Un Amico

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Ero estremamente forte, è raramente crollavo. Ma quanto succedeva sentivo che tutta la fatica per arrivare ad essere in quel modo, andava a farsi fottere.
Non mostravo dolore, me ne stavo semplicemente in silenzio, mentre il mio cervello non smetteva di torturarmi.
Dentro avevo soltanto rabbia, che ardeva contro me stesso.
Mi odiavo, perché  riuscivo a provare dei sentimenti,gli stessi che avevo respinto per tutti quei anni. E
per quanto volessi strapparmi il cuore dal petto per non provare più emozioni, non lo facevo, non ci riuscivo
E tutto questo mi portava a chiudermi , a restare in silenzio e cercare una via d'uscita da qualla gabbia che mi eri creato con le mie stesse mani

Prendo il tabacco e inizio a posizionarlo sulla cartina, poi rullo e subito dopo aggiungo il filtro e muovo bene le mie dita. Un gesto che ripeto ormai da così tanto tempo che potrei farlo ad occhi chiusi, e non perché non prefisca le sigarette ma perche  quello è ciò che ho ricevuto in questa merda di posto.

Passo la lingua su tutta la cartina, e sigillo formando l'ennesima sigaretta.

Sono chiuso da una settimana in questa cella del cazzo, senza vedere nessuno se non il mio fottuto piatto che passa dal buco di quelle sbarre, che non ho minimamente toccato, ed ora e lì insieme agli altri posizionati esattamente dove sono stati lasciati.

L'aria in questa stanza mi nausea, è insopportabile. Sa di muffa, di quello schifo che ancora è nei piatti, delle mie sigarette e qualche altra merda.
Potrei urlare, sbattere contro quella sbarre e prendere a calci ogni centimetro di questo buco, come ho sempre fatto nella mia vita,  ma non servirebbe ad un cazzo, e per questo che resto seduto sulla sedia, cercando di trattenere ogni mia azione.

Lo faccio soprattutto perché sono incastrato dalla rabbia, che  da sette giorni non ha lasciato il mio corpo è  soprattutto la mia mente. Che non mi ha fatto ragionare e non mi fa ancora  essere lucido.
E per questo fottuto motivo che mi sto controllando per la prima fottutissima volta,  e cerco di sovrastare quello che sento.

Sbatto ripetutamente la sigaretta contro il tavolo, per pressare il tabacco e un attimo dopo la porto tra le mie labbra.

Guardo attentamente la fiamma che brucia e accende quella sostanza tossica, che subito ispiro.
Ma nessun senso di sollievo arriva al mio cervello, tanto da pensare che avrei bisogno di qualcosa di più forte, qualcosa che non mi faccia ricordare   nemmeno il mio cazzo di nome, forse solo in quel modo mi sentirei meno colpevole, spegnerei il cervello  e smetterei di pensare a quella merda che mi sta uccidendo.

Il pugno della mia mano che non mi ero nemmeno reso conto di aver stretto, aderisce sul tavolo in modo violento,  sfuggendo al mio controllo.

Cazzo!

Abbasso lo sguardo su quella serie di fogli che si alzano a causa del urto, e né afferro uno portandolo subito dopo vicino al mio viso.

Un'unica parola che contro ogni mia volontà mi sono ritrovato a macchiare su tutti quei fogli, e che inevitabilmente  mi ha riportato a pensare a quella parte della mia vita, che credevo di aver rimosso.

Mentre la mia mente mi vietava di farlo,  la mia mano si muoveva su quei fogli,  come a scaricare tutta la rabbia repressa che provavo, era come se passasse dal mio braccio, sulle mie mani per poi finire sulla punta di quella matita.

E per dei fottuti minuti, ho svuotato la mia mente, e posso dire di essermi sentito leggero.

L'unica cosa che pensavo, erano le parole di quella pazza di mia moglie, che era venuta ad urlarmi in piena notte, qui fuori da questo carcere di merda.

Piego due di quei fogli, esattamente uguali e lì infilo nei miei pantaloni, lì dove ce l'unica parola che rappresenta tutto ciò che sento.

Ma il rumore della chiave che gira nella serratura della mia cella, mi fa alzare lo sguardo verso quel punto.
E non appena i miei occhi incontrano quelli di De Santis, corrugo le sopracciglia.

Se mi guardi mi arrendo 2 Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora