro. Colonnello, tuttavia, non sembrò molto convinto.
- Può andar bene per ora, ma temo che non basterà in futuro - le disse schiettamente - Nel mondo della mafia ci sono persone molto forti e pericolose che non puoi sperare di battere con quel semplice giocattolino: ti serve un’arma vera ed efficace e devi sfruttare tutto il tempo che hai a disposizione per imparare ad usarla. Con le spade non è andata bene, quindi proveremo con le armi da fuoco - concluse.
La ragazza parve decisamente turbata da quelle parole: non aveva pensato neanche per un momento che un giorno avrebbe dovuto combattere contro altri esponenti della mafia. Certo, conosceva perfettamente la dinamica della Battaglia per gli Anelli che Tsuna e i suoi guardiani avevano dovuto affrontare e sapeva quanto i Varia fossero forti (aveva visto con i propri occhi le abilità di Squalo, seppur in minima parte, dopotutto) ma le era parso di capire che quello fosse stato un caso eccezionale scaturito da un capriccio personale di Xanxus… non credeva che quel genere di eventi sarebbero diventati un’abitudine. Indossò nuovamente le cuffie, con una certa riluttanza, e prese il fucile che il bambino ancora le porgeva: era freddo e pesante e non aveva la più pallida idea di come funzionasse né come impugnarlo. Colonnello la fece posizionare davanti al bancone e le indicò la posizione corretta da assumere, raccomandandole particolarmente una presa ben salda delle mani e di tenere i piedi piantati a terra, poi la invitò a colpire il bersaglio a qualche metro da lei. Marinette deglutì, stringendo il fucile meglio che poteva tra le dita sudate, e cercò di inquadrare una qualsiasi parte del cartonato con il mirino senza avvicinare eccessivamente l’occhio; le tremavano ancora le mani mentre, in un attimo di panico totale, si decise a premere il grilletto. Lo sparo rimbalzò tra le pareti con un suono assordante, l’arma le scivolò di mano deviando verso l’alto e il contraccolpo la spinse indietro mandandola col sedere sul pavimento.
Si alzò sui gomiti con le orecchie che le fischiavano e il fondoschiena dolorante, osservando la parte mancante che il proiettile aveva distrutto nell’estremità superiore del bersaglio, lì dove avrebbe dovuto esserci la testa: praticamente lo aveva preso di striscio per pura fortuna. Colonnello la guardò alzarsi, un po’ ammaccata, e scrollò le spalle.
- Prevedibile - decretò, guadagnandosi un’occhiata seccata dalla ragazza. - La prossima volta cerca di tenerlo fermo. -
- L’ho tenuto fermo! - protestò lei massaggiandosi l’avambraccio. - Ma è stato più forte di quanto mi aspettassi - ammise con una smorfia e l’idea di doverlo rifare non le piacque neanche un po’.
Il bambino annuì - E’ normale, ti serve solo un po’ di pratica. Poi ti ci abituerai. -
Marinette sospirò e riprese nuovamente il moschetto. Tre quarti d’ora più tardi uscì dal seminterrato con un livido enorme sul braccio, le orecchie mezze tappate e neanche un bersaglio centrato. Era stato un fiasco totale ma Colonnello aveva insistito perché continuasse ad esercitarsi finché non aveva avuto più la forza di reggere il fucile tra le mani (con suo enorme disappunto).
Sospirò stancamente tornando al piano di sopra, dove Dino si era addormentato abbandonato sul divano del salotto, e si diresse in cucina: Lal e Roberto stavano chiacchierando intorno all’isolotto di marmo e la bambina alzò gli occhi su di loro quando li vide entrare. La prima cosa che disse fu un “Com’è andata?” privo di qualsivoglia aspettativa e Colonnello fu il primo a rispondere, saltando sul tavolo accanto a lei: - Uno schifo - ammise schiettamente. Lal sospirò.
- Ovviamente - commentò e Marinette si sentì un tantino offesa dalla cosa: perché le avevano fatto fare quell’assurda esercitazione se già sapevano come sarebbe andata a finire? Si astenne, tuttavia, dal commentare e si diresse verso il freezer cercando del ghiaccio da mettere sul livido. Aveva detestato ogni istante di quell’allenamento ed era contenta che fosse finito, sebbene aveva il chiaro sentore che Colonnello non si sarebbe arreso tanto facilmente e questo la preoccupava molto; rovesciò dei cubetti di ghiaccio in uno straccio e lo chiuse con un nodo, poggiandolo sul braccio per poi sedersi a tavola. Lal chiuse il taccuino su cui stava scrivendo e lo ripose sotto il mantello con un gesto veloce, come se non volesse correre il rischio che lei lo leggesse, e si tolse la frangia dagli occhi.
- Beh, non ha importanza, ci riproveremo domani - tagliò corto con disinvoltura e Marinette non riuscì a trattenere una smorfia con annessa protesta.
- Perché dovrei farlo? E’ chiaro che sono totalmente incapace ad usare un’arma da fuoco! - sbottò. La bambina alzò gli occhi al cielo.
- E’ per questo che devi imparare - la riprese - Almeno le basi le devi conoscere. E non voglio sentire un’altra lamentela a riguardo - ammonì, zittendola definitivamente. Eppure, Marinette ebbe il sentore che non le stesse dicendo tutta la verità a riguardo: c’era un altro motivo per cui doveva imparare a sparare ma era perfettamente consapevole che Lal non glielo avrebbe detto. Non le diceva mai nulla se non a lavoro finito, una cosa che lei detestava con tutto il cuore.
In tutto quello, Colonnello era rimasto in disparte accanto a lei; Marinette lo aveva visto farsi piccolo piccolo quando Lal aveva alzato la voce e un po’ lo compatì: evidentemente anche lui ne aveva paura, e come biasimarlo?
Dopo un paio di minuti di assoluto ed imbarazzante silenzio, Roberto si schiarì leggermente la voce e si rivolse a lei: - Allora… come va’ la caviglia? - domandò, cercando di suonare disinvolto. Marinette si grattò il ponte del naso con l’indice e annuì.
- Molto meglio, grazie. -
- A proposito… - continuò Lal - …domani tornerai a scuola, continueremo l’allenamento nel pomeriggio. Vedi di non romperti nient’altro nel frattempo. -
La ragazza trattenne a stento un sospiro: indubbiamente, era l’ultima cosa che voleva.
 
 
 
 
Il ticchettio mogio dell’orologio era l’unico suono che si udiva all’interno della stanza. Il fuoco scoppiettava allegro nel camino, illuminando fiocamente le pareti e le persone al loro interno, ma l’atmosfera che si respirava era tutt’altro che gioviale. In quell’istante, Marinette ebbe la perfetta consapevolezza di essere nel corpo di Radi ed era così strano seppur incredibilmente affascinante.
Non poteva muoversi o parlare, solo guardare e ascoltare, e quasi sussultò quando, accanto a sé, una figura si mosse facendo un passo avanti: un lungo mantello nero svolazzò, sfiorando leggermente il tappeto, ma tutto ciò che lei vide fu la disordinata chioma bionda di Giotto Vongola che le dava le spalle. Si rese conto, quindi, di trovarsi in uno dei ricordi di Radi, rivivendolo attraverso i suoi occhi, anche se non capiva come ciò fosse possibile. Un brivido di eccitazione e inquietudine le corse lungo la schiena e avvertì inconsciamente la presenza di altre persone all’interno della stanza, ma non poteva voltarsi a guardare chi fossero quindi concentrò la propria attenzione sulla figura seduta nella grande poltrona rossa al centro della stanza. Era avvolto in un completo giacca e cravatta completamente nero, camicia compresa, le gambe accavallate una sull’altra e la mani intrecciate pigramente sul ventre; il suo viso era in ombra ma ne riusciva a scorgere i capelli: neri, cortissimi e disordinati sul capo con delle basette appuntite rivolte verso l’alto, e lunghi dietro, che sparivano oltre le spalle legati da un elastico rosso. Non sapeva chi fosse, ma quando Giotto parlò la sua voce risuonò delusa e sofferente in quel teso silenzio.
