Sizzler, ti ricordi?

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Mickey vuole organizzare qualcosa di carino per il suo ragazzo

Quel giorno era un giorno come tanti altri, non era neanche il loro anniversario (anche perchè un anniversario preciso di fidanzamento non ce l'avevano proprio, con tutti i casini che avevano passato). Era un giorno qualsiasi ma Mickey decise di voler organizzare qualcosa per il suo ragazzo. Perchè nonostante fosse piena estate e si morisse di caldo, i due lavoravano senza sosta tutti i giorni, tra Yevgeny, la casa, e i loro impieghi, Ian come barista, Mickey come segretario. Certo, non era il massimo, ma per come stavano le cose, al momento bastava ad entrambi. Non erano certo lavori che si addicevano a loro due: Mickey sapeva che poteva aspirare a di meglio, e per quanto riguardava sè stesso, beh, stare seduto su una sedia a compilare moduli non era proprio per lui, ma quello avevano e quello si sarebbero tenuti, almeno per un altro po'.
Mickey voleva una serata solo per loro due, una serata in cui non dovessero pensare a niente, al nulla più assoluto. Per quanto Yevgeny fosse un bambino adorabile e normalmente tranquillo, era comunque tra le loro prime preoccupazioni e sotto la loro costante attenzione, per questo non avevano un momento solo per loro due da tanto tempo, troppo.
Erano le dieci di un lunedì particolarmente afoso, ma un lunedì come un altro. Ian era già al lavoro, e il piccolo era in cucina a disegnare, o meglio, a scarabocchiare.
Mickey si era appena alzato, ma gli era subito balzata in mente l'idea. Forse non ci sarebbe neanche voluta la prenotazione, ma lui decise di farla lo stesso, per precauzione. Il vecchio Mickey Milkovich non si sarebbe neanche preoccupato di prenotare, o meglio, il vecchio Mickey Milkovich non avrebbe mai organizzato un appuntamento a sorpresa per il suo ragazzo, perchè il vecchio Mickey Milkovich non aveva ragazzi. Ma quello non era più il vecchio Mickey Milkovich. Era cambiato, maturato, aveva capito che la ruota della felicità avrebbe potuto puntare persino su di lui, aveva capito che non doveva respingere chi lo amava, che non doveva chiudersi dentro un stanza e buttare la chiave. Mickey Milkovich si era aperto, possiamo dire in tutti i sensi, a Ian Gallagher.
E gli piaceva questa sua nuova versione, un po' paterna e a volte, raramente, romantica.
Cercò nell'armadio per trovare qualcosa di decente da mettere quella sera, che non sembrasse troppo abito da ufficio.
Pensò a come sistemare Yev, perchè di certo non avrebbe potuto portare anche lui. L'unica idea che gli venne in mente fu quella. Proprio quella. L'ultima spiaggia. L'ultima possibilità: chiedere alla ragazza che abitava al piano di sopra.
Kat, la ragazza, aveva una leggera ossessione per Mickey, dal primo giorni in cui si era trasferito nella palazzina. Per mesi aveva tentato di "sedurlo", portandogli dei biscotti fatti in casa, regalandogli campioncini di sapone che le davano al lavoro, e stronzate varie. Fino al giorno nel quale capì che Ian non era un semplice coinquilino per Mickey, ovvero quando quest'ultimo non le disse apertamente che era frocio, in una maniera, se è possibile, ancora più diretta. Da quel giorno, Kat iniziò ad evitare entrambi il più possibile, e Mickey non ne era affatto dispiaciuto.
Ma quella volta lei era l'unica e l'ultima opzione rimasta.
Salì al piano di sopra e bussò un paio di volte. Kat aprì la porta, era in tuta, con i capelli sfatti e una montatura di occhiali più grande della sua faccia.
Kat non era esattamente bella, ma non era neanche brutta. Era quel tipo di bellezza che o piace o non piace. Ma era sveglia, intelligente, colta e, Mickey doveva ammetterlo, con senso dell'umorismo.
"Ehm, ciao Kat."
"Mickey, ciao, hai bisogno di qualcosa?"
Non si sentiva esattamente a suo agio, ma neanche Mickey, quindi erano pari, perlomeno.
"Si ecco, non ti disturberei se non fosse che non ho altra scelta."
"Certo, capisco, vuoi entrare?"
"No, cioè, è una cosa parecchio rapida, se non puoi, cazzo, fa nulla, non di preoccupare."
"Mickey, chiedi, forza."
"Io e Ian oggi dovremmo andare a cena fuori solo che, sai, c'è Yevgeny, mio figlio."
"Non sapevo che tu e Ian aveste adottato un bambino!"
"Ah, non l'hai visto? Si è un bambino fantastico, un cazzo di Milkovich. Solo che è solo mio figlio, la madre è una prostituta. Ma non vado a puttane, non fraintendere, è che mio padre mi ha fatto stuprare da lei perchè mi aveva beccato con Ian, poi mi ci sono dovuto sposare. Abbiamo divorziato, ovviamente, perchè Ian rompeva troppo le palle, e ora lei ci ha mollato il bambino perchè deve risolvere qualche merdoso casino per la faccenda della cittadinanza, perchè è russa."
Kat era quasi diventata viola, tra lo sbalordimento, l'imbarazzo e la confusione che aveva in testa.
"Cazzo scusa, non volevo raccontarti tutti i fatti miei, solo che io e Ian stasera volevamo andare a cena insieme e non sapevamo a chi mollare il bambino!"
Disse quest'ultima frase senza neanche prendere fiato.
Kat aveva gli occhi sbarrati.
"Okay, porta qui il bambino all'ora che vuoi."
"Cazzo, davvero? Grazie mille. Ah, possiamo pagarti, ma non troppo, non ci escono i soldi dal culo."
"Non ti preoccupare proprio di pagarmi, non se ne parla."
"Okay, grande, grazie ancora. Te lo porto verso le sette."
"Va bene."
Mickey non sapeva perchè, ma si sentiva sollevato.

