15. Bormes les mimosas

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Le giornate di maltempo smisero in fretta, tornò il sole tranquillamente a riscaldare quel piccolo pezzo di paradiso che ormai sentivo come mio. Avevo una bella routine la mattina: mi svegliavo, correvo in bagno e dopo una doccia fresca andavo a svegliare Henri che ancora dormiva totalmente nascosto sotto le sue lenzuola verdi. Mentre lui si svegliava scendevo a preparare la colazione per entrambi ed alcune volte potevo godere un po’ della compagnia dei signori Maire. Infine, in una dozzina di minuti da solo potevo pensare a cosa fare quel giorno. Non sempre avevo una lista di cose da fare, alcune volte mi sdraiavo in giardino a giocare con i gatti o continuare le mie letture. Dovevo ammettere che i miei interessi si erano allargati in quell’ultimo mese: ogni tanto capitava che Henri mi desse degli esercizi di francese per memorizzare qualche parola, altre invece finivo per leggere libri suoi, a studiare la botanica di quel luogo o solo a leggere vecchi romanzi sconosciuti.
Un giorno in particolare però ebbi un piccolo cambiamento di quella routine. Scendendo verso la cucina vidi Henri già in piedi che stava attendendo l’acqua per il mio tè.
“Evento più che raro vederti già in piedi.” lo salutai divertito.
“O magari sei te ad aver dormito troppo, no?”
“Non credo”
“Ah, no?” negai con il capo lanciando un'occhiata all’orologio da parete e vidi che l’ora di pranzo era prossima.
“Forse…” alzai le spalle soffiando una risata ed avvicinandomi al pentolino rovente.
“Mi stavi facendo il tè?” chiesi sorridendo dolcemente per quel gesto adorabile, Henri si limitò ad alzare le spalle ed a passarmi una bustina di tè. Riconobbi velocemente la busta gialla, un colore che era fino a quel momento mancato nella loro credenza.
“..Grazie” mormorai felicemente stupito da quel suo gesto, prendendo la bustina di Earl Gray fra le dita.
“Oggi i miei amici mi hanno invitato in spiaggia, vieni anche te?” al suo invito storsi il naso, me lo stava davvero chiedendo?
“Mi chiedi davvero di venire in un posto che detesto con gente a cui non vado minimamente a genio?” chiesi ironico sentendo cosa avesse da dire per difendersi.
“Beh, ma ci sono io” argomentò sorridendo amorevolmente.
Fui colpito e affondato.
Lasciai andare un sospiro, non risposi a parole poiché decisi di andare in giardino a consumare la mia colazione quella mattina, ma mentre uscivo dalla veranda potei sentire Henri ridacchiare e ringraziarmi per quel piccolo favore che mi era stato imposto di fare.
Per le due di pomeriggio ci preparammo entrambi, e quando fummo pronti ad uscire di casa la mia fortuna si presentò: il cielo sereno della mattina fu velocemente invaso da nuvoloni neri e la pioggia si presentò dinanzi a noi con una certa violenza.
“Non sorridere.” mi schernì Henri senza neppure guardarmi, ma non potei che lasciarmi sfuggire un’espressione sollevata e compiaciuta.
“Oh, ma che disgrazia” sospirai con una voce tutt’altro che dispiaciuta, gesto che mi procurò un pugnetto di Henri sul petto.
“Eddai, meglio così no? Io non avevo voglia e..”
“Ma io si” alzai un sopracciglio sempre più sorpreso di come Henri potesse davvero passare del tempo di qualità con quelle persone e quel giorno sembrava aver bisogno di una distrazione dalla routine quotidiana più del dovuto, tanto che la sua espressione delusa era visibile sul suo viso.
“Ok, ok. Se vuoi far qualcosa che ne dici se andiamo a quel cinema di cui parlavi? Volevi vedere un film no? Approfittiamone" proposi la mia idea alternativa ad un pomeriggio di noia in casa, ed Henri ne sembrò interessato.
“Ti va?” annuii sorridendo convinto, anche perchè sennò non glielo avrei mai proposto per primo.
“Ma certo, aspettiamo che l'acqua si tranquillizzi un po’ e poi possiamo partire.” E così fu.