- Proprio tu, figlio mio… - esalò e Marinette trasalì a quelle parole: se l’uomo seduto in poltrona era il figlio di Giotto, allora doveva per forza trattarsi del secondo Boss; Dino una volta le aveva parlato di lui, quando le aveva raccontato l’origine della famiglia Vongola, ma in quel momento il suo nome le sfuggiva. Sentì Radi agitarsi e il suo fastidio si fece prepotentemente largo dentro di lei: provava ogni sua singola emozione che, mischiate alle proprie, le creava un senso di disagio e confusione quasi insopportabile. Era al contempo affascinata, incuriosita, stupita, nervosa, disgustata, arrabbiata e un altro miscuglio di sensazioni che non riusciva a identificare; si ritrovò, di punto in bianco, con un terribile mal di testa.
Tuttavia, ignaro delle sue sofferenze, il ricordo proseguì.
- E’ stato Daemon, non è vero? - continuò Giotto e quel nome le risuonò bizzarramente familiare - Ti sei lasciato influenzare dalle sue idee? -
Marinette avrebbe tanto voluto avere un contesto: non sapeva di cosa stessero parlando e quindi non capiva nulla né della conversazione né del perché sembrassero tutti sul punto di scannarsi a vicenda. Quello, se possibile, ebbe solo l’effetto di peggiorare la sua emicrania.
- Sai benissimo cosa ne penso a riguardo. Non è per questo che siamo arrivati fin quì. -
Sebbene le parole di Giotto risuonassero calme e pacate, la sua voce tradiva un velo di dolore che le strinse il cuore… sensazione a cui, poco dopo, si unì anche Radi. Doveva star succedendo qualcosa di veramente grave ma nessuno sembrava intenzionato a fornire una spiegazione a riguardo, neanche minuscola, e si chiese perché stesse assistendo a tutto quello.
Poi, da qualche parte dietro di lei, si levò una voce maschile dal tono decisamente irato: - Non possiamo far finta di nulla, Primo! Questo è un tradimento bello e buono. -
Subito dopo lo seguì una seconda voce, ferma e pacata: - Calmati, G. -
G… ma certo, Radi gliene aveva parlato: era il Guardiano della Tempesta di prima generazione, questo significava che le persone con loro erano gli altri Guardiani. Almeno qualcosa iniziava ad avere un senso.
Ci fu uno scatto e l’uomo si alzò dalla poltrona all’improvviso, facendola sobbalzare: il suo volto venne investito dalla luce delle fiamme che guizzavano nel caminetto e le vennero i brividi quando incrociò due sottili occhi di un verde intenso che sembravano racchiudere tutto l’astio e la rabbia di questo mondo. La sua espressione, seria e glaciale, rimase tuttavia imperturbabile come se nulla di ciò che stava accadendo in quel momento lo toccasse minimamente.
- Tradimento? - domandò con voce bassa e profonda, all’apprenza impassibile ma con una sfumatura d’irritazione quasi agghiacciante. Le viscere di Marinette si contorsero e, seppur consapevole che nulla di tutto quello fosse reale, ebbe l’impulso di fuggire da quella stanza il più velocemente possibile. Chi non mosse neanche un muscolo, tuttavia, fu proprio Giotto che rimase in piedi dinnanzi al figlio sostenendo quello sguardo che sembrava poterlo rivoltare come un calzino solo battendo le ciglia. - Possiamo metterla così - acconsentì infine l’uomo, per nulla turbato dalla reazione del genitore - Ma resto nella mia posizione e non ti devo alcuna spiegazione. Se non ti sta bene possiamo risolverla quì e ora. -
Alzò la mano destra e, un attimo dopo, una luce intensa brillò nel palmo della sua mano; Marinette udì un fruscio alle proprie spalle e Radi sfoderò di tre quarti la propria sciabola. Sembravano tutti seriamente intenzionati a combattere ma, prima che qualcuno potesse muovere un altro muscolo, Giotto allungò un braccio di fianco a sé facendo segno ai propri Guardiani di fermarsi. Seguì un lungo istante di silenzio, infine il Primo abbassò la mano e il proprio sguardo.
- Non posso rivolgere le mie armi contro di te - mormorò infine e Marinette udì distintamente quanto quelle parole gli stessero costando: non sapeva come, ma percepiva chiaramente il suo contrasto interiore nel dover scegliere tra il bene della Famiglia o scontrarsi con il proprio figlio. Era più probabile che quelli fossero i pensieri di Radi e non i propri, ma il modo in cui la travolsero fu comunque angosciante.
Dopo un attimo, la luce nella mano del Secondo si spense e l’uomo drizzò il capo. - Saranno questi tuoi sentimentalismi a far affondare i Vongola e io non intendo restare a guardare quando ciò accadrà. -
Quelle ultime parole risuonarono come un eco lontano nella stanza e, appena lui volse loro le spalle, la scena si dissolse dinnanzi ai suoi occhi sgretolandosi come sabbia.
 
 
 
- Dino… Dino, svegliati! - una mano scosse la spalla del ragazzo con urgenza ma lui si limitò ad affondare il viso nel cuscino, mormorando un impastato “Ancora cinque minuti” perso nel dormiveglia. Marinette non si perse d’animo e lo percosse con più forza. - Ti devo parlare! - sbottò a voce più alta, facendolo trasalire. Dino alzò la testa di scatto, guardandosi intorno completamente stordito dal sonno e con i capelli arruffati che gli ricadevano sul viso. Si strofinò gli occhi con una mano e si mise seduto, scorgendo Marinette in piedi accanto al divano: dalla finestra alle sue spalle riusciva vedere il cielo completamente nero, segno che fosse ancora notte inoltrata, e si allarmò.
- Che succede? - chiese, temendo fosse accaduto qualcosa di grave che l’avesse spinta a svegliarlo a quell’ora poiché la ragazza era piuttosto pallida e agitata.
- Ho visto uno dei ricordi di Radi - rispose lei. Dino ci mise qualche secondo a comprendere quelle parole e, quando lo fece, sbarrò gli occhi.
Cosa?! -
Marinette si morse il labbro inferiore, torturandosi le dita tra loro: - Sì. C’erano lui e Giotto e suo figlio e stavano discutendo… - snocciolò velocemente, senza sapere da dove cominciare a raccontare: aveva ancora un gran di mal di testa e quel senso di angoscia e frustrazione che il Radi del ricordo le aveva lasciato sembrava non volerla abbandonare. Voleva dire tutto e in fretta, sperando in un po’ di conforto e delucidazioni da parte sua, ottenendo come solo risultato un farneticare confuso.
Dino alzò le mani per stopparla, scuotendo il capo: - Ok, ok… calmati - la invitò, cercando di suonare rassicurante vedendola così sconvolta, sebbene quel fenomeno gli giungeva completamente nuovo alle orecchie: sapevano che lo spirito di Radi chiuso nell’anello poteva comunicare con chiunque lo indossasse (se lui lo voleva, ovviamente), ma che il portatore potesse vedere i suoi ricordi… non c’era alcuna informazione a riguardo e nessuno di loro lo aveva neanche minimamente immaginato. La prima cosa da fare, in ogni caso, era tranquillizzare Marinette, dopodiché dovevano dare un senso a quella faccenda. - Siediti e comincia dall’inizio - la invitò, spostandosi per farle spazio sul divano.
La ragazza prese posto accanto a lui, rannicchiandosi vicino al cuscino, e respirò a fondo per calmarsi. Quindi raccontò per filo e per segno tutto ciò che aveva visto e sentito, senza tralasciare alcun particolare, compreso il fatto che avesse vissuto tutto dal punto di vista di Radi e avesse provato le sue stesse emozioni. Dino ascoltò senza fiatare ma le sue reazioni erano perfettamente comprensibili dal suo viso e dai suoi occhi, che lasciavano trasparire un subbuglio di sensazioni che faticava a nascondere (nonostante ci provasse in modo palese).
- …ed era tutto così reale - concluse lei, cercando di spiegare quell’assurdo momento nel miglior modo possibile - Era come se io fossi Radi: sentivo tutto quello che sentiva lui, sia a livello emotivo che fisico. Anche quando ha estratto la spada, era come… come se fossi io a farlo - si sentiva ancora un po’ stordita dall’esperienza vissuta ma parlarne era stato incredibilmente liberatorio. Si sentiva più sollevata e tranquilla ma, purtroppo, lo stesso non si poteva dire di Dino ormai decisamente sconvolto.
Il ragazzo ci mise una decina di secondi buoni a riprendere la parola, disorientato da… beh, tutto: dall’esperienza vissuta da Marinette alla vicenda a cui aveva assistito. Nessuno sapeva con certezza cosa era successo tra Giotto e Riccardo, si sapeva solo che il Primo e i suoi Guardiani si erano ritirati in Giappone quando il figlio aveva preso il suo posto a capo della Famiglia; per molto tempo, i più avevano creduto che quella “fuga” fosse stata dettata dalla potenza di Riccardo in battaglia e che Giotto non aveva voluto scontrarsi con lui sapendo che sarebbe stato sconfitto (cosa a cui anche Xanxus aveva accennato durante la Battaglia per gli Anelli)… scoprire la verità, e in modo così dettagliato, di punto in bianco era totalmente inaspettato e spiazzante. Anche se, a pensarci meglio, totalmente prevedibile: credere che una persona come Giotto, che teneva ai suoi cari più che a sé stesso, avesse rifiutato di combattere con Riccardo perché non voleva ingaggiare battaglia contro il proprio figlio avrebbe dovuto essere così spontaneo da risultare scontato.
Eppure nessuno ci aveva mai pensato, tirando fuori le teorie più disparate nel corso dei secoli tranne qualla più probabile. Era quasi tristemente ironico.
Il ragazzo si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli ancor di più. - Caspita - mormorò - Beh, è qualcosa che sicuramente non avevamo previsto e non so come sia possibile o perché - ammise - L’unico che può dircelo è lo stesso Radi. -
Marinette fece una smorfia: - Ho provato a chiederglielo ma non mi ha risposto. Non sento neanche la sua presenza, è come se si fosse ritirato dentro l’anello - spiegò. Dino si grattò il mento, pensieroso.
- Forse non lo ha fatto di proposito quindi non è consapevole di quello che è successo - ipotizzò - In ogni caso, quello che hai visto è davvero molto importante: non si è mai saputo con certezza cosa ha spinto Giotto a ritirarsi in Giappone senza affrontare apertamente Riccardo, si erano fatte solo ipotesi fino ad ora… - e Marinette non poté fare a meno di avere un lampo di consapevolezza quando apprese il nome del Secondo, che si era totalmente dimenticata, nonostante fosse concentrata su ciò che Dino le stava dicendo - …quindi ha un’importanza storica per i Vongola davvero enorme. Dovrò informare sia il Nono che Reborn di questo - constatò infine afferrando il telefono, che segnava ormai le tre e mezzo del mattino, dal tavolino. - Devi anche cercare di metterti in contatto con Radi e vedere se riusciamo ad ottenere qualche informazione in più su quanto accaduto, a questo punto è fondamentale capire cosa è successo e se c’è la possibilità che si ripeta in futuro. -
Il ragazzo aveva ripreso il controllo di sé stesso e della situazione abbastanza in fretta, seppur con un certo disagio negli occhi, e Marinette si sentì contagiata da quella sicurezza tranquillizzandosi definitivamente. Dopo quanto successo, aveva perso ogni sentore di sonno e dubitava sarebbe riuscita a riaddormentarsi, ma Dino era euforico e sembrava avere tutta l’intenzione di svegliare mezza mondo per raccontare la novità. Quindi si congedò per lasciarlo “lavorare” in pace e tornò in camera.
Lal, Bianchi e Tikki dormivano ancora e lei si lasciò scivolare silenziosamente sotto le coperte; indugiò qualche attimo sperando che Radi si “risvegliasse” e potesse parlargli, infine sospirò e si sfilò l’anello mettendolo nel portagioie, raggomitolandosi su sé stessa, ma per quanto ci provasse non riusciva a prendere sonno. Continuava a ripensare a quella scena, a riascoltare quelle parole e a rivedere i gelidi occhi di Riccardo che le avevano lasciato quel senso di inquietudine misto a timore che non voleva sapere di abbandonarla; non sapeva perché ma trovava il tutto estremamente affascinante e nostalgico, con un bizzarro senso di familiarità nei confronti del Secondo a coronare il tutto. Probabilmente erano solo i residui di quello che aveva provato mentre era Radi, d’altronde era la prima volta che vedeva quell’uomo quindi non poteva esserci nulla di familiare in lui, per lei, e la soluzione più logica era che fosse solo una sensazione dovuta alle emozioni provate nel ricordo. Sperava solo che non durassero a lungo ma l’ipotesi che potessero svanire scemò molto in fretta: non erano sentimenti suoi ma li aveva sentiti forte e chiaro, se si concentrava poteva ancora avvertire il cuore tremare e lo stomaco contorcersi, quindi era impossibile che sparissero da un momento all’altro come se nulla fosse. Tutto ciò che poteva fare era aspettare e sperare che, almeno il giorno dopo, Radi fosse di nuovo reperibile: parlare con lui avrebbe reso le cose più facili.
Effettivamente, le faceva sempre bene chiacchierare con lui: riusciva a farla sentire sicura, tranquilla e far sparire ogni sua preoccupazione; quell’effetto calmante su di lei riuscivano ad averlo, oltre a Radi, solo Dino e Squalo. Di più quest’ultimo, a pensarci bene, che sembrava anestetizzare tutte le sue ansie con la sua sola presenza. Non sapeva dire con certezza il perché ma immaginava che fosse per quella sorta di sicurezza e forza (sia fisica che emotiva) che trasudava da ogni fibra del suo essere: la faceva sentire coinvolta e supportata, protetta in un certo senso… non sapeva spiegarlo in modo soddisfacente ed era un po’ confusa al riguardo, ma mai come in quel momento sentiva la sua mancanza.
