Capitolo 4

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Eirian

Non aveva acqua, cibo o compagnia al di fuori dei topi e degli scarafaggi che abitavano il seminterrato in cui la tenevano rinchiusa. Il freddo pungeva la sua pelle come una scossa elettrica, il tanfo di sangue, vomito e mussa era la cosa più ripugnate che avesse mai sperimentato, e il silenzio -oh, quello la stava uccidendo più della fame e della sete.

Ma la cosa peggiore era il dolore che le causavano le manette elettrificate. Se si fosse avvicinata troppo alla linea segnata in rosso sul pavimento una scossa ad alto voltaggio le avrebbe attraversato il corpo senza pietà, lasciandola stordita sul marmo gelido e sporco per ore. I primi giorni ci aveva provato, aveva tentato di sfidare il lancinante tremore alle ossa o il bruciore sulla pelle nel vano tentativo di liberarsi da quella prigione. Ma era stato tutto vano.

Ogni suo respiro prolungava inutilmente quella terribile sofferenza.

La lasciavano morire di fame e di sete per tenerla debole ormai da... Quanto era passato? Non poteva esserne certa, non quando i turni delle guardie erano complessi, fatti in modo che lei non potesse memorizzarli. Isolata dal mondo, dagli animali, dalla luce del sole e della luna, drogata per la maggior parte del tempo così che non potesse combattere, Eirian stava perdendo il senno. Certe volte vedeva...cose muoversi nelle ombre e sperava che qualcuno si materializzasse dalla nube di pece e cenere e la tirasse fuori da lì. Tuttavia, ogni volta che sbatteva gli occhi la visione svaniva come nebbia e lei si ritrovava sola. Non c'era nessun pirata in attesa tra le ombre. Non c'era nessun potere argenteo ed etereo che poteva salvarla. C'era solo miseria, tormento. Morte.

La morte sarebbe stata una benedizione. Era l'unica cosa che voleva nei momenti in cui le sembrava che il suo stesso stomaco cercasse di divorarla dall'interno, o quando il cuore minacciava di scoppiarle nel petto. Eppure, lui si ostinava a tenerla in vita. Forse gli piaceva vederla soffrire. Forse lo faceva perché piaceva al Re. Qualunque fosse il motivo, Eirian era spacciata.

Ogni tanto il principe tornava da lei, le chiedeva se avesse cambiato idea e volesse unirsi a lui nella rivendicazione del trono. E ogni volta, Eirian gli sputava le scarpe.

La prima volta che il principe le aveva proposto quell'alleanza, lei gli era scoppiata a ridere in faccia. Lui si era accigliato, l'aveva guardata come se fosse pazza. Forse lo era, se fosse stata sana avrebbe accettato senza farselo ripetere due volte, avrebbe colto l'occasione al volo e non se la sarebbe fatta scappare. Ma Eirian ne aveva passate tante, subite troppe, per accettare una nuova condizione di sottomissione. Non sarebbe mai tornata al tempo in chi chinava la testa e lasciava un uomo dirle cosa doveva fare, come doveva vivere e, soprattutto, quanto valeva la sua esistenza. Non poteva tornare indietro, non dopo aver assaporato la libertà e il potere. Non si sarebbe piegata al volere di nessuno, men che meno dell'uomo che la teneva in catene.

Ma ogni giorno diventava più difficile opporsi al volere di Dorian Thornton, soprattutto quando era lui ad avere il coltello dalla parte del manico. "Accetta, tesoro, cos'hai da perdere?" Le diceva per schernirla, per sottolineare che non aveva nulla se non la poca pelle che le rimaneva sulle ossa.

"La dignità." ringhiava lei prima di abbandonarsi a una serie di insulti che avrebbero fatto arrossire sua madre, che avrebbero fatto rivoltare le sue educatrici. Non le importava, non le importava più di niente.

Il principe si puliva dallo sputo con lentezza, quasi si stesse trattenendo dal soffocarla con le sue stesse mani. "Fai come vuoi, principessa, ma te ne pentirai." Dopodiché se ne andava, portando via con sé la luce e il profumo di civiltà, e lei sprofondava nella desolazione della sua cella una volta ancora.

"Voglio solo un po' di sole" borbottò Eirian, la gola secca a causa della disidratazione. Parlare era un'agonia ma non parlare era ancora peggio. Temeva che, se avesse taciuto per più di qualche giorno, non sarebbe più riuscita ad aprire bocca.

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