6. B

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Non ho mai brillato di intuito, spesso le cose me le dovevano servire su un piatto d'argento. Non ne andavo nemmeno fiero, ma non lo facevo apposta, semplicemente vivevo sulla Luna e avevo sempre la testa da un'altra parte.

Che grande contraddizione avere invece un ottimo spirito d'osservazione nei confronti dei comportamenti degli altri. Sebbene potesse, in un certo senso, essere una fortuna, l'unico fattore che mi avrebbe salvato da uno stato di sconnessione totale, in quel momento ne avrei fatto volentieri a meno. A volte preferivo non sapere: sul satellite bianco si stava così bene.

Ma, invece, dentro di me sapevo perfettamente che Mattia mi stesse evitando e, purtroppo, sapevo benissimo anche il perché.

Quando avevo visto che Guido non era nel suo letto avevo capito tutto all'istante. Il biondino non mi rispondeva al telefono, e il mio coinquilino non era a dormire. Mi era bastato fare due più due per capire che stessero insieme. Soprattutto dopo i loro sguardi di sottecchi, le loro conversazioni clandestine lontane dalla sala prove e le loro smancerie da fidanzatini, non era stato poi difficile.

La verità, comunque, era che tutto mi risultasse infinitamente difficile. Ci parlavamo, certo, anche conversazioni abbastanza comuni tra noi (le lezioni, il tempo, l'ultima puntata di Masterchef, le foto dei suoi gatti che gli avevano mandato i suoi quella mattina), ma qualcosa mi diceva chiaro e tondo che lui volesse essere ovunque fuorché lì.

Il suo linguaggio del corpo, infatti, era strano. Il suo petto non era mai girato completamente verso di me, i suoi occhi faticavano a guardare i miei e ogni volta che la sua mano, spontaneamente, si allungava verso di me, lui la ritirava prima che avvenisse il contatto, come se potesse bruciare, come se avesse potuto prendere una grossa scarica elettrica.

Lì per lì mi ero anche demoralizzato e non poco; non rispondeva ai miei messaggi e cercava la mia compagnia solo in pubblico, quando ceravamo circondati da altre persone, evitando qualsiasi fattore di rischio del nostro rapporto che lo rendeva tanto speciale. Ma poi, a un certo punto, una lampadina si era accesa dentro di me, e allora avevo capito.

Per qualche motivo, il principino, stava tentando di resistere al bisogno che avevamo di averci. Il suo cambio repentino di atteggiamento, il suo fingersi così distaccato senza grandi risultati, le sue guance rosse ogni volta che mi beccava a guardarlo.. era tutto così chiaro all'improvviso.

Lo capii dopo appena due giorni che fosse strano, ne resistetti un altro senza dire nulla, ma quello dopo mi ero già stufato.

Certo, Guido era più bello di me, più educato, più sensibile e più spensierato, ma non mi sarei arreso senza lottare. Per quel bel faccino questo e altro. Dovevo averlo ed ero disposto a tutto.

Lo beccai nei corridoi una mattina. Sembrava tutto trafelato, con in mano una decina di libri e quaderni e lo sguardo stanco ma concentrato. Era comunque soprappensiero, lo capivo dallo strato opaco che copriva le sue iridi color cielo.

Lo guardai intenerito, sentendo improvvisamente il peso della sua mancanza pressarmi sulle spalle. Per questo lo sbattei al muro con un solo gesto della mano; era la disperazione a guidare i miei movimenti.

"Mi stai evitando" affermai schiacciandolo contro la parete con il mio corpo. Il bisogno che avevo di sentirlo vicino era inspiegabile a parole.

I nostri nasi si sfioravano e il calore del suo viso scaldava anche il mio.

Tutto d'un tratto, la voglia di baciarlo diventò quasi irrefrenabile.

Il mio cuore batteva forte.

"Non ti sto evitando" esitò.

"Non dirmi balle, bimbo" mi finsi sicuro, in realtà l'idea che lui non volesse avere più niente a che fare con me mi distruggeva. "È successo qualcosa?"

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