 
 
 
 
La prima settimana di marzo fu estenuante: Colonnello la costringeva ad esercitarsi ogni giorno, incurante degli scarsi risultati che ottenevano di volta in volta, e dopo poco avevano sostituito i fucili con le pistole. Roberto in persona si era messo al fianco di Marinette per insegnarle il modo corretto di usarla, dandole anche qualche dimostrazione pratica, correggendola e consigliandola ogni volta che commetteva un errore. La ragazza stessa dovette ammettere di saperle maneggiare molto meglio di quanto aveva fatto con il fucile e, una volta, era riuscita addirittura a centrare il bersaglio in piena fronte (anche se era stato più un colpo di fortuna che altro) e Dino era molto ottimista a riguardo. Tuttavia, anche se faceva di tutto per rassicurarla e sostenerla, negli ultimi giorni le era sembrato piuttosto nervoso e preoccupato ma si rifiutava categoricamente di dirle il motivo, fingendo allegria e spensieratezza ogni volta che lei azzardava una domanda a riguardo.
Sospirò e chiuse l’armadietto, raccogliendo lo zaino e avviandosi verso l’uscita della scuola: aveva ancora dolori muscolari alle braccia a causa di tutti i contraccolpi ricevuti dagli spari, ma si era accorta di resistere meglio rispetto all’inizio; Colonnello l’aveva “ispezionata” una seconda volta e aveva concordato che i suoi muscoli si erano notevolmente irrobustiti grazie allo sforzo di imbracciare le armi e ciò era decisamente positivo. L’aveva anche definita “quasi pronta” ma, ovviamente, non aveva voluto dirle per cosa e Marinette poteva solo restare in attesa aspettandosi di tutto.
Era anche riuscita, dopo vari tentativi, a parlare con Radi di ciò che aveva vissuto nel suo ricordo: si era chiusa in camera e aveva avuto un lungo colloquio con lui nel proprio inconscio. L’uomo si era detto sconcertato poiché non era stata sua intenzione mostrarle nulla di tutto quello e non riusciva a spiegarsi come fosse successo, ma il suo spirito si era indebolito molto dopo l’accaduto (forse per lo sforzo di averla fatta entrare così in profondità dentro di sé) ed aveva dovuto “riposare” nell’anello per parecchie ore; nonostante questo, le aveva spiegato volentieri tutto ciò che aveva preceduto quella scena: del tradimento di Daemon Spade (il loro guardiano della Nebbia), dei dissapori tra Giotto e Riccardo e di come avessero idee totalmente differenti sul futuro della famiglia. Il primo voleva mantenere la linea di partenza e fare dei Vongola una causa di protezione e supporto verso il prossimo, il secondo voleva renderla un’organizzazione potente e autonoma in continua crescita economica e sociale e non voleva risparmiarsi su nessun fronte per raggiungere quell’obbiettivo.
Due visioni diametralmente opposte che cozzavano terribilmente tra loro, tanto da arrivare ad un punto di rottura definitivo quando era giunto il momento del ritiro di Giotto: quando aveva visto cosa il figlio stava facendo (e ciò che avrebbe voluto fare negli anni avvenire), il Primo aveva affrontato apertamente il discorso con lui e l’esito Marinette lo aveva visto con i propri occhi. Come aveva immaginato, il seguito non era stato facile per nessuno: Giotto aveva sofferto molto la separazione con Riccardo, con cui non aveva mai più riallacciato i rapporti, ma aveva pensato fino alla fine a come risolvere la questione dei Vongola dando vita ad un nuovo ramo della famiglia dopo essersi trasferito in Giappone, così che sarebbero stati i suoi discendenti a potersene occupare un giorno. In un certo senso aveva, un po’ vigliaccamente, lasciato alla sua prole il peso di ciò che lui non aveva avuto il cuore di fare ma Marinette non se l’era sentita di giudicarlo: nonostante avessero idee contrastanti, Riccardo era pur sempre suo figlio e non poteva biasimare Giotto per non aver voluto combattere contro di lui.
Alla fine si era risvegliata con un grande peso sul cuore e, uscita dalla camera, aveva trovato Dino e Lal ad aspettarla impazientemente sulle scale per avere il resoconto di quel colloquio; aveva quindi ingoiato il groppo alla gola e raccontato loro tutto. L’evento non era stato intenzionale e non sapevano se sarebbe potuto accadere di nuovo, ma le informazioni reperite grazie a ciò erano molte e importantissime; il Nono era già stato informato dei precedenti e aveva chiesto di essere aggiornato su ogni novità a riguardo e Marinette si sentiva un po’ nervosa per questo, come se avesse paura di deludere le loro aspettative se non fosse riuscita a ricavarne qualcosa di utile. Ciò andava molto in contrasto con quello che provava realmente: non le interessava particolarmente l’aspetto storico della faccenda ma era molto interessata a quella parte della vita di Radi, tuttavia vedere e sentire tutte quelle cose l’aveva molto scossa; era profondamente coinvolta sul lato emotivo e parlare di quegli eventi come se fossero solo strumenti utili a terzi la faceva sentire in colpa e un po’ disgustata da sé stessa.
Era divisa in due tra i propri sentimenti e il peso di ciò che gli altri si aspettavano da lei e il morale le era tornato sotto i piedi, niente avrebbe potuto migliorarlo in quel frangente ma probabilmente neanche peggiorarlo. La parte più difficile era che non poteva parlare con nessuno di tutto quello ed era costretta a tenersi tutto dentro, rendendo tutto ancora più pesante.
Salutò distrattamente Rose e Juleka nell’atrio e uscì dall’istituto: l’aria era tiepida, smorzata di tanto in tanto da un venticello fresco, e il segnale che la primavera fosse vicina era inequivocabile. In un certo senso, Marinette sperava che l’arrivo della bella stagione avrebbe potuto aiutarla a migliorare il suo stato d’animo (anche se non ci contava troppo) e si era già autoimposta di provare ad essere più positiva e concentrarsi su altro per distrarsi da tutto ciò che stava accadendo nella sua vita privata; degli ottimi spunti erano la scuola, gli scontri con le Akuma (che avevano contribuito ad aiutarla a scaricare un po’ la tensione) e il suo rapporto con Chloé che, nelle ultime settimane, aveva avuto degli sviluppi interessanti. Erano arrivate al punto che si salutavano quando entravano e uscivano da scuola e qualche volta si fermavano a parlare, seppur brevemente, nei corridoio dell'istituto; doveva ammettere che la ragazza era diventata molto meno acida e antipatica, almeno con lei, e riuscivano addirittura ad andare d’accordo sebbene avessero ancora i loro piccoli screzi.
A grandi linee andava tutto abbastanza bene nel quotidiano, il più grande ostacolo era sempre a livello sentimentale e sperava solo che non accadesse nient’altro che peggiorasse la sua già provata emotività. Aveva da poco finito di pensare quelle parole quando rientrò finalmente in casa, era stanca ma aveva il tempo solo per un pranzo veloce prima di tornare alla villa per l’allenamento con Colonnello… o almeno, i progetti erano quelli perché quando varcò la soglia tutto si sarebbe aspettata tranne di vedere il tavolo della cucina invaso di buste e pacchetti dalla dubbia provenienza. Guardò lo spettacolo con sconcerto, un sopracciglio alzato e decine di domande per la testa, mentre sua madre cercava di fare più spazio possibile nel frigorifero.
- Cos’è questa roba? - chiese, dimenticandosi persino di salutare. Sabine riemerse dal mobile e sorrise calorosamente.
- Alcuni souvenir - rispose dolcemente - Li ha portati Squalo dall’Italia. Ha avuto un pensiero carino, non trovi? -
Marinette sgranò gli occhi e lo zaino le scivolò di mano con un sussulto, mentre cercava di assimilare quelle prime parole. Eppure, riuscì solo a mormorare un tremolante: - Cosa? - pensando fosse solo un brutto scherzo della sua psiche ad averle fatto immaginare quella conversazione. Deglutì. - Squalo è quì? -
Sabine annuì e Marinette sentì il cuore balzarle nel petto così forte da farle male: - E’ tornato circa mezz’ora fa e ha portato un sacco di cose per ringraziarci dell’ospitalità. Sono quasi tutti prodotti alimentari della sua zona: olio, vino, salumi… persino delle mozzarelle! - spiegò, un po’ emozionata, svuotando le buste per mettere a posto il loro contenuto - E’ stato così dolce, non c’era bisogno che si disturbasse tanto. -
Ma la ragazza quasi non ci fece caso, era troppo frastornata per capirci realmente qualcosa: Squalo era tornato così, di punto in bianco, senza dire nulla e senza farsi sentire per settimane. Era confusa e stordita con una voglia matta di vederlo ma, al contempo, di non volero incontrare: era ancora ferita dal suo comportamento nei propri confronti e una parte di lei non voleva sapere perché si fosse comportato in quel modo né perché fosse tornato, aveva quasi paura della risposta che avrebbe potuto ricevere.
Prese coraggio cercando di non far tremare la voce. - E… dov’è ora? -
- Mh? Oh, sta facendo la doccia - rispose la donna.
Marinette esitò per un lungo istante poi si piegò e raccolse nuovamente lo zaino, tornando indietro per appenderlo all’attaccapanni. Aprì nuovamente la porta di casa e Sabine si voltò verso di lei.
- Ma dove vai? - domandò, evidentemente confusa. La ragazza alzò le spalle.
- Colonnello mi aspetta per l’allenamento - ricordò, senza voltarsi - Ero tornata solo per posare lo zaino - mentì - Ci vediamo più tardi. -
Uscì senza neanche aspettare una risposta e schizzò letteralmente giù dalle scale, come se temesse che qualcuno avrebbe potuto inseguirla. Era stata presa dal panico e non sapeva che reazione avrebbe avuto se si fosse trovata faccia a faccia con Squalo dopo tutto quello che era successo, la sua già fragile emotività era crollata definitivamente e sentiva di non poter sopportare niente in quel momento; non voleva neanche allenarsi, se doveva essere sincera, e avrebbe preferito ritirarsi da qualche parte per stare un po’ da sola e cercare di mettere ordine dentro di sé ma Lal non avrebbe accettato alcuna scusante se non si fosse presentata, quel giorno, e tutto sommato una parte di lei credeva che le avrebbe fatto bene sfogarsi un po’. Si era avviata a passo svelto verso la villa, sperando di sbollire anche in quel modo, ma dieci minuti più tardi arrivò dinnanzi al cancello anche più agitata di prima e il suo tormento interiore fu così evidente che non passò inosservato: in casa c’erano solo Romario, Roberto, Lal e Colonnello che furono non solo stupiti di vederla lì prima del previsto ma anche che fosse venuta a piedi quando, in realtà, avrebbe dovuto accompagnarla Dino dopo pranzo.
Tuttavia, Lal sembrava aver intuito qualcosa sebbene non le avesse fatto alcuna domanda a riguardo e Marinette le fu grata di ciò perché l’ultima cosa che voleva era proprio parlare. Di qualunque cosa, a dire il vero: non ne aveva voglia e basta, men che meno di ciò che le stava succedendo.
Si limitò a scendere nel seminterrato con Colonnello e prepararsi alla solita sessione di allenamento, in silenzio, sperando di distrarsi il più possibile; il bambino sembrò titubante a riguardo ma le fece fare lo stesso qualche tiro di prova, che non andò neanche tanto male a dirla tutta: centrò due volte la testa e il petto e gli altri proiettili si mantennero tutti all’interno dei bersagli. Rispetto al solito, era davvero un buon risultato.
- Sei nervosa oggi, korà! - notò Colonnello e sembrava preoccupato per quello - Una mano guidata dall’emotività è pericolosa, sia per te che per chi ti sta intorno - le spiegò, togliendosi le cuffie - Non è compito mio ma… se c’è qualcosa che non va dovresti risolverlo, altrimenti ci sarà difficile andare avanti. -
Marinette fece una smorfia e annuì, senza sapere cosa rispondergli: non aveva la più pallida idea di come risolvere quella faccenda e, in quel momento, non voleva neanche tornare a casa. Non voleva incontrare Squalo men che meno parlare con lui, ma non poteva ignorarlo se vivevano sotto lo stesso tetto; era una situazione difficile per lei e in quel momento era troppo sconvolta per ragionarci lucidamente. Colonnello titubò un’istante, infine posò le cuffie: - Per oggi fermiamoci quì - decise infine, scendendo dal tavolo, e Marinette sospirò mollando la pistola con una punta di risentimento: si sentiva in colpa per avergli fatto sprecare tempo in quel modo e l’ultima cosa che voleva era essere d’intralcio al suo lavoro. Il bambino, però, non sembrava essersela presa tanto che, dopo essersi infilato la giacchetta militare, si voltò verso di lei con un sorriso tranquillo: - Ti va di andare a mangiare qualcosa? - propose - Scommetto che non hai ancora pranzato, korà. -
Lei non sapeva come facesse ad saperlo ma annuì comunque: aveva lo stomaco chiuso ma forse uscire e comportarsi come una persona normale l’avrebbe aiutata a distrarsi un po’, sebbene non si immaginava per niente ad andarsene in giro per ristoranti con Colonnello. Effettivamente, loro due non avevano mai avuto una reale conversazione: tutti i loro dialoghi erano incentrati esclusivamente su argomenti riguardanti il suo allenamento e nient’altro; non si erano mai neanche incontrati al di fuori dell’orario stabilito quindi quell’invito a pranzo l’aveva sorpresa non poco. Però, magari, sarebbe potuto succedere davvero qualcosa di interessante.
 
 
 
Squalo picchiettò le dita della mano artificiale sulla superficie della balaustra, aspettando una risposta dall’altra parte del cellulare che, tuttavia, tardava un po’ troppo ad arrivare: eppure era stato lui a voler sapere di quella faccenda del ricordo, se si era distratto o addormentato gli avrebbe sfondato un timpano a forza di urlargli contro. Fece saettare lo sguardo per la stradina trafficata con particolare cura ma nessun volto attirò la sua attenzione quindi sospirò stancamente, tornando a prestare attenzione alla chiamata quando Xanxus si decise finalmente a parlare.
- Ne sei sicuro? -
- Questo è ciò che mi ha riferito Cavallone - rispose secco. Erano arrivate loro solo delle voci riguardo quella storia che Marinette avesse assistito al ricordo di Radi sulla discussione tra il Primo e il Secondo, che aveva portato alla partenza definitiva di Giotto dall’Italia, per questo la prima cosa che Squalo aveva fatto appena avuto Dino sotto mano era stato chiedergli delucidazioni a riguardo e il ragazzo non si era fatto pregare, raccontandogli nei minimi dettagli ciò che Marinette aveva visto e del suo successivo colloquio con Radi. A lui non era rimasto altro da fare se non riferire tutto a Xanxus in una lunghissima quanto noiosa telefonata (anche se, ad una certa, Sabine era salita a portargli del caffè e dei biscotti: non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma adorava quella donna con tutto sé stesso); il perché gli interessasse così tanto saperlo, poi, neanche gli importava.
