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Non saprei dire se realizzai o meno ciò che avevo davanti. Dopo che entrò in casa indicai con un gesto della mano quel piccolo tavolo al centro della stanza principale. Ci sedemmo entrambi a terra, entrambi ancora nel silenzio. A separarci il ripiano ligneo con su della stoffa, mentre i nostri sguardi, o per lo meno il mio, non decidevano ad incontrarsi. Temevo il suo giudizio probabilmente, il fatto d'esser giudicata nuovamente colpevole per qualcosa che non avevo commesso. Strinsi il tessuto del kimono che indossavo da sotto il tavolo. Mi voltai, Sif era rannicchiato in un angolino della stanza, il respiro regolare lasciava intuire il fantastico mondo in cui si trovasse in quel momento. Lo invidiavo.

"A cosa devo la visita?" mi decisi finalmente a parlare e spostare gli occhi dal lupo a lui. Con stupore lo trovai a fissarmi. Era la prima volta che riuscii a notare con precisione il colore delle sue iridi, sfumature arancioni e gialle, calme ma al tempo stesso energiche, vitali.

"Ti piacciono?"

Mi ridestai "Cosa?" chiesi leggermente confusa.

Sorrise, abbassando appena lo sguardo per poi riportarlo su di me, lo vidi posare i gomiti sul tavolino incrociando le dita delle mani tra loro. In quel momento capii l'allusione e pressando le labbra spostai lo sguardo altrove.

"Ti ho chiesto perché sei qui" ribadii cambiando discorso e concentrando con non chalance tutta la mia attenzione su una ciocca dei miei capelli.

"Sei scappata, ero curioso e poi..." interruppe il discorso a metà e prima che potessi chiedere il seguito lo vidi afferrare le dita con le quali tenevo la ciocca di capelli. Li scostò dal mio viso con lentezza sfiorandomi la guancia delicatamente. Rabbrividii. I miei occhi erano di nuovo concentrati su di lui. Risvegliandomi, presi la sua mano accompagnandola sul tavolo rubando un sorriso divertito ad entrambi.

"E poi?" lo esortai.

"Non mi piace vedere le persone piangere" concluse semplicemente, con gentilezza.

Sorrisi amaramente togliendo la mia mano da sopra la sua ed incrociando le braccia al petto ritornando in un mondo solamente mio.

"Il pianto non sempre vuole essere ascoltato"

"Ma chi ne è la causa sì, non pensi?"

"Cosa ti fa essere tanto sicuro di ciò?"

"Il tuo sguardo"

"Cos'è, psicanalizzi le persone?" ridacchiai

"No, non io..." mi stuzzicò posando il capo sulla mano mentre sorrideva. Che cos'è che avesse da sorridere poi.  Scossi il capo sconsolata borbottando un certamente mentre facevo spallucce.

"Cos'è? Pensi sia pazza? Non basta aver ucciso delle persone per diventarlo, sai?"

Seguì il silenzio. Decisamente più rumoroso di quanto si potesse desiderare. Non mi andava di fissare nuovamente quello sguardo, mi concentrai sull'esterno, guardando oltre quella finestra dove il sole accennava ad apprestarsi verso il tramonto. Le foglie verdi e giallastre degli alberi erano saturate dalla calda luce del sole. Per quel poco che bastava mi sentivo abbracciata e riscaldata guardando quell'insieme di colori.

"Ci tenevi?" chiese dopo un po'. I suoi occhi questa volta non erano su di me, ma scrutavano il pavimento.

Cominciò ad urtarmi. Nonostante fosse stato di poche parole, ognuna di quelle pronunciate fino ad ora era ahimè, giusta e pensata. Come se fossero lame che lentamente sfioravano la carne con l'obiettivo di causare tanti piccoli tagli che senza preavviso avrebbero portato allo svenimento.

"Ovviamente"

"Allora perchè-"

"Basta così" strinsi i pugni al punto da far divenire dopo poco le nocche bianche.

"Erano tuoi parenti?"

Il vuoto. Dentro di me si aprì una voragine che piano piano diventava sempre più grande arrivando fino alla gola mozzandomi il fiato. Cosa voleva da me? Perché continuava ad infierire? Perché doveva essere così subdolo?

"Hai finito?" mi concentrai sulle forze che avevo in quel momento, mi alzai in piedi bruscamente e con passo deciso mi diressi verso la porta. Per oggi era abbastanza. Una mano sul pomello, l'altra tra il collo ed il petto per avere la conferma che respirassi ancora. Aprii la porta ma il movimento veloce di una mano mi impedì di procedere richiudendola pochi istanti dopo. Rimasi a fissare il legno scuro prima di capire cosa fosse accaduto. Tra il nervoso, i ricordi e l'averlo lì senza un dannato motivo, la testa prese a girare.

"Cosa vuoi da me? Se vuoi dire qualcosa non farlo a monosillabi. Se sei qui solo per impicciarti di cose che non ti riguardano puoi benissimo toglierti dai piedi! Vai! Muoviti!" urlai al ragazzo alle mie spalle ormai prossima al saltarli addosso e cacciarlo di casa con le mie stesse mani. Non si mosse. Prese ad avvicinarsi.

"Non fare la parte del buono della situazione" continuai. Una parte di me sapeva di non doversi aspettare niente. D'un tratto sentii intorno al mio polso nuovamente quel tatto delicato, quelle dita afferrarmi e voltarmi.

"Vai via" proseguii  abbassando lo sguardo decisa a non guardarlo strozzando le lacrime in procinto di uscire. In pochi attimi, mi sentii avvolta dalle sue braccia. Un calore nuovo, accogliente, diverso da quei colori. Era come se l'arancione caldo del tramonto avesse preso forma e mi avesse dato il permesso di sentirmi al sicuro tra le sue braccia.

"...via" sussurrai ormai con il viso nascosto dalla stoffa del suo haori e della sua giacca. Mi diede quasi fastidio come persino il suo profumo riuscisse a trasmettere una sensazione accogliente di calore.

"La storia di ognuno non deve essere per forza rosa e fiori"

Lo sentii parlare piano e con dolcezza mentre mi stringeva a sé allontanando l'orribile nodo in gola che avevo.

"Va bene non stare bene, puoi piangere, puoi urlare e gridarmi contro, solo, lasciati capire da chi vuole aiutarti"

Immobile continuai ad ascoltarlo chiedendomi alle sue parole se avessi o meno il permesso di rendere tutto così schematico e semplice. In qualche modo quella piccola speranza che mi diede fece breccia della mia testa. Chiusi gli occhi abbandonandomi completamente. A quel punto non ce la feci più. Alla disperata ricerca di affetto, strinsi con lentezza bisognosa ed incerta le braccia attorno al suo torace ed il tessuto bianco fra le dita senza sentire il bisogno di aggiungere nulla.

"Fatti capire da me, ti va?"

Non avevo idea di chi fosse, non avevo idea di come fossi arrivata lì, non avevo idea del perché mi avessero tenuta in vita né tantomeno del perché un tipo esaltato come lui mi ispirasse fiducia. Fu così che per la prima volta da anni mi lasciai andare, che fosse la scelta giusta o no ormai poco importava, forse, seppur piccola, un parte di me aveva davvero bisogno solamente di un legame, seppure flebile, che potesse in qualche modo definire amicizia. Annuii contro il suo petto.

"Amici?" giurai di vederlo sorridere.

"Amici".

Io so chi seiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora