11. Bormes les mimosas

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Mi ci volle poco meno di una settimana per ambientarmi in quella casa, le strade principali che mi servivano per spostarmi le imparai in fretta e fu quasi un bene che iniziai a prendere familiarità con il posto, con i genitori di Henri, gente adorabile, e con il mio nuovo tempo libero. Henri amava molto dipingere all’aperto e sicuramente non volevo impedirgli di farlo, perciò, dopo poco iniziammo a passare qualche ora delle nostre giornate divisi. Essere un freno in quella casa, poiché ospite, per me divenne un pensiero fisso, non volevo che nessuno pensasse ciò e per fortuna, l’accoglienza che le persone del posto mi riservarono, rese facile quella piccola quotidianità che avevo conquistato.

“Torni alle scogliere oggi?” chiesi vedendo Henri già in piedi quella mattina: il suo sguardo assonnato faceva intuire che si era svegliato da neppure una decina di minuti, eppure era già in cucina con la tazza di latte davanti e la bocca piena di torta.
“Mphi, merfè?” mi parlò tentando di non far cadere la crostata ovunque.
“Tua madre mi ha detto di ricordarti di andare a trovare tua nonna oggi.” mi sedetti al tavolo di fronte ad Henri con un libro che stavo leggendo distrattamente, onestamente non era affatto interessante, ma era un compito estivo che dovevo portare a termine.
Henri al mio promemoria annuì solamente, ancora troppo assonnato per processare ciò che gli avevo detto.
“Hai dormito questa notte?”
“Non molto bene” borbottò il biondo stropicciandosi gli occhi.
“Ho sognato così tanto che non sono riuscito a riposarmi”
“Lo vedo” sul viso di Henri le occhiaie ci mettevano veramente poco ad apparire, dandogli un aspetto ancora più debole e malato di quanto fosse in realtà.
“Dove abita tua nonna? Ti accompagno se vuoi”
“Giù al mare, dobbiamo scendere da dietro la fattoria” alla sua notizia mi sentii eccitato: sarebbe stata la prima volta di quei miei giorni lì che sarei sceso al mare, ero stato curioso fin dal primo giorno di quelle stradine di cui mi aveva parlato.
“Ci andiamo questo pomeriggio? O vuoi andare ora?” Henri negò con il capo, spiegandomi di come il sole battesse dalle undici fino a metà pomeriggio e di quanto non fosse conveniente uscire.
“Perciò vai a dipingere?”
“Certo che sì" il ragazzo si alzò dal proprio posto spostandosi verso la cucina, rimasi un po’ interdetto, per quanto non volessi essere il primo a dar fastidio, Henri ormai passava più tempo a dipingere le scogliere che a far altro, almeno quel giorno mi diede noia.
“Posso venire anche io?”
“No”
“Perchè no?” chiesi stupito del suo rifiuto secco. Stavo ancora guardando le sue spalle mentre lavava la tazza nel secchiaio.
“Perchè mi distrai” rispose con tono dolce e divertito, dettaglio che fece sfuggire anche a me un'espressione di compiacimento.
“Giuro che me ne starò tranquillo, devo anche finire questo libro noiso”
"Giuri?"
“Giuro.”
“D’accordo” e così detto ci preparammo entrambi. Aiutai Henri a portare il necessario e camminammo di nuovo sulla lunga strada di ghiaia. Quel giorno particolarmente caldo rendeva il paesaggio in lontananza instabile, il calore che si sollevava dalla strada faceva tremare leggermente le montagne di sfondo, il mare e l’erba, qualunque cosa ci passasse attraverso era resa instabile dal calore della terra, quasi fosse asfalto. Apparivo forse anche io così instabile se visto attraverso i miei sentimenti? Durante le settimane di separazione da Henri avevo potuto pensare a molte cose; mi ero ritrovato a pensare fin troppo spesso al ragazzo, ai momenti passati assieme, a fantasticare sul futuro e poi mi mancava. Avevo riflettuto molto su cosa fosse la sua presenza per me e mi ero reso conto di come, prima di conoscerlo, non fossi mai stato triste, ero solo stato governato dalla solitudine. Eppure Henri era entrato in un modo tutto suo nella mia vita, si era avvicinato in silenzio e sistemato al mio fianco, mi aveva fatto capire come, prima di conoscerlo, mi fosse sempre mancata metà della mia persona.