- E la ragazza? -
- Non avrebbe motivo di mentire - tagliò corto lui, stroncando quella conversazione sul nascere. Non aveva parlato quasi mai di Marinette mentre era in Italia, non aveva avuto alcun motivo per farlo tranne per rispondere alle invadenti domande di Belphegor, che aveva messo a tacere quasi subito, sebbene fosse stato lo stesso Xanxus a spedirlo fino in Francia proprio per lei (salvo poi fregarsene deliberatamente). Prese un biscotto e lo sgranocchiò con stizza. - Abbiamo finito? -
Ci fu attimo di silenzio, infine Xanxus sbuffò - Tienimi aggiornato - concluse e riattaccò. Squalo alzò gli occhi al cielo, chiuse il telefono e si appoggiò con la schiena alla ringhiera: non saliva quasi mai sul terrazzo, più che altro perché bisognava passare dalla camera di Marinette per arrivarci e solitamente non vi entrava senza il suo permesso o mentre lei non c’era. Quella volta aveva fatto un eccezione essendo l’unico posto in cui poter parlare in tranquillità senza Dino e Bianchi tra i piedi. Non che avesse qualcosa da nascondere, ma gli dava fastidio che qualcuno ascoltasse le sue conversazioni private.
Sospirò e voltò lo sguardo verso la cittadina che si estendeva sotto di sé: si poteva godere di un bel panorama da lassù soprattutto al tramonto e a notte inoltrata, quando tutte le luci di Parigi si accendevano e la Torre Eiffel sembrava un enorme lucernario. Si portò una mano alla tasca dei jeans e ne estrasse il pacchetto di velluto nero sovrappensiero, rigirandoselo tra le dita con un po’ di nervosismo: Marinette non era ancora rientrata, aveva sentito Dino dire qualcosa riguardo al fatto che lei e Colonnello avevano abbandonato il loro allenamento per andare chissà dove facendo infuriare Lal e ciò lo aveva messo in agitazione, sebbene la presenza del bambino accanto a lei garantiva che fosse al sicuro. Avrebbe dovuto parlarle per forza di tutto quello che era successo in quell’ultimo mese, non poteva ignorare la faccenda, ma non aveva idea di cosa dirle: delle scuse da sole non sarebbero bastate e lei non le avrebbe accettate senza una spiegazione.
Il sole stava ormai calando e fu allora che la voce di Sabine si levò dalla botola, proveniente dalla cucina: - Squalo, è pronta la cena! -
Si fece scivolare il pacchetto in tasca e raccolse il vassoio, scendendo lentamente le scale: la camera da letto era vuota e semibuia e provò un senso di disagio anche solo nell’attraversarla. Sperava solo che, quando Marinette fosse tornata, sarebbe riuscito a dirle tutto ciò che si era tenuto dentro fino a quel momento.
 
 
 
Sebbene Marinette non avesse molta fame, addentò con gusto il proprio Big Mac. Non era una grande patita del cibo spazzatura ma da quando era arrivata Lal le era sembrato di mangiare solo carne e verdure: la bambina le aveva stilato una tabella alimentare e teneva conto di tutto ciò che mangiava, porzioni comprese, quindi non doveva dirle assolutamente del grosso panino ripieno di salse e hamburger dai dubbi ingredienti che stringeva tra le mani. Dopotutto, come aveva detto anche Colonnello, “una volta ogni tanto fa bene concedersi qualche schifezza, korà!”.
Il bambino era seduto di fronte a lei scartando il proprio Happy Meal, e faceva un po’ strano vederlo comportarsi come un bambino qualunque: considerando che solitamente maneggiava fucili più grossi di lui, era quasi buffo mentre intingeva i Nuggets nella manioese. Mangiarono in silenzio per qualche minuto, finché una goccia di ketchup non cadde sul Ciucciotto di Colonnello che, afferrato un tovagliolo, si prodigò a pulirlo con estrema accuratezza; lo sguardo della ragazza si posò proprio su di esso ed esitò un istante prima di parlare, indecisa se fosse davvero il caso.
- Posso chiederti perché hai preso il posto di Lal come Arcobaleno? - domandò timidamente, sapendo di star ficcanasando in fatti che non la riguardavano. Lal non si era mai sbilanciata troppo sulla propria vita personale e molte cose rifiutava anche solo di accennarle, perciò l’unico modo che aveva per scoprire qualcosa su quella faccenda della sostituzione era chiedere al diretto interessato. Certo, non sapeva quanto Colonnello amasse parlare di sé ma tanto valeva provarci.
Il bambino alzò gli occhi su di lei e assunse una strana espressione a metà tra il serio e il pensieroso. - Che ti ha detto Lal a riguardo? -
Marinette esitò un istante, non aspettandosi quella controdomanda, e si sentì un po’ in imbarazzo: - Beh, solo che doveva essere l’Arcobaleno della Pioggia ma che è stata sostituita all’ultimo - rispose. Colonnello sembrò pensarci un po’ su, infine scrollò le spalle.
- Tipico, non le piace particolarmente rivangare il passato - commentò, punzecchiando le salse con una patatina - Però, sai, anche io sono stato suo allievo prima di essere maledetto. -
Mancò poco che il panino le andasse di traverso quando assimilò quell’informazione. Tossì nel tovagliolo e lo fissò con occhi granati, incredula e stupita. - Sul serio?! -
Lui annuì, sgranocchiando distrattamente la patatina. - Eravamo entrambi nel COMSUBIN: Lal era un mio superiore ed il suo compito era addestrare le nuove reclute. Ho imparato da lei tutto quello che so e… insomma, in quanto mia maestra sono particolarmente affezionato a lei - ammise - Quando ho capito quello che stava succedendo non sono riuscito a farmi gli affari miei, immagino di aver agito d’istinto spinto dai sentimenti. Come ti ho già detto, una mano guidata dall’emotività è pericolosa e ho finito per infilare entrambi in questa brutta situazione - sospirò - La parte peggiore è che Lal si sente in colpa per quanto mi è successo e io mi sento in colpa per averle dato questa preoccupazione… -
Marinette rimase in silenzio, capendo di essersi spinta troppo oltre. - Scusa, non avrei dovuto farmi gli affari vostri - mormorò, vedendolo un po’ agitato: dopotutto, se Lal non ne aveva parlato era perché aveva una motivazione precisa e lei avrebbe dovuto solo attenersi alla sua volontà.
Il bambino scosse il capo. - Va tutto bene, è normale che tu voglia sapere qualcosa su di lei - la tranquillizzò - Però devi tenere a mente che ci sono cose che le persone preferiscono tenere per sé perché possono avere difficoltà a parlarne. Il consiglio che posso darti è di non prendere alcune situazioni troppo sul personale, anche se possono essere difficili da mandare giù. -
La ragazza ebbe l’impressione che si riferisse a qualcosa in particolare e il dubbio che sapesse cosa era accaduto con Squalo le mise un po’ di agitazione… ma chi era stato a dirglielo? Lal? Dino? E poi perché avrebbero dovuto?
Nonostante si sentisse in imbarazzo e un po’ a disagio, però, non poteva negare di aver fatto dell’intera situazione una questione che riguardava esclusivamente lei: dopotutto, Squalo doveva aver avuto per forza le sue ragioni per comportarsi in quel modo e lei non aveva fatto altro che convincersi del peggio senza neanche chiedersi se ci fosse dell’altro. D’altronde, se a lui davvero non fosse importato più nulla di lei non sarebbe tornato.
Mandò giù il boccone e annuì. - Mi sembra giusto - asserì, cercando di rimettere ordine nei propri pensieri: avrebbe dovuto parlargli, una volta tornata a casa, era l’unico modo per risolvere definitivamente la cosa sebbene il pensiero la rendesse nervosa.
Finirono di pranzare e tornarono alla villa dove, già lo sapevano, avrebbero dovuto affrontare l’ira di Lal. E, infatti, appena Marinette aprì la porta la bambina si precipitò su di loro come una furia e colpì Colonnello con un calcio in pieno volto, facendolo volare dalla spalla della ragazza e ruzzolare giù per i gradini d’ingresso.
- Chi cavolo vi ha dato il permesso di andarvene, eh?! - sbraitò, incazzata come una iena. Non contenta, afferrò Colonnello (ancora tramortito dal colpo appena ricevuto) per il bevero della giacca e iniziò a tirargli un ceffone dopo l’altro urlandogli contro tutto il proprio disappunto, con Marinette che assisteva alla scena terrorizzata.
- Te l’ho lasciata perché la tenessi d’occhio non per portarla a spasso quando ti pare! Fai il tuo dovere, ti ricordo che non sei quì in vacanza! Ti sembra un comportamento adeguato?! - inveì.
Dino schizzò fuori dalla porta e cercò disperatamente di toglierle Colonnello dalle mani, mettendo a serio rischio la propria incolumità. - Lal, calmati, stai esagerando! - esclamò, afferrando il bambino (ormai svenuto) e tenendolo bene in alto.
Lei lo incenerì con lo sguardo, facendolo indietreggiare, e Marinette raccolse quel poco di coraggio che le era rimasto dopo il raccapricciante spettacolo per intervenire. - M-mi dispiace, Lal, non volevamo… -
- Taci! - sbottò Lal, facendola trasalire - Eri sotto la sua supervisione, ogni tua azione è una sua responsabilità e deve accettarne le conseguenze. -
- Sei troppo dura con loro - azzardò Dino, sebbene fosse evidente che avesse una paura matta di prenderle anche lui.
La bambina, che sembrava sul punto di esplodere dalla rabbia, sbuffò dal naso come un toro inferocito: - Devo essere dura, altrimenti non impareranno mai! - poi si voltò verso Marinette - E allora, dove siete andati? -
Lei deglutì a vuoto mentre nella sua testa continuava a ripetersi al oltranza la frase “Non dire al McDonald’s”: - A pranzo - si affrettò a rispondere.
- A pranzo? - ringhiò Lal - Avete saltato l’allenamento per andare a pranzo? -
Marinette si fece piccola piccola sotto il suo sguardo truce ma trattenne un sospiro di sollievo quando la vide rilassare i nervi, sebbene l’incazzatura fosse persistente. - Domani farai il doppio del lavoro per recuperare e guai a te se ti allontani di nuovo senza permesso - ordinò, marciando nuovamente dentro, e nessuno osò contraddirla. Dino si rilassò così tanto che le gambe sembrarono cedergli, ma si affrettò a controllare le condizioni di Colonnello: era evidentemente traumatizzato ma non ferito gravemente, aveva solo le guance rosse e più gonfie del solito, quindi lo portarono in salotto e lo adagiarono sul divano dove Marinette gli coprì la fronte con una pezza fredda. Era colpa sua se Lal se l’era presa con lui e gli dispiaceva, sperava solo che si riprendesse senza conseguenze… e che non ce l'avesse con lei.
- Tutto a posto? - domandò Dino, sedendosi sul tavolino in legno dinnanzi a lei. La ragazza alzò lo sguardo e annuì.
- Direi di sì. -
- Sei sicura? - insisté lui - Non ti sei fermata a mangiare a casa… è per Squalo? - azzardò a chiedere. Lei esitò un’istante, infine scrollò le spalle,
- Andavo un po’ di fretta - mentì. Dino rimase in silenzio e Marinette capì che non le aveva creduto affatto, tuttavia lui non sembrò voler aggiungere altro.
- Capisco - asserì infine, poi sorrise dolcemente - Se hai voglia di parlarne sai dove trovarmi. -
Le batté una pacca di conforto sulla spalla e uscì dalla stanza, lasciandola sola con Colonnello che solo allora si alzò togliendosi la pezza dagli occhi, facendola sussultare. Sospirò e si mise seduto, massaggiandosi la guancia.
- Quando Lal mena non ci sono santi che tengano - commentò ma sembrava più divertito che dolorante. Marinette fece una smorfia ma prima che potesse chiedergli alcunché lui scosse il capo. - Tranquilla, non è la cosa peggiore che mi abbia fatto - sorrise - Ma credo che tu abbia già il tuo a cui pensare per preoccuparti anche di questo. -
Nonostante cercasse di nasconderlo in tutti i modi, tornare a casa la preoccupava e il suo malessere era finito sotto gli occhi di tutti: voleva parlare con Squalo ma non aveva idea di cosa dirgli e un po’ temeva le risposte che avrebbe ricevuto… sempre ammesso che lui volesse dargliene, ovviamente.
- Dovrò risolvere un problema, che la cosa mi piaccia o meno - ammise con un sospiro sconfortato. Avrebbe voluto parlare un po' Radi della faccenda prima di rientrare, sperava in un suo consiglio o anche solo nel suo supporto emotivo, sarebbero stati entrambi di grande aiuto ma non voleva che venisse anche lui quando avrebbe parlato con Squalo; doveva affrontare la cosa da sola, non poteva affidarsi a lui per ogni minima questione, quindi doveva prendersi del tempo per stare un po' da sola prima di tornare a casa.
Sperava solo che Lal glielo permettesse senza pretendere troppe spiegazioni.
 
 
Il sole era tramontato da un pezzo quando Marinette uscì dalla villa. Aveva passato il resto del pomeriggio ad imparare come si faceva la manutenzione ad una pistola, sotto la supervisione di Lal, e avevano cenato ordinando cibo thailandese da un ristorante vicino; poi si era avviata verso casa con Dino. Non aveva avuto il tempo di scambiare neanche una parola con Radi e man mano che avanzavano nel traffico l'ansia la divorava sempre più in fretta; quando parcheggiarono sotto il portone d'ingresso il cuore le balzò in gola e scese dalla macchina con gambe tremanti. Le era sembrato di vedere Bianchi affacciata alla finestra del salotto per un attimo, probabilmente per controllare che fossero tornati, e salì le scale un po' troppo velocemente per i propri gusti. Fu proprio la donna ad aprire la porta, prima ancora che bussassero, e li accolse con un seccato: - Ci avete messo una vita. -
- Abbiamo fatto un po' tardi - si scusò Dino, togliendosi il cappotto per appoggiarlo all'appendiabiti. Marinette si guardò nervosamente intorno ma non notò la presenza di Squalo né in salotto e né in cucina: non erano molti i posti in casa in cui avrebbe potuto trovarsi, quindi provò con il bagno e con il terrazzo, trovando entrambi vuoti. Scese nuovamente in salotto e si voltò verso sua madre: - Dov'è Squalo? - chiese, cercando di suonare il più tranquilla possibile.
Dino e Bianchi si voltarono verso di lei e si scambiarono un'occhiata nervosa ma Sabine non fece una piega: - In lavanderia - rispose.
Era l'ultimo posto in cui si aspettava di trovarlo, a dirla tutta, ma si diresse speditamente verso la porta sotto le scale che portavano alla sua camera. Vi era solo un piccolo corridoio che dava sul ripostiglio, la camera da letto dei suoi genitori e la lavanderia: fu in quest'ultima che trovò Squalo, intento a spostare due lunghi cappotti neri dalla lavatrice all'asciugatrice, dandole le spalle. Prese un respiro profondo per calmarsi e bussò sullo stipite della porta per annunciare la propria presenza.
Il ragazzo si voltò con espressione seccata ma sgranò gli occhi quando la vide e quello non le sembrò affatto un buon segno. Si schiarì la voce.
- Non mi aspettavo tornassi. -
Ok, non era assolutamente ciò che aveva pensato di dire ma le era uscito spontaneo prima ancora di poterci riflettere; non voleva sembrare ostile o accusatoria, desiderava portare avanti una conversazione tranquilla e ragionevole, sperando non finisse in tragedia com'era solito accadere tra loro.
Squalo abbassò lo sguardo, posandolo ovunque nella stanza tranne che sulla sua figura come se non volesse guardarla negli occhi, e sembrava nervoso tanto quanto lei: - Sì, io… non era previsto così presto - ammise.
Rimasero in silenzio per dei lunghissimi istanti, l'aria era così tesa che avrebbero potuto tagliarla con un coltello da burro e Marinette si sentì estremamente a disagio: era chiaro che nessuno dei due voleva parlare di quanto accaduto e lasciare le cose come stavano non avrebbe giovato nessuno, specialmente lei che l'ultima cosa che voleva era ritrovarsi incapace di condividere anche solo la stanza con lui. Inspirò a fondo e ripensò alle parole di Colonnello: se Squalo non voleva parlarne l'ultima cosa che voleva era costringerlo a farlo, evidentemente era un argomento difficile per lui quanto lo era per lei.
Non le restava che ingoiare il rospo e sperare di recuperare almeno un po' del rapporto che avevano prima che se ne andasse, rassegnandosi al fatto che non lo avrebbe né visto né sentito quando si sarebbero trovati lontani; era strano e parecchio doloroso, ma non voleva perderlo definitivamente quindi non le restava che adeguarsi. Dopotutto, lui era tornato ed era questo ciò che contava davvero.
- Beh, allora… ti lascio alle tue cose. Vado a dormire - tagliò corto, avendo esaurito ogni argomento di conversazione che non fosse "Potevi anche avvisarmi che te ne andavi" e "Un messaggio ogni tanto non ti avrebbe fatto cadere le dita". Si staccò dalla porta e si voltò per tornare in camera sua, più demoralizzata di quanto non lo fosse mai stata in quelle ultime settimane, decisa a parlare un po' con Radi prima di dormire.
Fu la voce di Squalo ad impedirle di andare oltre.
- Aspetta. -
Il cuore le balzò nel petto e si voltò, presa alla sprovvista, e stavolta incrociò il suo sguardo. Il ragazzo esitò per un attimo.
- Mi dispiace - mormorò e ogni parola le si fermò in gola, sembrando d'un tratto superflue ed inutili dinnanzi a quelle scuse così piene di rammarico. - Non lo avevo previsto - ammise infine e sospirò, passandosi una mano tra i capelli. Sembrava estremamente a disagio, come se stesse parlando di qualcosa di delicato e imbarazzante: era la prima volta che Marinette lo vedeva in quel modo.
- Cosa? - domandò, confusa, cercando di non far trapelare l'ansia dalle sue parole, temendo la risposta che avrebbe ricevuto. Squalo sembrava avere difficoltà a esternare i propri pensieri ma ci stava provando sul serio e lei si chiese se fosse davvero il caso di continuare quella conversazione: si sentiva a disagio nel vederlo a disagio.
- Tu… - rispose infine lui, fermando ogni altro suo pensiero - …voi… questo - sospirò - Vivere una vita normale non mi si addice, il tempo che ho passato quì è stato… strano. Non credevo di potermi abituare o… - esitò per un momento, come se dovesse tirare fuori le parole con la forza - …sentirne la mancanza. -
Quella confessione era stata completamente inaspettata e destabilizzante, Marinette non sapeva cosa pensare: non conosceva così a fondo la vita di Squalo e non avrebbe mai potuto neanche immaginare che potesse risultargli così complicato vivere una quotidianetà diversa da quella sanguinosa e violenta a cui era abituato, era una cosa così scontata per lei che non aveva affatto preso in considerazione quella possibilità. Però lui aveva deciso di parlargliene, si era aperto con lei spontaneamente, e (a modo suo) aveva ammesso di aver sentito la loro mancanza. La sua mancanza. Avvertì un improvviso moto di affetto nei suoi confronti che le gonfiò il cuore ed ebbe un incredibile voglia di abbracciarlo cosa che, effettivamente, non era mai successa fino a quel momento.
Squalo volse lo sguardo di lato e si grattò nervosamente il collo: - Scusa se non mi sono fatto sentire, è solo che… non sapevo cosa dirti. -
Erano le scuse più impacciate che avesse mai ricevuto ma le fece una tale tenerezza che non riusciva proprio ad avercela con lui, al contrario era contenta che ne avesse parlato e si fosse aperto con lei; almeno ora sapeva di non essere il problema e questo, in un certo senso, era sollevante. Con il cuore più leggero e in quel fascio di emozioni, decise che l'unica cosa sensata da fare in quel momento era seguire l'istinto iniziale senza preoccuparsi troppo delle conseguenze: sebbene l'idea la imbarazzasse un po', non esitò a fare tre passi in avanti e cingergli le braccia al collo con dolcezza. Gli aveva lanciato contro oggetti di ogni tipo, lo aveva insultato in ogni modo possibile, lo aveva persino visto nudo eppure si sentiva terribilmente intimorita e in soggezione ad abbracciarlo, aveva come l'impressione che un gesto d'affetto nei suoi confronti avrebbe potuto essere ben peggiore di un piatto in piena fronte e la sua reazione la preoccupava un po'.
Prese coraggio e mormorò un - Ci sei mancato anche tu - che risuonò come un fruscio nella minuscola stanzetta. E dopo dei secondi che parvero infiniti, Squalo alzò le braccia e le poggiò con esitazione sulla sua schiena, come se non avesse la più pallida idea di come si abbracciasse una persona, scaldandole il cuore e facendo svanire ogni sua paura.
Rimasero così, in silenzio, per la prima volta consapevoli di ciò che realmente provavano l'uno per l'altro e, fortunatamente, Marinette non lo vide il dito medio che Squalo dedicò a Dino nascosto dietro la porta.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo della cosa schifosamente in ritardo:
Ok, lo ammetto, la scena tra Squalo e Marinette è stata la più difficile in assoluto da scrivere. Ad una certa mi sono bloccata e sono andata nel panico, ma per fortuna ho trovato l'ispirazione per concludere questo capitolo (anche se mi ci sono volute settimane mortacci mia). Spero che sia decente, nonostante tutto continua ad esserci qualcosa che non mi convince però non saprei dire che cosa e in che modo cambiarlo.
Avrebbe dovuto esserci anche un'altra scena ma non mi sembrava in linea con l'atmosfera, quindi l'ho slittata al capitolo successivo (sperando di essere un po' più veloce questa volta). Quindi… nulla. Ringrazio come sempre chiunque stia ancora seguendo questa storia (è rimasto davvero qualcuno?!), tutti quelli che l'hanno aggiunta tra le preferite, che hanno recensito e i lettori silenziosi.
Un bacio

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