19. Bormes les mimosas

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Dopo aver finito di sistemare le sedie a terra e i tappeti al loro posto, io ed Henri ci concedemmo una piccola pausa meritata, tornando felici l’uno sulle labbra dell’altro, ignorando il caldo e i nostri corpi sudati dopo una mattina di pulizie in casa.
“Puzzo” mormorò Henri ridendo fra i miei baci, ma per me non era un problema, ero nelle sue identiche condizioni.
“Pure io, eppure mi stai baciando” mormorai divertito tra i nostri baci che continuavano a riempire il silenzio attorno a noi.
“Così mi fai cadere Emile” mi cercò di avvisare Henri prima di crollare con me sul divano, dove si trovò intrappolato tra il mio corpo e i cuscini arancioni del mobile.
“Ops..” risi soddisfatto senza interrompere le nostre smancerie. Quel giorno non riuscivo ad averne abbastanza di lui, ma il fato aveva altri piani per noi due alla fine: il mio telefono squillò affianco a noi, interrompendoci bruscamente ed entrambi lo guardammo contrariati.
“Guarda un po’ chi è!” esclamai voltando lo schermo del telefono verso Henri, mostrandogli il nome di sua madre ben illuminato.
"Perché chiama te?” chiese con tono offeso il ragazzo.
“Perchè sono il figlio preferito” feci la linguaccia accettando la chiamata, ricevendo da Henri un pugno nello stomaco che mi fece tossire.
“Che state facendo? La smettete di menarvi?” la voce di Elodie mi salutò così e risi dando la colpa ad Henri, il quale si lamentò mentre sua madre mi parlava.
“Stai zitto, cazzo!” gli esclamai in faccia facendolo ridere, perciò dovetti coprirgli la faccia con una mano per farlo tacere qualche minuto.
“Dimmi” invitai Elodie a dirmi il motivo per cui mi aveva chiamato interrompendo il mio amoreggiamento con suo figlio; aveva una specie di radar quella donna per noi due, inquietante. In sintesi mi chiese se per pranzo potevo raggiungerli che quel pomeriggio avevano bisogno di me in cantina e già che c’ero di portargli il pranzo.
“Porto anche vostro figlio o…”
“Oh be sì, se vuoi pranziamo assieme” mi rispose lei con tono divertito, sapendo che Henri la sentiva.
“Merci de te souvenir de moi, mère!” Esclamò Henri facendoci entrambi ridere, perciò la salutai confermandole che saremmo stati lì entro un'ora, ed infine chiusi la chiamata sotto l'espressione offesa del biondo.
“Nous continuait…” Sorrise furbamente Henri avvicinandosi alle mie labbra.
“La smetti di parlare in francese?” Chiesi soffiando una risata, sapendo che Henri era ben consapevole di come lo trovassi attraente quando lo faceva, anche se lo capivo poco o niente.
“Cos’è, ti eccita?” Rise lui ed io mi lasciai trascinare dalla sua risata spingendolo via.
“Sù, facciamo questi panini”
“Non sei divertente!” Mi urlò dietro Henri volendo ancora continuare con quel nostro gioco pericoloso, o almeno per me lo era, meglio se mi allontanavo da lui.
Preparammo quel dannato pranzo, lo sistemammo in un paio di contenitori ed infine dovemmo decidere come spostarci. Nessuno dei due aveva voglia di guidare quel giorno, tantomeno macchine a noi sconosciute; a piedi era un suicidio ed infine, dopo una lunga riflessione deciemmo di tentare la vita e la sorte sul motorino.
“Madonna, è da moltissimo che non ne guido uno” osservai il manubrio di quel brutto Ciao rosa slavato, probabilmente aveva più anni di noi due messi assieme.
“Non dire così, che già è illegale andare in due” Henri si sedette dietro il sellino dopo aver sistemato al meglio lo zaino sulle sue spalle.
“Hai le gambe sedute?” chiese Henri appena si accomodò al suo posto ed io scoppiai a ridere guardandolo, divertito dalla sua domanda.
“Cosa?” Henri alla realizzazione del suo errore scoppiò a ridere di gusto, ma avevo intuito cosa volesse chiedermi.
"Comunque si, ho le gambe che ci stanno sedute” risposi ridendo ed iniziando ad avere le lacrime agli occhi. Così, dopo un paio di spinte, riuscii a far partire quel macinino rosa ancora tra le risate del minore.
“Siamo anche senza casco” fece notare Henri abbracciandomi la vita, il suo viso si appoggiava ogni tanto alla mia schiena, godendosi in quel modo il paesaggio che sfrecciava ad una moderata velocità al nostro fianco.
“Siamo totalmente illegali, lo sai?"
“Due gay su un Ciao rosa, senza casco o patenti appresso. Suona bene, potrebbe essere un'ottima storia” soffiai una risata ed ascoltai le sue chiacchiere infinite finché non arrivammo alla cantina.
“Hai dei capelli osceni” mi fece notare Henri avvicinandosi ad arruffarmeli per dargli un minimo di compostezza.
“Non mi dire, mi sono preso mezza natura in faccia guidando" Henri rise non riuscendo a combinare nulla con i miei capelli, perciò alla fine li legai alla meno peggio ed entrai in cantina a cercare con lui i suoi genitori.
“Oh, ecco qua i nostri fattorini!” Ci accolse Elodie correndo a prendere il pranzo.
“Come siete arrivatI?” chiese Alfred sedendosi al tavolo con un sorriso.
“Col Ciao del nonno.” rispose Henri.
“In due?”
“Sì, perché?"
“Non si fa ragazzi!” Ovviamente i suoi genitori ci ripresero ma non potevamo prenderli sul serio, soprattutto dopo ciò che aggiunse Henri.
“Ma per favore! Papà ti portava ovunque con quel catorcio, non fateci storie” sbuffò il biondo sedendosi sulla sedia dietro di me, rubandomi da sotto il naso il posto. Pensai intensamente di sedermi sulle sue gambe per ripicca, ma forse in quel momento non era il luogo ideale, perciò dopo aver girato gli occhi all’aria, mi sedetti affianco a lui prendendo una ciotola.
Avevamo diviso il riso freddo di quel giorno in due ciotole, una per Elodie ed Alfred ed una per me ed Henri, ma fu uno sbaglio: io e lui passammo più tempo a litigare per le cipolline e i pezzi di formaggio che a mangiare seriamente, finendo più volte a fare delle piccole battaglie con le forchette interrotte solamente da Elodie che ci richiamava con tono serio, facendoci morire il gioco.
“Non avrei mai pensato di ritrovarmi con un terzo figlio” alla sua esclamazione sospirata scoppiai a ridere, sentendomi il cuore riempito di gioia nel sentire quella frase, nell'essere considerato di famiglia finalmente.
“Capita” risposi alzando le spalle a bocca piena, dopo aver vinto una cipollina contro Henri che mi guardava come se stesse pianificando la mia morte. Quella piacevole e veloce pausa pranzo finì in fretta, Henri prese con sé il Ciao e tornò a casa da solo, non volendo restare anche lui incastrato in cantina a lavorare per qualche strano motivo. Un po’ lo invidiavo: anche io avrei preferito fuggire con lui piuttosto che restare lì, ma per il resto del pomeriggio mi tenni la testa occupata da ciò che mi chiedevano, riservandomi da parte Henri per quella sera; dovevo ammettere che l'idea mi elettrizzava un po’.

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