CHAPTER 8

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finalmente sarei potuta tornare a scuola, quindi preparai la borsa, mi vestii, mettendomi la maglietta dell'hellfire club in modo da farmi notare, uscii in bici e mi diressi alla Hawkins High.
non appena arrivai, cercai Eddie con lo sguardo, ma non lo vidi all'ingresso. magari era in ritardo.
entrai in classe, e al mio ritorno i miei amici mi diedero il bentornato. ero ancora un po' indecisa sul parlargli o meno, e più le ore passavano, meno ero sicura su quello che avrei dovuto dirgli.
arrivò l'ora di pranzo, ma Eddie non c'era, così mi avvicinai al suo solito tavolo per sapere se qualcuno l'avesse sentito. ma quella mattina, nonostante avessero provato più volte a contattarlo, non rispose mai.
tornai al mio posto. i miei amici, vedendomi così, un po' assente e pensierosa, mi chiesero se fosse successo qualcosa, ma io negai, e continuai a fare finta di nulla.

all'uscita, mentre mi avviai verso la mia bici, lo cercai di nuovo, ma non c'era. così presi la strada per tornare a casa. esitai più volte sul da farsi. non sapevo se tornare veramente a casa o se andare a cercarlo. volevo parlargli, ma avevo paura. avevo paura di interfacciarmi con i miei sentimenti, con quello che provavo per lui. non ce la feci.
alla fine tornai a casa, e mi chiusi in camera. piansi. piansi tutto il pomeriggio. più pensavo a lui e a come probabilmente lo avevo fatto sentire, più piangevo. non riuscivo a smettere. le lacrime sgorgavano dai miei occhi a non finire.

mi sentii debole, impotente, fragile. sapevo che se fossi andata da lui avremmo discusso, perché lui è così, è come me. davanti alle difficoltà perdeva il controllo e scappava. lo faceva per le minime cose, come la scuola, figuriamoci per una cosa del genere. io lo avevo ferito. lo so. il suo sguardo deluso di ieri dopo essere passato da me, mi spezzava il cuore. ancora una volta, avevo allontanato chi mi faceva stare bene per delle cazzo di paranoie inutili. paranoie che però erano talmente pesanti nella mia testa, che sembravano massi enormi.
piansi fino alla sera, quando stremata, non crollai sul letto addormentata.

il mattino seguente mi svegliai tardi, così decisi di non andare a scuola. avevo ancora gli occhi e il viso gonfi per le lacrime. mi sentivo come se mi avessero presa a cazzotti tutta la notte. passai tutta la giornata chiusa in camera, quasi senza mangiare, e con la musica nelle orecchie. mia madre entrò più volte per vedere come stessi, ma ero completamente spenta.
nella mia testa sentivo solo la sua voce che ripeteva quanto mi odiasse, che non voleva più essere mio amico, e tantomeno vedermi o sentirmi.

di nuovo mi domandai più volte il perché io stessi così, perché fossi terrorizzata dai miei stessi pensieri. ero come bloccata su un altro pianeta. volevo solo sparire. sparire per sempre.
pensai addirittura di farmi del male, ma per fortuna mia mamma buttò tutto ciò che riteneva pericoloso per me dopo avermi scoperta un paio di mesi dopo l'incidente di papà. da allora lei è diventata la mia ancora di salvezza. ora però, la mia ancora di salvezza era diventata Eddie, ma dopo sabato, non sarebbe più stato così. alla fine, come il giorno precedente, mi misi a dormire nel mio mare di lacrime.

arrivò mercoledì, e mi svegliai presto. decisi di provare ad andare a scuola nella speranza che Eddie non ci fosse. se mi avesse vista in quelle condizioni, oltre al dolore ci si sarebbe messa anche la vergogna.
arrivai in anticipo. in prima ora c'era matematica, e visto che ero rimasta un po' indietro con i compiti a casa, approfittai dell'assenza del professore per farli in santa pace.
dopo qualche minuto entro Robin, anche lei in anticipo. tenni lo sguardo basso per evitare che mi vedesse troppo in faccia. sentivo che le lacrime stavano per uscire di nuovo.
«ehi Stella, come mai ieri non sei venuta?» disse un po' preoccupata «tutto ok?»
«sì sì, mi ero svegliata troppo tardi» risposi frettolosa
«mh, va bene» si sedette come al solito accanto al banco accanto al mio, e chinò un po' la testa per provare a vedermi in viso, ma mi girai dall'altra parte.
«che hai fatto?» mi domandò spaventata «vieni con me» cercò di prendermi per un braccio ma subito mi scansai.
«non mi toccare» dissi. in quel momento alzai lo sguardo, ma lo riabbassai subito nella speranza che non mi avesse vista «scusami»
«no tranquilla, non ti tocco. vieni in bagno con me però. parliamo un po' io e te, come ai vecchi tempi» mi sorrise tranquillamente. in quel momento mi alzai, e andammo in bagno.

mi chiede nuovamente cosa fosse successo, ma io risposi ancora una volta "nulla"
si avvicinò a me, e provò di nuovo ad accarezzarmi una mano per farmi tranquillizzare ma la spostai.
«davvero, nulla» ribattei. si accovacciò davanti a me per vedermi meglio.
con voce timorosa mi chiese se fosse successo qualcosa con Eddie. per un secondo esitai, ma poi annuii.
«e cosa è successo» richiese. a quel punto scoppiai di nuovo a piangere. uno di quei pianti incontrollati e straziati, di pura stanchezza fisica e mentale.
tra una lacrima e l'altra le raccontai tutta la faccenda. dalla scommessa, allo scherzo, al tempo passato con lui, ai miei sentimenti da cui ero terrorizzata, e del fatto che non riuscivo a non pensare a lui che mi odiava. mi accasciai a terra, come una bambina. mi sentivo proprio così, piccola, anzi, minuscola. Robin però mi abbracciò. non lo faceva mai, odiava gli abbracci e tutte le smancerie simili. mi abbracciò forte. l'ultima volta che l'aveva fatto, era appena successo il fatto di mio padre.
«ti voglio bene, hai capito? non te lo dimenticare mai» mi rassicurò. dopodiché mi fece sciacquare la faccia per ravvivarla un po' «dai ora basta piangere, che sei rossa come i tuoi capelli» risi. le battutine stupide di Robin mi strappavano sempre una risatina sciocca.

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