6. Hofer's College

37 4 1
                                    

Poco tempo dopo ebbi la fortuna di poter godere una seconda volta delle lezioni combinate con Emile, difatti, dopo una lunga riflessione su che corso intraprendere per il secondo semestre, entrambi ci iscrivemmo ad “Antropologia delle arti e cultura”, condividendo così, dopo molto tempo, un po’ di momenti assieme.
Alla prima lezione ero seduto da solo giusto al limite di una fila intermedia, non avevo nessuno con cui voler parlare in quel corso, o che io conoscessi, perciò me ne restavo come d’abitudine in silenzio ad osservare il via e vai di studenti lungo le scalinate. Proprio in un momento di curiosità come quello, vidi sbucare il mio caro amico fra i mille visi sconosciuti. I suoi occhi mi trovarono subito, mi raggiunse in un tempo minore e decise, senza chiedere ai suoi amici, di sedersi vicino a me.
“Finalmente ci rivediamo Henri” mi salutò Emile con un enorme sorriso, sedendosi sulla lunga panca lucida proprio a fianco a me.
“Pensavo ti fossi già dimenticato di me” scherzai sollevato di averlo al mio fianco, i nostri ginocchi si erano naturalmente appoggiati l'uno all'altro e a nessuno dei due fu negata quella nascosta vicinanza.
“Come potrei mai.." Emile venne interrotto da un suo compagno di corso che si schiarì la voce e allungò una mano tra noi due per presentarsi, un certo Qualcosa Evans se non mi sbaglio, ed io ricambiai il saluto.
“Maire? Non ho mai sentito questo nome” disse con un sorriso cattivo in viso, demolendo così la mia speranza che Emile avesse un minimo parlato di me ai suoi amici, giusto per concretizzare la nostra piccola amicizia. Non seppi bene cosa dire a quel commento e mi trovai nervoso e a disagio, ma come sempre Emile mi salvò in tempo.
“Ovvio, perché non lo chiamo per cognome.” chiarì subito con tono secco sotto lo sguardo di entrambi ed a nessuno sfuggì l’occhiata infastidita dalla stretta di mano che mi porse il suo amico. Lo guardai divertito soffiando una risata di sfuggita poco dopo.
“Che c’è?”
“Nulla, nulla” sorrisi trovando adorabile quel suo innervosimento per nulla, forse ci teneva un po’ più del dovuto a me, ma non mi dispiaceva.
“E come mai lo chiami per nome, Sinclair?"
"Perché ha un nome bellissimo, Henri, come Matisse, perché nasconderlo dietro ad un cognome comune?”  rimasi ad ascoltare la sua spiegazione meravigliato e al contempo divertito.
“Lo chiami anche tu per nome, Henri?”
“Oh, no,no, per te lui è Maire, non prenderti queste confidenze Evans.” Emile non mi lasciò tempo per rispondere.
“Ehi, ehi, calmo, mica mi offendo Emile” risposi ad entrambi con quella risposta divertita, ed Emile mi guardò con un'espressione indecifrabile, ma prima che la capissi, la lezione cominciò.

Dovevo dire che le lezioni spese con Emile sembravano un po’ più leggere del solito, per quanto entrambi fossimo seri ed attenti a prendere appunti, nessuno dei due si lasciava sfuggire l’opportunità per parlare all’altro, fare commenti, disegnare o scrivere sul foglio altrui giusto per cazzeggiare un po’ fra noi. Ogni tanto sentivo lo sguardo di Evans su di me, come per rimproverarmi del mio comportamento bambinesco e stupido, lo stesso di Emile. O forse Evans era solo infastidito dalla nostra amicizia.
Spinto da quel pensiero mi sentii compiaciuto in qualche modo particolare ed osai alzare lo sguardo verso l’amico di Emile mentre quest'ultimo era giusto spostato verso di me per parlarmi all’orecchio. Incrociai perfettamente gli occhi irritati di Evans sui miei e ricambiai il suo sguardo divertito, quasi felice che provasse un po’ di invidia verso noi due.
Sorrisi per le parole che mi disse Emile, tornando poi a riprendere appunti sui miei fogli sparpagliati a fianco a me, proprio quelli che il maggiore si divertiva a riempire con stupidi disegni o correzioni non opportune.
Quello stupido gioco fra me ed Emile continuò fino alla fine di ogni lezione, mi trovavo sempre i fogli sconvolti dalle sue intromissioni e correzioni, cose che continuò a fare anche durante i nostri pomeriggi di studio. Sfruttammo con piacere quella opportunità di un corso assieme per aiutarci e passare del tempo in compagnia l’un dell’altro, a studiare un qualcosa a noi noioso, o almeno in quelle prime lezioni.
All'inizio del semestre mi ero preoccupato troppo per nulla dalla lontananza di Emile, e solo durante quei momenti assieme realizzai quanto sarebbe stato difficile per chiunque interrompere quel tipo di comunicazione che avevamo fra noi.
O almeno pensavo chiunque.
Avete presente la celebre frase del teorema di Murphy? Recita: "Se ci sono due o più modi di fare una cosa, e uno di questi modi può condurre a una catastrofe, allora qualcuno la farà in quel modo". In sintesi: Se una cosa deve accadere, accadrà e nel peggiore dei modi.
L’eccezione a quel mio pensiero di indistruttibile relazione non tardò di certo a presentarsi: Comparve all’inizio di maggio, con il suo sorriso sgargiante e la sua bella presenza da persona solare ed estroversa. Si chiamava non popò di meno che Murphy, Elliott Murphy e studiava fotografia nel nostro campus. A quanto avevo capito conosceva Emile da molti anni, forse dall'infanzia, anche se a detta di quest’ultimo non erano mai stati veri amici, ma giusto conoscenti.
Il nostro primo incontro accadde nel parco del collegio. Le giornate avevano iniziato a farsi più calde, e quindi le ore di studio mie e di Emile si erano trasferite all’esterno della biblioteca, finendo sistemate sotto una vecchia quercia ad uno dei lati del parco. L’aria era più leggera all'ombra di quegli antichi alberi e si poteva parlare liberamente di ciò che si voleva, senza venire interrotti dalle riprese della bibliotecaria o delle persone vicino.
Quel giorno non avevamo, come spesso accadeva, voglia di studiare; ormai l’estate era vicina e così con le sue vacanze che avrei passato felicemente nella mia amata campagna.
“Come fanno a correre sotto il sole?” sbuffò stanco Emile osservando il club di calcio fare la loro giornaliera partita.
“Non lo so, mi fanno caldo.”
“Faresti mai uno sport del genere?”
“No, il mio unico sport è svegliarmi la mattina e non ne sono ugualmente fan” borbottai lasciando appoggiare il capo al tronco della pianta mentre la risata di Emile riempiva il silenzio attorno a noi due. Mi sbottonai un paio di bottoni della camicia volendo cercare un po’ di aria fresca anche sotto gli abiti, ma era palese che Emile mi stesse fissando e perciò mi voltai verso di lui.
“La smetti di fissarmi?”
"Perché? Hai sempre detto che non ti dispiacciono le attenzioni" arrossii a quel suo chiarimento e risi nervoso.
“Si, ok, ma non di questo genere.”,
“E di che genere?”,
“Boh, non so lo.”,
"Henri.",
“Si?”
“Ma a te che piace?” la domanda di Emile mi ammutolì. Su quale frangente me l'aveva chiesto? Non ebbi tempo di rispondere che la voce in lontananza di questo Elliott Murphy chiamò il moro.
Non avevo mai visto prima quel ragazzo ma sembrò conoscere Emile che lo salutò entusiasta.
“Ti ho cercato per mezzo campus, che ci fai qua?” chiese con una voce stanca e affaticata e quasi sorrisi.
“Oh, stavamo studiando, perchè? Ti serve qualcosa?”
“Il modello ci ha dato buca per questo progetto, ti dispiacerebbe aiutarci? Sai cosa ne penso di te” Di punto in bianco, a pelle, provai disgusto per quella frase che gli uscì dalle labbra, la trovai in qualche modo viscida, ma rimasi in disparte non essendo neppure stato notato dal intruso che sembrava abbastanza disperato ed Emile avrebbe sicuramente accettato.
“Ma certo che ti darò un aiuto, dimmi solo quando e dove, ok?” Gli sorrise riprendendo in mano il libro abbandonato qualche ora prima, ma Murphy lo chiamò a lavoro subito.
“Siamo già indietro con il lavoro e dovevamo iniziare oggi, non ci possiamo permettere un ulteriore ritardo, puoi Emile, vero?” Emile guardò verso di me titubante ma gli sorrisi divertito.
“Che aspetti? Così gli fai perdere tempo, vai! Sbrigati!” risi dandogli una spinta per farlo alzare.
“Sicuro, Henri?”
“Ma certo, tanto non stavamo studiando oggi, riprenderemo domani.” lo tranquillizzai sorridendogli ed Emile annuì accettando la mia idea.
Pensai che fosse la cosa giusta da fare, ma a lungo andare iniziai a pentirmene in un certo senso: ogni pomeriggio in cui riuscivo a stare con Emile, Murphy compariva peggio di un incubo per catturarlo per il progetto e così non lo rivedevo fino a cena; a volte ancora più tardi.

Non c'è nulla di specialeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora