26. 𝐷𝑒𝑏𝑜𝑙𝑒

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Okay. Questo capitolo si merita minimo 500 commenti. Vi dico solo: smutsmutsmut.
(PS. Passate a leggere anche ciò che ho scritto alla fine del capitolo, ho scritto una cosa importante)

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I know they got pills that can help you forget it, they bottle it, call it medicine but I don't need drugs

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I know they got pills that can help you forget it, they bottle it, call it medicine but I don't need drugs.
'Cause I'm already high enough, you got me, you got me good.

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«Quanto manca?» chiese Susan, tutto d'un tratto, sporgendosi dal suo posto sulla panchina per vedere meglio l'orario che Mía si apprestò subito a mostrarle dallo schermo del suo cellulare.

«Sono le 13:05, mancano dieci minuti...» le comunicò, con un leggero sospiro affranto per quella attesa lunga ormai un'ora.

Giusto un giorno prima, quando Mía aveva raccontato tutta la verità alla sua amica sulla faccenda riguardante lei e il loro professore, aveva trovato finalmente la forza di prendere una decisione importante che avrebbe cambiato definitivamente la sua vita: al termine delle lezioni di quella mattinata, dopo il suono dell'ultima campana, avrebbe incontrato Christopher per comunicargli che accettava il suo invito a cena.

Fu così che le due frequentarono solo le prime due ore di lezione, rispettivamente con la professoressa Thorne e la professoressa Stewart.
Poi, alle dieci e mezza circa, entrambe si ritrovarono al bar nei pressi dell'Accademia per bere un frullato e chiacchierare un po' in tranquillità.
Insieme avevano stabilito che non avrebbero partecipato alla lezione di Storia dell'Arte, in quanto la bionda riteneva che recarsi da lui in sua compagnia, per giunta dopo essersi allontanati dalla stessa aula, avrebbe dato forse troppo nell'occhio.

E ora proprio per questo si trovavano sedute l'una affianco all'altra, su una delle tante panchine che davano sull'Accademia e permettevano loro di scorgere ogni movimento che provenisse dall'interno.

Mancava sempre meno al fatidico attimo in cui Mía avrebbe dovuto sollevarsi da lì, salutare Susan e camminare lungo il corridoio fino a quella porta che moriva dalla voglia di oltrepassare, e l'impazienza si stava facendo sentire ad alta voce. Aveva pensato tutta la notte a quella scena: lui le avrebbe ordinato di aprire la porta, lei sarebbe entrata e gli avrebbe detto di aver fatto la sua scelta.
Ciò che sarebbe successo dopo era ancora un mistero, e non vedeva l'ora di scoprirlo.

L'ansia era comunque alle stelle: più i secondi passavano, più il bisogno compulsivo di accendere lo schermo del cellulare per vedere immediatamente che ore fossero cresceva, come se controllarlo ogni due minuti accelerasse il tempo.

Era troppo eccitata all'idea di poterlo nuovamente incontrare.

Susan sbuffò.
«Che palle! Se non escono da quell'aula entro dieci minuti esatti faccio irruzione e li faccio uscire tutti io con la forza!»

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