18. Bormes les mimosas

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Dopo pranzo entrambi ci stendemmo all’ombra dell’albero nel cortile, entrambi sull’amaca, incastrati in un modo che solo noi capivamo, con tanto di gatto fra noi. Matisse si mise a sonnecchiare sulle nostre gambe mentre noi due restammo a goderci l’arietta fresca di quel giorno di sole.
"Quali altre doti segrete hai che non mi hai detto?” chiese ad una certa Henri ridendo, ed io sorrisi per la sua frecciatina.
“So suonare il pianoforte" mossi le dita nel vuoto fra noi sorridendo, era uno strumento che avevo imparato da giovane, ma che non avevo più toccato in molti anni.
“Ah si? Hai mani da pianista effettivamente” La mano di Henri raggiunse la mia, lasciando incontrare i nostri polpastrelli l’un con l 'altro sotto la luce calda, coperti da qualche foglia  ondulante del ciliegio sopra di noi.
“Dopo mi suoni qualcosa?” soffiai una risata sapendo che me l'avrebbe chiesto ed annuii non volendo stare a discutere con lui quel giorno.
“Te? Che altre doti hai?”
“Non ho nient’altro oltre il disegno,”
“Non ci credo”
“No, davvero” rise senza spostare la mano dalla mia, lasciando le nostre dita ad accarezzarsi in privato.
“Non so, sei bravo in qualche sport? Sai suonare? Cantare? Fotografare?” Henri negò tutto ridacchiando ed io sospirai sconfitto.
“Allora hai tutto il talento concentrato nella pittura” mi complimentai sorridendogli e lui arrossì come mi piaceva tanto.
“Non dipingi altro oltre i paesaggi?”
“Oh, sì. In taverna ho il mio piccolo studio”
“Avete una taverna?”
“Sì, sai quella porta a destra delle scale? Li ci sono le scale per scendere”
“Ah davvero?” chiesi sorpreso ed Henri rise per la mia sorpresa annuendo.
“E cosa dipingi?”
“Segreto” arricciai le labbra quella sua risposta, punzecchiandogli il fianco, ma lui mi intimò di stare fermo o Matisse se ne sarebbe andato.
“Hai ragione, scusami Matisse” mormorai al gatto accarezzandogli il capo dolcemente.
“Quindi?” Henri alzò le spalle non volendo ancora rispondere totalmente alla mia domanda.
“Dipingo quello che non riesco a fare al collegio”
“Cioè tutto”
“Ti butto a terra” risi alla sua minaccia stringendo a me la sua mano per scusarmi.
“Me lo mostrerai un giorno?”
"Forse…" rispose in modo sospeso il biondo tornando tranquillo sull’amaca. Con il piede toccavo l’erba, il fresco del verde mi scorreva sotto le dita con cui ogni tanto ci davo una lieve spinta per dondolare. Il silenzio tornò fra noi, lasciandoci riposare per un paio di ore, dove mi addormentai. Quando mi svegliai fu per un movimento di Matisse, il gatto decise di scendere da lì, lasciando me ed Henri appisolati; anzi, il biondo stava ancora dormendo beatamente dall’altra parte dell’amaca, con i soliti ciuffi biondi che gli andavano sopra il viso a nascondere le sue lentiggini. Mi alzai con il busto lentamente, cercando di non sbilanciarci troppo e delicatamente gli spostai i capelli. Mi permisi di studiare ancora il suo viso per quei piccoli istanti che avevo nel vederlo addormentato, ma come pensai bastò una mosca troppo vicina al suo orecchio per fargli aprire gli occhi e mi vide subito: le guance gli si tinsero di rosso all’istante assieme alle orecchie, mentre si stropicciava gli occhi mettendosi seduto.
"è inquietante se mi fissi mentre dormo.”
“Avevi un insetto sul viso” mi inventai ridacchiando nel vederlo con il viso così disteso, anche nel sonno aveva mantenuto un’espressione serena e rilassata.
“E poi…” spostai con le dita le ennesime ciocche dietro il suo orecchio sorridendo.
“Se non ti osservassi in viso perderei tutta una parte di te" dissi a voce bassa fra noi due, ritrovandomi vicino al suo volto incantevole.
“Non lo pensi anche te?” chiesi restando vicino a lui, volendogli di nuovo sorridere sulle labbra come il giorno precedente. Henri annuì accennando un sorriso imbarazzato, comprendendo meglio di me quale fosse l’importanza di certi dettagli.
“Cosa ti piace?” chiese sussurrando avendo ancora il viso sulla mia mano, riferendosi quindi ad esso.
“Le tue centodiciassette lentiggini” scherzai in un sussurro facendolo ridere.
“Oh, le hai pure contate?"
“Ma certo” risposi sarcastico alla sua domanda ironica.
“E a te cosa ti piace di me?” chiesi curioso, rivolgendo ora a lui quella domanda imbarazzante. Henri ci mise qualche secondo a pensare, i suoi occhi scorsero su tutto il mio viso.
“Non lo so”
“Non lo sai?”
“Non lo so…" Ripeté sorridendo imbarazzato e la trovai una risposta dannatamente romantica.
“Mi piace il tuo naso” mormorò poi passando l’indice delicatamente sulla figura gobba del naso e sorrisi imbarazzato, essendo il primo ad avermelo detto.
“Ah si? E poi?”