Quel giorno vidi la sua figura anch'essa instabile, avvolta dal calore della terra, dove si incastrava perfettamente. Io invece mi accomodai sotto l’ombra di un vecchio albero a poca distanza da Henri. Cercai davvero di non disturbarlo, cercai di godermi la sua silenziosa compagnia come facevamo nel bar, ma, non sentendo più certi limiti del collegio, il mio corpo continuava a chiedermi di raggiungerlo, di abbracciarlo, sfiorargli il viso, sistemargli i capelli, pulirgli la guancia dal colore; qualunque gesto purché fosse di contatto con lui.
E mi mise a disagio quella richiesta disperata che il mio corpo continuava a farmi, ero in difficoltà e la mia testa non riusciva a concentrarsi sul libro sapendo che a pochi metri c’era lui. La disperata richiesta ebbe la meglio però e, stanco di lottare contro me stesso, ad una certa mi alzai raggiungendo il ragazzo ed il suo cavalletto.
“Come sta uscendo?” domandai chinandomi in avanti per appoggiare il mento sul capo dell’artista.
“Non lo so, i paesaggi mi riescono difficili.” lo disse con un tono sconsolato, mentre attendeva un giudizio probabilmente da me, ma l’unica cosa che riuscii a pensare fu a come i colori fossero giusto abbozzati. In silenzio cercai di frugare con lo sguardo tra i fogli sparsi a terra, attaccati con lo scotch al cavalletto per trovare cosa esattamente? I miei ritratti, ecco cosa. Incastrati sotto una gamba del cavalletto c’era una pila di fogli in cui ero ritratto io, piccoli disegni veloci di me seduto sotto l’albero, del mio viso assorto nel nulla. Perciò Henri mi aveva visto distratto e aveva fatto la medesima cosa anche lui.
“Volevo esercitarmi di più prima di pranzo oggi” mormorò intuendo perchè mi ero avvicinato a lui, difatti allungai una mano per consegnargli il panino.
“Beh, di sicuro lo hai fatto” dissi chinandomi a prendere i disegni da terra, quel gesto fece arrossire il viso di Henri in un decimo di secondo.
"Perché ti imbarazzi? Non è la prima volta che mi disegni”
“Non sono imbarazzato, è il sole che mi ha arrossito il viso” schernì lui abbassandosi meglio la visiera del cappello sul viso, mentre io dovetti trattenere un sorriso.
“Allora vieni a riposare all’ombra” presi la sua mano delicatamente per alzarlo dallo sgabello e trascinarlo sotto l’albero. Il caldo di quel giorno, sulle scogliere, era più sopportabile grazie al vento, lo stesso che faceva ondulare ritmicamente la chioma dell’albero sotto cui ci riposammo.
C’era una forte differenza nello stare da solo con lui in collegio e lì, in aperta campagna. Cambiava la solitudine totale che ora ci circondava, la distanza da un struttura così rigida, cambiava Henri, cambiavo io, tutto non era più lo stesso e lo percepivamo entrambi. Potevamo comportarci in modo rigido ed imbranato, come stavamo facendo, oppure tranquillizzarci e lasciarci andare tranquillamente con parole e azioni.
Capii durante il pranzo che forse ero io il primo a dover restare rilassato, Henri agiva sempre di conseguenza, soprattutto quando era con me: diventava ansioso e vigile appena io mi irrigidivo, qualunque fosse il vero motivo. Mi voltai a guardare il ragazzo con la bocca strabordante del panino al prosciutto, era veramente scomposto a mangiare quel ragazzo, lui però non se ne rendeva conto e si limitava a guardarmi confuso, pronto a parlarmi, ma lo fermai in tempo dicendogli prima di finire di mangiare.