Nel giro di un'ora la pioggia si chetò, gocciolando solamente ogni tanto ma nulla di fastidioso, anzi, il cielo sembrò iniziare ad aprirsi lentamente sopra di noi man mano che ci avvicinammo a Bormes.
Il paesaggio attorno a noi era dominato da un silenzio assordante: si potevano udire solamente in nostri passi, il respiro di ognuno e le gocce che scorrevano lungo le foglie, i fili d’erba, quelle che si lanciavano dalle nuvole per atterrare perfettamente sui nostri visi; che si abbandonavano nel vuoto solo per accarezzare i lineamenti di Henri a mia insaputa.
Anche Bormes, avvolta in quel velo di grigio e bagnato, sembrava essere rimasta intrappolata in qualche sorta di magia; là dove il rumore era causato solo dallo spostamento d’acqua, interrotto dai passi maldestri miei e di Henri che entravano nella pozzanghere per schizzarsi l'un con l’altro. Mi sembrò tutto così irreale, così perfetto e fu una sensazione piacevole da provare.
Il teatro di cui mi aveva parlato Henri era uno dei quei vecchi posti dove c'erano giusto una decina di file di poltrone in velluto rosso disposte una dietro l’altra, il piccolo palco dava spazio ad un telo bianco, su cui venivano proiettati i film. Comprammo il biglietto di quel piccolo posto e finalmente ci potemmo accomodare: Henri scelse le poltrone centrali di tutta la sala, nella quale eravamo giusto noi due ed un paio di persone sparse agli opposti.
Non so che film fosse, ma per fortuna era in inglese, non che me ne importasse ovviamente, poiché durante tutto il filmato rimasi con l’attenzione rivolta verso Henri. I cinema e teatri per me erano quei piccoli luoghi magici dove si potevano studiare le persone nell’ombra, osservarle in viso e ammirare espressioni che quotidianamente venivano a mancare a causa della poca pressione emotiva a cui eravamo sottoposti; o meglio: le situazioni che ci accadevano erano sempre le solite, monotone, tant'è che dopo un po’ si impara a controllare il viso e a non far trasparire le emozioni e i nostri pensieri. Sfruttai quelle due ore per osservare Henri, studiare come arricciava le dita in momenti di ansia, come sorrideva nell’imbarazzo condiviso coi personaggi; ammiravo come si sistemava all'indietro i capelli umidi, come accavallava le gambe, si sporgeva verso di me per parlarmi, per accarezzarmi anche per sbaglio la mano, il ginocchio. Invidiavo la luce tagliente dello schermo che si modellava perfettamente sul suo viso, tirando fuori il verde dei suoi occhi troppo spesso abbassati o scuri.
Ogni volta che scoprivo qualcosa di nuovo su quel ragazzo ne rimanevo ammaliato, i miei sentimenti si ampliavano sempre un pochino di più. Era così da mesi ormai ed ero arrivato ad un livello incontrollabile, il mio corpo e cuore non lo sostenevano più, non riuscivano a stare al passo della mia mente timida che mi chiedeva di attendere, di stare ad aspettare una sua mossa ovvia; ma in tutta onestà ne avevo avute molte, alcune ovvie, altre meno. Ed erano i tè, i disegni, la mia camicia, le sue ansie, i suoi gesti avventati a maltrattarmi per imbarazzo, lo erano i suoi occhi, il suo rossore, la sua andatura dondolante, i suoi sospiri; erano troppe cose da processare, da memorizzare, eppure volevo impararle tutte.
Mi costringevo a mantenere il viso girato verso lo schermo, ma gli occhi cercavano di intravedere ogni sua espressione o gesto, ero curioso e bisognoso di Henri.
Ed infine il mio corpo cedette, la mia mano si aprì tremolante sotto quella di Henri, lasciando scivolare le mie dita fra le sue, risentendo quel tepore che avevo potuto scoprire solamente durante il ballo. Guardavo con ansia la mia mano di sfuggita, incuriosito da cosa io stessi facendo.
La mano di Henri rimase ferma, come ghiacciata per pochi secondi, ammorbidendosi attorno alla mia poco dopo.
Mi dovetti mordere le labbra per non lasciare uscire un sorriso soddisfatto in modo così plateale. Semplicemente affondai nel sedile nascondendo il viso nella mano libera, lasciando nascere lì in segreto la mia soddisfazione, mentre ammiravo le nostre due mani intrecciate.

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