stanza 26

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Un'ora, spesa all'interno di quella stanza, gli occhi di una guardia puntati addosso e le mani dell'uomo seduto di fronte a lui con le dita intrecciate tra loro in un evidente segno di serietà e diffidenza. Simone non capiva cosa stesse accadendo ma, visto il soggetto principale di quella conversazione, aveva una spontanea curiosità a tener viva la sua energia, nonostante il silenzio di quella stanza a creare forse ancor più caos d'un luogo affollato. Si sentiva osservato e sapeva fosse così, accusato ingiustamente d'un reato mai commesso e adesso persino vittima d'un gesto commesso di cui neppure era a conoscenza. Sapeva che Manuel avesse la tendenza a mettersi nei guai, vista la sua fedina penale ch'era risaputo non fosse tra le più pulite – però, quella volta, non aveva la più pallida idea di cosa stesse accadendo.

«Abbiamo trovato questa, nel tuo letto.» Dopo un'ora di silenzio e persone ad andare e venire da quella stanza, finalmente l'inizio d'un discorso sensato. Un pezzo di carta dai bordi strappati e con l'interno a righe, macchiato di parole dall'inchiostro nero, fu posato davanti ai suoi occhi da una donna al fianco del corpo seduto di Simone, che in tutta risposta sollevò lo sguardo per guardare verso di lei, confuso.

«Cos'è?»
«Dovresti dircelo tu, questo.»
«Non ne so nulla.»
«Ne sei sicuro? Leggila.»

La donna indicò con il capo verso quella che aveva tutta la parvenza d'essere una lettera e il ragazzo, che si poteva dire più curioso che obbediente al momento, prese quindi il foglio tra le dita di una mano, iniziando poi a scorrere lo sguardo nella prima lettura di quello che riconobbe essere un messaggio indirizzato proprio a lui:

‹ Room 26. ›

Room 26. Lo stesso locale in cui s'erano incontrati la prima notte, in cui i loro sguardi s'erano incrociati e i corpi uniti in un piacere che ancora dopo mesi gli veniva difficile da cancellare. Quella sola scritta su un pezzo di carta casuale gli fece capire che, nonostante tutto, Manuel non aveva dimenticato. Ciò che non riusciva a capire, però, era cosa volesse comunicargli con quella posizione precisa.
Poi un ricordo, così istantaneo ed effimero che quasi gli parve di vederlo volare davanti ai suoi occhi.

«Tu ci torneresti, nel locale del nostro primo incontro?» Ricordava la voce del riccio a porgli quella domanda, quasi distrattamente, mentre tra le dita manteneva un drum ancora da chiudere e nell'angolo della bocca il filtro. Simone neppure gli aveva risposto, ch'erano ancora i primi giorni in cui si trovava lì e — dopo quel bacio mancato da parte del ragazzo — ormai neppure più gli concedeva la parola, nel suo classico orgoglio a fare da scudo.
Ricordava i suoi occhi a guardarlo, poco dopo, l'insistenza del suo sguardo ad attendere una risposta che però non arrivò. Poi un sospiro leggero a scivolare via dalle labbra, infastidito dal suo solito atteggiamento schivo.
«Io ci tornerei.», lo aveva detto come gli fosse stato chiesto, Manuel, per riempire un silenzio che altrimenti avrebbe messo a disagio entrambi. E i silenzi, spesso, lo spaventavano: perché sapevano di parole non dette e verità nascoste, sapevano di pericoli invisibili agli occhi e per uno come Manuel, che amava giocare a carte scoperte nella vita, l'assenza di suono era fonte di ansia.
Capitava spesso, la sera, che trovandosi in stanza insieme fosse solo lui a riempire quei silenzi immotivati. E Simone rimaneva zitto, però lo ascoltava senza perdersi neppure un dettaglio, la maggior parte delle volte anche osservandolo finché non riusciva a prender sonno per la sua voce a parlare di tutto e di niente, lasciandosi cullare dai sorrisi casuali che il ragazzo gli regalava senza aspettarsi nulla in cambio. Gli mancava, quel lato di lui.
«Quando uscirò di qua, ci tornerò. Ogni singola sera, finché non sarò soddisfatto.»
«Soddisfatto... da cosa?»
«Credo tu lo sappia.» I suoi occhi l'avevano guardato con intensità, nel pronunciare quelle parole, come a comunicargli qualcosa che in quell'istante non aveva compreso. Che non aveva voluto comprendere, fin troppo accecato dal desiderio di mostrarsi indifferente. Però s'era comunque sentito debole, al suo sguardo, quindi aveva subito distolto il proprio nello schiarirsi la gola per scacciare quel brivido che poco dopo lo aveva attraversato.
Manuel sapeva come lasciare il segno.

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