“Sei veramente uno spettacolo orrendo” commentai osservandolo mangiare tutto scomposto, e non mi trattenni dal pulirgli il viso con un fazzoletto, ormai aveva le briciole fino sopra i capelli.
“Puoi anche non guardarmi” schernì lui, ma da me ricevette solo che un sospiro ed infine un colpetto sul fianco che lo fece inclinare con una leggera risata.
“Soffri il solletico, Maire?” chiesi soffiando una risata al verso che gli era sfuggito appena dopo il mio pizzicotto, Henri negò con il capo cercando di far finta di nulla, ma divertito io ripresi ad infastidirlo in quel modo, andandogli a punzecchiare la fascia della pancia. Non mi ero mai accorto di quanto fosse sensibile al solletico Henri: scoprii che lo soffriva molto sui fianchi, sul collo e sulle ginocchia. Finimmo in quel modo, durante quella mia invasione, ad avere una sorta di lotta: io a torturare il biondo e lui a cercare di difendersi da me, ma la sua forza era completamente innocua. Onestamente, per quanto ci stessimo divertendo al momento come due bambini, la scena vista da fuori sarebbe apparsa come una lotta fra due insetti stecco probabilmente.
Ma oltre a noi ed a qualche gabbiano non c’era nessuno, perciò potevamo permetterci qualche risata sguaiata a tono alto.
“Smettilaa!!” continuava a ripetere Henri con le lacrime agli occhi.
"Perché dovrei? Meglio questo che vederti mangiare male!”
“Mi hai già fatto cadere il panino, ormai non posso più mangiare” rispose lui asciugandosi le lacrime appena io mi fermai. Guardai a fianco a noi e vidi quel quarto di panino avanzato ormai distrutto sul telo da spiaggia su cui eravamo stesi. Guardai Henri dispiaciuto, mentre lui se la stava ancora ridendo, lì sdraiato appena sotto di me.
“Scusa..” mormorai dispiaciuto, ma il biondo si sollevò con il busto facendomi il gesto di lasciar perdere.
“Ho già mangiato a sufficienza." Ma la sua risposta non mi migliorò il senso di colpa, perciò andai a spezzare un pezzo del mio panino e glielo porsi.
“Emile, ho detto che sono a posto così, tranquillo mangia pure” ma non ero un tipo che accettava i rifiuti e perciò, senza dire altro, gli misi il pezzo di pane in bocca poco prima che finisse di parlare. Henri mi rivolse un'occhiata infastidita, corrugando leggermente le sue sopracciglia, ma io sorrisi solo che soddisfatto.
“Zitto e mangia, non condivido spesso il cibo con gli altri.”
“Ma se a me lo dai sempre" borbottò a bocca piena Henri, masticando un pezzo di panino.
“Ma tu non sei gli altri” dissi semplicemente, prima di prendere in mano i residui spappolati ovunque del panino di Henri. Mi alzai prima che potessi ricevere una sua reazione a quelle parole, mi avvicinai in silenzio alla scogliera e lanciai gli avanzi ai gabbiani che subito accorsero a pranzare. La verità, quando mi usciva dalle labbra, era sempre più imbranata e assurda da sentire, ma per quanto Henri fosse un’altra persona, non lo consideravo uno qualunque, non lo era per nulla. Non sapevo cosa fosse esattamente per me quel francese con l’aspetto da tedesco, e mi mandava in confusione: non sapevo se ero innamorato o solamente geloso della sua persona, se era mio amico o volessi che diventasse qualcosa di più in futuro. Ma, tutti quei piccoli timori quotidiani che mi assillavano, mi fecero capire come stavo cercando di conquistarlo con quelle piccole battute stupide, le naturali attenzioni che gli concedevo e gli sguardi solo a lui rivolti.
Quando tornai da Henri, lui si era già sdraiato per riposare sul telo, con il suo brutto cappello di paglia calato sugli occhi come un vero campagnolo. Rimasi in piedi pochi istanti pensando sul da farsi, ma infine mi sdraiai a fianco a lui per riposarmi in sua compagnia.

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