7. A

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E scusami se rido

Dall'imbarazzo cedo

Ti guardo fisso e tremo

All'idea di averti accanto

E sentirmi tuo soltanto

Sono qui che parlo emozionato

E sono un imbranato



Qualcosa cambiò da quella notte. Eravamo sempre Mattia e Christian, ma senza frecciatine maliziose e spintarelle tra i corridoi, e all'inizio mi ero anche preoccupato. Per un attimo avevo seriamente temuto di aver detto o fatto qualcosa di male, soprattutto perché a malapena mi veniva rivolta la parola, e quando cadevamo accidentalmente in una conversazione, finiva sempre che i suoi occhi non riuscivano a guardarmi e da lui, sempre così sicuro e sfacciato, non me lo sarei mai aspettato.

La cosa mi puzzava e mi rattristiva. Resistetti appena due giorni con quel strano clima, poi mi costrinsi ad affrontarlo.

Lo beccai in cucina all'alba, come accadeva spesso, ma stavolta, quando ci incrociammo, lui si stampò in volto la voglia di essere ovunque fuorché lì.

"Ehi" gli dissi afferrandogli un braccio, prima che potesse scappare. "Ora sei tu quello che evita?"

"Non ti sto evitando, è che.." Mi guardò negli occhi, finalmente. Quasi mi sembrarono lucidi, ma forse era la luce della stanza. "Abbiamo oltrepassato un grande muro l'altra sera" indicò il divano posto a pochi metri da noi contro il muro.

"Ci siamo addormentati vicini, e allora? Ti sei addormentato altre volte nel mio letto" ero confuso, veramente non capivo cosa ci fosse di così grave. Io gli ero già sotto, di sicuro non era stato il passare una notte abbracciato a lui a farlo accadere.

"Sì, ma non siamo mai stati accoccolati in quel modo" la sua espressione era triste.

"Ancora non capisco quale sia il problema" ripetei mentre le rotelle della mia testa ancora faticavano a ingranare. Prima del caffè mi sembrava tutto un grande punto di domanda.

"Ce lo eravamo ripromessi" quasi mi urlò in faccia e io temetti veramente che si fosse arrabbiato con me. Avevo paura che mi abbandonasse, che rinunciasse a qualsiasi cosa avessimo costruito.

"Ci siamo solo addormentati, Chri" riprovai a tranquillizzarlo. Ormai ero perfettamente a mio agio con la consapevolezza di essere innamorato perso di una persona che non ricambiava, me l'ero messa via e ci avevo fatto l'abitudine. Ora stavo puntando a non perdere il nostro rapporto fisico, che adoravo alla follia, che a sua volta teneva su la nostra amicizia, la cosa più importante per me. "È tutto a posto".

Lo vidi annuire piano, e seppi di aver smosso qualcosa dentro quella testolina incasinata. Sembrava volesse dirmi qualcos'altro, ma si limitò a porgermi un sorriso assonnato. "Hai ragione" mi disse poi. "Mi devi assicurare che non è cambiato niente tra noi".

"Niente di niente" dissi. È già cambiato tutto settimane fa per me, pensai.

Quando finalmente ci sedemmo con i vassoi pieni la tensione sembrava essersi allentata, tanto che, a un certo punto, sentii il suo piede, avvolto in un pesante calzino di spugna, farsi strada sulla mia gamba.

Strabuzzai gli occhi e mi guardai intorno per vedere se ci fosse qualcuno, prima di fare qualsiasi cosa. Non c'era nessuno.
La mia mano andò spontaneamente ad accarezzargli lo stinco nudo, solo con i polpastrelli, come sapevo che gli piacesse di più. Lo vidi stringere ancora di più la stretta sul coltello con cui stava minuziosamente spalmando il burro sul pane e lì mi resi conto che il potere che aveva lui su di me fosse pienamente ricambiato.

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