Quella calda serata di fine agosto.

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Nelle settimane seguenti Yevgeny si era strettamente legato a Kat, come se fosse la sua migliore amica o sua sorella. Forse gli mancava Svetlana, o forse si divertiva semplicemente a stare con quella ragazza.
Infatti più volte del necessario i due trascorrevano del tempo insieme, ed era Yev stesso a chiedere a Mickey i poter andare a stare da Kat. Lei gli comprava gelati, patatine, lo portava all'università e gli leggeva sempre una storia.
E Mickey ed Ian non erano affatto dispiaciuti dalla cosa, infatti avevano più tempo per stare per conto loro, a fare cose che con Yev nei paraggi non potevano fare, o almeno non così rumorosamente.
"Che bello avere finalmente un po' di tempo per noi due."
Disse quasi senza fiato Ian dopo l'ennesimo round, crollando sul materasso.
"Diciamo che non è male."
"Non è male e basta?"
"È che mi manca averlo costantemente fra le palle."
"Oh lo vado a chiamare, non c'è problema."
Rispose Ian alzandosi, con un tono di voce leggermente scocciato.
"Ian, Ian, fermo, dai, stavo scherzando."
Ian fece una risata isterica.
"Si, certo, stai scherzando. Hai praticamente ammesso che preferisci quel bambino a me."
"Non dire stronzate..."
"Ah, adesso dico anche stronzate! Va bene, non ti preoccupare, non dico più stronzate, tanto devo tornare al lavoro."
"Ian, cazzo!" Gridò alzandosi dal letto e seguendolo per tutto l'appartamento.
Ma Ian non sembrava ascoltarlo, si vestì in fretta e in furia e uscì sbattendo la porta senza neanche salutare.
"Merda."
Mickey andò in cucina e cercò dentro l'armadietto le pillole di Ian. Le contò e notò che ce ne erano un paio di troppo da tutte e tre le confezioni. Ian aveva di nuovo smesso di prendere le pillole.
"Merda, merda, merda."
Mickey si vestì e mise tutte le confezioni delle pillole nelle tasche ed uscì di casa.
Corse fino alla metropolitana, cercando nella folla il suo ragazzo, ma probabilmente aveva già preso il treno.
Dopo cinque minuti passò e ansiosamente iniziò a ticchettare sulla sbarra di metallo, preoccupato per quello che Ian avrebbe potuto fare.
Non era la prima volta che Ian saltava volontariamente qualche dose, forse perchè sentiva il bisogno di avere il contrario controllo di se stesso, anche se le sue azioni erano tutto meno che controllate. Nonostante tutti quegli anni non si era ancora abituato all'idea di essere malato e di aver bisogno di cure. Certo, adesso erano rare le volte in cui saltava volontariamente le dosi, ma c'erano comunque. E ogni volta faceva qualche stronzata.
Arrivato alla fermata giusta scese e riprese a correre verso il bar dove lavorava Ian: distava ad un paio di isolati dalla fermata della metro e impiegò meno di cinque minuti per arrivarci.
Entrò nel bar con il fiatone, guardandosi attorno per cercare Ian. Si avvicinò al bancone e chiese a Colin, l'altro barista, un omaccione di colore che metteva timore solo a guardarlo. Mickey non ci aveva mai scambiato più di due parole, perchè anche se gli costava ammetterlo, lo inquietava parecchio.
"Dov'è Ian?"
Chiese a Colin. Lui senza dir niente fece un gesto con la mano e indicò il bagno.
Si diresse verso il bagno e lo chiamò ma non rispose. Allora aprì tutte le porte dei gabinetti, tranne l'ultima, che era chiusa a chiave.
"Ian."
Nessuna risposta.
"Ian, aprimi."
"No."
Rispose con una voce tremante.
"Ian, giuro che non mi arrabbio, ma apri questa cazzo di porta."
"Ti stai già arrabbiando."
"No..." Si accorse del tono di voce che stava usando e lo abbassò.
"No, non sono arrabbiato Ian, ma apri la porta, così possiamo parlarne."
"Sono un coglione. Un coglione psicopatico malato mentalmente."
"Ian, smettila."
"È la verità."
"Lo sai che non è vero."
Ian non rispose. I due stettero in silenzio per un paio di minuti, poi Mickey parlò di nuovo.
"Lo sai benissimo che io non preferisco Yevgeny a te."
"Lo so, vorrei vedere, se fosse altrimenti ti spaccherei il culo."
"Già lo fai, quindi."
Ian rise leggermente. Mickey sentì la serratura della porta aprirsi, ed entrò.
Ian era seduto sulla tazza, con gli occhi rossi di piano.
Mickey si piegò sulle ginocchia e gli prese il volto fra le mani.
"Non sei un coglione. Non sei uno psicopatico. Sei Ian Gallagher, cazzo, il mio ragazzo, il mio uomo, sei una fottuta forza della natura e io ti amo. Sei la persona più importante della mia vita e senza di te io sarei una merda e basta, e tu lo sai. Ci completiamo a vicenda, quindi basta dire stronzate perchè sai meglio di me quanto tu sia importante per me. Prendi queste cazzo di pillole, usciamo da questo bagno che puzza in una maniera allucinante, fatti dare la giornata libera, torniamo a casa e facciamo quanto sesso vuoi."
Mickey gli porse le pillole, Ian le prese e le deglutì.
"Scusa, Mick."
Disse tirando su col naso.
"Andiamo, chiappe d'oro."
"Scusa ma le chiappe d'oro sono le tue."
"Stiamo parlando un po' troppo spesso delle mie chiappe ultimamente."
"Problemi?"
"Assolutamente no." Rispose stampandogli un bacio sulle labbra.
I due si alzarono, uscirono dal bagno e Mickey spiegò a Colin cosa fosse successo.
"Rimettiti, Gallagher, e torna appena puoi."
Per quanto potesse sembrare una persona spaventosa, si dimostrò più comprensiva del previsto.

Tornati a casa, si piazzarono davanti alla tv e ordinarono la pizza.
"Non dovremmo chiamare Yev?"
Chiese Ian mentre si metteva in pigiama.
"Nah, può restare da Kat per un'altra oretta."
"Mh, e calcolando che la pizza dovrebbe arrivare tra 20 minuti..."
"Oh, in 20 minuti si possono fare tante cose."
"Direi proprio di si."
Quella sera fecero l'amore come non facevano da tempo. Guardandosi costantemente negli occhi e sussurrando i loro nomi. Avvinghiati l'uno all'altro, con le mani che si stringevano e i cuori che battevano all'impazzata.
Con la certezza che si sarebbero svegliati per il resto delle loro vite accanto alla persona che più amavano al mondo.
Quella calda serata di fine agosto nella quale i due confermarono come ogni volta il loro amore.
E si domandarono come potesse esistere un'amore del genere.

New York, oh New YorkWhere stories live. Discover now