22. Bormes les mimosas

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Il ristorante dove ci incontrammo coi Vianello era appena fuori dal centro di Bormes ed il pianerottolo rialzato dove si entrava, dava giusto quell’altitudine per ottenere un briciolo di vento in viso. L’aria della sera era ancora calda, soffiava in modo incostante tra i presenti, muovendo gonne e spostando capelli; rendeva quel luogo tranquillo e rilassato, trasportandola sua musica jazz lontana per le strade del paese. Mentre attendevamo di essere ricevuti da un cameriere mi lasciai trasportare dalla musica, riconoscendo il pezzo che stava suonando, iniziai a dondolarmi sui talloni canticchiando e lasciando ogni tanto il mio corpo appoggiarsi a quello di Henri, il quale mi guardava divertito godendosi la scena.
“Di che anni è? Anni venti?” mi chiese.
“Anni trenta!” corressi sorridendo e combattendo contro la mia voglia di trascinarlo a ballare con me in mezzo al piazzale. Henri sorrise annuendo alla risposta, poi fece tornare i suoi occhi sulle gonne delle signore di quella sera; il suo sguardo mi fece ricordare di come il suo interesse in classe di copia dal vero fosse di più per le gonne lunghe e spesse della professoressa Moser che per il modello di turno. Henri studiava il tessuto, le pieghe, il colore: era ammaliato dal loro movimento e, come mi riferì una volta, le trovava gli indumenti più graziosi mai esistiti.
Gli piaceva disegnare le curve, le movenze delicate; e poteva apparire strano, molto strano dato il suo aspetto contornato da linee spigolose e nette, non a caso si definiva lui stesso uno Schiele e probabilmente lo pensava in senso sgraziato ma per me era solo ottima dose di umanità. Henri aveva una forma umana, la più umana che io avessi visto poiché imperfetto in mille modi senza saperlo; non puntava alla perfezione perché sapeva di non poterla raggiungere e si consolava nel migliorare solo alcuni aspetti di sé.
A me aveva definito un Klimt una volta, ma preferivo essere uno Schile sgraziato ed umano a fianco a lui, tra mille altri, che un finto Klimt .
La mia mano non si trattenne e accarezzò la schiena del ragazzo un'ennesima volta facendolo sobbalzare, mi avvicinai al suo orecchio sotto lo sguardo di Nicolò che non ci mollava ormai da inizio sera.
“Emile?” chiese il biondo girandosi lievemente verso di me, abbastanza da non scontrarsi con le mie labbra.
“Sei uno Schiele magnifico” mi complimentai con tono dolce ed innamorato, sorridendogli traboccante di sentimenti verso di lui. Il mio commento lo confuse, Henri alzò gli occhi sorridenti sui miei con un luccichio di commozione verso quelle parole, sorrisi alle sue gote paonazze, invitandolo infine ad entrare nel ristorante, udendo il suo cognome essere chiamato dall’interno.
“Entriamo, mon amour?" porsi la mano ad Henri che non riuscì a trattenere un sorriso e mi seguì concedendomi di accompagnarlo all’interno.
“Che sottone” mi bisbigliò ridacchiando divertito il francese ed io risposi facendo spallucce.
“Geschmeichelt von dir…” ripetei con un sorriso sulle labbra che non voleva sparire quel giorno.
“Voi ragazzi sedetevi tutti assieme” Anna ci invitò a sederci a fine della tavolata con Nicolò e così facemmo non volendo fare alcun gesto sgarbato, prendemmo in silenzio il nostro posto uno affianco all’altro mente Nicolò era di fronte ad Henri.
Nel giro di poco ci fu servito un aperitivo nell’attesa di essere serviti; a quanto pare si era optato per il menù fisso, completo di tutto, compreso un ottimo vino di cui andavo pazzo.
“Allora Nicolò, cosa studi?” chiesi curioso di conoscere un po’ meglio il ragazzo. Nicolò non appariva ben voglioso di avere a che fare con me, ma mugugnò la sua risposta con una quasi costretta fierezza.
“Studi giuridici”
“Oh, interessante, sai in che ramo vuoi specializzarti?”
“Ci sono varie categorie che mi interessano, ma per me è ancora troppo presto per definire la strada da percorrere” compresi che la sua elegante risposta teneva ben nascosta la sua svogliatezza nel tema, probabilmente erano stati i suoi genitori ad obbligarlo in quel percorso.
“Onesto, è sempre troppo presto per alcune decisioni che ci vengono poste” finsi un splendido sorriso venendo poi salvato dalla cameriera. Ci furono riempiti i bicchieri con il vino scelto dalle famiglie e nel giro di una decina di minuti iniziò la cena.
Parlai poco quella sera, non trovavo niente di interessante da dire o da osservare nelle conversazioni altrui, anche in quelle di Henri; quella sera preferivo ammirarlo in silenzio, studiare il colore gentile che indossava, le pieghe che prendeva il tessuto sul suo corpo e il modo in cui accendeva il suo viso. Henri quella sera sembrava di buon umore, si gustava sotto il mio sguardo ogni pietanza servita, ogni goccia di rosè che veniva versato nei nostri calici ed io, in quel momento, potevo solo che esistere, limitarmi a respirare la sua persona che si perdeva nella sala luminosa di quella sera.
Anche Nicolò mi sorprese, dopo un paio di bicchieri di vino ed un po’ di cibo, il ragazzo si sciolse e parlò molto con Henri: continuarono discorsi vecchi che non avevano più potuto riprendere, di come fossero cambiati, si scambiavano aneddoti degli anni passati ed infine, tra un sorso e l’altro le labbra si acquistarono. In quegli istanti partivano i loro sguardi: gli occhi di Henri pieni di gioia per aver ritrovato un amico, quelli di Nicolò colmi di delusione per essersi lasciato sfuggire quel fiore di lavanda anni prima. Venni a sapere, limitandomi all’ascolto, che Nicolò sapeva ballare, amava cucinare ed era molto portato per le letture; al contrario odiava fare sport, il colore verde e preferiva la città alla campagna.
“Sembri te a inizio anno” ridacchiò divertito Henri per punzecchiarmi ed io mi lasciai sfuggire una risata.
“Grato di essersi evoluto allora, ad ognuno la propria vita” alzai leggermente il vino per accompagnare quel commento acerbo, finendo l’ultimo sorso del mio vino.

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