1. Hofer's College

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Henri Maire

La penna girava con eleganza e scaltrezza tra le mie dita magre, girava e girava su se stessa in modo ritmico, sgusciava tra l’indice e il medio con eleganza, presentava il mio unico svago di quell’ora interminabile. Ad ogni parola pronunciata con lentezza dal vecchio professore, la mia penna compiva un intera rotazione del mio gioco, portandomi così, nel giro di poco, ad una situazione di trance dove le mie dita si muovevano da sole. Mi disconnessi dal mondo anche quel giorno, i miei occhi non riuscivano più a mettere bene a fuoco anche sotto la mia volontà, poiché la stanchezza delle prime ore di quella giornata era più presente del solito. Non era una situazione nuova a me, mi succedeva spesso in quell’ultimo periodo: la stanchezza mi sormontava, era così forte da rendermi stanco pure dal provare un briciolo di emozione o la voglia di concludere una frase, cucinarmi un pasto, ero mosso solamente da un ansia generale... Ero scarico e la psicologa del collegio lo chiamava esaurimento emotivo.
La penna mi sfuggì dalle dita e cadde rumorosamente sul banco di legno, il suo suono chiassoso fece fermare la voce pedante del professore. Il suo interrompimento mi fece in qualche modo svegliare e mi tirai su con il busto dal banco velocemente, recuperando fra le mani la penna.
“Signorino Henri Maire. Se le mie lezioni vi annoiano, potete anche uscire.” Il tono irritabilmente sarcastico di quel vecchio fossile del professore prese, ovviamente, di mira me. La mia bocca non mosse un muscolo, semplicemente, ad occhi bassi e imbarazzato per l’interruzione causata alla lezione, mi rivolsi con un piccolo inchino verso il professore di inglese, il quale borbottò qualcosa di spiacevole su di me tra le sue labbra e mi lasciò tornare a dissociare, ora con il triplo dell’ansia iniziale.

“Dovresti stare più attento alle lezioni del professore Diallo, Maire. Già non gli stai simpatico, ma neppure ti sforzi per migliorare la situazione.”
“Si, grazie per l'ovvietà, Keller” sbuffai  ancora infastidito dalla scena che era accaduta durante la seconda ora di quella mattinata. Non era il miglior modo per iniziare le lezioni, non in quel periodo.
“A fine lezioni andrò a scusarmi a dovere, sennò quest'ansia mi logorerà vivo.” ammisi strofinando una mano chiusa in un pugno contro il petto, arricciando la stoffa marrone attorno alla mano, nella speranza di alleviare un minimo quella pressione che sembrava soffocare il battito del mio cuore.
“Addirittura? Ma lascialo perdere, sai che ha la memoria di un pesce. Domani si sarà già dimenticato di tutto.” mi ammonì velocemente il mio amico, infilandosi direttamente nella stanza della lezione successiva. Arrestai il passo appena fuori dall’aula facendo un respiro profondo, speravo davvero nelle sue parole, ma sarei andato a scusarmi ugualmente, o avrei solo che fatto incubi la notte.

L’”Hofer’s college”, di questo nome altolocato sicuramente ne avrete sentito parlare. A fine degli anni ottanta fu uno dei più prestigiosi college europei nato nel secondo dopoguerra, con la promessa di creare una nuova generazione consapevole del passato, che si sarebbe presa cura del futuro e del passato a noi rimasto. Poche pressioni, no?
Da un posto del genere sono usciti i più grandi scrittori, architetti, ingegneri e artisti che possiate immaginare. Che abbiano frequentato tutti loro un solo anno o i cinque anni di studio completo, carriera l’hanno fatta. Si presentava a tutti come la gloriosa scuola del futuro, divisa in due strutture principali per ovvi, stupidi, misogeni, motivi: nella struttura a nord il collegio femminile e a sud quello maschile. Entrambi i collegi sotto lo stesso nome erano dotati di un vasto campus, dove ogni corso aveva uno spazio ampio e un edificio a sua disposizione per teoria e pratica. Non mancava alcuna materia all’interno di quel piccolo universo e, per quanto affascinante potesse sembrare, all’interno era tutto banalmente normale.
La vita di noi studenti si svolgeva come ogni vita normale e quotidiana: Lezioni dalle nove di mattina fino all’una, una pausa per pranzo fino alle tre di pomeriggio e poi si riprendeva lezione fino alle sei di pomeriggio; l’ora di cena era alle diciannove e mezza spaccate, alle ventuno tempo libero a disposizione e a mezzanotte il coprifuoco. I trimestri erano pieni di corsi o, se non c'erano abbastanza lezioni da coprire tutte le ore di scuola, entravano in aiuto i vari club sportivi o intellettuali che fossero.
Bisogna sempre fare qualcosa, la vita all'interno dei college è, fin da sempre,rimasta scandita da tempi stretti.
Così stretti da farti sentire soffocato, fino ad ammazzarti. E “da morto puoi essere controllato meglio”. Questa era la linea di pensiero che girava fra gli studenti: se non sapevi stare al passo allora non eri predestinato ad un futuro glorioso.
Io come ero? Giusto sull’orlo del baratro. Nella media, pronto a mollare tutto poiché soffocato dalle lezioni teoriche, ma salvato all’ultimo dai laboratori.

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