“Le ciglia, ce le hai more, non bionde come le mie”
“Vero”
“Mi piacciono le piccole cicatrici dell’acne” passò il polpastrello sulle piccole fosse sparse per il viso e ad ogni suo respiro vicino al mio, mi sentivo sempre più innamorato.
“Le tue labbra, anche se sono screpolate” sentii il suo calore scendere su di esse e poco dopo solo il suo dito ci stava dividendo da un bacio serio. Abbassai la sua mano in modo che non ci fossero ostacoli tra noi due, in modo che sentisse le mie labbra ferite sulle sue fini.
“Sanno di bergamotto” mormorò con una voce leggermente tremante sulle mie labbra, tornando poi a baciarmi più seriamente di prima. Sentii il cuore fermarsi per quegli istanti, in cui fui totalmente guidato dal mio stomaco sottosopra; la mia mente annebbiata non capiva nulla ma non importava, era una situazione gradevole. Era piacevole baciare Henri sotto il sole, con l’afa pomeridiana che non faceva altro che farci sudare senza un vero motivo, accompagnati solo dall’aria fresca che ogni tanto cercava di intrufolarsi fra noi per dividerci; forse gelosa del nostro giovane amore, mi piaceva pensarla così.
Fummo senza fiato ad una certa e ci dovemmo dividere per respirare la densa aria del pomeriggio. Avrei giurato che chiunque fosse uscito in quel momento da quella casa, o qualunque essere vivente ci avesse interrotto in quell'istante, sarebbe finito nella mia lista nera. Ma ironicamente fu proprio Henri ad interrompere quel momento.
“Che faccia seria che hai” rise sulle mie labbra ed io arrossii iniziando a sentire la testa girare, non so se fosse per lui o per il caldo, probabilmente entrambi.
Henri afferrò la mia mano alzandosi agilmente dall’amaca ed io la trattenni lasciandomi guidare fin dentro casa.
“Meglio stare all’ombra prima che ci prendiamo un colpo di caldo.” Non lo stavo propriamente ascoltando, mi lasciavo giusto guidare per mano dal minore per tutta la casa, ancora sconvolto che fosse stato lui a baciarmi, a ricercare quella vicinanza a me.
“Emile? Tutto ok?” chiese Henri vedendomi assente. Tornai a prestare veramente attenzione solamente quando mi ritrovai davanti al viso un gelato e mi lasciai sfuggire una risata afferrandolo.
“Si, grazie” mormorai, avendo bisogno di qualcosa di fresco. Quel ragazzo mi faceva ammattire con il minimo indispensabile.
“Sono felice di vederti stare bene oggi, onestamente ero molto preoccupato." Passai qualche minuto buono a pensare a cosa dirgli, mentre Henri mangiava impegnato il suo gelato sotto il mio sguardo. A quelle parole il ragazzo mi rivolse uno sguardo sorridente, con la bocca tutta sporca di cioccolato, lo trovai adorabile e da proteggere. 
“Anche io pensavo di stare peggio oggi, ma durante la passeggiata di questa mattina ci ho pensato molto ed ho realizzato che io non mi dispiaccio.” Henri si sedette sulla penisola della cucina, mi voltai verso di lui incuriosito da cosa volesse dire.
“In che senso?” chiesi confuso.
“Sai, io non mi sono mai fatto seri problemi sul mio aspetto; certo, ci sono quei dettagli che mi irritano ma tutti li hanno. Nel complesso non mi dispiaccio, non ci sto neppure male… sono solo le altre persone che mi fanno dubitare, credere di essere sbagliato e sgradevole.” Il suo tono si abbassò ma cercò comunque di sorridere.
“E come hai detto te, quelle persone erano nessuno per dirmi quelle cose, come tutti gli altri. Mi sono sempre amato, ma mi sono lasciato confondere da persone irrilevanti ed ho sbagliato. Ora voglio davvero smetterla, ne sono stufo. Non ho mai avuto l’intenzione di stare male e sicuramente non punto ad un futuro di questo genere. Ho la mia famiglia, te, che mi volete bene e anche io me ne voglio, perciò… ho deciso di ascoltare solo me stesso.” Henri concluse quel piccolo monologo imboccando una cucchiaiata di gelato e non potei che sorridere fiero di lui. Era una persona intelligente ed equilibrata, lo avevo sempre saputo ma vederlo perso in quel modo mi aveva preoccupato molto.
"Ne sono felice” mormorai guardando il ragazzo dolcemente, allungando una mano per accarezzare dolcemente la sua, aggrappata, per l’ansia di quelle parole pensate, ai suoi pantaloni.
“E poi mio padre ha detto una cosa vera ieri, ossia che la vita è troppo breve per non godersi i suoi sapori. Ha ragione, è una frase vera, su molti fronti” Henri non alzò più lo sguardo ma intravisi un suo piccolo sorriso nascergli sulle labbra, mentre la sua mano si rilassava sotto la mia, intrecciando le nostre dita assieme.
“Qualunque cosa possiamo fare per aiutarti al meglio te diccela, ok? Qua tutti ti vogliono aiutare” Glielo dissi a cuore aperto, da parte di tutti quanti.
“Lo so, grazie” Henri mi sorrise dolcemente, il suo sguardo triste però stonava; trapelava di preoccupazione e paura di non riuscire a mantenere quella promessa che si era fatto. Aveva paura di stare meglio e purtroppo conoscevo la sensazione.

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