Alle sette precise, dopo essere tornato dal lavoro, avendo terminato prima del solito, dopo aver chiesto un permesso al capo, portò Yev da Kat, riscese a casa, si vestì, e aspettò che Ian rincasasse.
Alle sette e mezza varcò la soglia della porta.
"Ehi, che ci fai così elegante?"
"È il mio nuovo pigiama. Secondo te, cazzone? Ti porto a cena fuori."
"Mick è un pensiero dolcissimo, ma sono a pezzi, ho di nuovo dei dolori alla schiena, e non credo di aver sudato così tanto da secoli."
Si buttò sul vecchio divano, chiudendo gli occhi.
Mickey lo guardava con ammirazione, il suo uomo era davvero bellissimo, persino così, stremato, sfranto.
"Cazzo, Mick, prima o poi dobbiamo comprare l'aria condizion..."
Non fece in tempo a finire la frase che Mickey lo baciò, sentendo il sudore persino sulle sue labbra, carezzandogli la mascella, e sentendosi le dita pizzicare dalla barbetta incolta che gli era cresciuta.
"Adesso ti fai un bagno, ti faccio un massaggio alla schiena, e andiamo a cena fuori. Ho preparato tutto, non puoi smerdarmi così."
"Okay, va bene, va bene. Ma pretendo un trattamento regale."
Ian ammiccò, poi si guardò in giro.
"E Yev?"
"L'ho mollato alla svitata del piano di sopra."
"Quindi significa che possiamo fare quanto rumore ci va."
"Non credo che abbiamo tanto tempo per il sesso, ho prenotato alle otto e mezza."
"E dove andiamo?"
"Eh no, bello, questa è una sorpresa."
I due si diressero in bagno, riempirono la vasca ed entrarono tutti e due.
Ian si appoggiò sul petto di Mickey con gli occhi chiusi, quasi addormentandosi. Restarono così per un quarto d'ora buono, poi uscirono, si asciugarono, e come promesso, Mickey gli fece un massaggio alla schiena.
"Hai delle mani di fata, te l'ho mai detto?"
"Si, anche se la maggior parte delle volte l'unica cosa che paragoni ad una fata è la bocca."
"Oh no, tu sei tutto una fatina, sei la mia fatina."
"Taci."
Gli diede una pacca sulla chiappa e lo sollevò su. Si vestirono ed uscirono di casa.
Da Jersey City a Manhattan ci volevano più o meno 10 minuti, con il PAT. Arrivati, presero la metropolitana ed arrivarono a Broadway.
"Ora mi dici dove mi porti?"
"No."
"Dai Mick, lo sai che non sono una persona paziente!"
Stavano percorrendo la via da più o meno cinque minuti, quando Mickey si fermò.
"Guarda tu stesso."
Ian si girò. Sorrise, e poi iniziò a commuoversi.
"Sizzler?"
"Beh sai, ti avevo promesso tempo fa che avremmo avuto un appuntamento qui, e io le promesse le mantengo."
"Cazzo Mick..."
"Ti prego non piangere, c'è gente."
Disse scherzando.
"Ti rendi conto che dopo tutti questi fottuti anni ancora non abbiamo avuto un appuntamento per bene?"
"Direi che era arrivato il momento."
Rispose Mickey, prese il volto di Ian e lo baciò dolcemente, oramai indifferente agli sguardi degli altri, anzi, si sentiva quasi potente, a poter dimostrare il suo amore davanti a tutti senza preoccuparsi dei loro giudizi.
"Dai, femminuccia, andiamo."
Ian si asciugò una lacrima, prese la mano del suo ragazzo, ed entrarono.
Dopo tutti quegli anni erano ancora lì, insieme.
E chi lo avrebbe mai detto.

New York, oh New YorkWhere stories live. Discover now