portafogli e caffè inaspettati

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Sabato, 1.25 AM

Simone quasi neppure ricordava come fosse finito in quella situazione, nel retro di un locale con le labbra di uno sconosciuto a scivolare sul suo collo in una serie di avidi baci a far tremare le sue gambe di piacere. Però sapeva di volerne di più.

Anche se a malapena conosceva il suo nome, stava già incastrando le dita della mano destra tra i suoi ricci incasinati per spingerlo più vicino al suo incavo e chiedergli di continuare. Come se l'altro non fosse già stato predisposto a farlo, poi, in quella sua fretta che da subito gli aveva dimostrato d'avere nel volerlo addosso.

Un brivido improvviso gli corse per tutto il corpo, portandolo solo pochi istanti dopo a razionalizzare i polpastrelli dell'altro a scivolare furtivamente sotto al jeans nero da lui indossato, per poter sfiorare la sua pelle. Aveva le mani calde, eppure quel tocco così inaspettato aveva portato il sangue di Simone a gelare all'improvviso e il respiro a bloccarsi per un istante.

Non s'era neppure accorto, nella foga, che il bottone dei suoi pantaloni fosse stato slacciato e la cerniera abbassata, il giusto da poter intrufolarsi con le dita in un lembo più intimo. Gli stava davvero permettendo di superare l'elastico dei boxer per spingersi oltre, come se quel lato di sé gli fosse stato dovuto.

Erano attenzioni che non si concedeva da fin troppo, lui che a sensazioni simili era solito legarvi prima un sentimento importante per qualcuno, dopo che negli ultimi mesi non s'era mai abbandonato a nessuno con la scusa di non aver ancora trovato di chi innamorarsi.

Tra lavoro e uscite con il gruppo, diceva sempre, non avrebbe proprio avuto il tempo.
I suoi amici quella sera, però, l'avevano trascinato in quel locale e costretto a farsi qualche giro di alcolici casuali e offerti, il giusto per renderlo più leggero e spingerlo a lasciarsi andare nella pista da ballo in mezzo alla folla. Folla dove aveva incrociato i due occhi castani più provocanti che mai avesse potuto incontrare, lasciandoli avvicinare a lui per ballare in un tacito accordo di volersi distrarre a vicenda.

«Dimmi il tuo nome.»

La voce roca del ragazzo aveva sfiorato il suo orecchio, mentre un paio di mani erano andate a posarsi sui suoi fianchi per guidarlo in quella danza confusa, fatta di bacini a sfiorarsi e corpi a seguire un ritmo inesistente, da quella musica ch'era utile solo a confondere le menti fino a ubriacarle di percezioni astratte e amnesie dovute all'alcol.

«Simone.»

Gliel'aveva concesso senza nemmeno lasciarsi il tempo di ragionare, semplicemente assecondando la richiesta dell'altro, che in tutta risposta aveva soffiato una risata leggera accanto alla sua pelle.

«Dimmi il tuo.»

La voce era uscita più insicura di quello che avrebbe voluto, perché la sfacciataggine dell'altro lo stava destabilizzando e concentrarsi stava diventando davvero difficile.

«No.»

«Perché?»

Nessuna risposta.
Non ottenne un nome e neppure una motivazione.

Solo una mano a prendere la sua e il corpo dello sconosciuto a staccarsi dal suo, portandolo quasi a sporgersi in avanti per riaverlo. Poi gli occhi incontrarono di nuovo i suoi e la scintilla d'impertinenza nelle sue iridi lo invitò, con un gesto accennato del capo, a seguirlo tra la folla.

Ed ora eccolo lì, fuori da un locale di Roma, a farsi esplorare dalle mani di un completo estraneo, mentre spingeva i fianchi in avanti per ottenere ancor più piacere di quanto già non gliene fosse stato concesso, le dita del riccio di fronte a lui a far appannare ogni suo pensiero più razionale mentre prendevano possesso dei suoi gemiti, uno dei quali fu bloccato dalla sua stessa bocca a collidere con la gemella, quasi a voler impedirgli di fare rumore, pur trovandosi in una strada isolata e quasi buia se non per la fioca luce di alcuni lampioni. Il labbro inferiore fu catturato tra i denti e attirato leggermente in avanti, poco prima che la lingua fosse sfiorata in una carezza furtiva.

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