Di quella giornata mi ricordo che fuori cadeva una strana pioggia ghiacciata che tecnicamente doveva essere nevischio, ma da come batteva forte sulle vetrate sembrava un'anomala grandine invernale.
Mi ricordo anche che giravo senza meta per l'accademia di danza con le palpebre pesanti e il naso che colava, minacciando il pianto.
A un certo punto avevo bloccato il mio vagabondare appoggiandomi al muro per concedermi un sospiro pesante, uno di quelli che si cacciano quando veramente sei arrivato al limite. Era passato un altro giorno straziante, altre 24 ore in balia della precarietà del mio rapporto con le persone.
Mi alternavo tra la ira dei miei genitori (ancora convinti che, se mi avessero promesso soldi, beni materiali e un lavoro assicurato nell'attività alberghiera della famiglia, io sarei tornato a casa ignorando due anni interi di persecuzione omofoba), e i brutti tiri di Alex, il mio ragazzo, che aveva il potere di prendere il mio cuore e decidere minuto per minuto se stritolarlo o se consentirgli di battere felice.
In realtà io mi ero chiuso in quella scuola per motivi ben più grandi del semplice amore per la danza. Mi piaceva ballare, forse era la mia passione più grande, ma finché non avevo iniziato a frequentare quelle lezioni importanti e ricercate di quella scuola non ne avrei mai fatto una professione; probabilmente avrei terminato i miei studi presso la scuola turistica e avrei un giorno ereditato l'hotel di mio padre, tenendomi i miei passi di hip hop per staccare la testa da un lavoro alienante. Tuttavia, col tempo, scoprii che potevo ricavare tante cose rimandando lì: un riparo sicuro, una via di fuga dai miei problemi e la possibilità di costruire un sogno che, pian piano, si stava facendo sempre più vero, più reale.
Se proprio volevo scappare dal mio destino dovevo farlo in un modo più che eccellente, e la danza era tutto ciò in cui ero bravo, tutto ciò che avevo.
Inclinai il collo per consentire all'aria di entrarmi più generosa nei polmoni, mentre cercavo in tutti i modi di placare un attacco di panico. La mano al petto per sgridare la pressione sanguigna per essere schizzata alle stelle.
Ero al limite e non sapevo per quanto altro tempo avrei sopportato tutta quella pressione che si abbatteva su di me con un'impetuosità degna di un fiume in piena. Il muro di fronte a me, intanto, si avvicinava minacciandomi di schiacciarmi; ma a me non importava. L'avrei fatta finita volentieri, in quel momento.
Ma poi la sentii, una dolce melodia arrivare da dei tasti bianchi e neri. Improvvisamente i miei occhi videro tutto nitido, come se niente fosse successo. Il mio respiro era tornato regolare e la testa non mi girava più e, addirittura, il muro si era fermato.
Le note, perfettamente collegate, perfettamente a tempo, perfettamente in armonia, arrivarono alle mie orecchie in modo soave, come se volessero prendermi e cullarmi, come se fossi un bebè sveglio per un brutto sogno.
Socchiusi gli occhi per bearmi di quella musica tranquilla. Penso che il mio corpo poi si mosse da solo.
Non avevo il pieno controllo dei miei movimenti, a un certo punto mi trovai a camminare a ritmo mentre i miei polpastrelli sfioravano il marmo freddo che ricopriva una parte delle pareti.
Dalla mia gola, intanto, usciva un leggero mugolio che canticchiava quella canzone famosissima che continuava a bearmi i timpani.
Fu un attimo che mi trovai a sbirciare dietro le tende dell'auditorium, dove un pianoforte a coda era stato piazzato per uno spettacolo degli studenti di classico.
Lo strumento era enorme, nero, lucido, e la forma a coda si ergeva maestosa sul palco.
Mi sporsi un pochino e notai una testa di folti capelli biondi muoversi appena, in balia di quella bella musica.
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Imbranato
FanfictionE scusami se rido Dall'imbarazzo cedo Ti guardo fisso e tremo All'idea di averti accanto E sentirmi tuo soltanto Sono qui che parlo emozionato E sono un imbranato. Piccolo disclaimer: questa storia tenderà a essere un tantino esplicita.