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Falkor e i due Cavalieri, sospinti da un'urgenza indefinibile, galoppavano a briglie sciolte, sentendo il terreno vibrare sotto gli zoccoli dei loro cavalli. Il suono della campana, cupo e insistente, sembrava provenire da ogni dove.

L'aria cominciò a farsi gelida, diffondendo il fruscio sonoro degli alberi che li circondavano. Non avevano mai visto niente di più disarmonico, i colori brillanti e vivi della natura si erano spenti tanto da sembrare morti. Il sole rifletteva sulle acque calme del piccolo ruscello ai loro piedi, e alle loro spalle si stendeva un manto candido di soffici tarassachi, pronti a spiccare il volo al primo soffio di vento. In lontananza si potevano ancora osservare, a pochi passi dal paese, i campi dei contadini, come un immenso libro aperto che sembrava tingersi di oro, mentre, con le loro tralci intrecciate, le vigne si estendevano fino a creare un tappeto verde punteggiato di gemme violacee.

Il Generale storse il naso. «C'è puzza di cadavere.»

Sir Kaelan si strinse sulle spalle. «In quella direzione sembra essere passato un carro» proferì, indicando i solchi lasciati dalle ruote sul terreno fangoso. «Ma si interrompono a metà tragitto» aggiunse.

Il Generale annuì serio. «Non riesco a comprendere tale leggerezza di giudizio. Sono davvero così sconsiderati da essere venuti fin qua? Come hanno fatto a non rendersi conto del rischio che correvano?»

Brom si guardò intorno con un'espressione malinconica. «Magari avevano solo sbagliato strada. O forse erano dei forestieri, non lo possiamo sapere.»

Falkor saltò giù dal cavallo, l'arco puntato in avanti. Avanzò con passo misurato lungo il sentiero, fino a raggiungere un punto sopraelevato che offriva una vista completa sulla vallata. «Ce ne sono altri» confermò.

Brom chiuse gli occhi e incitò il cavallo al trotto.

«Quanti sono?» Domandò Kaelan, non appena li raggiunse.

«Otto» rispose quasi immediatamente Falkor.

Kaelan allungò il capo per osservare i cadaveri ammassati. C'erano un uomo, due donne e i restanti erano tutti bambini. «Santo cielo, che puzza.»

L'assassino di Evander aveva abbandonato i corpi distesi lungo la gola del piccolo bosco. Falkor scese l'altura e, con il suo pugnale da taschino, scostò gli abiti per esaminare i corpi. La donna giaceva bocconi, una profonda ferita alla gola che ne interrompeva bruscamente il respiro. Accanto a lei, un'altra con gli occhi sgranati rivolti al cielo. Si chinò sul corpo senza vita di un ragazzo, scrutando attentamente le ferite. Due profonde incisioni, precise come tagli chirurgici, solcavano la sua carne. L'arma dell'assassino doveva essere affilata come un rasoio.

Improvvisamente, un lamento sommesso saltò fuori dalla bocca dell'uomo, un suono rauco e gutturale. Falkor si avvicinò cautamente, ma quando cercò di toccarlo, l'uomo era immobile, gli occhi spalancati nel vuoto, come se avesse visto qualcosa di indicibile. «Questo qui è ancora vivo, aiutatemi a portarlo su» comandò ai due, che si precipitarono e lo sollevarono di peso, i muscoli tesi sotto la cotta di maglia. Era più pesante del previsto, e i cavalieri ansimarono per lo sforzo mentre lo trascinavano lungo la stradicciola fangosa, le loro gambe sprofondando nel terreno molle.

Dai vestiti, logori e sporchi, si poteva dedurre che fosse un mezzadro. Nel taschino della sua camicia, appena sopra il petto, si intravedeva la guglia di un sigaro spento e il cordone arrugginito di un piccolo orologio frantumato. Il suo viso, coperto di terra e segnato da numerosi graffi, affermava le astrusità che aveva affrontato.

Falkor si chinò e chiese: «Chi vi ha fatto questo?»

Una delle sue mani strinse involontariamente la manica di Falkor. Sul palmo, il Generale sentì una strana protuberanza. Con delicatezza, gli spostò la mano e scoprì una piccola borsa di cuoio, nascosta sotto i vestiti.

FIGLIA DEL FUOCODove le storie prendono vita. Scoprilo ora